ELISABETTA regina d'Inghilterra
Figlia del re Enrico VIII (v.) e di Anna Bolena (v.), nata a Greenwich il 7 settembre 1533. Fu dichiarata illegittima il 1° luglio 1536, poche settimane dopo l'esecuzione di sua madre, accusata di adulterio E. passò gran parte della sua infanzia col suo fratellastro Edoardo e ricevé una vasta istruzione, che comprendeva il latino, il greco, il francese e l'italiano. Elisabetta era amica di Caterina Parr, sesta moglie di Enrico, con la quale, dopo la morte del re, visse per un certo tempo a Chelsea. Ma, fatta oggetto di moleste ed eccessive famigliarità da parte del secondo marito di Caterina, Tommaso lord Seymour, ammiraglio d'Inghilterra, fu inviata a Hatfield. Poiché il Seymour, a cui era morta la moglie nel 1548, continuava a corteggiare E., il reggente Somerset, fratello di Seymour, considerò quale tradimento questo modo di agire, e l'ammiraglio fu giustiziato, mentre la reclusione di E. a Hatfield e a Cheshunt divenne quasi una prigionia. Della tragica morte del suo primo adoratore essa non pare che molto si commovesse. Intanto la sua salute, che non era stata mai troppo florida, non guadagnava molto dalla profonda applicazione agli studî. Quando fu chiamata al servizio della "regina Giovanna" (Lady Jane Grey), E. poté esimersene, mettendo avanti le cattive condizioni della sua salute. Durante il regno di sua sorella Maria, la giovane principessa dové mettere in opera tutto il suo prudente coraggio, che la preservò tanto dalla ribellione quanto dal martirio. Passò prima alcuni difficili mesi a corte, finché non ottenne di ritirarsi in campagna. Di là essa fu chiamata alla Whitehall, dopo l'infelice riuscita della rivolta di Wyatt, che aveva per iscopo di porre E. sul trono della sorella. La sfortunata principessa fu rinchiusa nella Torre di Londra, che temé non dover più lasciare. Ma non risultarono prove contro di lei, e Maria, che per quanto gelosa e diffidente non mancava di scrupoli, rimise in libertà E.: questa, fino alla morte di Maria, cercò di agire e parlare il meno possibile.
L'Inghilterra, nel momento dell'assunzione al trono di E., si trovava sull'orlo del fallimento economico, dilaniata da fazioni religiose che la politica di Maria aveva inasprite, e indebolita da una inutile e dispendiosa guerra all'estero. Si credette che la nuova sovrana dovesse cercare rimedio alla situazione nel matrimonio, procurandosi così l'alleanza di qualche potenza europea. Ma E. decise di basare la sua forza appunto su ciò che pareva costituisse la sua debolezza: quell'isolamento cioè in cui essa si era sempre trovata, dato il carattere e la posizione di sua madre, una semplice fanciulla inglese, senza legami coi nobili del suo paese e potenti relazioni in Europa. Elisabetta era "un'Inglese puro sangue": un fatto che per essa sarebbe stato ragione di vanto e che le avrebbe dato modo di appellarsi all'amore e alla fedeltà del suo popolo. Durante il primo anno del suo regno, essa riuscì a sistemare gli affari religiosi e adottare una certa linea di politica estera. L'una cosa e l'altra riuscirono pih o meno accette, poiché si trattava di compromessi a fine pratico non rispondenti né alle aspirazioni dei calvinisti, né a quelle dei cattolici, né a quelle dei francofili, né a quelle dei partigiani di Spagna. Tuttavia essi parlavano al crescente spirito insulare (insularity) degli Inglesi e alle nuove idee nazionalistiche che si sentivano dappertutto. Tutto il regno di questa regina passò nella difesa di questi compromessi: prima di fronte ai malcontenti interni, poi agli avversarî di fuori. Il successo della politica di E. dipese in gran parte dalla cooperazione che essa ebbe dal suo popolo; dall'aiuto che le diede, magari di malavoglia, il parlamento; dal misto di pirateria, di commercio e di guerra navale a cui si diedero i re del mare (sea-kings), e dal