LAZZARESCHI, Elina Felisa (Elena Zareschi)
Nacque in Argentina, ad Haedo (Buenos Aires), il 23 giugno 1918, da Luigi e Gesuina Santini, commercianti italiani emigrati in America del Sud.
La L., quinta di otto fratelli, trascorse la giovinezza a Lucca, dove la famiglia si era stabilita al rientro in Italia nel 1923 e dove frequentò l'istituto magistrale. Terminati gli studi con risultati piuttosto modesti, decise di seguire la propria inclinazione per la recitazione. Ancora molto giovane, e contro il volere paterno, incominciò a darsi da fare nell'ambiente dello spettacolo prendendo contatto con critici e impresari. Morto il padre, intorno al 1935 la madre le diede il permesso di trasferirsi, insieme con la sorella maggiore Anna, a Roma, dove fu ammessa al neonato Centro sperimentale di cinematografia, una scuola ben accetta alla famiglia.
L'inseparabile sorella, che viveva accanto a lei facendole da segretaria e agente, si iscrisse al corso di fotografia. Al Centro la L. ebbe come insegnanti L. Chiarini, C. Pavolini, U. Barbaro, P. Sharoff e Teresa Franchini, che per prima ne comprese la più autentica vocazione e la avviò al teatro.
Appena ottenuto il diploma, nel 1937, l'iniziale sbocco della L. fu però il cinema; la prima vera opportunità (la L. aveva già esordito, nel 1934, in una piccolissima parte ne La signora di tutti, girato in Italia da M. Ophüls) gliela diede uno degli insegnanti, Barbaro, che la volle nella sua unica regia, L'ultima nemica (1938), nel ruolo di una giovane prostituta che si offre come "cavia" per un rischioso esperimento scientifico.
Nel film di Barbaro, oltre a F. Giachetti e Maria Denis, comparivano O. Toso e Alida Valli, colleghi di corso della L. (la quale aveva già adottato lo pseudonimo di Elena Zareschi con cui percorse tutta la carriera).
L'anno dopo, nel 1939, la L. debuttava in palcoscenico diretta da A.G. Bragaglia, al teatro delle Arti di Roma, con Nozze di sangue di F. García Lorca; nella pièce, all'epoca moderna e dirompente, la L. era la Fidanzata. Notata, proprio in queste vesti, da G. Forzano, venne da lui scritturata al teatro Argentina come sostituta di Evi Maltagliati per il ruolo di Cleopatra nel Giulio Cesare (firmato da Forzano ma di cui era notoriamente coautore B. Mussolini). Con Forzano la collaborazione continuò, sempre nel 1939, anche nel film Sei bambine e il Perseo: un'esaltazione dell'arte italica in cui la L. interpretava Liberata, la maggiore delle sei nipoti di B. Cellini.
Le due pellicole più importanti in cui l'attrice lavorò in questo periodo furono Gelosia (1942) di F.M. Poggioli, tratto da Il marchese di Roccaverdina di L. Capuana (nei panni di Zosima, l'infelice moglie del marchese) e, l'anno successivo, il mélo agiografico Rita da Cascia (1942-43), di A. Leonviola.
Il ruolo en titre ben corrispondeva all'intensa recitazione della L. e alla sua bellezza spigolosa; fu infatti l'unico a darle una certa popolarità nel mondo del cinema e le aprì successivamente la strada - in teatro, però - per altri personaggi di sante e per numerose apparizioni in rappresentazioni liturgiche.
Nel 1942 apparve inoltre nel Don Giovanni di D. Falconi (fra le nobildonne vittime del fatale seduttore) e nel Mercante di schiave di D. Coletti; tuttavia la L. andava rendendosi conto di non riuscire a esprimere compiutamente sullo schermo le sue indubbie potenzialità di attrice: le sue caratteristiche attoriali e fisiche, il volto severo e spigoloso, l'alta statura e il portamento fiero, uniti a una scarsa fotogenia, poco si addicevano ai ruoli proposti dal cinema di quegli anni, in particolare da quello dei "telefoni bianchi".
Una delusione - M. Soldati l'aveva inizialmente scelta come protagonista della versione cinematografica di Piccolo mondo antico (1941), ruolo affidato all'ultimo momento alla Valli - la rafforzò nella decisione di dedicarsi principalmente al teatro, dove presto si impose tra le protagoniste della scena italiana.
