TAGLIAFICHI (Tagliafico), Emanuele Andrea
Nacque a Genova il 16 giugno 1729, primogenito di Niccolò Gaetano (1698-1776) e di Maria Antonia Mochi (Alizeri, 1865). Il padre, di famiglia artigiana di buon censo, fu falegname esperto in macchine per allestimenti teatrali e festivi; ebbe altri sei figli maschi, tra cui Giacomo, studioso di architettura a Roma, morto giovane; Giovanni Battista, che proseguì le orme del padre collaborando con il fratello maggiore; Santo Fortunato ed Emanuele, pittori.
Nel 1745 s’iscrisse all’Arte dei Bancalari (falegnami) e fu ebanista almeno fino al 1764 (armadi della sagrestia della cattedrale di Genova), anno in cui sposò Rosa Cordone, a segno di una piena stabilità economica e sociale. Mantenne l’impresa insieme al fratello Giovanni Battista (arredi del Museo di storia naturale, villa Durazzo a Cornigliano, 1781-88). Autodidatta, verso la metà degli anni Sessanta cominciò a studiare i testi di Vignola e Palladio e fu assistito da Simone e Gaetano Cantoni. Su segnalazione del primo, nel 1768 partecipò al concorso dell’Accademia di Parma, ottenendo la menzione di encomio. Due lettere del febbraio 1769 attestano che studiò i disegni di Antoine Le Pautre e progettò un viaggio a Londra, non realizzato, per il quale chiese a Simone Cantoni una presentazione a George Dance il Giovane. Nello stesso anno cade la prima notizia circa l’attività di imprenditore edile, per la ristrutturazione di un appartamento nel palazzo di Agostino Lomellini alla Zecca. Questi – già doge nel 1760-62, illuminista di rango internazionale, mediatore con la Francia nelle trattative per la cessione della Corsica – probabilmente lo introdusse, o ne rafforzò l’autorità, nella massoneria genovese e nei rapporti con quella francese, alla quale aderivano gli architetti con cui entrò in relazione. Un gruppo di aristocratici che condividevano gli stessi interessi politici costituì la sua committenza privilegiata: Cristoforo Spinola, Marcello Durazzo, suo suocero, con il cugino omonimo Durazzo di Gabiano e il figlio di questi Giacomo Filippo III, nonché un loro altro cugino, Giovan Luca Durazzo. L’orientamento massonico è palese nella descrizione in chiave simbolica che Charles Dupaty (Lettres sur l’Italie en 1785) diede del jardin anglais creato dal progettista nella villa Lomellini a Multedo di Pegli.
Alla metà del secolo la cultura progettuale francese era radicata a Genova grazie alla presenza di alcuni ufficiali del Genio della scuola di Sébastien Le Prestre de Vauban, tra cui Pierre de Cotte, che progettò e costruì – a Cornigliano, dal 1751 – il palazzo di villa Durazzo di Gabiano. Da ottobre a dicembre 1774, profittando dell’ospitalità del marchese Spinola, Tagliafichi poté soggiornare a Parigi, dove Charles de Wailly lo introdusse presso numerosi accademici. Nonostante l’assenza di un curriculum adeguato, Jacques-Germain Soufflot ne propose l’accoglimento in seno all’Académie, portato a compimento nel 1778. Nella commemorazione postuma, letta da Marcello Durazzo in Accademia nel 1841, si trova notizia che in seguito Tagliafichi mantenne relazioni epistolari con Soufflot stesso, Jean-Rodolphe Perronet e Julien-David Le Roy. A essi Federigo Alizeri (1865) aggiunse Jean-François-Thérèse Chalgrin, Pierre-Noël Roussel e Guillaume-Martin Couture. I rapporti con Parigi proseguirono anche grazie agli acquisti continuativi di testi di architettura da lui curati per la biblioteca Durazzo. L’analisi delle opere attesta, tuttavia, un duplice orientamento: l’uno prettamente normativo, secondo la teoria di Claude Perrault, l’altro aggiornato alle più esclusive esperienze del jardin anglais. Tagliafichi fu infatti il primo a introdurre in ambito genovese i padiglioni di stile cinese nei giardini e negli apparati effimeri. Nell’estate del 1778 fu a Roma, come segnalato dall’ingegnere Eustache de Saint-Far, insieme a Charles de Wailly, secondo una lettera di Gaetano Cantoni al fratello Simone.