lavoro costante d'una classe burocratica numerosa alle dipendenze di sir Guglielmo Cecil, primo segretario della regina, anch'egli uomo del popolo, accorto, pratico, prudente e molto devoto allo stato. Così il compromesso (arbitrary settlement) del 1559 divenne un retaggio dell'Inghilterra. La regina che compì tutto questo era, nel momento della sua assunzione al trono, una giovane donna di 25 anni, vivace ed affascinante più che bella. Uno spirito indomabile animava il suo fragile corpo, e l'aiutò a superare anni di cattiva salute, di duro lavoro e di pericolo sempre presente. Dura e spietata nel parlare, come suo padre, E. aveva ereditato da sua madre l'amore per il flirt, solo a fine di capriccio e di svago, la passione per i bei vestiti, per la danza, per tutto quello che, da principio, impedì a molti di vedere dietro le apparenze la sua energia. Un fatto, questo, dal quale essa seppe pure trarre profitto per i suoi fini. Poiché questa donna, da provetta attrice, seppe giovarsi anche dei difetti inerenti al suo carattere. Fra i quali il più grande era la mancanza d'una profonda rettitudine, come la sua più grande virtù era nella straordinaria sua accortezza.
Il 24 giugno 1559 fu approvato l'Atto di uniformità (Statute of Uniformity). Il Book of common prayer imposto da esso al popolo inglese era una compilazione messa insieme su libri di preghiere precedenti, piena di cose assurde e di contraddizioni. Passati quattro anni, furono promulgati i 39 articoli e l'Atto di supremazia (Act of Supremacy) che conferiva ad E., come Supreme Governor (è un fatto molto caratteristico aver essa scartato il tanto discusso titolo di Supreme Head "Capo Supremo della Chiesa"), poteri costitutivi, i quali sulle prime non furono applicati con rigore. Vi era poi, oltre alla grave questione religiosa, la questione del matrimonio della regina. Eric di Svezia e l'arciduca Carlo aspiravano alla sua mano, ma si andava dicendo che E. non avrebbe cercato il marito fuori della sua corte, se fosse morta la moglie del conte di Leicester. Questi era un cortigiano superficiale e ambizioso, bello di persona e colto di mente; la sua ambiziosa aspirazione era che E. lo amasse più di qualunque altro uomo. Nonostante le ripetute petizioni del parlamento, il quale temeva una successione non regolata, essa però non voleva maritarsi: probabilmente anche perché aveva ben poca speranza di mettere al mondo un figlio. Certo è che, qualunque sentimento possa aver avuto per Leicester, Elisabetta, col suo senso politico, capiva esserle legalmente possibile ma inopportuno sposarlo dopo la tragica morte di sua moglie Amy Robsart. Egli aspettò: e parla molto in suo favore e rende testimonianza del fascino di E. il fatto che la sua fedeltà non fu mai scossa durante tanti anni di delusione. Il partito più facile per la regina, nel 1558, avrebbe dovuto essere quello di accettare il suo primo pretendente, Filippo di Spagna. Maria di Scozia, moglie del Delfino, aveva pure unito le armi d'Inghilterra con quelle di Francia sopra il suo stemma. Nella sua tacita aspirazione al trono d'Inghilterra Filippo cercò la mano di E. e sopportò umiliazioni e ingiurie anche per assai tempo dopo che essa aveva manifestato l'intenzione di non sposarlo. E. capì subito quale vantaggio essa poteva trarre dal fare il suo giuoco nelle rivalità fra la Francia e la Spagna. Anzi, essa pose continuamente i due regni l'uno contro l'altro, mettendo all'estrema prova la pazienza di Filippo, specialmente nel critico anno 1568, quando le merci spagnole vennero sequestrate in Inghilterra senza compenso alcuno, e la guerra pareva imminente. Ma Filippo, che aveva gli occhi fissi sugl'irrequieti Paesi Bassi, non si sentiva pronto per combattere. Intanto l'Inghilterra, che allora poteva essere vinta facilmente, diventò ogni anno sempre meglio preparata per una guerra.
