Petri, Elio (propr. Eraclio)
Sceneggiatore e regista cinematografico e teatrale, nato a Roma il 29 gennaio 1929 e morto ivi il 10 novembre 1982. Il suo mondo cinematografico stilisticamente acceso di espressionismi inquietanti, l'icasticità della sua immaginazione violentemente metaforica, la precisione acuta delle sue denunce politiche, a volte cupamente rabbiose, un certo gusto per il surreale e il grottesco, la sua natura anticonformista, la costante tensione esistenziale fatta di dubbi, angosce, ambiguità e furori, hanno caratterizzato il lavoro di P. rendendolo uno dei più coe-renti e stimolanti autori nel panorama del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta. Notevole, allo stesso tempo, è stato il suo contributo al dibattito politico e intellettuale, cui ha partecipato comunque sempre in una posizione scomoda, atipica, non incasellabile negli schemi più consueti. Il suo film di maggiore successo, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), che ottenne il Gran premio speciale della giuria al Festival di Cannes e nel 1971 l'Oscar come miglior film straniero, è solo in apparenza un prodotto del cosiddetto filone dell''impegno civile', come pure La classe operaia va in paradiso (1971), che nel 1972 si aggiudicò la Palma d'oro al Festival di Cannes. La sua filmografia comprende d'altra parte diverrsi generi dal giallo alla commedia, al dramma e persino la fantascienza, tutti trattati sempre in modo caustico e originale.
Nato in una famiglia di origini artigiane e cresciuto nella Roma periferica e operaia, P. manifestò fin da giovanissimo un interesse per il cinema e per la politica insieme. Da ragazzo proprio per ragioni politiche venne espulso dalla scuola religiosa di S. Giuseppe de Merode. Cominciò nel dopoguerra l'impegno nel Partito comunista italiano e contemporaneamente iniziò a occuparsi di cinema lavorando nei primi cineclub, e poi come critico su "l'Unità" e "Gioventù nuova". Negli anni Cinquanta fu tra gli animatori della rivista "Città aperta", per la quale scrisse un saggio sul regista Elia Kazan. Negli stessi anni, in seguito all'invasione sovietica dell'Ungheria (1956), P., da semplice militante della sezione cultura del PCI, firmò con altri intellettuali (Alberto Asor Rosa, Natalino Sapegno, Enzo Siciliano) il 'Manifesto dei 101', un attacco esplicito alla gestione politica di quei fatti a opera di P. Togliatti, segretario del partito.
Collaborando alla sceneggiatura di Un marito per Anna Zaccheo (1953) P. iniziò un apprendistato come aiuto regista e sceneggiatore accanto a Giuseppe De Santis (con cui aveva collaborato anche per l'inchiesta giornalistica Roma ore 11 e alla sceneggiatura per il film omonimo, uscito nel 1952), autore cui può essere accomunato per l'intransigenza nel difendere stile e contenuti dei propri film, per la plasticità visiva, a volte espressionista, per la tensione ideologica. Sempre come sceneggiatore lavorò anche con Carlo Lizzani (Il gobbo, 1960) e Gianni Puccini (L'impiegato, 1960) e nel 1961 esordì nella regia con L'assassino, prodotto da Franco Cristaldi, un giallo denso di implicazioni psicologiche caratterizzato da un'importante collaborazione con Marcello Mastroianni. L'anticonformismo dei personaggi e delle situazioni, l'atmosfera insieme concreta e metafisica, che fa pensare al mondo di F. Kafka, caratterizzano questo film come il successivo, I giorni contati (1962) che, con un'eccezionale interpretazione di Salvo Randone nel ruolo di un artigiano che traccia un bilancio cupo della propria esistenza di fronte all'approssimarsi della fine, risulta una riflessione amarissima e linguisticamente ardita sul trascorrere del tempo e sul nesso tra il destino privato e la collettività sociale. Il film non ebbe successo, ma P. ottenne il favore del grande pubblico dirigendo una commedia dolceamara tipica di quel periodo, Il maestro di Vigevano (1963), dal romanzo di L. Mastronardi, interpretata da Alberto Sordi.
