ELLENI ("Ελληνες)
È originariamente il nome degli abitanti di una regione della Tessaglia, confinante con Ftia e soggetta, come questa, al regno di Peleo, appunto l'Ellade (‛Ελλάς). È certo che già l'Iliade considera gli assediatori di Troia come appartenenti a un unico popolo, e li caratterizza come tali di fronte ai Troiani e ai loro alleati, sentiti come stranieri (v. barbari); ma il poema, dove sente il bisogno d'una denominazione comune, usa piuttosto, come già osserva Tucidide (I, 3, 3), i termini Achei ('Αχαιοί), Argivi ('Αργεἵοι), Danai (Δαναοί), che paiono del resto alla lor volta avere tutti indicato originariamente, come Elleni, gruppi molto minori (come avviene di regola per tutti i nomi di popoli: Itali, Graeci, Svizzeri, probabilmente anche Deutsche, certo Allemands, ecc.: il concetto di nazione è nella storia della cultura relativamente tardo). Del resto l'Iliade, se nomina più volte l'Ellade in questo significato così ristretto, non menziona gli Elleni o Panelleni se non in una parte notoriamente più recente del resto del poema, nel Catalogo delle navi (II, 684, 530); e nessuno dei due versi è scevro di difficoltà. L'Odissea, se si mantiene in un passo (XI, 496) fedele al significato più antico, pare in altri due (I, 344, XV, 80), nei quali l'Ellade è congiunta con Argo, conoscere un senso più largo, se pure è difficile dire di quanto più largo. Già nelle Opere e giorni esiodee (v. 528) se non Elleni, Panelleni (Πανέλληνες, il Παν- preposto serve, come in Παναχαιοί, a generalizzare) è nome che indica tutta la nazione.
Se tribù davvero primitive non sembrano per lo più possedere un senso molto forte e sicuro di quello che si suole oggi chiamare nazionalità (ancora i Tedeschi dei Nibelungi considerano evidentemente Attila, unno, quale uno dei loro), è tuttavia inevitabile che a un certo punto del proprio sviluppo culturale ogni popolo, confrontandosi ingenuamente con gli stranieri, e poco importa se attribuendo a sé o a loro la palma (v. etnologia), si chieda da quali legami uno è congiunto con i proprî connazionali. Erodoto si pone il problema e risponde (VIII, 144) per bocca degli Ateniesi che "tutto ciò che è ellenico ha sangue e lingua comuni, e comuni sedi degli dei e forme di sacrificio e simili costumi". Altrove (I, 60) egli mette in rilievo la superiorità intellettuale degli Elleni sui barbari (cioè non Elleni: v. barbari). È probabile che egli, sia nella concezione di nazionalità sia in questa bipartizione del mondo, non si allontanasse dal pensiero comune tra i Greci di quell'età, come invece se ne allontanava Tucidide là dove (I, 5 segg.), inaugurando un metodo ripreso poi dagli etnografi moderni, considera la diversità tra Greci e barbari non già quale essenziale, ma quale rappresentante stadî diversi di civiltà: gli Elleni hanno superato già da tempo condizioni primitive di cultura che i barbari non hanno ancora trascese.
Il senso della comune nazionalità ha animato i Greci in tutte le loro lunghe lotte contro il "barbaro" per eccellenza, il re persiano. Che esso non abbia approdato a un'unità statale di tutti gli Elleni, non deve meravigliare, chi consideri, che, almeno sino ad Alessandro, il Greco non sa pensare vita statale se non nella forma della polis e che più tardi negli stati territoriali dell'Oriente ellenistico il Greco non è se non un suddito accanto agli altri, se pure, almeno da principio, un suddito privilegiato rispetto agli Orientali.