L'atteggiamento di E. verso la Francia era in stretto rapporto con gli affari di Scozia. Mentre Maria Stuart si trovava ancora all'estero, sua madre, Maria di Guisa, dirigeva il governo della Scozia: s'intende nell'interesse della Francia. I lord delle Congregazioni guidati dal fratellastro della regina, Murray, si ribellarono contro di essa. Nel 1560, E. mandò loro aiuti: con la cooperazione della flotta inglese, Maria di Guisa fu assediata nel castello di Edimburgo e costretta ad arrendersi. Guglielmo Cecil si recò in Scozia per condurre i negoziati; e la condizione principale del trattato fu l'allontanamento dei Francesi dalla Scozia. Fu atto politico molto fortunato quello di creare degl'imbarazzi ai nemici e di intervenire nelle loro beghe. Ma è tratto tipico del carattere poco diritto di E. che, al suo ritorno in Inghilterra, Cecil si trovò per un certo tempo in sfavore, per gl'intrighi di Leicester, e il trattato stipulato da lui fu screditato. Senza badare alla sua disgrazia, Cecil continuò tranquillamente la sua opera di ricostruzione: la riforma della circolazione monetaria e lo sviluppo del commercio che costituisce una parte tanto importante di tutta l'opera del decennio. Senza questo ristabilimento del benessere sociale nel paese, il regno di Elisabetta non avrebbe potuto resistere ai pericoli cui andò incontro nei vent'anni che seguirono.
Ma la fuga di Maria Stuart in Inghilterra, nel 1568, in seguito alle sue contese col suo secondo marito Bothwell, procurò ad E. una poco gradita prigioniera, poiché essa fornì ai suoi nemici un centro attorno a cui raccogliersi. Negli anni 1569 e 1570, due ribellioni nel nord dell'Inghilterra raggiunsero serie proporzioni: la prima guidata dal conte di Northumberland; la seconda da lord Dacre. Le ribellioni furono soffocate con una ferocia che non fece distinzione fra la colpevolezza dei nobili scontenti e quella dei contadini sollevatisi per ordine dei loro signori feudali. Un membro superstite dell'antica nobiltà, il duca di Norfolk, che aveva accarezzato l'idea di sposare Maria, se essa avesse potuto divorziare da Bothwell, partecipò a una cospirazione per assassinare E., macchinata da un banchiere italiano mandato in Inghilterra per negoziare il ricupero del tesoro di Spagna. Morta E., Norfolk e Maria avrebbero dovuto ascendere al trono. La cospirazione fu scoperta e Norfolk fu condannato a morte e giustiziato il 2 giugno 1572.
Questa cospirazione, conosciuta sotto il nome di complotto di Ridolfi, segna l'inizio del secondo periodo del regno di Elisabetta. Dopo che era stata promulgata dal papa la sentenza di scomunica contro di essa nel febbraio del 1570, tutta l'atmosfera cambiò completamente. E fu questo, appunto, che animò i cospiratori italiani, primi fra i tanti forsennati e fanatici forestieri che progettarono di uccidere la regina. I cattolici inglesi dovevano scegliere tra fedeltà spirituale e fedeltà politica. Accanimento e timore erano all'estero; ne risultarono all'interno inevitabili crudeltà e diffidenze. Nel 1573, fu nominato primo gegretario sir Francis Walsingham, uomo di mentalità machiavellica: integrità assoluta nella vita privata e mancanza di qualunque riguardo morale nella sua qualità di capo del servizio segreto. Il suo sistema di spionaggio divenne una delle meraviglie d'Europa. Con l'andare del tempo, il protestantesimo aggressivo di Walsingham fu spesso in contrasto con la politica pacifica di Cecil, ora lord Burghley e tesoriere.
