Elisabetta di Turingia, santa
E., figlia di Andrea II di Ungheria e di sua moglie Gertrude di Andechs-Merania, nacque nel 1207. A soli quattro anni venne fidanzata al figlio del langravio di Turingia, il futuro Luigi IV, e fu inviata in quella che sarebbe stata la sua nuova patria per essere educata nella famiglia del fidanzato, secondo un'usanza abbastanza frequente in un'epoca di matrimoni combinati dai parenti degli sposi. Il matrimonio fu celebrato nel 1221. Secondo tutte le fonti, si trattò di un'unione felice da cui nacquero tre figli, un maschio e due femmine.
E. trascorreva in preghiera buona parte delle sue nottate e filava la lana per le vesti da donare ai poveri e ai Frati minori, arrivati in quegli anni in Turingia e sprovvisti di tutto. La sua carità ebbe modo di mostrarsi appieno durante la terribile carestia che colpì la regione nel 1226. Allora, in assenza del marito, E. provvide a distribuire cibo ai poveri, vegliando personalmente affinché i bambini e i malati non fossero trascurati nel corso delle distribuzioni. Ma la sua intelligente comprensione dei problemi sociali la spinse anche a far dono, a tutti coloro che fossero in grado di lavorare, non solo di alimenti ma anche di attrezzi da lavoro, in modo da renderli il più possibile autosufficienti. La particolare sensibilità della giovane donna ai problemi sociali dell'epoca si manifestava anche in un singolare comportamento, che è stato diversamente interpretato dagli storici. E. rifiutava infatti di nutrirsi se non era certa dell'origine di quanto le era servito, volendo evitare di cibarsi di alimenti che non provenissero dai redditi giusti e legittimi del marito. Qualcuno ha interpretato questa particolare forma di astinenza come una critica alle forme di signoria dell'epoca, che sottoponevano spesso i contadini a prelievi molto onerosi e non legittimati dalla consuetudine; altri ritengono invece che E., sotto l'influenza del suo confessore, volesse evitare di nutrirsi di derrate provenienti da beni ecclesiastici, secolarizzati dal marito. Qualunque sia stata la motivazione del comportamento di E., dalle fonti risulta che il langravio, se presente, la informava dell'origine di quanto veniva servito, rendendole possibile un'alimentazione normale.
La vita di E., pur caratterizzata sin dall'infanzia da una carità e una devozione eccezionali, fu certamente segnata dall'incontro con Corrado di Marburgo, incaricato in una prima fase di predicare la crociata in Germania e in seguito inquisitore. Sotto la sua guida, esigente fino alla crudeltà, E., nel 1226, mentre il marito era assente perché partito per la crociata, si impegnò alla castità, in caso di morte del langravio, e giurò obbedienza al suo confessore. Nel 1227 Luigi IV morì di malattia in Italia. La giovane vedova, decisa a realizzare allora pienamente la propria vocazione religiosa, entrò in conflitto con i cognati a proposito della sua dote e venne cacciata dalla sua residenza di Wartburg. Per un breve periodo visse come una 'vera' povera, priva persino di una dimora; poté così realizzare il desiderio, a lungo nutrito, di vivere mendicando. Ma ben presto il suo confessore, tornato dalla crociata, si assunse la cura anche degli aspetti materiali della vita di Elisabetta. Una volta recuperata una parte della dote, la giovanissima vedova, fedele al suo voto di castità, si pose al servizio di poveri e malati a Marburgo, nell'ospedale che Corrado aveva fatto costruire per lei con quanto restava del suo patrimonio e che fu la prima istituzione di questo tipo al di là delle Alpi ad essere intitolata a s. Francesco. Intanto (1228) E. aveva assunto pubblicamente l'abito della penitente, adottando lo stile di vita delle cosiddette sorores in saeculo.
A lungo si è ritenuto che E. avesse fatto parte del cosiddetto Terz'Ordine francescano, anche perché così era ricordata dalla tradizione minoritica. Ma è ormai chiaro che fu semplicemente una delle tante penitenti che si andavano moltiplicando in quegli anni in Europa. È però certo che protesse sin dall'inizio i Minori e che nutrì una devozione particolare nei confronti di s. Francesco.
