GIANTURCO, Emanuele
Nacque ad Avigliano (Potenza) il 20 marzo 1857 da Francesco, calzolaio, e da Domenica Maria Mancusi. Nel paese natale compì i primi studi, frequentando la scuola privata del fratello Giuseppe, maggiore di lui di ventuno anni, e iniziando contemporaneamente a studiare musica. Al seguito del fratello si trasferì nel 1871 a Napoli, quindi a Reggio Calabria e a Potenza, dove concluse gli studi liceali. Grazie a un provvidenziale sussidio del Consiglio provinciale di Potenza, s'iscrisse nel 1875 alla facoltà di giurisprudenza di Napoli e, solo qualche mese più tardi, anche al conservatorio musicale di S. Pietro a Majella. Nella stessa settimana del luglio 1879 si laureò brillantemente in giurisprudenza con una dissertazione "Sulle fiducie nel diritto civile italiano" e si diplomò in composizione, ottenendo lusinghiere classificazioni negli esami finali sostenuti al conservatorio. Dissuaso dal padre dall'intraprendere la carriera musicale, iniziò a Napoli l'attività di avvocato. Allo stesso tempo, allievo in particolare di Giuseppe Polignani - professore di diritto romano, civilista e avvocato, che l'aveva indirizzato alla lettura delle opere giuridiche tedesche e l'aveva guidato nella sua prima pratica legale, introducendolo sin dagli anni universitari nell'ambiente forense napoletano -, il G. si dedicò con intensità agli studi.
Nella Napoli "città degli avvocati" - come alquanti decenni prima l'aveva definita, non benevolmente, il Savigny - circolava da più generazioni un modello di educazione giuridica nel quale l'esperienza professionale e la disciplina dei casi in lite costituivano profili essenziali della formazione scientifica. Di fronte alle novità, che nella seconda metà dell'Ottocento la pandettistica tedesca introdusse nella cultura e nella letteratura giuridica europea, questo modello non entrò in crisi, ma sopravvisse anche negli atteggiamenti metodologici più solidali con le nuove tendenze della scienza giuridica. Proprio su quest'ultimo terreno l'insegnamento del Polignani, che fu tra i primi traduttori dei manuali tedeschi di Pandette, lascerà tracce vistose nell'opera del suo allievo lucano.
Perfettamente divisa tra storia e dottrina dell'istituto, la breve monografia sulle "fiducie" testamentarie (dedicata a Diego Colamarino, l'opera fu pubblicata a Napoli una prima volta nel 1882 e poi nel 1884 come appendice della traduzione italiana dei Principes de droit civil del belga François Laurent) costituì la prima applicazione del metodo seguito dal Gianturco. Partendo dalla controversa origine delle fiducie, egli ne ricostruì la disciplina positiva elaborando una teoria ardita, con la quale sostenne non solo l'ammissibilità della successione fiduciaria sotto il profilo dell'obbligazione naturale, ma anche il diritto per l'erede segreto di rivendicare giudizialmente l'eredità nel caso di rivelazione spontanea dell'incarico fiduciario da parte dell'erede formale. La sua tesi, che sfruttava il tenore equivoco della norma di divieto contenuta nel codice civile italiano del 1865, non ebbe però fortuna. La tendenza a negare, sull'esempio della legislazione francese, qualunque efficacia alle disposizioni fiduciarie in nome della certezza dei diritti dei privati e l'avversione nei riguardi di una pratica negoziale divenuta fonte di liti giudiziarie intricatissime, portarono a isolare la sua opinione.
Dal 1880 al 1886 il G. collaborò ininterrottamente a Il Filangieri, prestigiosa rivista giuridica napoletana, pubblicando recensioni, note a sentenza e saggi, tra cui, nel 1881, quello su Gli studii di diritto civile e la quistione del metodo in Italia, che lo pose subito alla ribalta della nuova civilistica nazionale. Contrario a scelte dottrinali estreme e incline a fondere novità e tradizione della ricerca giuridica, in questo lavoro il G. dava voce, fra i primi, alle più condivise aspirazioni dei giuristi italiani della nuova generazione, tesi, all'indomani dell'unificazione politica e legislativa, alla ricerca di una identità culturale nazionale da esprimere attraverso nuovi e originali programmi scientifici e didattici, di cui il G. si dimostrerà presto uno dei più efficaci e apprezzati autori.
