D'ADDA, Emanuele
Nacque a Milano il 24 marzo 1847 da Giovanni e da Maria Isimbardi.
Giovanni nacque a Milano il 5 dicembre del 1808. Dopo l'approdo Moderato dalle posizioni democratiche della giovinezza lungo un percorso ideale che affrontò con il fratello Carlo, fu nominato dal governo provvisorio lombardo nel consiglio direttivo delle Poste. All'indomani della sconfitta del '48 prese parte alle trattative per la resa di Milano, per riparare poi a Genova. Rientrato in Lombardia a seguito dell'amnistia, inframezzò la dimora milanese con lunghi soggiorni nei possedimenti aviti di Arcore, presso Monza, proseguendo i lavori di abbellimento e di valorizzazione iniziati dal padre Febo, che avevano fatto della Montagnola una delle più sontuose residenze di campagna del patriziato milanese. Non appena liberata la regione dagli Austriaci, fu ripristinato alla direzione delle poste lombarde. Inoltre, essendo già stato in precedenza a più riprese nel Consiglio comunale milanese, fu nominato fra gli assessori straordinari che dovevano contemporaneamente rivitalizzare la vecchia Congregazione municipale e offrire garanzie di indiscusso patriottismo. Morì improvvisamente a Milano il 5 ag. 1859.
Rimasto precocemente orfano di entrambi i genitori (la Isimbardi era morta infatti il 27 dic. 1850), il D. fu allevato nella casa dello zio Carlo sulla base di principi liberali ispirati ad un cattolicesimo tollerante. Scoppiata la guerra del 1866, partì volontario coi cavalleggeri di Aosta. Promosso sottotenente entrò in seguito negli ussari di Piacenza, ove ebbe a collega Annibale Brandolini, futuro marito della cugina Leopolda. Qualche anno dopo egli lasciò il servizio attivo con il grado di capitano della riserva.
Reso fra i maggiori proprietari fondiari milanesi dall'eredità patema, cui s'erano assommati i beni del nonno P. Isimbardi dislocati prevalentemente in Lomellina, acquisì una notevole competenza nelle questioni agrarie. Sensibile al problema del miglioramento dell'agricoltura attraverso una moltiplicazione delle associazioni civili di pubblica utilità, aderì, ad esempio, alla Società orticola di Lombardia. Egualmente fece per altre istituzioni nelle quali aveva trovato espressione a un tempo la vita sociale cittadina e la volontà di promuovere e sostenere realtà nuove. Si associò così alla Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri. Ma soprattutto si impegnò nel vasto campo della beneficenza; spesso sulla scia di Carlo, nel solco di una tradizione familiare consolidata, contribuì infatti con generosità a molteplici iniziative milanesi, dall'Istituto oftalmico al Patronato per i liberati dal carcere, ai riformatori per i giovani e così via.
Nel 1879, morto il 20 giugno il fratello del padre, Vitaliano, senza eredi maschi (essendogli sopravvissuta solo la figlia Costanza), il D. ereditava i titoli di marchese di Pandino e conte di Casatisma, che in questo ramo del casato, a differenza della linea dei Salvaterra, si trasmettevano soltanto per via primogeniale maschile. In coerenza con le disposizioni testamentarie dell'avo Febo, dopo un breve interregno di Costanza, egli assumeva anche il mandato di patrono amministratore della Causa pia D'Adda.
Fondata nel 1808per volere postumo dell'abate Ferdinando con cui si era estinto il ramo di Sale, radicato nel Pavese, l'Opera era indirizzata agli indigenti di numerosi comuni della Brianza distesi nei pressi di Arcore e Vimercate e sulla direttrice di Settimo Milanese. Notevole sia per l'origine arretrata nel tempo - quando più scarsa, e principalmente nelle località rurali, era la beneficenza elemosiniera - sia per le finalità prevalenti del suo soccorso, sanità ed istruzione, sia, ancora, per l'entità delle sue rendite, la fondazione conobbe sotto la gestione del D., elogiata nel 1896dal Consiglio provinciale milanese, ulteriori incrementi patrimoniali. Fra il 1880e il 1882egli diede anche all'ente, che ne era sprovvisto, lo statuto (ritoccandolo più tardi per adeguarlo alla normativa della legge Crispi) e il regolamento amministrativo che dernandava l'erogazione dei sussidi a commissioni locali rette da membri laici affiancati dai parroci.