Nel 1940 era entrata stabilmente nella compagnia Grandi spettacoli di Forzano; al termine di questa esperienza "nazionalpopolare" passò alla Benassi-Carli. L'incontro con Memo Benassi, uno dei mattatori della scena italiana, fu determinante per la sua carriera e lavorare con lui si rivelò una grande scuola; in breve tempo la L. sostituì Laura Carli raggiungendo il ruolo di prima attrice. Con Benassi rappresentò testi di L.N. Tolstoj (Il cadavere vivente), R. Bracco (Sperduti nel buio) e anche di L. Pirandello (Questa sera si recita a soggetto); tuttavia il vero incontro con il drammaturgo siciliano avvenne poco dopo, nella stagione 1942-43, quando la L. si unì alla compagnia pirandelliana di Paola Borboni (La vita che ti diedi, L'amica delle mogli). Nel novembre 1943 ottenne grande successo al teatro Argentina in L'albergo dei poveri di M. Gor´kij, diretto da P. Sharoff, al fianco di R. Cialente.
A fine anno la L. decise di abbandonare la capitale e spostarsi verso Nord; nel 1944 si ricongiunse a Firenze con Benassi, che portò in scena, per l'ultimo Maggio musicale di guerra, Agnese Bernauer di F. Hebbel (teatro della Pergola, regia di Pavolini e G. Pacuvio, fra gli attori V. Gassman, T. Carraro, E. Calindri); seguì quindi il capocomico anche a Venezia, dove, negli stabilimenti allestiti nei giardini della Giudecca dall'Ente nazionale industrie cinematografiche (ENIC), salito al Nord al seguito del governo della Repubblica sociale italiana, girò per F. Calzavara I peccatori con N. Crisman. Contemporaneamente, tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945, fu protagonista, al teatro Goldoni, di Amleto di W. Shakespeare (Ofelia) e di La fiaccola sotto il moggio di G. D'Annunzio (Gigliola).
Dopo la Liberazione, la L. ritornò per qualche mese a Lucca, senza peraltro smettere di lavorare: nell'ottobre 1945 tornò in scena al teatro del Giglio con la amatoriale Compagnia drammatica lucchese, diretta da F. Guarnieri (Vestire gli ignudi di Pirandello). L'anno seguente si trasferì a Milano, partecipando dapprima a un festival di atti unici italiani al teatro Excelsior, dove, con la regia di M. Landi, recitò in Gioventù malata di F. Bruckner (Daisy) e in Cronaca di L. Trieste (Lucia). Ancora nel capoluogo lombardo la L., il 26 nov. 1946, sempre all'Excelsior, prese parte a una messa in scena di Piccoli borghesi di Gor´kij, regia di G. Strehler, insieme con un folto gruppo di attori destinato a formare il nucleo della compagnia del Piccolo Teatro, costituitosi proprio in quei giorni; prese quindi parte, nel 1947, alla prima stagione del Piccolo.
Sotto la direzione di Strehler fu Nastia in L'albergo dei poveri - lo spettacolo inaugurale (14 maggio) -, Beatrice in Arlecchino servitore di due padroni di C. Goldoni, e Giustina in Il mago dei prodigi di P. Calderón de la Barca.
La stagione successiva la vide di ritorno a Roma, dove andò in scena al teatro delle Arti con il dramma di U. Betti Corruzione al palazzo di giustizia (Compagnia dell'Istituto del dramma italiano, regia di O. Spadaro).
L'opera le diede modo, nel ruolo di Elena, di misurarsi felicemente con un testo contemporaneo che richiedeva una recitazione più asciutta e moderna. A Betti la L. sarebbe ritornata qualche anno dopo, questa volta in compagnia con S. Randone, con Delitto all'isola delle capre (Roma, teatro delle Arti, 20 ott. 1950, regia di Pavolini) nel ruolo di Agata, creato appositamente per lei: un clima cupo per una moderna tragedia che ebbe vasta eco nell'opinione pubblica ma fu accolta con riserva dalla critica.
Nell'estate 1949 la L. fu protagonista di due importanti eventi teatrali: il Troilo e Cressida di Shakespeare con la regia di L. Visconti in un allestimento sfarzoso (scene di F. Zeffirelli) nel giardino di Boboli a Firenze - insieme con la L. (Cassandra) vi erano Gassman (Troilo), Rina Morelli (Cressida), M. Girotti (Aiace), S. Tofano (Ulisse) e un giovanissimo G. Albertazzi -; e La figlia di Jorio (Mila), messa in scena, nell'ambito delle celebrazioni per il decennale della morte di D'Annunzio, a Pescara per la regia di Pavolini con Randone e C. Pilotto.
