ELZEARIO de Sabran, santo
Nacque nel 1285 o nel 1286 a Robians, vicino al castello di Ansouis (Vaucluse, Francia) da Ermengaud e da Laudune Albe, signora di Roquemartine. Il suo nome, Auzias in provenzale, Elizarius o Elziarius in latino, non era molto diffuso all'epoca, ma esisteva già nella famiglia; suo nonno paterno (morto nel 1307) si chiamava infatti così.
I Sabran erano un'importante famiglia dell'aristocrazia provenzale, originaria della Linguadoca (il feudo di Sabran si trovava nel siniscalcato di Beaucaire) ma impiantata ad est del Rodano alla fine del XII secolo, dacché Reynon de Sabran aveva sposato Gersende de Forcalquier. La loro figlia maggiore, Gersende (II), aveva sposato Alfonso, conte di Provenza e di Barcellona, nel 1193. Da questa unione era nato Raimondo Berengario V, conte di Provenza, una delle cui figlie, Beatrice, sposò Carlo d'Angiò, diventato re di Sicilia nel 1266.
Questa genealogia spiega perché E., la cui famiglia paterna discendeva da un secondo matrimonio di Reynon de Sabran, sia definito negli atti comitali o reali degli Angioini "cugino" dei sovrani napoletani. Dal conte-re, i Sabran avevano in feudo un certo numero di paesi e di terre situati tra il Lubéron e la valle della Durance a sud di Apt e il castello di Ansouis. Il padre di E. Ermengaud dopo la morte, avvenuta prima del 1293, di Laudune Albe, madre di E., di sua sorella Sibille e di suo fratello Isnard, si risposò con Elise (o Alix) des Baux, da cui ebbe due figlie e un maschio, Guillaume.
E., avendo perso la madre nella primissima infanzia, venne allevato da Gersende Alphant, donna piissima, la cui influenza l'avrebbe molto segnato sia sul piano morale sia su quello religioso. Poiché suo padre Ermengaud, avendo ricevuto da Carlo II d'Angiò, nel 1293, l'investitura della contea di Ariano (prov. di Avellino, in Campania), dovette partire per l'Italia, il ragazzo venne affidato ad uno zio, Guillaume de Sabran, monaco e poi abate (1294) di St-Victor, a Marsiglia, il quale lo iniziò probabilmente al disprezzo del mondo e alla spiritualità monastica. Tuttavia, alla fine del 1295 o all'inizio del 1296, E. venne fidanzato, per volontà di Carlo II, a Delphine de Signe, signora di Puimichel, che aveva all'epoca undici o dodici anni. L'unione era ben accetta alle due famiglie per ragioni patrimoniali, poiché la sposa era l'ereditiera di un certo numero di signorie nella parte centrale della valle della Durance, vicino a Manosque e a Forcalquier, territori vicini ai domini dei Sabran.
Il matrimonio fra i due giovani fu celebrato a Puimichel nel 1300. Delphine, che, come E., era rimasta orfana in giovane età ed era cresciuta in un monastero, era però, e restò tutta la vita, profondamente attaccata alla verginità. Fu così che si ribellò a questa unione tanto contraria alle sue aspirazioni. L'intervento dell'inquisitore francescano Guillaume de St-Martial e le pressioni della famiglia finirono per vincere le sue resistenze, ma Delphine accettò il matrimonio col fermo proposito di non acconsentire all'unione carnale nella vita coniugale. Sembra che all'inizio il giovane E. abbia incontrato una certa difficoltà nel piegarsi a queste esigenze. Ma un ricatto basato sulle sofferenze fisiche che Delphine avrebbe patito e soprattutto le estasi mistiche di cui E. fu ben presto gratificato (a Sault nel 1302, a Aix-en Provence nel 1304 e a Ansouis nel 1305) lo portarono progressivamente ad accettare le concezioni della giovane sposa in materia di verginità e a farle sue.
