MAYER, Elisa
MAYER (Majer), Elisa. – Nacque a Venezia il 27 nov. 1880 da Angelo e Maria Marini.
Dopo un’adolescenza serena («fui una ragazzetta nutrita di studi e di sogni»: E. Mayer, in S. Bisi Albini, Le nostre fanciulle…, p. VI), a 25 anni sposò il notaio N. Rizzioli, appartenente a una famiglia molto nota in città.
Il nome della M. emerse nel 1911, quando a Venezia fondò la prima colonia balneare della mutualità e, soprattutto, realizzò un suo grande sogno: il 22 ottobre fu tra le 24 infermiere volontarie della Croce rossa italiana (CRI) che si imbarcarono sulla motonave «Memfi» per prestare aiuto ai soldati italiani che combattevano in Libia, esperienza poi raccontata nel libro di memorie Accanto agli eroi. Crociera sulla Memfi durante la conquista di Libia (Milano 1915). Era, questa, l’occasione cercata dalla M. per mettersi alla prova lasciando il suo piccolo mondo domestico.
Il patriottismo della M. si tradusse nel 1915 in un convinto interventismo. E anche quando toccò con mano (come infermiera) la violenza del conflitto, le sue certezze non vennero meno: vivere, combattere e semmai morire per difendere la patria restarono per lei gli ideali più preziosi (in Nazario Sauro, pubblicato a Milano nel 1923, la M. raccontò con grande enfasi retorica la vita dell’ufficiale impiccato dagli Austriaci a Pola il 10 ag. 1916).
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia la M. organizzò un comitato di soccorso per le famiglie dei soldati bisognosi, fu segretaria del Comitato di assistenza civile di Venezia e, soprattutto, partì nuovamente sui treni ospedale della CRI.
Anche questa esperienza fu raccontata in un volume, Fratelli e sorelle. Libro di guerra 1915-1918 (Milano 1920), in cui si alternavano considerazioni sociali e politiche. La M. denunciava, per esempio, che, prima ancora dei colpi del nemico, era la malaria ad annientare i soldati italiani senza che nessuno si preoccupasse di debellarla. V’era anche una dura critica verso il comportamento della classe politica, il cui unico scopo le sembrava quello di voler condurre il Paese verso l’umiliazione più totale.
Nel 1919 la M. appoggiò la spedizione di G. D’Annunzio a Fiume: fondò e diresse l’Associazione pro Fiume, che divenne poi Associazione delle legionarie di Fiume e Dalmazia, e infine Comitato nazionale pro Dalmazia. Inoltre si dedicò al comitato contro il lusso esagerato delle donne e all’Opera di assistenza e di difesa sociale.
L’anno dopo avvenne l’incontro con B. Mussolini. Trasferitasi definitivamente a Milano, nel 1920 la M. si iscrisse ai Fasci di combattimento. Definendosi «gregaria fascista», collaborò con Il Popolo d’Italia e si impegnò nella campagna elettorale del 1921. Nell’ottobre 1922 partecipò come infermiera alla marcia su Roma (nell’aprile 1924 verrà per questo decorata).
Gli anni successivi la videro impegnata a definire la figura dell’infermiera fascista e, soprattutto, a militare attivamente nell’associazionismo femminile del regime. Dalle parole della M. emerge ben delineata l’immagine della perfetta donna fascista. Oltre che infermiera, ella doveva conoscere le lingue (italiano, francese, tedesco e inglese), avere un «fisico robusto», saper nuotare, pattinare e guidare l’automobile. Soprattutto, però, in lei non potevano mancare «doti speciali» di coraggio, costanza e abitudine al sacrificio.
La M. organizzò i primi gruppi femminili fascisti e nel 1924 venne nominata ispettrice generale dei fasci femminili.
La sua idea, pienamente condivisa da Mussolini, era di coinvolgere attivamente le donne dando loro precisi e numerosi compiti, pur mantenendole fuori dalla politica in senso stretto. Tali indicazioni, però, furono variamente interpretate: a differenza dalle gerarchie fasciste che vedevano per la donna un mero ruolo subordinato, la M. sostenne infatti un protagonismo paritario, sebbene specificatamente muliebre.
La spia che il rapporto con il regime si era fatto più complesso fu un episodio avvenuto all’inizio del 1926: sebbene «i motivi dell’iniziativa» restino «poco chiari» (De Grazia, p. 66), R. Farinacci soppresse la figura di ispettrice generale dei fasci femminili, obbligando la M. a rassegnare le dimissioni. Il punto di rottura con il fascismo fu connesso a un’altra importante iniziativa, nella quale la M. aveva investito molte energie: la pubblicazione della Rassegna femminile italiana, che ella aveva fondato a Roma il 15 genn. 1925, dirigendola e finanziandola personalmente.