Continuando nella serie delle rappresentazioni all'aperto, cui la voce potente e chiara e l'imponente fisicità la rendevano particolarmente adatta, la L. fu, fra l'altro, s. Caterina nella rappresentazione della vita della santa sul sagrato del duomo di Siena (giugno 1950, regia F. De Crucciati, ripresa poco tempo dopo al Quirino di Roma); quindi Corifea in Le baccanti di Euripide a Siracusa, per la regia di G. Salvini. Nel settembre di quell'anno fu anche protagonista di una Sofonisba di G.G. Trissino al teatro Olimpico di Vicenza, memorabile per l'abilità con cui seppe affrontare un testo poetico particolarmente ostico.
Negli anni Cinquanta iniziò il sodalizio con Gassman; la L. entrò a far parte della Compagnia del teatro d'arte italiano diretta dallo stesso Gassman insieme con L. Squarzina.
Nell'ampio repertorio della compagnia sono da ricordare: Oreste di V. Alfieri, nel ruolo di Elettra, vero e proprio "cavallo di battaglia" della L.; e poi Tieste di Seneca, Peer Gynt di H. Ibsen, Edipore di Sofocle, Amleto di Shakespeare. La compagnia fece tournées in Italia, Libia, America del Sud e a Parigi.
Alla fine del 1953 la L. lasciò il posto in compagnia ad Anna Maria Ferrero e, dopo un periodo passato tra Milano e la Toscana, sempre recitando, nella stagione 1955-56 divenne prima attrice della Compagnia del teatro regionale emiliano nella quale ritrovò Benassi.
Il repertorio era vario e ispirato a una moderna classicità: Hedda Gabbler di Ibsen, altro cavallo di battaglia della L.; La giostra di M. Dursi, la rilettura di Medea dell'americano R. Jeffers e, fiore all'occhiello di Benassi, l'Enrico IV di Pirandello, in cui la L. era Frida.
Nuovamente al fianco di Gassman, sul finire degli anni Cinquanta iniziò per la L. una stagione di rinnovamento del repertorio in cui si avvicinò a una drammaturgia contemporanea e sofisticata (tra gli altri: Ippolito e la vendetta di C. Terron, Periferia di F. Zardi, Ornifle di J. Anouilh).
Inevitabilmente, in una carriera così intensa e lunga, i ruoli cominciarono a ripetersi: per questo la L., che amava mettersi alla prova con personaggi difficili e novità, ricercò testi inediti in cui cimentarsi (a Milano, nel 1964, si avvicinò al teatro jiddish con Dibbuk di S. Anski, regia di E. Fulchignoni). Nel 1966, dopo otto anni di lontananza dalle scene romane, tornò a Roma con due recite del teatro Stabile: Dal tuo al mio di G. Verga, in una discussa messa in scena di P. Giuranna, e l'inedito Rose rosse per me dell'irlandese J. O'Casy, per la regia di A. Fersen.
La successiva decade si segnala per la ripresa, di grande successo, di Delitto all'isola delle capre al S. Babila di Milano (1973); un Gabbiano di A.P. Čechov allo Stabile di Padova nella stagione 1976-77 (per la regia di P.A. Barbieri) e poi, nel 1978, Il lungo viaggio verso la notte di E. O'Neill, diretto da M. Bolognini. Infine, nel 1981 l'attrice si confrontò con Lo zoo di vetro di T. Williams, diretto da S. Blasi.
Quest'ultima messa in scena evidenziava però un'inevitabile distanza tra lo stile interpretativo della L., eminentemente tragico e classico, e un testo moderno in cui veniva meno, almeno in parte, la centralità dell'attore.
Con l'abituale serietà e con rigore artistico la L. si avvicinò anche alla televisione fin dalla nascita del nuovo medium. Presenza assidua del teatro in TV, venne diretta dai maggiori registi del tempo, distinguendosi in alcuni ruoli che le erano particolarmente propri.
Elisabetta in Maria Stuarda di F. Schiller (1958), Andromaca nell'omonima tragedia di J. Racine (G. Vaccari, 1960), lady Macbeth nel Macbeth diretto da A. Brissoni (1960), il quale riuscì a porre in evidenza un insolito lato crudele della fisionomia della Lazzareschi. Dopo un'Elettra di Sofocle registrata nel novembre del 1961 al teatro Olimpico di Vicenza, nel 1962 prese parte alla trasmissione diretta da D. D'Anza, Il giornalaccio, nella quale venivano sceneggiati alcuni brevi racconti.
