PAGLIARANI, Elio
PAGLIARANI, Elio. − Nacque il 25 maggio 1927 a Viserba, in Romagna, da Giovanni e da Pasquina Pompili.
Il nome di famiglia ha sempre oscillato, anche negli atti anagrafici, tra «Pagliarani» e «Paglierani» (Pajeràn, erano detti in dialetto romagnolo; con la firma «Elio Paglierani» uscirono in effetti, nel 1948, i suoi primissimi versi nella rivista La Cittadella di Bergamo; e l’autore nel riproporli – sul numero 190 de L’immaginazione, nel 2002 – ha spiegato: «Allora, negli anni 1947-48, mi chiamavo proprio Paglierani, documenti alla mano: ma c’erano già dei dubbi; poco prima della laurea, nel 1950-51, preoccupato che la laurea fosse scritta col cognome giusto, promossi un’indagine del Tribunale, che, risalendo al nonno e al bisnonno, stabilì che in realtà il mio cognome era Pagliarani, con la a»).
Quella che oggi è una frazione di Rimini, Viserba appunto, era allora un borgo di piccola industria – sede di una corderia ove si lavorava soprattutto il lino – e turismo (l’attività balneare aveva appena preso le mosse) che attirava una popolazione di estrazione contadina, per lo più originaria della non distante Sant’Arcangelo. Il padre proveniva da una famiglia di allevatori di cavalli ed esercitava la professione di vetturale: imparentato alla lontana con quel Luigi Pagliarani investito e poi prosciolto (ma nel 2001 il ‘caso’ è stato riaperto) dall’accusa di essere stato esecutore materiale, nel 1867, dell’assassinio di Ruggero Pascoli, padre di Giovanni e amministratore della tenuta dei Torlonia nella vicina San Mauro. Diversi anni più tardi, a Castelvecchio, Mariù Pascoli una volta cacciò di casa una domestica perché venuta a conoscenza che di cognome faceva appunto Pagliarani. Ma il vero motivo dell’avversione dei Pascoli per i Pagliarani – ha scritto Elio nel suo Pro-memoria a Liarosa (2011, p. 128) – è che Luigi e altri suoi parenti avevano coinvolto il giovane ‘Zvanì’ in certi «discorsi socialisteggianti» che, com’è noto, finirono per procurargli qualche guaio (per Pascoli Pagliarani ha sempre nutrito interesse sino a curarne, nel 1998, un’ampia antologia degli scritti pubblicata dall’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato). Di estrazione più povera era mamma Pasquina: suo padre Lazzaro era fra i tanti che dovettero emigrare negli Stati Uniti, dove fece il minatore e da dove tornò, verso la fine della Grande Guerra, in tempo per morire di spagnola.
Nell’inverno del 1929, quando aveva 18 mesi, un grave incidente domestico (scivolò nel cortile gelato cadendo sopra il badile con cui il padre aveva appena spalato la neve) gli fece perdere un occhio. La protesi di vetro con la quale l’occhio venne sostituito restò stimmate dello sguardo ‘straniato’ col quale il poeta guardò il mondo (ma gli risparmiò il servizio militare e in un’occasione, forse, gli fece salva la vita: quando, nell’estate del 1944, coi tedeschi che rastrellavano i ragazzi della sua età, il diciassettenne Elio si tolse la protesi e mostrò loro l’orbita cava dell’occhio, lasciandoli stupiti e interdetti il tempo bastante per mettersi in fuga).
L’adolescenza in riviera fu periodo di turbamenti – dovuti, oltre che all’età, a un temperamento assai nervoso – e di letture disordinate e furibonde, nutrite da copiosi ordini di libri per corrispondenza e dalla già assidua frequentazione di biblioteche (unica alternativa alla lettura la collezione di francobolli: di qui, forse, la passione per la storia e la geografia). Nell’estate del 1939 o del 1940 (come ricorda ancora il Pro-memoria in uno dei suoi episodi più belli, pp. 119 s.) conobbe Giovanna Bemporad che ogni anno trascorreva nella zona le vacanze estive e che, sebbene adolescente a sua volta (a dispetto dell’età ‘ufficiale’, si direbbe fededegno il ricordo secondo il quale fosse maggiore di lui di due anni), «veniva da un altro mondo»: quello della poesia. Fu per Pagliarani il battesimo, la vocazione di una vita: «molte sere e molte notti d’estate […] le passavamo passeggiando insieme nei luoghi più appartati e bui o in corti viottoli nei campi lungo e oltre la ferrovia, fino all’aperta campagna; […] lei declamava versi: Leopardi soprattutto, e Saffo e i poeti contemporanei Cardarelli, Montale e Ungaretti, con una voce intensissima, profonda e visceralmente inquietante».
