CAGGIANO, Emanuele
Figlio dello scultore Fedele, nacque a Benevento il 12 giugno 1837. Il padre ne assecondò subito la naturale disposizione all'arte, curandone la prima educazione; ed il profitto fu tale che a soli dodici anni, a Bari, dove si era trasferito con la famiglia, egli eseguì il ritratto del conte Candido Gonzaga, ottenendo, soprattutto in considerazione dell'età, un notevole successo. Ma non fu il Gonzaga, come si è detto finora, bensì il padre, sempre più convinto del talento del figlio, a inviarlo a Napoli nel 1851, perché vi completasse la preparazione nell'istituto di belle arti, sotto la guida di T. Angelini. E questi, alla fine dell'anno seguente, quando il C. chiese al governo un aiuto, per rimanere nell'istituto dove la famiglia non lo poteva più mantenere, ne appoggiò la richiesta con calore, dichiarando che l'allievo riuniva "ad ottime qualità morali una disposizione veramente singolare per la scultura", in quanto disegnava "con somma diligenza" e modellava in creta "per modo da far sperare di lui un artista da far onore al suo Paese" (relaz. conservata nell'Archivio dell'Accademia di Belle Arti di Napoli). Ottenuto un sussidio dalla provincia di Bari, egli compì gli studi primeggiando ogni anno nelle gare di scultura e di incisione in pietre dure e distinguendosi anche nella pittura, tanto che nell'Esposizione di Napoli del 1855 ebbe una buona affermazione con una tela raffigurante La Maddalena.Nel 1859, con il rilievo Il Cimbro che va per uccidere Mario, vinse il concorso per la pensione triennale di perfezionamento in scultura, che tuttavia, dopo i fatti del 1848, al pari di quelle per le altre arti, non veniva fruita a Roma, com'era previsto dalla legge istitutiva, ma a Napoli stessa. Comunque, dopo i primi due anni, durante i quali il C. trascurò l'attività artistica per dedicarsi con slancio al movimento unitario, chiese e ottenne con gli altri pensionati di continuare il perfezionamento a Firenze; e qui fu allievo di Giovanni Duprè fino al 1863.
L'incontro con lo scultore toscano ebbe grande importanza per il C., in quanto nella scia del maestro egli mirò a conciliare classicismo accademico e naturalismo, pervenendo, attraverso la resa del sentimento, a un efficace accordo in Pane e lavoro, l'opera sua più significativa, eseguita nel 1862, nel pieno delle esperienze fiorentine. La statua in marmo, che raffigura una giovane cucitrice poveramente vestita, venne acquistata dal principe Oddone di Savoia e collocata nel palazzo reale di Capodimonte a Napoli, da dove è passata, nel 1956, nel Museo del Sannio di Benevento, per ricordare lo scultore nella città natale; anche per il suo significato umanitario e sociale, certamente anticipatore di quello poi affermato a Napoli dal D'Orsi, ebbe un così grande successo che il C. la ripeté più volte. La replica eseguita per G. Budillon fu premiata al Salon di Parigi e all'Esposizione di Londra degli anni immediatamente successivi, e ancora qualche tempo dopo Luigi Settembrini, nel ribadire con calore il consenso all'opera, proponeva di collocarne una copia in ogni scuola femminile d'Italia.
Nel 1863 il C. rientrò a Napoli per eseguirvi la statua della Vittoria, che doveva coronare il monumento ai martiri delle rivoluzioni napoletane nella piazza ad essi dedicata. Lo scultore aveva vinto il concorso bandito dal municipio e certamente la svelta figura alata, ispirata da un bronzetto pompeiano del Museo nazionale, per ardimento di impianto ed eleganza formale è opera notevole. La statua, che venne febbrilmente eseguita in un anno, durante il quale il C. accolse nel suo studio e avviò all'arte V. Gemito, attesta, però, il prevalere dei modi classicisti, dai quali l'artista, il quale pure si era felicemente orientato verso il naturalismo e che talora aveva mostrato anche tendenze romantiche, non seppe più distaccarsi nella sua pur fortunata produzione successiva. Tanto che quando alla morte dell'Angelini, nel 1879, egli, eseguendo tra altre prove il bassorilievo con Ettore che prima di partire per la battaglia contro i Greci consacra a Giove il suo figliuolo, vinse il concorso per la cattedra di scultura nell'istituto di belle arti, la reazione nell'ambiente artistico napoletano, ormai aperto al realismo, fu vivacissima, Filippo Palizzi e Domenico Morelli, rispettivamente presidente e direttore dell'istituto stesso. per protesta lasciarono i loro posti. Tuttavia il C., che si era segnalato anche per statue come Frine, eseguita pure per il Budillon, e Il vecchio Plinio, per sculture celebrative e per ritratti, dei quali giova ricordare quello del giurista Roberto Savarese, scolpito per il Salone di Castelcapuano, continuò la sua attività nella stessa linea e non senza il favore dei committenti, se nel 1888 egli fu scelto dal re Umberto per l'esecuzione di una delle otto statue di sovrani da collocare nelle nicchie della facciata della reggia napoletana. A lui toccò quella di Federico II, che, per il suo impianto di maniera, ebbe un'accoglienza non del tutto favorevole. Ma il C., incapace di rinnovarsi, insistette nello stesso indirizzo, nel quale rientrano, del resto, i grandi busti in bronzo (1887) di Giulio Bucci e di Emanuele de Deo:situati sulla piazza di Minervino Murge, essi spiegano l'atteggiamento della critica contemporanea, della quale è l'eco nella stessa pagina in cui il Duprè ricorda l'antico allievo, lodandone la Vittoria come "uno dei suoi lavori più belli".
Attivo fino alla fine, il C. si spense a Napoli il 22 agosto 1905.
Fonti e Bibl.: Napoli, Archivio dell'Acc. di Belle Arti, Cartelle Professori, VI, 80; L. Settembrini, Scritti vari di letteratura, politica ed arte, Napoli1879, I, pp. 321, 347-349; G. Duprè, Pensieri sull'arte e ricordi autobiografici [1880] Firenze 1915, p. 383; I busti di Castelcapuano, Napoli 1882, p. V; V. Della Sala, Le statue della Reggia di Napoli: note critiche e profili artistici, Napoli 1889, pp. 19-21, 64-66; S. Altamura, Vita ed arte, Napoli 1896, p. 105; S. Di Giacomo, Gemito, Napoli 1928, pp. 12-19; S. Vigezzi, La scultura italiana dell'Ottocento, Milano 1932, p. 57; S. De Lucia, Arti belle ed artisti a Benevento dal sec. XV ai nostri giorni, Benevento 1933, pp. 41-44; V. Della Sala, Ottocentisti meridionali, Napoli 1935, pp. 185, 192-196; C. Lorenzetti, L'Acc. di Belle Arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 140 s., 143, 160, 299, 305, 464; M. Rotili, L'arte nel Sannio, Benevento 1952, pp. 167 s.; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, pp. 605, 607, 614; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 355.