L'epoca del teatro televisivo andava tuttavia esaurendosi e i nuovi spettacoli proposti si rivelavano sempre meno adatti al temperamento della L., che comparve ancora sul piccolo schermo con un ultimo classico: I Persiani di Eschilo (registrato all'Olimpico di Vicenza nel giugno 1967). Infine figurò nei gialli Rebecca, la prima moglie (1969) di E. Macchi con A. Nazzari e Quanto zucchero, signora Verri? di E. Roda, diretto da C. Fino.
Nel dopoguerra la L. era tornata al cinema solo marginalmente; i titoli di maggior spicco sono: I contrabbandieri del mare di R. Bianchi Montero, 1948; Ombre sul Canal Grande di G. Pellegrini, 1951; Ulisse di M. Camerini, 1955; Imisteri di Parigi di F. Cerchio, 1957; Le sorprese dell'amore di L. Comencini, 1959.
In virtù della voce armoniosa e della dizione perfetta, la L. svolse anche attività radiofonica (fra le sue interpretazioni si segnalano quelle della Mirra di V. Alfieri e della Medea di Seneca) e di doppiatrice di dive hollywoodiane quali Lucille Ball e Joan Crawford, ma anche di colleghe italiane. La presenza scenica la rese, inoltre, ricercata protagonista di manifestazioni celebrative in cui recitava poesie e prose. Fu, infine, voce recitante in concerti sinfonici e opere liriche; degna di nota la sua Persefone, nell'omonima opera di I.F. Stravinskij.
In fine di carriera la L. diradò la propria attività, anche per problemi di salute, senza abbandonare mai del tutto ma con grande attenzione a scegliere ruoli adatti all'età. Degli anni Ottanta si ricordano la sua presenza a Siracusa con Le madri (Le supplici) di Euripide, regia di G. Sbragia (1986), e poi la sua Donna Aldegrina in La fiaccola sotto il moggio di D'Annunzio, diretta da P. Maccarinello (teatro degli Animosi, Carrara, 1987). La sua ultima eroina tragica fu Ecuba in Le Troiane di Euripide, a Borgio Verezzi nel luglio 1987 (regia di A. Giupponi).
I primi anni Novanta la videro entusiasta sostenitrice del neonato festival teatrale di Todi. La sua ultima recita pubblica risale all'ottobre del 1993 quando, a Rovigo, recitò testi sacri alla Beata Vergine del Soccorso. Quindi si ritirò a vita privata stabilendosi a Gragnano, nei dintorni di Lucca, presso la sorella.
La L. morì a Lucca il 30 luglio 1999.
Nel corso della sua lunga e fortunata carriera la L. lavorò con le più importanti compagnie stabili e prese parte a rappresentazioni di grande livello e a spettacoli d'eccezione; tuttavia la presenza imponente, la voce forte e musicale, lo stile austero la spingevano naturalmente verso un repertorio "alto" che, almeno in parte, le impedì di raggiungere la vasta e facile popolarità di altre colleghe attive in un repertorio più leggero. Grazie alla sua "imperiosa maestà, alla sua dizione limpida e possente, al temperamento passionale e alla sobria maestà del gesto" (Ronfani, in Schiavo), divenne dunque interprete ideale dei classici, in particolare nelle rappresentazioni nei grandi teatri storici all'aperto; artista eclettica e duttile, attenta alla psicologia dei personaggi, si impadronì facilmente sia del repertorio tragico classico, dai greci ad Alfieri, passando per Shakespeare, sia del repertorio drammatico moderno con particolare riguardo a Pirandello, Ibsen e Betti.
La L. fu attrice molto riservata e suscettibile, poco incline alla mondanità e amante della vita semplice. Rilasciò di rado interviste e difese strenuamente la propria vita privata, della quale solo si sa di un fidanzamento con l'attore N. Crisman, rotto in gioventù. Lontano dalle scene scrisse poesie che furono apprezzate anche nell'ambiente letterario, per esempio da V. Cardarelli; alcuni suoi componimenti furono pubblicati negli anni Cinquanta in La Fiera letteraria.
Fonti e Bibl.: Esaustiva e completa di riferimenti bibliografici la biografia di R. Schiavo, Elena Zareschi. La grande tragica del teatro italiano, Vicenza 2002. Vedi anche i necrologi, in data 1° ag. 1999, in La Nazione, Corriere della sera, La Repubblica; cfr. ancora: F. Savio, Cinecittà anni '30, III, Roma 1979, pp. 1147-1154; Filmlexicon degli autori e delle opere, VII, coll. 1754 s.; Diz. del cinema italiano, Le attrici, Roma 1998, pp. 62 s.