Socio della Costituzionale, come già del Club dell'unione che ne era un po' la succursale come ne era stato l'incubatrice, dopo il rientro nella vita civile il D. era andato impegnandosi nell'attività politica. Nella competizione elettorale del 1880, nel momento in cui la Destra tentava un rilancio del partito con un'energia e una compattezza cui non erano estranee le brighe del nucleo lombardo, su proposta di alcuni elettori di Lomellina, ma difatto con l'appoggio del Comitato elettorale milanese presieduto da Carlo, egli scendeva in lizza a Sannazzaro dei Burgundi. In quello che veniva giudicato un collegio di combattimento per la statura del competitore, P. Valsecchi, direttore generale delle ferrovie al ministero dei Lavori Pubblici, e per il forte dispiegamento di mezzi operato dal governo, egli se la cavò, nell'insuccesso, con un'affermazione personale notevole. Di lì a poco confermava la propria candidatura nel partito partecipando per alcune carature alla ristrutturazione societaria e al rifinanziamento del suo più prestigioso organo nazionale, L'Opinione. Il confronto delle urne del 1882, che avvenne a scrutinio di lista, lo vide fra i liberalcostituzionali eletti per Pavia I. Riconfermato nelle successive tornate del 1886 e del 1890, il D. prese parte abbastanza attivamente ai lavori della Camera pur disertando le commissioni e non proferendo parola in aula. La sua azione rimase pertanto appiattita e confusa con quella del cosiddetto gruppo agrario lombardo, attento alla crisi imperversante nelle campagne e sensibile al tema della questione sociale. Imperante il trasformismo, come appare confermato dall'andamento delle votazioni per appello nominale, il D. sostenne quasi sempre l'indirizzo governativo di A. Depretis. Dopo le prime battute di vita del ministero Crispi, dal quale lo allontanavano già gli orientamenti coloniali, si trovò in aperto dissenso con le scelte economico-finanziarie e la politica interna di questo. Riallineatosi con i ranghi ministeriali nella parentesi dirudiniana, il 10 ott. 1892 fu fatto senatore da G. Giolitti che voleva guadagnarsene l'influenza nel Pavese per sconfiggere F. Cavallotti. Questa scelta, fra tanti nominativi di oppositori, parve a Domenico Farini frutto di un'"aberrazione mentale". Trascorsi gli anni caldi della battaglia antiafricanista e anticrispina, la presenza del D. al Senato andò progressivamente diradandosi. Volle però assistere, nonostante il declino fisico che incominciava ad affliggerlo, al dibattimento del Senato, costituito in Alta Corte di giustizia, contro N. Nasi.
In contrasto con l'atteggiarsi sommesso, quasi schivo, dei D., che ne faceva nel panorama milanese una figura quanto mai poco appariscente, nel commemorarlo, due anni dopo la morte, Alessandro Casati gli avrebbe attribuito un ruolo centrale nella vicenda del liberalismo lombardo, indicandolo come un punto di riferimento ideale per il partito che era passato a sostenere un programma di previdenza sociale più facilmente praticabile laddove esisteva una sperimentata pratica filantropica. In questa chiave richiamava per esemplarità il caso di Arcore e il patrocinio esercitato dal D., che vi era stato a lungo consigliere comunale, sullà popolazione.
