Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XVI secolo la musica strumentale si emancipa gradualmente dalla vocale, conquistando un proprio linguaggio specifico e forme autonome.
La tradizione musicale scritta, prima del 1550 riguarda con ampia prevalenza musica vocale. Tuttavia abbiamo numerose testimonianze di pratiche specificamente strumentali: nell’esecuzione di musica polifonica vocale sacra o profana, ad esempio, possono intervenire strumenti con funzione di sostituzione o rinforzo delle parti vocali.
Altrettanto diffusa è la prassi del canto accompagnato: nella frottola e nelle forme affini, nelle chansons o nei madrigali, le voci più gravi sono a volte realizzate da uno strumento, come il liuto o il clavicembalo; le parti realizzate dallo strumento possono essere ridotte in intavolatura, semplificando magari l’ordito contrappuntistico.
Le prime testimonianze scritte di musica strumentale riguardano brani vocali adattati e danze.
Le composizioni annotate, dapprima, consistono nella trascrizione di procedimenti comuni nella musica strumentale eseguita estemporaneamente: tali sono l’ornamentazione di una linea melodica e l’aggiunta di una o più parti a un cantus firmus (la tecnica è chiamata “contrappunto alla mente”). Nella trascrizione dei brani vocali (mottetti, madrigali, chansons), l’aggiunta di passaggi e fioriture tradisce sia il forte legame con la pratica dell’improvvisazione, sia l’inclinazione per le figurazioni idiomatiche strumentali.
È nel corso del Cinquecento che si realizza la graduale emancipazione della musica strumentale dalla vocale. Nascono allora forme di scrittura e stili propri, che si concretizzano in generi quali l’invenzione, il bicinium, la fantasia, il ricercare. Mentre nella musica solistica hanno un peso preponderante il liuto e gli strumenti da tasto, in quella d’insieme vengono frequentemente impiegati strumenti di taglia diversa ma della stessa famiglia (i flauti, i cornamuti, le viole da gamba), in modo da ottenere un gruppo completo dal timbro omogeneo. Mancano, in genere, prescrizioni esatte sugli strumenti da impiegare (frequente è l’indicazione “per ogni sorta di strumento”) ma l’indeterminatezza non è assoluta: le associazioni fra strumenti rispondono a norme estetiche ben precise.
La diffusione della musica strumentale è fenomeno europeo.
Fuori d’Italia, la Francia coltiva particolarmente il liuto, lo strumento delle corti e della pratica musicale domestica; l’editore Attaignant, inoltre, pubblica fortunate serie di danze strumentali d’insieme. In Germania si forma una generazione di virtuosi del liuto e si assiste a una ricca produzione organistica; nella seconda metà del secolo emerge la scuola dei Koloristen, che applicano una tecnica dell’ornamentazione virtuosistica. In Spagna sono pubblicate intavolature per vihuela, lo strumento a pizzico dalla tecnica simile a quella del liuto; nella produzione per strumenti da tasto, inoltre, spiccano le composizioni dell’organista Antonio de Cabezón (Obras de música para tecla, arpa y vihuela, 1578). L’Inghilterra vede una copiosa fioritura di composizioni per liuto solo e soprattutto per virginale: durante il regno di Elisabetta I la scuola virginalistica inglese giunge a un livello altissimo nella creazione artistica.
La prassi esecutiva degli strumenti rinascimentali è fissata da una serie di trattati, alcuni dei quali nascono con precisi intenti divulgativi, che fioriscono numerosi per tutto l’arco del secolo.
Essi costituiscono anche preziose fonti d’informazione sulla costruzione degli strumenti; tra i più diffusi lo Spiegel der Orgelmacher und Orgel di Arnolt Schlick (1511), Musica getutsch di Sebastian Virdung (1511), La Fontegara (1535) dedicata al flauto e la Regola Rubertina (1542) alla viola di Silvestro Ganassi dal Fontego, il Tratado de glosas (1553) di Diego Ortiz per la viola da gamba, Il Fronimo (1568) di Vincenzo Galilei per il liuto, Il Transilvano (1593-1610) di Girolamo Diruta per l’organo e gli strumenti da penna.