Nel castello di Ansouis, e soprattutto a Puimichel, dove vissero dal 1307 al 1310, essi condussero una vita pia ed edificante. È a questi anni che risalgono probabilmente le Coutumes (o statuti) per la signoria che costituiscono un vero e proprio programma di vita religiosa e morale ad uso di tutti i residenti nella casa e nelle terre. Nel 1316 E. e Delphine fecero voto di castità in presenza del frate minore Jean Jolia pur continuando a vivere insieme. Sembra fuori dubbio che in tutto questo periodo la coppia abbia subito la forte influenza dei frati minori provenzali di tendenza spirituale: Jean Jolia, Philippe Alquier, Guillaume Espitalier e Hugues de Brancols, il quale, nel testamento di E., redatto nel 1317, è designato come suo confessore. Questi ultimi, in quella prospettiva escatologica che li distingueva, raccomandavano ai laici, e in particolare ai beghini e alle beghine di cui erano i direttori spirituali, la pratica della "castità evangelica", seguendo l'insegnamento di Pietro di Giovanni Olivi, di cui condividevano i principi. Questa pratica consisteva non tanto nel rifuggire dal mondo, quanto piuttosto nel restare nel suo seno accettandone gli obblighi e le regole, rifiutando però gli aspetti carnali dell'esistenza, andando in tal modo a costituire una testimonianza di vita condotta secondo lo Spirito. Sappiamo inoltre che E. e Delphine incontrarono a Marsiglia, nel 1304, il grande medico catalano Arnaldo di Villanova, seguace dell'escatologia apocalittica, che li aiutò a perseverare nel loro disegno fornendo alle loro famiglie, desiderose di veder nascere al più presto un erede, delle giustificazioni rassicuranti a proposito della sterilità della loro unione (Vie occitane de ste Delphine, in J. Cambell, Vies occitanes…, pp. 160 ss.).
Dopo la morte di Carlo II d'Angiò nel 1309 e l'ascesa al trono di Sicilia del figlio terzogenito Roberto E. venne chiamato a succedere al padre, morto nel 1310, come conte di Ariano. Lasciata Delphine in Provenza, egli dovette lottare tre anni per imporre la sua autorità in questa città che, trattata con durezza da Ermengaud, mal sopportava la dominazione angioina. Dovette anche regolare delle questioni finanziarie con la sua matrigna, Elise des Baux, che si era risposata, e tentare di recuperare l'eredità della sua sorellastra Cecilia, eredità che il marito di lei, Guillaume Baloard, maresciallo di Sicilia, non voleva restituirgli (cfr. i documenti editi da R. de Forbin d'Oppède, La bienheureuse Delphine…, pp. 409 s.). Nel 1312, nel momento in cui la discesa in Italia di Enrico VII risvegliò le lotte tra guelfi e ghibellini, E. si unì all'esercito di re Roberto con il contingente di 25 cavalieri e 50 fanti che la contea di Ariano doveva fornire, e prese il comando, al fianco di Jean de Morée, delle truppe che furono inviate a Roma, dopo aver ricevuto l'investitura di cavaliere dal sovrano in persona. Partecipò allora con vivo piacere - piacere di cui, dicono le biografie, si pentirà in seguito - ai combattimenti che si svolsero in città, attorno al Colosseo, e che terminarono con la ritirata delle truppe imperiali verso Tivoli. Dopo la morte di Enrico VII in Toscana a Buonconvento il 24 ag. 1313 il partito angioino ebbe definitivamente la meglio ed E., nominato da re Roberto giustiziere dell'Abruzzo Citeriore, partì alla riconquista di Ariano, che aveva approfittato dei disordini politici per ribellarsi di nuovo. Le testimonianze concordano sul fatto che egli esercitò un'influenza moderatrice sul fratello del re, Filippo di Taranto, il quale voleva scatenare in città una feroce repressione, e che seppe guadagnarsi la stima dei suoi sudditi con la sua dolcezza e la sua umanità.
