D'AFFLISIO, Elisabetta
Nacque intorno al 1715 da Alessandro, in una famiglia di attori probabilmente di origine napoletana.
Napoletano è infatti il primo D'Afflisio di cui ci è giunta notizia e napoletana viene definita la D. dal Goldoni nella prefazione al tomo XIV delle Commedie (p. 2). Dal Rasi si sa che l'ultimo sabato del carnevale del 1629 un Matteo D'Afflisio, cavaliere napoletano, recitò da dilettante nella commedia di Alfonso Torello, I figli ritrovati, rappresentata con, "superbissimo apparato" di fronte al viceré, comparendo nel prologo e nella parte di servitore. Non si conosce il rapporto di parentela che legava Matteo alla Elisabetta D'Afflisio, detta Bettina, che nel 1644 recitava a Venezia nei ruoli di servetta e contadina e che sarebbe, a detta del Rasi, ava della D'Afflisio. Scarse le notizie anche sul padre della D., del quale non rimane traccia nel teatro del tempo e che viene ricordato dal Goldoni e dal Bartoli solo come maestro della figlia: "Fu questa comica figliola d'Alessandro D'Afflisio, il quale dielle nell'Arte non pochi ed utili insegnamenti; tal che riuscì valorosa nella Commedia all'improvviso ed egualmente nelle studiate Rappresentazioni" (E Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani, I, Padova 1781, p. 1).
Figlia d'arte, la D., meglio conosciuta col nome di Passalacqua, iniziò molto presto a recitare, alternando alla prosa la danza, il canto e l'acrobatica e dando prova delle varie discipline di non comune talento: "Esercitavasi nel Ballo con molta grazia; aveva qualche intelligenza della musica, e fece talvolta spiccare in essa la sua abilità, cantando in Musicali Operette ed Intermezzi. Giocava assai bene la Bandiera e sapeva con la spada schermire a meraviglia" (ibid.). Come cantante e servetta venne scritturata per la stagione di primavera del 1735 da Giuseppe Imer, costretto a sostituire i migliori attori della sua compagnia (l'Arlecchino Costantini e la servetta Pontremoli partiti per Dresda, e la prima amorosa Zanetta Casanova impegnata a Mosca). Nell'impossibilità di trovare un degno successore per la prima donna, l'Imer aveva deciso di sdoppiare il ruolo della Casanova, affidando il carattere di amorosa alla Ferranti e quello di "soubretta" alla D'Afflisio.
Il giudizio del Goldoni sulla sua abilità di interprete è contraddittorio: nei Mémoires critica duramente la sua interpretazione della Fondazione di Venezia che giudica falsa, monotona e affettata; nella prefazione al XIV tomo delle Commedie è invece più cauto: "giovane spiritosissima, che faceva tutto passabilmente e niente perfettamente. Cantava, ballava, recitava in serio e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera, parlava vari linguaggi, era passabile nella parte della Servetta e suppliva passabilmente negli intermezzi" (p. 2). Lo scrittore ammette inoltre che essa era disposta ad apprendere e che dimostrava buona volontà: "(vedevo) prosperare quelle attenzioni ch'io le usava nel comporre le parti, e nell'istruirla nel modo di rappresentarle" (p. 6); e la D. divenne ben presto negli intermezzi la beniamina del pubblico veneziano.
Ma più che per le sue doti di attrice, la D. divenne nota per i casi della sua vita privata, tanto che, elencando gli attori della Compagnia di comici milanesi, B. Croce crede di dover specificare, a proposito della D.: "Elisabetta Passalacqua (di cui sono note le avventure con Goldoni)" (in I teatri di Napoli dal Rinascimento al sec. XVIII, Bari 1916, p. 171); dopo esser divenuta l'amante del commediografò, la D. lo tradì con il primo amoroso della compagnia, Antonio Vitalba, attore dotato di "una bella presenza, un nobile portamento, ed una favella piacevole" (Bartoli, II, p.271), suscitando prima la gelosia, quindi lo scherno del Goldoni che si vendicò costringendo i due attori a recitare in un'opera chiaramente ispirata alla vicenda, Don Giovanni Tenorio o Il dissoluto punito, nella quale la pastorella Elisa, che tradisce il suo promesso Carino, e il suo amante Don Giovanni vengono fatti oggetto della satira più pungente di fronte ad un pubblico da mesi al corrente della tresca: "mais comme mon aventure avec la Passalacqua et Vitalba etoit connue de beaucoup de monde, l'anecdote releva la Piece" (Goldoni, Mémoires, p. 178). Dopo aver tentato invano di sottrarsi, la D. accettò questo ruolo e lo sostenne con grande abilità: "recitò francamente, con dello spirito, con della bravure, riuscì meglio che in ogni altra Commedia" (Goldoni, Commedie, XVI, p. 8).