Negli anni della guerra frequentò il liceo scientifico Alessandro Serpieri di Rimini, senza avvertire particolari difficoltà nelle materie letterarie, ma nemmeno in quelle scientifiche: tanto è vero che fu sulle pagine bianche del quaderno di matematica (dove avrebbero dovuto trovar posto le correzioni) che abbozzò le prime poesie, influenzate dal Pascoli dei Poemi conviviali; e presto si mise a dare ripetizioni anche ad alunni più anziani di lui. Nel frattempo, a partire dal 1943, il nodo ferroviario di Rimini fu fatto oggetto di pesanti bombardamenti; e nel 1944-45 vi si concentrarono i combattimenti lungo il fronte della Linea gotica.
Nel maggio 1945 s’iscrisse alla facoltà di scienze politiche dell’Università di Padova, sebbene senza mai frequentarla (conseguì la relativa laurea il 3 novembre 1951, con la votazione di 88 su 110: Fondo Pagliarani). Molto presto, in quello stesso autunno del 1945, si trasferì a Milano, ospite di una famiglia di amici viserbesi, i Vanni (Caterina, poetessa e preside del liceo Berchet, era figlia d’un allievo di Pascoli, Manfredo Vanni), che lo aiutarono a trovare un impiego come traduttore e interprete di inglese in una società di esportazioni, la Italorient, con sede in piazza del Duomo. Pagliarani vi lavorò dall’autunno del 1947 al giugno 1948 (la ditta venne poi trasfigurata nella «Transocean Limited» della Ragazza Carla). In seguito tornò a impartire ripetizioni e insegnò anche presso la Società Umanitaria e diverse scuole private di Milano (come l’istituto Leonida, in viale Umbria) e dintorni, sino a Cinisello Balsamo.
Fu lì che – confessò più volte – lavorò al poemetto narrativo La ragazza Carla, concepito in un primo momento (all’altezza del 1947-48) come soggetto cinematografico pensato per De Sica e Zavattini (e tuttavia mai loro inviato) e completato solo all’inizio del 1957 (cfr. Ballerini, 2007, che ha trovato il manoscritto del trattamento e primi frammenti del testo definitivo già in carte risalenti al 1953-54).
Nel frattempo, nel giugno 1954, Arturo Schwarz aveva pubblicato la sua prima raccolta poetica, Cronache e altre poesie (Milano); furono gli anni delle più intense frequentazioni alla trattoria Poldo, in via Borgospesso: dal filosofo Luciano Amodio, comunista e nietzscheano («il mio Virgilio»), allo storico Gianni Bosio e allo psicoanalista Elvio Fachinelli. Nella primavera del 1956 s’impiegò nella redazione milanese del quotidiano socialista Avanti!, dove caposervizio delle pagine culturali era Giuseppe Bartolucci (dall’ottobre 1958 Pagliarani fu iscritto all’Albo dei giornalisti di Milano come praticante e, dall’aprile 1960, come professionista). Vi restò sino al principio del 1962, quando ruppe col direttore del giornale, il senatore Giovanni Pieraccini: alla nascita del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), fondato da Lelio Basso, infatti, Pagliarani – da sempre legato alla corrente riformista guidata da Pietro Nenni – non aderì al nuovo partito né rinnovò l’iscrizione al vecchio; col PSI restò tuttavia in buoni rapporti, se è vero che proprio allora iniziò a collaborare con Mondo operaio. Nel frattempo, presso la Casa della Cultura, assieme a Rossana Rossanda coordinò una serie di dibattiti letterari, mentre nella redazione della rivista Ragionamenti conobbe Roland Barthes, ma soprattutto frequentò Franco Fortini che lo presentò a Pier Paolo Pasolini. Questi, nell’estate del 1957, lo invitò a Bologna a una riunione di Officina (ma aveva già notato Cronache e altri versi e ne aveva scritto, se pur brevemente, nel secondo numero della rivista), promettendogli – in una lettera datata 6 novembre 1958 – di pubblicarvi il suo «romanzo crepuscolare-espressionista in versi»: si trattava, naturalmente, della Ragazza Carla, a quell’altezza dunque già compiuto (e infatti autocitato nel finale della seconda raccolta poetica, pubblicata da Luigi Veronelli nel gennaio 1959 col titolo Inventario privato).
