ELOGIO
. Antichità classica. - Elogium è parola di dubbia origine (eligere, eloquium, ἐλεγεῖον, εὐλογία), e di vario significato. Latinamente non dice soltanto lode, ma prima ancora motto o breve iscrizione, e nel periodo imperiale anche clausola testamentaria, lista poliziesca di colpe d'un individuo, e anche sentenza penale. In Plauto vale iscrizione: in Catone il Vecchio, iscrizione onorifica per eroe morto in guerra, per Leonida spartano: corto epigramma, dunque, a rilevare o esaltare le virtù o i meriti di uomo illustre. La parola fu principalmente usata per le iscrizioni funebri e per i tituli posti sotto le immagini dei maggiori negli atrî delle grandi famiglie romane.
Classiche per il primo gruppo sono le iscrizioni degli Scipioni, conservate nel Vaticano, che vanno dal 250 al 139 a. C. circa. Prima, in esse, il semplice nome dell'estinto unito a quello del padre; poi, anche l'indicazione degli onori pubblici; quindi, alla maniera greca (v. epigramma), una poesia sepolcrale, in versi saturnî da principio, infine anche nel metro greco, il distico elegiaco. Più tardi prevarrà l'esametro, con altri versi. Schiettamente romani di contenuto, di spiriti e di forme sono, di questi elogia, i più antichi: lapidarî, col nome del defunto in nominativo, non già in dativo, come in sul terminare della repubblica quando le iscrizioni divengono votive, senza il nome del parente più prossimo da cui l'elogium è consacrato, come esigeva la maniera greca, e, dopo il nome, un detto laudativo, le dignità politiche, le gesta a pro' della patria. L'evoluzione del genere si compie via via negli altri elogia degli Scipioni, di natura sempre più complessa e letteraria. Coi quali concordano quelli a ricordo di Nevio, di Plauto, di Ennio, di Pacuvio, in metri diversi, il saturnio, l'esametro dattilico, l'elegiaco, il senario giambico. I tituli o elogia degli atrî patrizî hanno di particolare che accompagnano le immagini dei morti in vestimenti curuli e son privi di elementi poetici, si limitano al nome, sempre in nominativo, alle magistrature più alte - almeno nell'età anteriore -, sporadicamente ai trionfi. In questo culto della memoria e della gloria degli antenati c'è un momento etico e religioso interessante: i busti dei maggiori sono là a rappresentare l'idea della famiglia e della patria, sono simboli viventi e reali di quell'orgoglio, da cui è nata la tendenza celebratrice, che si rivela variamente nella letteratura latina, per parte di privati, di famigliari: nelle genealogie delle famiglie, nelle laudationes funebri, anche nelle biografie, tipo l'Agricola di Tacito. Pubblicamente, si cominciano ad onorare gli avi con tituli già all'inizio del sec. III a. C., sempre però da persone di famiglia, in templi o monumenti fondati da uomini insigni. Con le imagines di Varrone e di Attico fiorisce una forma letteraria che fonde insieme i caratteri delle iscrizioni funebri e dei tituli, e sorpassa i limiti famigliari: codeste imagines erano ritratti ed elogia, libri illustrati di personaggi svariatissimi della storia. In tal modo l'elogium diviene definitivamente pubblico, anche nel senso che lo scrivente non ha più rapporti personali con colui che è celebrato: così come negli ultimi tempi della repubblica diviene pubblica la laudatio funebre - noi diremmo l'elogio funebre - insieme col funerale. Nell'arte figurata, la fusione dei due elementi appare per la prima volta nella galleria dei costruttori dell'impero che Augusto, mosso dal medesimo impulso che aveva indotto Virgilio a celebrare gli eroi del sesto canto dell'Eneide, fece erigere nel Foro a lui intitolato e dedicò nel 2 a. C. I resti degli elogi a noi giunti (Corpus Inscriptionum Latin., I, 2ª ed., p. 186 segg. 341, VI, 3134 segg.) e la tradizione letteraria ci fan conoscere anche identici nomi di eroi per Virgilio e Augusto: Silvio, Enea, Romolo, Camillo, Fabio Massimo, ecc. Sotto l'impero l'uso continua e si allarga da Roma alle provincie, a biblioteche, a case di dotti; solo che negli elogia al nominativo si va sostituendo il dativo. Per la letteratura rientrano qui specialmente Simmaco, i carmina de viris illustribus e altri dall'Antologia latina; ma anche Ausonio.
Spiriti simili in forme letterarie diverse si trovano, oltre che nell'elogio funebre, anche nella biografia in genere, nella storiografia - così gli elogia liviani (I. Bruns, Die Persönlichkeit in d. Geschichtsschreibung der Alten, Berlino 1898, p. 53 segg.) -, nel panegirico. V. anche encomio; epitafio.
Bibl.: G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des ant. gr. et rom., II, p. 582 seg.; H. Peter, Die geschichtliche Litteratur über die römische Kaiserzeit, Lipsia 1897, I, p. 264 segg.; II, p. 368 seg.; A. v. Premerstein, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 2440 segg.; F. Vollmer, ibid., XII, col. 992 segg.; F. Leo, Griechisch-römische Biographie, Lipsia 1901, pp. 87, 234 seg.; G. Fraustadt, Encomiorum in litteris Graecis usque ad Romanam aetatem historia, Lipsia 1909, p. 98 segg.
Letteratura italiana. - Se ne hanno esempî, in italiano e in latino, nei secoli XVI e XVII. Famosi gli Elogia virorum literis illustrium di Paolo Giovio. Se ne abusò nel sec. XVIII: se ne scrissero tanti, e spesso così freddi e vuoti nell'enfatica turgidezza delle parole, che l'"elogiomania" venne a noia; e Ubaldo Bregolini scrisse un carme latino (1782) contro gl'Italiani imitatori del francese A. L. Thomas (1732-1785), che pareva il maestro insuperabile del l'elogio; e Matteo Borsa, nell'Elogio di Calandrino bibliografo celebre, scoliaste e grammatico del sec. XVIII (1791), ragionò burlescamente dell'origine, progressi, evoluzioni, rivoluzioni e perfezioni" di questa moda letteraria. Andrea Rubbi, dal 1782, raccolse in 12 volumi gli elogi italiani che gli parvero migliori: tra i quali in verità non mancano i buoni, come quelli scritti da Antonio Cocchi, Appiano Buonafede, Agostino Paradisi, Francesco Galeani Napione, Ippolito Pindemonte, Luigi Palcani. Pietro Giordani fu eloquentissimo nei Panegirici a Napoleone e al Canova, esaltando i due grandi dai quali, a parer suo, dovea prendere nome la sua età, e toccò la perfezione negli elogi, più semplici e affettuosi, della cantante Maria Giorgi e del pittore G. B. Galliadi.