Il quindicinale, di una ventina di pagine e con una tiratura di circa 4000 copie, era il bollettino ufficiale dei fasci femminili. La M. curava personalmente la rubrica Vita dei fasci femminili, in cui si trovavano i resoconti puntuali delle attività dei fasci locali. La redazione era composta prevalentemente da donne borghesi e vide la collaborazione di nomi importanti come Teresa Labriola. Nei pochi anni della sua esistenza (venne chiusa nel luglio 1930), la Rassegna si fece portavoce della necessità di incoraggiare un’attiva partecipazione delle donne alla vita della nazione: aspirazione, questa, che era mal tollerata dai vertici del regime. L’interesse della rivista si focalizzò principalmente sull’esaltazione della figura materna. Grande attenzione veniva data alle norme igieniche nella cura dei figli, alla creazione di ambulatori femminili per le gestanti e per l’infanzia, all’organizzazione di colonie marine e montane per i bimbi bisognosi. Contestualmente si domandava il miglioramento della legge sulla maternità, una maggior tutela per le operaie madri, una legge sul lavoro a domicilio e, per un certo tempo, finanche il voto amministrativo femminile, espressamente promesso da Mussolini nel corso del IX congresso della Federazione internazionale pro suffragio, che si era tenuto a Roma nel maggio 1923.
La Rassegna non mancava di commentare l’attualità. Ampio spazio venne dato, per esempio, al matrimonio tra Edda Mussolini e G. Ciano, anche per la sua portata simbolica: i due giovani, infatti, rappresentavano la nuova nobiltà e la famiglia fascista.
La rivista non ebbe vita facile. Vi furono difficoltà nel trovare una mediazione: i dirigenti avrebbero voluto «confinare le iscritte ad attività puramente assistenziali», mentre la M. non intendeva «rinunciare ad organizzare il fascismo femminile su una propria autonomia decisionale» (Bartoloni, p. 152). Ben presto il conflitto si palesò apertamente, e le pubblicazioni furono sospese nel 1926 (a mo’ di risarcimento la M. fu nominata delegata generale del Consorzio femminile italiano per la valorizzazione dei prodotti nazionali, carica altisonante, ma in realtà vuota di contenuto). Quando le pubblicazioni ripresero, nel gennaio 1927, Rassegna femminile italiana non era più il «bollettino dei fasci femminili», ma semplicemente «dedicata ai fasci femminili» (nuovo organo ufficiale dei gruppi femminili fascisti era il Giornale della donna).
Portando a compimento un percorso già tratteggiato nei fatti, la M. teorizzò l’identità della perfetta infermiera fascista in Quasi un romanzo. Linee di studio e di pratica per le infermiere del Littorio (Firenze 1927).
L’ultimo lavoro della M., La gioia della salute (Milano 1934) fu un manuale per le scuole finalizzato a divulgare l’igiene fisica, in modo che i giovani comprendessero il valore di una scienza da cui dipendeva, in gran parte, il benessere dell’individuo e della società.
Nel 1929 la M. organizzò la prima esposizione interamente dedicata alle opere delle donne, la Mostra femminile d’arte pura, decorativa e di lavoro, che si inaugurò a Milano, al Castello Sforzesco, il 10 marzo 1930 (il catalogo venne pubblicato nella Rassegna femminile italiana del 15 marzo).
La M. morì a Milano pochi mesi dopo, il 2 giugno 1930.
Fra le opere, oltre a quelle citate, L’anno immortale, Milano 1920 (in collab. con A. Zappa); Come una nuvola passò, ibid. 1921; Fiume e la Dalmazia, ibid. 1927. Curò, inoltre, compilando un profilo dell’autrice (La sua vita e la sua opera, pp. I-XLIV) il volume di Sofia Bisi Albini, Le nostre fanciulle: norme e consigli, Milano 1922.
Fonti e Bibl.: P. Arcari, In memoria di E. M. Rizzioli, in Rass. femminile italiana, 1° luglio 1930; G. Casati, Manuale di letture per le biblioteche, le famiglie e le scuole, Milano 1931, I, p. 103; F. De Franco, E. M. Rizzioli, in Il Popolo d’Italia, 1° giugno 1934; M. Gastaldi, Donne luce d’Italia. Panorama della letteratura femminile contemporanea, Milano 1936, p. 46; M. Castellani, Donne italiane di ieri e di oggi, Firenze 1937, pp. 45 s.; F. Pieroni Bortolotti, Femminismo e partiti politici in Italia 1919-1926, Roma 1978, pp. 209 s., 228, 243; S. Bartoloni, Il fascismo femminile e la sua stampa: la «Rassegna femminile italiana» (1925-1930), in Nuova DWF [Donnawomanfemme], 1982, n. 21, pp. 143-169; D. Detragiache, Il fascismo femminile da San Sepolcro all’affare Matteotti. (1919-1925), in Storia contemporanea, XIV (1983), pp. 211-251; E. Mondello, La nuova italiana. La donna nella stampa e nella cultura del Ventennio, Roma 1987, pp. 62, 71-82, 174; E. Gentile, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari-Roma 1989, pp. 415 s.; V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia 1993, pp. 57-63, 297, 327, 336, 343; R. Farina, Majer E. in Rizzioli, in Diz. biografico delle donne lombarde 568-1968, Milano 1995, pp. 668 s.; M. De Giorgio, E. M. Rizzioli, in Italiane, a cura di E. Roccella - L. Scaraffia, Roma 2004, II, pp. 105-107; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, I, pp. 357 s.