L'attrice uscì comunque danneggiata da questa vicenda: divenuto direttore della compagnia, il Goldoni la sostituì per il canto e gli intermezzi, lasciandole unicamente il ruolo di serva, e occasionalmente di seconda donna e si liberò del Vitalba che passò a recitare al teatro S. Luca.
Nel 1738, lasciato il teatro S. Sarnuele, seguì il Vitalba con grande soddisfazione del Goldoni che nei Mémoires ricorda: "je n'avois pas, de rancune, mais je me portois mieux quand je ne la voyois pas". Con il ruolo di prima amorosa, la D. riscosse in compagnia Vendramini i suoi maggiori successi, affermandosi soprattutto come attrice tragica; secondo la testimonianza del Bartoli, la D. interpretò il ruolo della protagonista nella tragedia Berenice, regina d'Armenia di Bartolomeo Vitturi, sostenendo "egregiamente il carattere eroico di quella gran dama" (Bartoli, p. 1), sia a Venezia sia a Modena, dove si recò nel 1744 con la sua compagnia ospite del teatro Rangone. Fu quindi nella Compagnia dei comici lombardi insieme con Francesca Dima., Andrea Nelva, Giovanni Roffi e Rispizio de Antoniis. Questa formazione "assai scelta" venne offerta nel 1747 a re Carlo di Borbone che preferì non accettare per motivi indipendenti dal valore della compagnia (Croce); tra gli attori elencati dal Croce compare, oltre alla Passalacqua, prima donna, una Elisabetta D'Afflisio, terza donna, ma non è dato sapere se si sia trattato di una omonimia o, come invece ritiene il Rasi, di un semplice errore. Recitò quindi con i Comici lombardi nel teatro di S. Cecilia a Palermo e qui una brutta caduta la costrinse a ritirarsi dalle scene. Dopo aver rifiutato l'offerta di un "ragguardevole personaggio", disposto a farle dono di una dote perché potesse ritirarsi in convento, la D. tornò a recitare nel 1749 con una compagnia propria prima al teatro Comunale di Parma quindi a Mantova al teatro Ducale. Non ottenne probabilmente un particolare successo e nella primavera successiva il teatro venne affidato alla compagnia Medebac, invece che alla D. che pure aveva presentato domanda di concessione per quello stesso periodo. Dopo aver peregrinato con scarsa fortuna nei teatri minori della Lombardia si ritirò infine dalle scene.
La D. morì à Finale Emilia (Modena) nel 1760.
Molto probabilmente, a detta del Rasi, era suo nipote un D'Afflisio che figura per la stagione 1795-96 nell'elenco della compagnia diretta da Francesco Menichelli per i ruoli di "padre". Sempre nello stesso elenco compare una Giuseppina Dafilisi: se si trattasse, come sostiene il Rasi, di un errore di stampa si potrebbe pensare che questa attrice fosse in realtà tale Giuseppa D'Afflisio, moglie o figlia di Bartolomeo. In contraddizione con queste supposizioni del Rasi sarebbe però una affermazione del Goldoni che, nella prefazione al tomo XIV delle Commedie, sostiene che la D. non aveva lasciato alcun parente che potesse offendersi delle sue rivelazioni (p. 7).
Fonti e Bibl.: C. Goldoni, Commedie, XIV, Venezia 1761, prefaz. pp. 2-9; F. Bartoli, Notizie istor. de' comici italiani, Padova 1781, I, pp. 1 s.; II, p. 271; C. Goldoni, Mémoires, in Opere, a cura di G. Ortolani, Milano 1935, ad Indicem; L. Carrer, Vita di C. Goldoni, Venezia 1824, pp. 62 s.; L. Rasi, I comici italiani, II, Firenze 1897, pp. 8-10; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, Milano 1940, pp. 274 s.; R. Simoni, Trent'anni di critica drammatica, Torino 1953, pp. 411 s.; Encicl. dello Spettacolo, III, col. 1840.