Nel 1314, stabilizzatasi la situazione politica, E. fece venire Delphine in Italia. Per la maggior parte del tempo la coppia risiedeva a Napoli, soprattutto a Quisisana, nel palazzo fatto costruire da re Roberto tra Portici e Castellammare, dove questi passava l'estate in compagnia della regina Sancia. E., che sembrava aver svolto un ruolo piuttosto importante a corte, fu autorizzato, nel gennaio del 1315, a tornare in Provenza per un anno, ma ritardò la partenza fino al 1316. Approfittò quindi del suo soggiorno in Francia per regolare un certo numero di problemi feudali e, prima di rientrare in Italia via mare, fece testamento a Tolone, il 18 luglio 1317.
In questo atto, il cui testo ci è pervenuto (R. de Forbin d'Oppède), E. chiedeva di essere sepolto nella chiesa dei frati minori di Apt, vestito dell'abito di questo Ordine, che gli era particolarmente caro come indicano i lasciti che istituì in favore di tutti i conventi francescani di Provenza: nei documenti contemporanei che lo riguardano non è mai fatto cenno di una sua appartenenza al Terz'Ordine. Legò anche un calice d'argento e degli ornamenti alla cattedrale di Ariano e due once d'oro per i frati minori della città. Per i suoi domini patrimoniali e i suoi feudi provenzali e italiani il suo successore designato era il fratellastro Guillaume de Sabran. Ma E. ebbe cura di restituire a Delphine tutto quello che ella gli aveva portato in dote, insieme ai villaggi di Robians e di Cabrières, staccati dalla baronia di Ansouis, e al castello di Maddaloni, nel Regno di Napoli, concessi a titolo vitalizio, e a tutti i suoi beni mobili.
Al suo ritorno a Napoli, E. fu incaricato da re Roberto di assistere con i suoi consigli il giovane duca Carlo di Calabria e la sua sposa Caterina d'Asburgo. Secondo i biografi, lui e Delphine esercitarono una felice influenza sulla coppia principesca. Dopo che Carlo venne nominato vicario del re nel 1319, a causa della partenza di Roberto per la Toscana e la Lombardia, E. svolse il ruolo di suo ministro principale. Seppe resistere alle lusinghe dei cortigiani e dei sollecitatori prese dei provvedimenti perché fosse resa giustizia ai poveri e si segnalò per la generosità delle sue elemosine. Alcuni documenti degli archivi angioini di Napoli attestano la sua responsabilità in diverse e delicate missioni: il 15 febbr. 1322 fu inviato ad Amalfi dal duca di Calabria per svolgere un'inchiesta sulle violenze che avevano contrassegnato gli scontri tra i nobili e il popolo; qualche mese dopo, il 28 ag. 1322, fu incaricato di porre fine al conflitto tra l'abate di Cava dei Tirreni e i suoi vassalli. Infine, prima del maggio del 1323, gli venne affidata la delicata missione di trattare a Parigi il matrimonio tra Carlo di Calabria. vedovo dal 1323, e Maria, figlia di Carlo di Valois. Delphine lo accompagnò fino ad Avignone, E. continuò poi da solo per Parigi, dove intavolò trattative con la corte di Francia, trattative che portarono alla conclusione di un accordo sul matrimonio in questione, firmato il 4 ottobre. Ma prima di poter vedere il successo dei suoi sforzi, E., colpito da una febbre altissima e da una malattia fulminante, morì il 17 sett. 1323 nel palazzo del re di Sicilia a Parigi, dopo essersi confessato al frate minore provenzale François de Meyronnes, suo amico. Subito informata della morte dello sposo, Delphine si ritirò a Cabrières, dove - stando alla sua testimonianza (Vie occitane de sainte Delphine in J. Cambell, Vies occitanes…, pp. 180 ss.) - E. le sarebbe apparso nel marzo del 1324, per dirle di non rattristarsi oltremodo di questa separazione, ma di gioire della sua ritrovata libertà di votarsi completamente al servizio di Dio.