Il suo desiderio di ascesi, il suo bisogno di spogliarsi di tutto a favore dei diseredati era tanto forte che il confessore dovette intervenire più volte per costringerla a moderare i suoi eccessi. Ma E. dimostrò soprattutto un'attività instancabile a favore dei malati, arrivando persino a baciare le piaghe dei lebbrosi, terribile malattia che si era andata allora diffondendo in tutta Europa.
E. morì, appena ventiquattrenne, il 17 novembre del 1231. Immediatamente dopo la sua morte, Corrado di Marburgo si impegnò nella raccolta di testimonianze utili per il riconoscimento ufficiale della sua santità. Anche dopo l'assassinio dell'inquisitore, l'impegno per la canonizzazione non venne abbandonato; a farsene promotore fu l'Ordine teutonico, cui era stato affidato l'ospedale di Marburgo, e certamente giocarono a favore di E. gli interventi presso la Sede Apostolica dei potenti membri della sua famiglia d'origine e di quella del marito. Gregorio IX procedette rapidamente alla canonizzazione (1235), cui seguì ‒ il 1o maggio 1236 ‒ la solenne traslazione delle reliquie nella nuova chiesa di Marburgo a lei intitolata. Alla grandiosa cerimonia partecipò Federico II, legato ad E. da lontani vincoli di parentela, che pose sul capo della santa una preziosissima corona e indirizzò una lunga lettera, di alto livello stilistico, all'allora ministro generale francescano, Elia di Assisi. In essa si sottolineava che la santità di E. andava letta come manifestazione della nobiltà dei suoi natali, premessa in qualche modo indispensabile della sua perfezione cristiana. Nella bolla di canonizzazione E. era presentata come modello esemplare della santa vedova che consacra la propria castità e le proprie ricchezze a Dio e al servizio dei poveri. La novità della sua esperienza religiosa non venne dunque taciuta, ma inserita in un modello tradizionale. Il culto di E. si diffuse rapidamente in tutta Europa, anche perché la sua biografia fu inserita nella raccolta di vite di santi di Jacopo da Varazze, la Legenda aurea, vero best seller della letteratura agiografica medievale. Numerose sono le prediche a lei dedicate già nel corso del XIII secolo.
fonti e bibliografia
A. Huyskens, Quellenstudien zur Geschichte der hl. Elisabeth Landgräfin von Thüringen, Marburg 1908.
Der sogenannte Libellus de dictis IV ancillarum s. Elisabeth confectus, a cura di A. Huyskens, Kempten-München 1911.
W. Maurer, Zum Verständnis der heiligen Elisabeth von Thüringen, "Zeit-schrift für Kirchengeschichte", 65, 1953-1954, pp. 16-64.
A. Vauchez, Charité et pauvreté chez sainte Elisabeth de Thuringe d'après les actes du procès de canonisation, in Études sur l'histoire de la pauvreté, a cura di M. Mollat, I, Paris 1973, pp. 163-173 (ora in Id., Esperienze religiose nel Medioevo, Roma 2003, pp. 125-136).
Sankt Elisabeth. Fürstin, Dienerin, Heilige, Sigmaringen 1981, in partic. il saggio di H. Beumann, Friedrich II. und die heilige Elisabeth. Zum Besuch des Kaisers in Marburg am 1. Mai 1236, ibid., pp. 151-166.
A. Vauchez, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge, d'après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, Rome 19882, ad indicem; Id., Jacopo da Varazze e i santi del XIII secolo nella "Legenda aurea", in Id., Ordini Mendicanti e società italiana, XIII-XIV secolo, Milano 1990, pp. 92-115.
R. Manselli, Santità principesca e vita quotidiana in Elisabetta d'Ungheria: la testimonianza delle ancelle, in Id., Scritti sul Medioevo, Roma 1994, pp. 159-182.
M. Werner, Mater Hassiae - Flos Hungariae - Gloria Teutoniae. Politik und Heiligenverehrung im Nachleben der hl. Elisabeth von Thüringen, a cura di J. Petersohn, Sigmaringen 1994, pp. 449-540.
Il culto e la storia di Santa Elisabetta di Ungheria in Europa, a cura di L. Csorba, in corso di stampa. M. Werner, Elisabeth von Thüringen, in Lexikon des Mittelalters, III, München 1986, coll. 1838-1841.
G. Klaniczay, Elisabetta di Ungheria, in Il grande libro dei santi, a cura di C. Leonardi-A. Riccardi-G. Zarri, I, Cinisello Balsamo 1998, pp. 591-594.