Il tentativo di estendere le sue attività anche fuori di Genova è documentato in una lettera (1782) di Giacomo Filippo III Durazzo al banchiere milanese Giulio Cesare Busti affinché convincesse il "conte Borromeo" a chiedere al suo protetto il disegno di un palazzo per renderne noto il talento. Il virtuosismo grafico di Tagliafichi è confermato da Federigo Alizeri, che ebbe modo di visionare numerosi progetti originali, oggi irreperibili.
Le ambizioni di ottenere incarichi pubblici furono però frustrate nei concorsi per l’apertura della Strada Nuovissima (1777, vinto dal ticinese Gregorio Petondi) e per il restauro di palazzo ducale (1778), assegnato a Simone Cantoni dai commissari preposti, Agostino Lomellini e Marcello Durazzo di Gabiano. Dalla descrizione, pur laudativa, che Alizeri fece del disegno di Tagliafichi si inferisce un carattere di anodina rigidità accademica, ben modesta rispetto allo smagliante esito raggiunto da Simone Cantoni nel porre in libera dialettica alcuni aspetti della cultura francese con l’eredità della scuola romana, in particolare di Luigi Vanvitelli. Tagliafichi non ebbe nemmeno incarichi ufficiali presso la Ligustica – diretta dal ticinese Giacomo Maria Gaggini –, ma a essa venne associato il 31 dicembre 1778, assieme a Simone Cantoni, probabilmente a titolo compensativo, anche grazie alla nomina di Giacomo Filippo III Durazzo a principe di essa, nel mese di giugno. Nondimeno fu considerato un progettista alla moda per le residenze aristocratiche, benché i suoi servigi fossero considerati dispendiosi, come attestato da una denuncia anonima. Non ebbe nemmeno commissioni ecclesiastiche, né ebbe successo con il suo disegno del concorso per il restauro della cappella di S. Caterina da Genova nell’ospedale di Pammatone, assegnato a Gaetano Cantoni (1791). Mantenne le committenze comunali per arredi di feste, come in occasione delle visite dell’arciduca Massimiliano d’Austria (cortile del Collegio dei gesuiti, 1775) e dei re Ferdinando IV e Maria Carolina di Napoli (aree dell’Acquasola e dell’Acquaverde, 1785).
I rapporti con la Francia diedero frutti con l’istituzione della Repubblica democratica ligure (1797) e poi, ancor più, negli anni dell’Impero. Tagliafichi elaborò progetti per un monumento alla Libertà in piazza dell’Acquaverde, un giardino all’Acquasola, un teatro nell’area di S. Domenico, un cimitero alla Foce. Nel 1805, nei festeggiamenti previsti per la visita di Napoleone a Genova, curò la realizzazione di un tempio circolare su colonne, innalzato sopra una chiatta, nel porto, in collaborazione con il fratello Giovanni Battista. Sul colle di Carignano progettò il palazzo imperiale, dotato di una vasta piazza ottagonale. Nel 1806 inviò a Parigi un progetto per la chiesa della Madeleine e fu insignito del diploma d’onore dell’Institut national de France. Dal 1807 fu iscritto – da Pierre-Alexandre-Laurent Forfait, ministro della Marina e prefetto marittimo di Genova – nel ruolo degli ufficiali maggiori del Genio e lavorò al progetto per il porto della Spezia, di cui rimane la relazione preliminare. Stante la breve durata del regime napoleonico nessuno di quei progetti fu attuato, ma alcuni furono ripresi dopo il 1817, e affidati a Carlo Francesco Barabino (parco dell’Acquasola, teatro Carlo Felice).