Qui in effetti si erano realizzati i suoi più capillari interventi nel tessuto sociale in un intreccio fra le funzioni di amministratore della Causa pia e iniziative personali. Alla gente di Arcore in particolare lo legava la consuetudine dei frequenti soggiorni alla Montagnola, vicina alle villeggiature della corte e riconfermata nella sua reputazione di magnificenza dall'ampliamento e dai restauri che fin dal 1880, da appassionato d'arte, il D. aveva affidato ad Emilio Alemagna. E nel corso dei lunghi lavori non era mancata l'intenzione di assicurare uno sbocco all'offerta crescente di braccia espulse dalle campagne. Alla disoccupazione femminile il D. tentava invece di sopperire con uri laboratorio seguito dalla moglie, Beatrice Trotti Bentivoglio (che egli aveva sposata nel 1875), al suo fianco nella milanese guardia medicochirurgica gratuita per i poveri oltre che nell'impegno caritativo di Arcore, dove, il D. nel contempo si era premurato di garantire ai suoi coloni, ciò che non era troppo usuale, decorose condizioni abitative ricostruendo o ripristinando radicalmente i vecchi edifici rurali (per suo impulso si progettarono anche case e cascinali modello, premiati più tardi dalla Società agraria di Lombardia). Asilo ed ospedale dovevano poi venire incontro ad altre necessità locali. Il D. si fece infine promotore con pochi altri di un tubercolosario femminile ad Ornago, prossimo a Vimercate, che fu aperto all'assistenza nel giugno del 1910. Era, una volta di più, l'espressione di una attitudine a donare, con contenuti fortemente religiosi, che non usciva dai confini di una beneficenza intensa ma di sapore antico. Su questo terreno non gli erano mancati però spunti di maggior modernità nell'adesione ai valori della previdenza allorché egli aveva assunto la presidenza della cooperativa anonima per l'assicurazione di indennità malattia e pensioni per l'inabilità al lavoro conseguente a malattia, istituita con decreto del 23 genn. 1893.
Nei suoi tardi anni, dal 1895 al 1905, fu anche nel Consiglio provinciale di Milano in rappresentanza del mandamento di Monza II. Dal 1901 ebbe poi la presidenza del Circolo dell'Unione. Morì ad Arcore (Milano) il 19 ott. 1911, legando parte del suo patrimonio a svariate istituzioni benefiche e ai suoi dipendenti ed affittuari. Rimasto senza discendenti il suo matrimonio, i titoli nobiliari passarono da lui, ultimo superstite del casato, al figlio di Costanza, Febo Borromeo, che fece riconoscerg alla sua linea la facoltà di continuare con il proprio il cognome D'Adda.
Fonti e Bibl.: necrologi in Milano, Bibl. Ambrosiana, Carte Alessandro Casati, c. 38, b. 6: A. Casati, Discorso commemorativo per il ms. E. D., manoscritto; Atti parlamentari, Senato, Discussioni, leg. XXIII, 1ª sess.; X, tornata 23febbr. 1912, pp. 6974 s.; Corr. della sera, 20 e 22 ott. 1911; L'Illustr. ital., XXXVIII (1911), 44, p. 464; La Persev., 20 e 23 ott. 1911; Biella, Fond. Sella S. Gerolamo, Arch. Sella, Fondo Quintino, m. 89; Ibid., Serie Carteggio, m. 8: A. Calvi (le indic. sono orientative essendo previsto il riordino delle carte); Cison di Valmarino (Treviso), Arch. Brandolini D'Adda, cass. 24 e B; Milano, Arch. della Causa pia D'Adda, Araldica D'Adda e diversi, c. 157; Ibid., Eredità e legati, cc. 41, 42 (interessano anche Febo e i suoi discendenti); Milano, Arch. stor. civico, Leva militare. Comune di Milano, reg. classe 1847. Lettere della Trotti