Ma nel maggio 1959 (dopo lo scandalo per un epigramma scagliato da Pasolini contro Pio XII) la rivista, appena rilevata da Bompiani, cessò le pubblicazioni; i primi estratti del poemetto di Pagliarani uscirono quell’anno, per Nuova Corrente (nella cui redazione era stato chiamato da Mario Boselli) e il verri (che, fondata tre anni prima da Luciano Anceschi, contava il giovane Nanni Balestrini come factotum di redazione e Alfredo Giuliani come critico di poesia); mentre, con presentazione di Elio Vittorini, il testo integrale vide finalmente la luce nel 1960 nel secondo numero de Il menabò (e, solo dopo altri due anni, in volume da Mondadori – su interessamento di Niccolò Gallo – nella collana ‘sperimentale’ «Il tornasole»: in una vibrante lettera del 4 gennaio 1962 al direttore letterario Vittorio Sereni, che considerò sempre a lui ostile, Pagliarani lamentò tale collocazione che considerava riduttiva).
Nel frattempo i poeti più sperimentali presero a raccogliersi attorno alla redazione del verri e, nel 1961, le edizioni della rivista pubblicarono l’antologia I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, curata da Giuliani: in essa figuravano (insieme a quelli del curatore e di Balestrini, di Edoardo Sanguineti e di Antonio Porta) anche versi di Pagliarani. Era nata la Neoavanguardia: che si chiamò Gruppo 63 a partire dal suo primo convegno, all’Hotel Zagarella presso Palermo, nell’ottobre appunto 1963.
La raccolta poetica formalmente più spericolata di Pagliarani, Lezione di fisica, attendeva frattanto di essere pubblicata presso Mondadori; scrisse di nuovo una letteraccia a Sereni, il 7 aprile 1964, annunciando di aver dato il libro a Vanni Scheiwiller, che lo licenziò il mese successivo, nella collana «Poesia novissima» della sua sigla All’Insegna del Pesce d’Oro (uscì invece da Mondadori, nel 1966, un ambizioso Manuale di poesia sperimentale curato assieme a Guido Guglielmi, mentre non venne mai consegnata a Vallecchi una promessa «Antologia della critica italiana dal 1945 a oggi». L’edizione definitiva della Lezione, seguita dal poemetto Fecaloro, fu edita nel 1968 presso Feltrinelli in un formato monstre (cm 32 x 12,5): a partire da questo libro Pagliarani si risolse a far stampare i propri versi, lunghissimi, impaginandoli in verticale anziché in orizzontale.
Sempre a Mondadori venne promesso da Pagliarani il suo secondo poema narrativo, La ballata di Rudi, il cui progetto nel 1961 conseguì il premio Cino del Duca. Per qualche tempo Alberto Mondadori corrispose a Pagliarani un assegno mensile, ma il poema divenne la più interminabile delle sue tante ‘incompiute’ (dopo contratti firmati anche con il Saggiatore e con Garzanti, e una quantità di estratti anticipati in diverse sedi, la Ballata uscì finalmente solo nel 1995, nella collana di poesia di Marsilio diretta da Giovanni Raboni, che definì questa sua veste «organicamente incompiuta»: il libro fu insignito con il premio Viareggio).