Il concetto originario di ellenicità, quale lo abbiamo trovato determinato il più esattamente in un passo di Erodoto, diviene insufficiente non appena i Macedoni divengono in Grecia la forza politica maggiore. Debbono questi, che presto saranno i dominatori, essere considerati quali Elleni o no? Il problema è in certo modo insolubile per la scienza antica, poiché dei criterî che secondo Erodoto e certo secondo l'opinione comune del sec. IV e del V distinguono una nazione, il più sicuro è pur sempre quello della fondamentale identità, cioè comprensibilità, della lingua; e il macedone del tempo ancora di Filippo (come certi dialetti epirotici, acarnanici, locrici al tempo di Tucidide) era evidentemente poco comprensibile per il greco comune (v. macedonia). La scienza moderna, mostrando la derivazione comune di parlari che pure non sono reciprocamente intelligibili, nega, con ragione, il problema: discutere se il sardo, un idioma neolatino derivato, come l'italiano, dal latino, il quale ha in comune con l'italiano molte caratteristiche, ma è per certi rispetti più arcaico di ogni altro dialetto italiano, sia un dialetto italiano, o una lingua indipendente, è questione senza senso. Ma Demostene rimprovera a Filippo di non essere elleno, e questi dovette combattere a lungo per essere ammesso quale concorrente ai giuochi nazionali e per ottenere seggio e voto nell'Anfizionia delfica. A Filippo giovò un mutamento, cioè approfondimento del concetto di elleno, che è preparato di lunga mano dalla sofistica e poi dalla filosofia, ma si fa strada nell'opinione pubblica specie per virtù della parola d'Isocrate (v.). Da Isocrate in poi esser greco significa aver cultura greca, cioè (poiché nessuna altra ne esiste) cultura senz'altro; degno di esser chiamato greco è solo il greco colto (πεπαιδευμένος). Questo nuovo concetto si rivela subito singolarmente ferace: esso consente subito ai Macedoni di sentirsi Greci, in quanto con i Greci sono legati da comunanza culturale. Ma consente più tardi ai non Greci assoggettati da Alessandro e dai Diadochi, ai sudditi dei nuovi stati ellenistici, di sentirsi Greci, in quanto partecipi, attraverso alla lingua e al costume, della cultura greca. Grazie a Isocrate, nel periodo ellenistico il carattere di razza della nazionalità greca scompare quasi dietro al carattere culturale. E solo quest'allargamento del concetto di grecità ha permesso alla cultura greca di conquistare prima il mondo ellenistico, poi quello romano. E poco importa che Isocrate, nonché prevedere questo sviluppo, aveva inteso la sua "riforma" in senso diametralmente opposto, ché egli, poiché considerava i barbari inetti all'attività spirituale, aveva inteso escludere dal nome degli Elleni i connazionali incolti, non estenderlo a non connazionali! Ma s'intende bene che cultura, già al tempo d' Isocrate e poi in seguito, non significa soltanto cultura intellettuale: in Egitto ancora nel periodo romano è greco chi è stato ammesso al ginnasio, e ha ricevuto l'educazione sportiva che caratterizza il popolo dominatore di fronte alle razze inferiori.
Il cristianesimo, continuando forme di pensiero giudaiche, preparava alla denominazione di Elleni un singolare mutamento di significato. I Giudei dividevano l'umanità, come i Greci in Elleni e Barbari, così in Israele e Go'īm. I Settanta traducono quest'ultimo nome con ἔϑνη (lat. gentes), e gli contrappongono il λαύς, il popolo eletto. Ma Paolo parla invece di circoncisi e di non circoncisi, di Giudei e di Elleni; chiama cioè i pagani col nome di quei pagani con cui aveva contatto e che erano insieme i più colti e i più elevati socialmente, e in ciò segue senza dubbio un uso invalso nella Diaspora, se anche il Vangelo di Marco (7, 26) parla di una "Ellena", ch'era viceversa una Sirofenicia. I cristiani antichi, inceppati ancora da quella peculiarità del pensiero antico che non riconosce religione senza un substrato etnico, giungono presto a dichiarar sé stessi un "terzo popolo", tertium genus, ma tengon ferma l'opposizione: Giudei-Elleni.
Questa svalutazione del nome di Elleni ha agevolato al nome di "Romano" la sua vittoria in Oriente. I Bizantini chiaman sé stessi non "Elleni" ma "Romani" (Ρωμαἵοι; nelle lingue occidentali tradotto, in questo senso, con "Romei"), come, nell'uso, chiamano Costantinopoli "Roma" o "nuova Roma" (Ρώμη, ἡ νεωτέρα Ρώμη). E ancor oggi gli Arabi di Palestina e di Siria chiamano rūm il membro della comunità religiosa greco ortodossa, mentre lātīn significa "cattolico"; ἑλληνικά è presso i Greci, solo nome puristico della lingua puristica: il nome popolare della lingua popolare è ρωμαϊκά. V. anche grecia: Etnografia; Storia.
Bibl.: Fondamentale J. Jüthner, Hellenen und Barbaren, Lipsia 1923; per Elleni nella letteratura cristiana: A. von Harnack, Mission u. Ausbreitung des Christentums, 3ª ed., Lipsia 1915. cfr. anche barbari: Bibl.