ELXAI
. Nome del fondatore di una comunità religiosa stanziata nella regione a oriente del Giordano, di carattere gnosticobattista. Intorno a questa, e allo stesso Elxai, non si hanno che scarse notizie tramandate da scrittori ecclesiastici (Ippolito, Epifanio, Eusebio). Il nome è dato nelle forme ηλξαι, ηλκασαι, ma i suoi seguaci sono detti anche 'Ελκεσαϊταί, 'Ελκεσαῖοι: esso è interpretato (già presso Epifanio) "forza nascosta", ossia l'aramaico khayl kesē, e sembra piuttosto un epiteto mistico che un vero appellativo.
Elxai sarebbe stato di origine giudaica: egli manteneva alcune delle prescrizioni legali del giudaismo, quali la circoncisione e il sabato; ma, in seguito alla rivelazione di un libro caduto dal cielo, avvenuta nel terzo anno del regno di Traiano (100 d. C.), avrebbe predicato la remissione dei peccati per mezzo del battesimo, compiuto nel nome "del Dio grande e altissimo". Dell'avvenuta remissione darebbero garanzia i "sette testimonî": sale, acqua, terra, pane, cielo, etere, vento (o spirito), nei quali si riconoscono facilmente i cinque elementi cosmici (eoni) della gnosi orientale (nella forma più semplice essi si trovano in Bardesane) e i due elementi sacrali della comunione, il pane e il sale. La dottrina di Elxai è dunque un esempio di gnosi giudaica, e, al pari degli altri sistemi gnostici, introduce la figura del Messia, che sarebbe apparso a Elxai sotto l'aspetto di un uomo gigantesco, accompagnato dallo Spirito Santo, figura simile a quella del Messia, ma femminile (come sempre nella pneumatologia semitica) e detta "sua sorella". È chiaro che si tratta qui della concezione gnostica degli eoni, figli dell'Altissimo, tanto più che Elxai affermava che il Messia s'era incorporato in varî aspetti umani, e non lo identificava punto col personaggio storico di Gesù; sicché il suo messianismo sembra essersi svolto in un ambiente del tutto estraneo al cristianesimo, per quanto gli scrittori ecclesiastici vedano in esso una contraffazione della cristologia ortodossa: Epifanio colloca perciò l'elchesaismo tra le eresie (Panarion, LIII), dopo averne trattato già prima come d'una setta giudeo-cristiana (ibid., XIX, 4; XXX, 17).
La nuova religione si diffuse largamente, a quanto sembra, nel territorio della Transgiordania e nella Siria propria: in essa si sarebbero incorporate le sette giudeo-cristiane degli ebioṇiti, dei nazorei, degli ossei (che Epifanio distingue dagli esseni, coi quali altri li identificano). Nel sec. III sarebbero sopravvissuti col nome di sampsei, nel quale Epifanio riconosce giustamente una derivazione dall'aramaico shamshā "sole", ma è del tutto oscura la ragione per la quale essi avrebbero assunto questo nome, poiché nella dottrina di Elxai non vi è traccia di culto solare. I sampsei avrebbero nutrito una superstiziosa venerazione per i discendenti di Elxai, dei quali al tempo di Epifanio sarebbero state in vita due sorelle, Marthūs e Marthana (nomi oscuri, nel primo elemento dei quali può riconoscersi l'aramaico mart "signora").
Una prova della vitalità e dello spirito di proselitismo dell'elchesaismo è data dalla sua tendenza a espandersi dall'Oriente semitico verso l'Occidente greco-romano (come aveva già fatto il cristianesimo, e come poco più tardi fece il manicheismo): sotto il papato di Callisto I (217-222) un certo Alcibiade portò a Roma il libro di E. e condusse un'attiva propaganda, promettendo ai colpevoli dei peccati più gravi la remissione totale per mezzo del suo battesimo: ciò appunto ha dato occasione a Ippolito di occuparsi dell'elchesaismo (Refut., IX, 15; X, 29).
Per quanto si può giudicare dalla tradizione scarsa e indiretta, la dottrina di E. è uno svolgimento gnostico di riti battesimali giudaici e in quanto tale presenta strette analogie con quella assai più complessa dei mandei e con quella, quasi sconosciuta, dei sabei (Ṣābi'ūn) menzionati dal Corano. Che anzi questi ultimi siano da identificarsi senz'altro con gli elchesaiti è stato supposto da taluno (A. Sprenger, Das Leben und die Lehre des Mohammad, Berlino 1869), ma con poca verosimiglianza. È vero che di una comunità, ancora esistente nel sec. XI d. C., nella regione paludosa del basso Eufrate e nota col nome arabo di Mughtasilah "coloro che s'immergono", analoga ai mandei ma distinta da essi e forse identica ai sabei del Corano, una fonte araba indica come fondatore un al-Ḥ.s.ḥ, in cui dovrebbe riconoscersi la trascrizione di E.; ma da un lato la forma del nome sembra corrotta nella tradizione manoscritta, dall'altro l'indizio è troppo tenue per poter essere seguito con frutto.
Bibl.: W. Brandt, Elchasai, Lipsia 1912.