L’attività di Tagliafichi si diramò in differenti ambiti operativi, ma la storiografia locale ottocentesca ne semplificò la personalità in chiave moralistica e, seguendo fedelmente l’ideologia sabauda, accettò l’apporto francese a scapito di quello dei ticinesi e dei capomastri locali. Di conseguenza furono sminuite la polivalenza dell’ambiente culturale e la ricchezza di interpolazioni formali e costruttive offerte da Genova all’architettura italiana di fine Settecento.
Le realizzazioni più importanti di Tagliafichi furono quelle relative ai giardini paesistici. Forse egli fu ispirato dall’Essay sur les jardins di Claude-Henri Watelet (1774), di cui Agostino Lomellini nel 1765 aveva tradotto ed edito L’art de peindre (1760), ma la sontuosità delle sistemazioni non fu del tutto consentanea al pensiero fisiocratico del trattatista. Quasi tutti i suoi interventi sono scomparsi, e i rimanenti sono stati alterati: il parco dei Durazzo a Cornigliano (dal 1774 al 1796, con coffeehouse e museo di storia naturale, distrutto); la villa per Giuseppe Doria a Sampierdarena (dal 1780, si conserva il solo palazzo); i giardini della villa Lomellini a Multedo di Pegli (1780-85, distrutti); la ristrutturazione della villa e del parco – già Di Negro, oggi Rosazza – per Giovan Luca Durazzo, a Fassolo (cominciata nel 1787, ancora esistente, parco parzialmente conservato); i giardini per la residenza a Cornigliano di Domenico Serra, l’acquirente del palazzo Spinola nel 1779 (fine anni ’80, distrutti); l’ampliamento à l’anglais del giardino rinascimentale-barocco della villa di Ippolito Durazzo allo Zerbino (post 1797, conservato). Nel 1804 Anna Pieri Brignole Sale commissionò a Tagliafichi un ambizioso progetto per il parco di Voltri, poi limitato ad alcune sistemazioni. Dalla scarsa documentazione pervenuta – grafica e fotografica – si può in ogni caso desumere che il progettista fece riferimento anche ad alcuni modelli scenografici tardobarocchi, come nei casi del parterre poligonale della villa Lomellini e della doppia rampa mistilinea di quella Doria.
Riguardo invece agli edifici, Tagliafichi non costruì alcuna opera a fundamentis, bensì si occupò di ristrutturazioni, anche se talora radicali. In palazzo Spinola Campanella (1771-78) gli sono attribuiti l’atrio, la sala ovale e i tempietti del giardino pensile, di un gusto neo-classico alieno dal barocchismo del salone del Sole, opera di Charles de Wailly. Maggiori competenze tettonico-spaziali furono rivelate nei lavori per i Durazzo di Gabiano nel palazzo di strada Balbi (1778-89) e nella villa di Cornigliano. Nel palazzo di città l’ardita opera della scala principale, a sbalzo, fa parte di una nuova sistemazione del cortile colonnato e di una diversa relazione altimetrica tra questo e l’atrio di accesso, sostituendo quanto operato da Bartolomeo Bianco con una scalea colonnata a tre navate, la cui assialità rivela l’immediato riferimento accademico francese; fu un intervento di ardua difficoltà strutturale, che rivela notevoli competenze tecnologiche. Nella ristrutturazione della residenza di Fassolo, invece, si rilevano la vivace scansione prospettica dei volumi edilizi e il tono gaio delle decorazioni, tra cui la licenza della trabeazione del partito centrale, coronato dal frontone, che è ornata con un fregio di medaglioni e festoni retti da putti, consapevolmente fuori-scala, con esito ben diverso dalla banale composizione dei fronti della villa Doria.
Tagliafichi morì a Genova il 16 luglio 1811 (Alizeri, 1865).
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