Un’importante soluzione di continuità si era intanto prodotta, nella vita di Pagliarani, col suo trasferimento – nel novembre del 1960 – presso la redazione centrale dell’Avanti! a Roma. Dal 1961 al 1967 abitò in un piccolo appartamento di proprietà del teatro Eliseo, in via della Consulta; ma anche qui, come a Milano, epicentro della sua quotidianità fu una trattoria: Cesaretto a via della Croce. Dall’inizio del 1968 si trasferì in via Margutta 51/A, in un appartamento già studio di artisti: e proprio gli artisti furono fra i suoi amici più cari (se a Milano i più vicini erano stati Gianni Novak e Gio Pomodoro, a Roma furono Toti Scialoja e Gastone Novelli).
Gli anni Sessanta, quelli dell’affermazione letteraria (durante i quali prese parte a incontri in Cecoslovacchia, Ungheria, Iugoslavia, Unione Sovietica e – memorabile, nel 1968 – Cuba), furono per Pagliarani professionalmente incerti: dal 1962 al 1968 – grazie ai buoni uffici di Domenico Porzio – lavorò come consulente alla Rizzoli (presso la quale, nel 1964, uscì un’antologia di Maestri del racconto italiano, curata assieme all’amico Walter Pedullà; e, nel 1967, la traduzione di Le lontananze di Charles Olson, in collaborazione con William McCormick); seguì un breve periodo in cui fu consulente per Bompiani, e collaborò a trasmissioni radiofoniche della RAI. Ma «l’occupazione che mi prese più tempo e mi diede più frutti fra il ’62 e il ’68 è stato […] il poker» (cfr. Pro-memoria, 2011, p. 261), nel quale eccelleva anche più dell’amico Luigi Malerba.
Chiamato come critico teatrale dal direttore Giorgio Cingoli, nella primavera del 1968 Pagliarani riprese l’attività giornalistica presso Paese sera, ove rimase sino alla crisi che mise a repentaglio l’esistenza stessa del giornale, nel 1983.
Il teatro fu fra i primi interessi di Pagliarani, che ne scrisse nella rivista Rendiconti e poi, con più continuità, su Quindici, organo della Neoavanguardia di cui fu redattore dal 1967 sino alla chiusura della rivista nel 1969. Una raccolta assai parziale dei suoi articoli di critica teatrale è stata pubblicata nel 1972 da Marsilio, col titolo Il fiato dello spettatore; con una certa continuità – a partire dal primo convegno del Gruppo 63 – Pagliarani scrisse anche testi per il teatro, o adattò per le scene sue poesie (che del resto denotano una spiccata componente performativa), spesso con la complicità di Simone Carella, anima della cooperativa romana Beat 72; la loro raccolta completa è stata curata per Marsilio da Gianluca Rizzo col titolo Tutto il teatro (Venezia 2013).
Negli anni Settanta Pagliarani, in polemica implicita coi numerosi amici dedicatisi alla lotta politica, s’impegnò in un lavoro editoriale dall’importante connotazione sociale e formativa: alla rivista Periodo ipotetico, fondata nel 1971, fecero seguito negli anni Ottanta Ritmica, insieme ad Alessandra Briganti, e Videor – esperimento pilota di pubblicazione poetica in videocassetta – insieme a Orazio Converso. Con gli amici Balestrini, Giuliani, Malerba e Pedullà, con Angelo Guglielmi e i giovani Paolo Mauri e Nico Garrone, e in contrapposizione ai primi passi dell’oggi imperante concentrazione editoriale, diede vita nel 1972 alla Cooperativa Scrittori, che iniziò le sue pubblicazioni dando alle stampe in forma integrale (circa 3000 pagine), il rapporto della Commissione parlamentare Antimafia. L’esperienza più importante fu comunque quella dei ‘Laboratori di poesia’, rivolti ai più giovani: iniziati presso la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, e proseguiti poi in varie sedi sino a tutti gli anni Ottanta, tennero a battesimo i principali poeti formatisi a Roma in quegli anni.