La commedia delle trattative per il suo matrimonio francese fu un'altra causa di reciproca irritazione fra la regina e i suoi ministri. È uno dei misteri della sua vita personale, se E. abbia realmente avuto una qualche vera simpatia per il suo petit grenouille (piccolo ranocchio), come essa soleva chiamare il duca di Alençon, un giovane che aveva poco più della metà dei suoi anni. Quel che è certo, è che nel 1581 essa apparve pericolosamente prossima a sposarlo. Forse, il suo caldo temperamento la spingeva a giocare col fuoco. Aveva raggiunto la media età, e, nonostante tutto quello che essa aveva fatto, l'esperienza suprema della femminilità le era stata negata. Non è da meravigliarsi, quindi, che essa accarezzasse l'idea di amare, prima che non fosse troppo tardi. Ma era troppo intelligente per mostrarsi ridicola; quindi abbandonò l'idea dell'impossibile e si attaccò alla realtà. I negoziati per il matrimonio svanirono. Numerose spedizioni nei Paesi Bassi, sostenute a malincuore dalla regina per l'odio che essa aveva verso i ribelli, ma che costarono la vita e il patrimonio a molti volontarî inglesi, affrettarono l'inevitabile guerra con la Spagna. E, dietro le scene, vi era sempre Maria di Scozia che aspettava, pur sapendo che ogni complotto da essa intrecciato metteva in pericolo la sua vita, ma non potendo nel tempo stesso resistere al fascino di un giuoco decisivo. Il complotto di Throckmorton, nel 1584, col suo piano per un'invasione dei Guisa, sostenuto dalla Spagna, e la cospirazione di Babington, due anni dopo, non poterono avere che un solo risultato: Maria fu sottoposta a un processo in tutta regola e fu condannata a morte. Il parlamento, che aveva redatto un patto di colleganza a protezione di E., firmato in tutto il paese, ora faceva petizione per la morte di Maria. Ma E. esitò ancora. Suggerì al custode di Maria che essa fosse soppressa in un modo meno aperto. Ma il suggerimento fu ricevuto con quel senso di sdegno che esso meritava. Allora E. firmò il mandato di esecuzione: ma simulò terrore, quando fu eseguito a Fotheringhay, nel febbraio del 1587. Insomma andava mostrandosi nel suo aspetto peggiore: come una donna incostante e senza scrupoli.
Un fatto più tragico e più biasimevole dell'esecuzione di Maria fu quella persecuzione di sacerdoti cattolici, che fu il triste preludio del contrasto fra E. e la Spagna. Istruiti nel seminario di Douai, fondato da Filippo nel 1561, questi sacerdoti rientravano in Inghilterra dopo il 1574, imbevuti di spirito missionario, col proposito di riportare la loro patria inglese a Roma. V'erano, fra di loro, molti uomini colti e pii, fra i quali i più eminenti erano i gesuiti Edmondo Campion e Roberto Parsons. Ma furono trattati da traditori e non da eretici. Furono incarcerati, impiccati, affogati e squartati. Sulle prime queste persecuzioni potevano avere una scusa: la paura. Ma esse poi continuarono anche dopo passata la prima crisi. E ve ne furono contro gli stessi protestanti non conformisti. Tutto questo non ha sufficiente spiegazione nell'inasprimento del carattere della regina, prodotto dalla vecchiaia, e getta una fosca luce sugli ultimi suoi anni.
La disfatta dell'Armada segna la chiusura del secondo periodo del regno di E. Filippo fu troppo prudente: aspettò tanto a colpire che l'Inghilterra, cresciuta di forza e di ricchezza, poté contrapporgli una flotta in gran parte composta, è vero, di navi volontarie e non adeguatamente approvvigionata dal governo, ma equipaggiata da marinai di un'abilità e di un coraggio senza pari. L'ardimentoso viaggio intorno al mondo di Drake, finito trionfalmente nel 1581, quando E. lo fece cavaliere sul ponte del Golden Hind, è stato non il solo, ma il più grande fatto della storia della navigazione di quel periodo. Alcuni di questi re del mare (sea-kings) erano di poco migliori dei pirati; alcuni dei loro viaggi ebbero un valore solo, quello di aprire strade al commercio e preludere alle future colonie. Ma tutti egualmente alimentavano la fiducia e l'orgoglio; tutti, anche, l'avversione alla Spagna, poiché l'odio alla Inquisizione, insieme con l'amore del guadagno, era stato fra i moventi maggiori di queste intraprese. Nel 1588 l'Armada finalmente partì. L'invasione aspettata da lungo tempo si avvicinava. E. ispezionò a cavallo le truppe, comandate da Leicester. I fari furono accesi su tutte le coste d'Inghilterra. Ma l'invincibile flotta fu dispersa non meno dal vento e dalle tempeste che dai suoi nemici. Cominciò una guerra lunga e dispendiosa, segnata da molte spedizioni navali di risultati sempre minori; ma il pericolo degli ultimi trent'anni era passato. L'Inghilterra aveva ormai l'atteggiamento aggressivo e non più difensivo.