Bentivoglio in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Carte [Casati], cit., c. 45, b. 8; Roma, Museo centrale del Risorgimento, Carte Massari, b. 811, fasc. 41. Vedi inoltre: Statuto organico della Società orticola di Lombardia, Milano 1866, p. 16; F. Calvi, D'Adda, in Famiglie notabili milanesi. Cenni storici e genealogici, I, Milano 1875, tav. VII; Id., Isimbardi, ibid., tav. III; Rendimento morale, sanitario ed amministrativo dell'Istituto oftalmico di Milano per l'anno 1878, Milano 1879, p. 46; Società per le belle arti di Milano, Elenco dei soci dal 11 gennaio al 31 dicembre... Rendiconto per l'esercizio 1879, Milano [1880], p. 12; Rendiconto dell'adunanza gener. dei signori soci dell'Opera pia dei Riformatori pei giovani nella provincia di Milano tenutasi il giorno 22 apr. 1880..., Milano 1880, p. 74; Statuto organico della Causa pia D'Adda in Milano, Milano 1881; Regolamento amministrativo della Causa pia D'Adda in Milano. Approvato dalla Deputaz. provinciale di Milano con decreto n. 1538-B, Milano 1882; Prospetto sinottico dei bilanci consuntivi della Società di Patronato per gli adulti liberati dal carcere della provincia di Milano dalla sua fondazione (1° ott. 1879) al 31 dic. 1888, Milano 1879 [ma 1889]; G. Savallo, Guida di Milano e provincia. 1894, XIV (1894), p. 495; A. De Gubernatis, Piccolo dizionario dei contemporanei ital., Roma 1895, p. 284; Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri in Milano, Bilanci ed elenco soci allegati alla circolare d'invito all'Adunanza generale dei soci indetta pel giorno 16 giugno 1895, Milano 1895, p. 16; A. F., La villa dei marchesi D'Adda in Arcore (Monza), in L'Edil. moderna, V (1896), 3, pp. 17 s.; Atti del Consiglio provinciale di Milano. Anno 1896, Milano [1897], pp. 33-39, 45 ss.; Storia dei collegi elettorali, 1848-1897, Roma 1898, pp. 486 s.; 586; G. Savallo, Guida di Milano e provincia. 1908, XXVIII (1908), p. 787; E. Casanova, Nobiltà lombarda. Genealogie, a cura di G. Bascapè, Milano 1930, tav. VII; I senatori del Regno. 1848-1931, [Roma] 1931, p. 83; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, I, Milano 1940, pp. 309 s., M. Rosa, I marchesi D'Adda e la villa d'Arcore, Milano 1940; I soci del Circolo dell'Unione durante i suoi primi cento anni di vita. 1841-1848, 1859-1953, a cura di F. Arese Lucini, Milano 1953, pp. 28, 42; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1962, pp. 121, 132, 555, 868, 874; E. Cazzani, Storia di Vimercate, Vimercate 1975, p. 321; Gli archivi storici degli Ospedali lombardi. Censimento descrittivo, in Quaderni di documentazione regionale, X (1982), p. 422; Chi è?, Roma 1908, p. 87; T. Sarti, Il Parlamento italiano.... Roma 1898, pp. 201 s.
Per Giovanni D'Adda oltre alle fonti e alla bibliogr. citate nella voce D'Adda, Carlo (infra), cfr.: Milano, Archivio storico civico, Consiglio comunale. 1802-1860, cc. 48-51; Atti del Municipio di Milano. Dal 5 giugno a tutto gennaio 1860, Milano [1860], pp. 3, 58, 61 s.; Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi. 1820-1860, a cura di A. Malvezzi, Milano 1924, pp. 248e n., 292, 306; Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di D. Buffa, a cura di E. Costa, I, Roma 1966, p. 414; F. Nasi, 1860-1899: da Beretta a Vigoni. Quarant'anni di amministrazione comunale, in Città di Milano. Rass. del Comune e bollettino di statistica, LXXXV (1968), 5, p. 16; Diz. del Risorg. naz., II, p. 804.