Nel 1978 gli «Oscar Mondadori» ripubblicarono La ragazza Carla insieme a un’antologia delle poesie successive e con introduzione di Alberto Asor Rosa (fu la prima di una serie di sillogi riassuntive, sino a Tutte le poesie (1946-2005) negli «Elefanti» Garzanti, per cura di A. Cortellessa, Milano 2006). Le ultime raccolte poetiche furono gli Esercizi platonici (trascrizioni dal Filebo), che uscirono presso Acquario, Palermo 1985, e gli Epigrammi ferraresi (trascrizioni dalle prediche di Girolamo Savonarola), presso Piero Manni, Lecce 1987 (poi, in ed. ampl., col titolo Epigrammi da Savonarola Martin Lutero eccetera, ibid. 2001).
Pensionato prima del tempo, Pagliarani attraversò un periodo non facile, nel quale trovò conforto nella vita in famiglia con la moglie Cetta (Maria Concetta Petrollo, giovane bibliotecaria e poetessa di origine siciliana presentatagli dalla moglie di Malerba, Anna), che aveva sposato nel 1976 in Campidoglio, Pedullà testimone, e con la figlia Lia (Rosalia detta Liarosa, nata nel 1977 e per la quale due anni dopo cominciò a scrivere la propria autobiografia, il varie volte citato Pro-memoriaa Liarosa appunto, concluso solo nel 2009 e pubblicato due anni dopo da Marsilio), con le quali si trasferì nel 1991 nella nuova casa di viale degli Ammiragli.
La sua ultima collaborazione giornalistica (1991-93) fu con la rivista Wimbledon, per la quale tenne una rubrica di antiquariato librario (sua grande passione). Nell’ultimo decennio Pagliarani venne unanimemente riconosciuto come uno fra i poeti maggiori del secondo Novecento italiano, anche con una serie di pubblici attestati quali il premio Napoli, il Camaiore, il Betocchi e, nel 2008, la massima onorificenza del Comune di Milano, l’«Ambrogino d’oro». Dopo aver subito un grave intervento chirurgico a causa di un aneurisma polmonare, trascorse gli ultimi anni assai ritirato, attendendo – assistito anche da Sara Ventroni – alla sistemazione delle sue ultime pubblicazioni.
Morì a Roma l’8 marzo 2012.
Fonti e Bibl.: Il Fondo Pagliarani, custodito fra Roma e Rimini da Maria Concetta Petrollo Pagliarani, attende una sistemazione organica. Lo stesso Pagliarani raccontò a più riprese episodi della sua vita personale e letteraria: come nella voce P., E. dell’Autodizionario degli scrittori italiani, curato da F. Piemontese, Milano 1990, pp. 249-251, o nella Cronistoria minima allegata ai Romanzi in versi, Milano 1997, pp. 121-126 (entrambi compresi, poi, in Tutte le poesie cit., pp. 461-470). Imprescindibile l’autobiografia Pro-memoria a Liarosa (1979-2009), con prefaz. di W. Pedullà e postfaz. di S. Ventroni, Venezia 2011.
Si vedano inoltre: La poesia di E. P., n. monografico, a cura di W. Pedullà, de L’illuminista, VII (2007), 20-21 (settembre-dicembre); L. Ballerini, Documenti per una preistoria della «Ragazza Carla» (2007), in Id., 4 per P., Piacenza 2008, pp. 13-44; B. Gambarotta, E Zavattini decretò: un metro di libri a tutti, in La Stampa, 21 maggio 2008; R. Pagliarani, Scrittori a via Margutta: una visione bohèmienne. Sibilla Aleramo, E. P., in Atelier a Via Margutta. Cinque secoli di cultura internazionale a Roma, a cura di V. Moncada di Paternò, in collab. con M.C. Salmeri et al., Torino s.d. [ma 2012], pp. 125-129; C. Petrollo Pagliarani, Fotobiografia, in Dossier E. P., a cura di W. Pedullà, in Il Caffè illustrato, XII (2012), 68, settembre-ottobre, pp. 48-66; Id., E. P., i libri e le biblioteche. Omaggio a E. P., in Accademie e biblioteche d’Italia, n.s., VII (2012) 3-4, luglio- dicembre, pp. 113-127; Ma dobbiamo continuare. 73 per E. P. a un anno dalla morte, a cura di A. Cortellessa, Savigliano 2013.