Nel 1588, morì Leicester, il più intimo amico della regina, seguito nel 1590 da Walsingham; nel 1595-96, da Hawkins e Drake, che non fecero ritorno dal loro ultimo sfortunato viaggio; infine, nel 1596, dal fedele Burghley. Il figlio di lui, Roberto Cecil, consolidò con calma persistenza i guadagni fatti da suo padre. Anche in altri campi, al difuori della politica, questi anni furono fruttiferi. Londra andava estendendosi; i piatti d'argento usati dai mercanti attestavano una crescente loro prosperità. Sir Walter Raleigh faceva i suoi sogni sulla Virginia e iniziava i primi tentativi di colonizzazione. Nuove e più larghe idee sorgevano sulla politica e sulla religione; Shakespeare rendeva immortale la sua epoca. Ma gli uomini che avevano reso possibile tutto questo erano morti: solo la regina viveva ancora. Anzi, mentre il secolo volgeva alla sua fine, la figura brillante del figliastro di Leicester, Roberto Devereux conte di Essex (v.), spargeva una nuova luce sulla corte stanca. E. ballò per lui, e cominciò di nuovo a gustare la vita. Ma Essex fallì in modo disastroso in Irlanda, dove fu mandato per soffocare una grande rivolta nel 1599. Egli tornò senza averne licenza, e fu messo agli arresti. Si diede allora a complottare contro il governo e finì sul patibolo nel marzo del 1601.
La regina era ormai vecchia e indebolita. Le rimaneva ora l'unico amore, quello del suo popolo. Ma anche quest'amore pareva declinare sempre più. Nel suo ultimo parlamento del 1601, lo spirito d'indipendenza che si era manifestato nel 1592 e nel 1597 col differimento della concessione dei sussidî e con le critiche alla politica di E., raggiunse altezze senza precedenti in un attacco contro i monopolî. Per l'ultima volta la regina mise in opera tutto il suo buon senso. Essa stessa aveva insegnato al suo popolo a essere indipendente e non voleva sgridarlo per avere imparato la lezione troppo bene. In un discorso conciliante e dignitoso, essa si mostrò pronta a revocare tutti i monopolî che fossero trovati nocivi dopo un giusto esame della legge. L'epitaffio che essa dettò a sé stessa diceva: "Questo io considero qual gloria della mia corona, avere io regnato coi vostri affetti".
Sul principio dell'anno seguente la sua salute cominciò a mancare. Nel gennaio del 1603, essa si trasferì nel suo palazzo a Richmond, dove morì il 24 marzo.
Bibl.: Historical Manuscript Commission, Hatfield Manuscripts, Londra 1883-1903; W. Camden, Annales rerum Anglicarum et Hibernicarum regnante Elizabetha ad annum 1589, Londra 1615-27; Th. Wright, Queen Elizabeth and her times, voll. 2, Londra 1838 (con molto materiale inedito); A. Strickland, Life of Queen Elizabeth, Londra 1844; J. A. Froude, History of England, Londra 1856-70, VII-XII; G. Wiesener, La jeunesse d'Élisabeth d'Angleterre (1533-58), Parigi 1878; J. H. Pollen, History of Catholics under Queen Elisabet, Londra 1921; Lytton Strachey, Elizabeth and Essex, Londra 1928; E. Momigliano, Elisabetta, Milano 1931.