All’esecuzione strumentale, solistica o d’insieme, si collega strettamente la prassi della “diminuzione”, che consiste nel rendere fiorita una data melodia riempiendone gli intervalli con note di minor valore. La prassi, che giunge ai risultati di più abbagliante virtuosismo verso la fine del secolo, è codificata da manuali divulgativi quali Il vero modo di diminuir di Girolamo Dalla Casa (1584), le Ricercate passaggi et cadentie di Giovanni Bassano (1585), i Passaggi per potersi esercitare nel diminuire di Riccardo Rognoni (1592).
Man mano che la musica strumentale si emancipa da quella vocale emergono forme autonome, che comunque coesistono accanto alle trascrizioni e alle parafrasi dei modelli vocali. Le nuove forme hanno spesso lo scopo di ricercare e valorizzare le possibilità tecniche o timbriche degli strumenti.
Dalla trascrizione di chansons vocali si sviluppa la “canzone da sonar” (detta anche “canzona alla francese”). Lo stile, inizialmente, è affine a quello del modello vocale: vi si ritrovano la velocità e la leggerezza, il ritmo ben scandito, la semplicità del contrappunto. In seguito la scrittura polifonica si articola in episodi distinti, alla base dei quali stanno motivi ben caratterizzati; gli episodi si alternano per contrasto: all’imitazione succede l’omoritmia, al ritmo binario il ternario. In un primo tempo, la canzone è un genere eminentemente organistico, ma verso il 1580 iniziano a comparire canzoni per complessi strumentali: ne scrivono, tra gli altri, Andrea e Giovanni Gabrieli, Claudio Merulo, Nicola Vicentino, Marco Antonio Ingegneri.
Affini alla canzone, ma più liberi e più specificamente strumentali, sono il ricercare e la fantasia. In essi il legame con la prassi dell’improvvisazione si allenta, come si vede dalle lunghe tirate e dal virtuosismo strumentale. Intorno al 1540 il ricercare – per liuto, per strumenti da tasto o per complesso di strumenti – allinea una successione di temi, ognuno dei quali è sviluppato in stile imitativo e collegato da una cadenza al successivo episodio.
Rispetto allo stile vocale del mottetto imitativo, le parti si muovono con maggiore libertà e danno origine, sporadicamente, a figurazioni tipicamente strumentali. Nella seconda metà del secolo si afferma il ricercare monotematico.
Praticato dai liutisti già all’inizio del secolo, il genere della variazione si applica al tema di un’aria, una danza, un motivo popolare, breve e dal carattere regolare; vengono variati la melodia oppure il basso, tramite l’aggiunta di figure accessorie.
Temi prediletti sono la Romanesca, la Folia, il Ruggiero. Il genere è particolarmente frequentato dai virginalisti inglesi, che amano variare temi popolari nazionali: tra i maggiori artisti ricordiamo William Byrd, Orlando Gibbons e Thomas Tomkins.
Sinché è legata alla funzione di supporto ai movimenti scenici del coro, la musica strumentale per danza può consistere anche nella semplice annotazione di elementari schemi ritmico-armonici, regolari e ben definiti, sottoposti in sede d’esecuzione a elaborazioni estemporanee.
Minimo, o del tutto assente, il gioco imitativo. Man mano che si distacca dalla sua originaria funzione, la musica da danza subisce un processo di stilizzazione, pur mantenendo il ritmo e il carattere generale delle danze d’origine. L’idioma è spiccatamente strumentale: scarso è il legame della musica da danza col repertorio vocale. Ben presto si stabilizza l’usanza di accoppiare le danze secondo una precisa successione: pavana e gagliarda, passamezzo e saltarello (dalla metà del secolo, allemanda e corrente) alternano a una danza lenta in ritmo binario una veloce in ritmo ternario. È in questa prassi che si può individuare il nucleo della futura suite strumentale. Le pubblicazioni a stampa sono numerose e riflettono l’incremento della richiesta. Molto prolifica è l’area franco-fiamminga, con danze quali il tourdion, la basse danse, il branle. La musica per danza esercita un importante influsso sul linguaggio musicale: la regolarità fraseologica e la scrittura prevalentemente accordale favoriscono l’emergere della “moderna” sensibilità armonica, fondata sull’articolazione cadenzale del discorso.
Per tutto il secolo si mantiene abbondante la produzione di bicinia, brani strumentali contrappuntistici per due strumenti composti a scopo didattico. Tra gli autori figurano Bernardino Lupacchino, Eustachio Romano, Pietro Vinci, Agostino Licino.