La capacità di P. di ricondurre i codici dei generi a un mondo personale, attraversato da sussulti e contraddizioni sia psicologiche sia sociali, nonché da invenzioni metaforiche, si manifestò con La decima vittima (1965), scritto con Ennio Flaiano e Tonino Guerra, uno dei pochi film italiani di fantascienza. Interpretato da due star come Marcello Mastroianni e Ursula Andress, presenta una sorta di antologia dell'estetica pop tipica dell'epoca, introducendo anche una metaforica, barocca lettura politica del romanzo di R. Sheckley da cui è tratto. L'inquietudine intellettuale di P. e il suo sguardo acuto sugli intrighi del potere non potevano non incontrarsi con l'analoga attitudine, amara e disincantata, di uno scrittore come L. Sciascia. A ciascuno il suo (1967), vischiosa storia di intrecci tra mafia e potere, segnò l'inizio di due collaborazioni fondamentali per P., quella con l'attore Gian Maria Volonté e quella con lo sceneggiatore Ugo Pirro, la cui capacità di penetrazione critica nel tessuto sociale risultò da quel momento in poi inscindibile dal mondo cinematografico del regista. Fu nel 1970, con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ‒ realizzato dopo la parentesi di Un tranquillo posto di campagna, 1969, un curioso apologo che riconduce le allegorie esistenziali di P. ad atmosfere vicine ai racconti di E.A. Poe ‒ che si cementarono queste affinità. Il grande successo del film indusse la critica a collocare P. nel filone del cinema impegnato sviluppatosi dopo il Sessantotto, ma il tono grottesco, le implicazioni psicoanalitiche sul rapporto tra individuo e potere e i toni iperrealistici con i quali è tratteggiato il personaggio del poliziotto assassino interpretato da Volonté, rendono quest'opera più interessante, nelle sue sfumature di ambiguità e nell'incalzante schizofrenia di cui appaiono preda gli apparati di potere, rispetto ad analoghi prodotti di quel periodo, prigionieri di schematismi politici. Sulla stessa linea si collocano La classe operaia va in Paradiso, ancora con Volonté, una 'commedia operaia' dove gli umori grotteschi si alternano al racconto delle contraddizioni di una condizione non solo sociale, e soprattutto La proprietà non è più un furto (1973), con Ugo Tognazzi, dove la colonna sonora dodecafonica di Ennio Morricone ‒ altro collaboratore abituale di P. ‒ e l'abbandono di qualsiasi clima convenzionale da commedia a vantaggio di una costruzione espressionista intrisa di rigoroso spirito brechtiano e humour nero, consentirono a P. di raggiungere il suo risultato più originale, cui tuttavia corrispose un insuccesso commerciale.In seguito il regista tornò al mondo letterario di Sciascia con Todo modo (1976). Profetica rappresentazione barocca e funebre della dissoluzione disperata e patetica di tutta una classe politica democristiana, ambientata durante un 'ritiro spirituale' che si trasforma in un teatro del crimine, risultò una sorta di summa del suo cinema, mescolando suggestioni politiche, implicazioni psicoanalitiche e rabbia iconoclasta. Quindi, con il film per la televisione Le mani sporche (1977), il pessimismo di P. si concretizzò in un lavoro acuto e doloroso sul testo di J.-P. Sartre, coadiuvato da una sofferta e intensa interpretazione di Marcello Mastroianni. La carica innovativa e preveggente delle intuizioni del regista si tradusse in una rabbiosa e lucida analisi dell'imbarbarimento provocato dai media e dalla mistificazione televisiva nel suo ultimo film, Le buone notizie (1979), con un convincente Giancarlo Giannini.
Tra le sue opere meno conosciute, da ricordare Documenti su Giuseppe Pinelli, girato nel 1970 dopo la strage di Piazza Fontana e testimonianza di un impegno politico mai venuto meno, anche se lo stesso P. ebbe a definirsi, paradossalmente, "non comunista", quando fece notare che "nessuna delle chapelles comuniste mi ritiene comunista" (Rossi, 1979, p. 4).
Elio Petri, éd. J.A. Gili, Nice 1974.
P. Kané, Sur deux films "progressistes", in "Cahiers du cinéma", 1972, 241.
A. Rossi, Elio Petri, Firenze 1979.
J.A. Gili, Elio Petri et le cinéma italien, Annecy 1996.