E. è, con Delphine, un tipico esempio di quella élite laica, particolarmente presente nelle regioni che vanno dalla Catalogna all'Italia meridionale, che, all'inizio del XIV secolo, aspirava a raggiungere la salvezza conformando la propria vita al Vangelo, seguendo il solco tracciato dai frati minori, ai quali fu legatissima in Provenza come a Napoli. Più sereno della sua sposa, cui affermava peraltro di dovere la propria conversione, sembra sia stato meno turbato di lei dalle condanne che, a partire dall'avvento di Giovanni XXII, colpirono gli spirituali e i loro protetti, i beghini di Linguadoca, ai quali entrambi erano molto vicini. È anche vero che la sua prematura scomparsa gli permise di evitare le fasi più difficili di questo conflitto, che invece Delphine, la quale sopravvisse fino al 1360, avrebbe vissuto in tutta la sua drammatica intensità. Ad ogni modo, la sua morte fu il punto di partenza di una venerazione immediata: fin dal momento in cui il corpo di E. fu sepolto presso i frati minori di Apt, in Provenza, sulla sua tomba cominciarono a prodursi miracoli. Nel 1327 il vescovo di questa città, Raymond Bot, indirizzò a Giovanni XXII una supplica, opera del teologo francescano François de Meyronnes (Libellus supplex pro canonizatione, in Acta sanctorum Septembris, VII, pp. 521 s.), per ottenere l'approvazione del culto che non ebbe però alcun seguito. La domanda venne reiterata con maggior successo nel 1351, su richiesta degli Stati di Provenza. Con la bolla Grandis nobis adest del 1º sett. 1351 (ibid., p. 523), Clemente VI ordinò l'apertura di una inchiesta sulla vita e sui miracoli di E., che venne svolta nei mesi successivi. Sessantotto testimoni, fra cui Delphine, vennero in questa occasione ascoltati dai commissari su 170 articoli nella chiesa dei frati minori di Apt. Sfortunatamente, gli atti non sono stati conservati; ne possediamo però un sommario, composto nel 1363 per papa Urbano V. Quest'ultimo, figlioccio di E., esaminò con benevolenza la pratica del proprio padrino, che venne da lui canonizzato a Roma il 15 apr. 1369. Dato però che Urbano V, lasciata la città, morì subito dopo, la bolla di canonizzazione venne promulgata dal suo successore Gregorio XI, a St-Didier di Avignone il 5 genn. 1371 (Rationi congruit, ibid., pp. 525 s.).
Tra il 1371 e il 1373 uno splendido mausoleo, di cui rimangono solo alcune statue, venne costruito in suo onore nella chiesa dei frati minori di Apt, grazie al cardinale Anglic Grimoard, fratello di Urbano V; la traslazione dei resti avvenne il 18 giugno 1373. In questa occasione, la regina Giovanna di Napoli donò ai francescani 1.000 libbre d'oro per la costruzione di un busto-reliquiario d'argento, terminato nel 1381, in cui venne inserita una parte del suo cranio. In Italia, la cattedrale di Ariano ricevette un osso del mento, mentre una statua che lo raffigurava venne posta sulla facciata della stessa cattedrale nel 1510. Ma, fuori dei confini della Provenza, dove conobbe una certa diffusione tra la fine del XIV secolo e la distruzione della sua tomba, avvenuta nel 1562 ad opera degli ugonotti, la propagazione del culto di E. fu opera dei francescani, che nel XV secolo lo inserirono nell'elenco dei santi del Terz'Ordine e lo rappresentarono in alcuni cicli agiografici, nei quali egli viene presentato come una delle glorie francescane. L'esempio più famoso è quello della chiesa di S. Francesco a Montefalco (Umbria), in cui Benozzo Gozzoli ha raffigurato E. come un vecchio barbuto col capo cinto di una corona comitale. Le biografie di maggior importanza furono però composte nel Sud della Francia; basti pensare alla Vita latina, opera di un anonimo francescano (composta tra il 1363 e il 1370, pubblicata in Acta sanctorum Septem., VII, pp. 539-564), e alla Vie occitane, redatta da un chierico originario della regione di Albi negli ultimi decenni del XIV secolo, sulla base della Vita latina e della tradizione orale (in J. Cambell, Vies occitanes, pp. 40 ss.). In Italia, la prima biografia di una certa rilevanza gli fu consacrata dal compilatore francescano Mariano da Firenze nel suo Trattato del Terz'Ordine, composto verso il 1520-1521.
Fonti e Bibl.: Il testamento di E. del 18 luglio 1317 è pubblicato in R. de Forbin d'Oppède, La bienheureuse Delphine de Sabran…, Paris 1883, pp. 412-425; le Coutumes o statuti redatti da E. per i suoi sudditi provenzali si leggono in E. Borély, Les miracles de la grâce…, II, Carpentras 1844, pp. 125-129, e in R. de Forbin d'Oppède, cit., pp. 84-94; cfr. inoltre Acta sanctorum … Septembris, VII, Paris 1867, pp. 494-564; Chronica XXIV generalium, in Analecta franciscana, III, Ad Claras Aquas 1897, p. 485; Z. Lazzeri, Officia rythmica sancti Elzearii et sanctae Delphinae, in Arch. franc. hist., X (1917), pp. 231-238; F. M. Delorme, Documents sur st-Yves et st-Elzéar, in Studi francescani, XXXII (1936), pp. 164-179; Vida di san Alzeas compte d'Aria, in J. Cambell, Vies occitanes de st-Auzias et de ste-Delphine, Roma 1963, pp. 40-127; J. Cambell, Le sommaire de Penquite pour la canonisation de st-Elzéar de S., in Miscell. franc., LXXIII (1973), pp. 438-473; Id., Enquête pour le procès de canonisation de Dauphine de Puimichel comtesse d'Ariano (Apt-Avignon, 1360), Torino 1978; Mariano da Firenze, Il trattato del Terz'Ordine, a cura di M. D. Papi, Firenze 1985, pp. 528-533; J. Raphael, S'ensuit la Vie de monseigneur st-Aulzias de S., comte d'Arian, glorieux confesseur et vierge, Paris 1507; E. Binet, La vie et les éminentes vertus de st-Elzéar de S. et de la bienheureuse comtesse Dauphine, Paris 1662; L. Wadding, Annales minorum, Romae 1635, VI, pp. 278-290, 336 s.; VII, pp. 13-21; VIII, pp. 87, 727; E. Borély, Les miracles de la grâce victorieuse en la vie de ste-Dauphine vierge et mariée à st-Elzéar, comte d'Arian, Lyon 1654; M. De Fontanarosa, Vita di s. E., Ariano 1804; Abbé Boze, Histoire de st-Elzéar et de ste-Delphine, Avignon 1821; R. de Forbin d'Oppède, La bienheureuseDelphine de S. et les saints de Provence au XIVe siècle, Paris 1883, passim; P. Girard, St-Elzéar…, Paris 1912; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I-II, Firenze 1922-1930, ad Indicem; G. Kaftal, Iconography of the saints in Tuscan painting, Firenze 1952, coll. 343 s.; L. Réau, Iconographie de l'art chrétien, III, Paris 1958, p. 427; A. Balducci, E., in Biblioteca sanctorum, IV, Roma 1964, coll. 1155 ss.; S. Gieben, Appunti per l'iconografia dei santi e dei beati dell'Ordine della penitenza (sec. XIII-XIV), in I frati penitenti di s. Francesco nella società del Due e Trecento, a cura di Mariano d'Alatri, Roma 1977, pp. 111-124; F. Baron, Le mausolée de st-Elzéar à Apt, in Bulletin monumental, CXXXVI (1978), pp. 267-283; A. Vauchez, La santità nel Medioevo, Bologna 1989, pp. 345-348; Id., I laici nel Medioevo. Pratiche e esperienze religiose, Milano 1989, pp. 91-102, 234-249.