Il lavoro sulle fiducie gli valse la libera docenza in diritto civile, ottenuta a Napoli nel 1882 grazie anche all'intervento personale di Giustino Fortunato. Il G. poté così aprire nella sua abitazione - secondo un'antica tradizione napoletana, tollerata dalle prime leggi unitarie sull'istruzione superiore - la sua scuola privata di diritto civile, ben presto segnalata come la più fiorente e affollata di Napoli e alla quale furono educati, fra gli altri, Vincenzo Simoncelli, Nicola Stolfi, Nicola e Leonardo Coviello. Tra il 1885 e il 1887 vinse, ma rifiutò, le cattedre di diritto civile nelle università di Perugia, Macerata e Messina, preferendo continuare il suo insegnamento privato a Napoli, città cui era ormai legato da sempre più assorbenti impegni professionali.
Il frutto più tangibile della sua esperienza d'insegnante privato fu la pubblicazione, a Napoli nel 1884, di un volumetto di esercitazioni su casi pratici - la Crestomazia di casi giuridici in uso accademico -, dichiaratamente ispirato al contemporaneo modello didattico reso celebre in Germania da Rudolf von Jhering, al quale l'opera fu dedicata. Il libro, primo del genere in Italia e tra i più significativi episodi di una stagione di particolare fermento della didattica giuridica nazionale, nelle pagine introduttive rievocava il suggestivo metodo d'istruzione praticato nella scuola del G. e segnalava le finalità educative che l'avevano ispirato: favorire nei giovani l'assimilazione dei principî teorici e ridurre lo scarto esistente tra studio universitario e professione legale, nella convinzione che scienza e pratica del diritto non potessero costituire vocazioni e professioni distinte né essere separate senza reciproco danno.
Per la realizzazione di un tale progetto formativo, che nella visione del G. incarnava la lezione più alta del sapere giuridico, occorreva, però, affiancare alle esercitazioni casistiche, "palestra dell'ingegno giovanile", il supporto di un idoneo libro di testo universitario, che obbligasse i giovani "a pensare ed a fare opera d'intelletto, anziché di semplice memoria". Una simile qualità poteva appartenere, per il G., solo a un manuale che, superando la tradizionale struttura del commentario esegetico, fedele all'ordine dei "nudi articoli" del codice, focalizzasse i principî regolatori comuni degli istituti giuridici esponendo il diritto privato vigente secondo linee logiche funzionali alla sua più intima comprensione.
Un primo, ambizioso tentativo compiuto dal G. sulla strada del rinnovamento della manualistica italiana di diritto privato fu la pubblicazione, a Napoli nel 1885, della parte generale e di quella relativa al diritto di famiglia delle Istituzioni di diritto civile italiano. Ispirate anch'esse, come la Crestomazia, a un'opera coeva della scienza giuridica di lingua tedesca - in questo caso il System des österreichischen allgemeinen Privatrechts dell'austriaco Josef Unger, al quale furono dedicate -, le Istituzioni traducevano in opera le suggestioni e i propositi sistematici già enunciati dal G. negli scritti precedenti. Il carattere prevalentemente dottrinario del lavoro, ma soprattutto il suo difficile impiego didattico dovettero però convincere il G. a non proseguire l'opera. Nel 1892, in occasione dell'uscita della seconda edizione inalterata, essa cambiò titolo in Sistema di diritto civile italiano, per evitare confusione con l'omonimo e più agile libro di Istituzioni di diritto civile italiano, che già nel 1886, in concomitanza con l'introduzione nei piani di studio universitari della corrispondente disciplina d'insegnamento, il G. aveva pubblicato inaugurando la fortunata collana di manuali giuridici dell'editore fiorentino Barbera. Sarà proprio quest'altra più schematica, ma completa versione delle Istituzioni, assai meno pretenziosa della precedente quanto ad "apparato logico", a costituire in assoluto la sua opera più celebre. Con le sue numerose edizioni e ristampe, che coprirono l'intero residuo arco di vigenza del codice civile italiano del 1865, essa fu tra i manuali scolastici più diffusi della prima metà del Novecento, a cui può anzi dirsi legata la tradizione stessa dell'insegnamento del diritto privato codificato in Italia.
Il 1889 rappresenta il tornante decisivo della vita del giurista lucano. In quell'anno il G., da un canto, raggiunse il suo più alto traguardo accademico, vincendo, dopo otto anni di insegnamento privato, la cattedra di diritto civile nella facoltà giuridica napoletana, rimasta vacante dopo la morte del Colamarino, dall'altro iniziò la sua intensa attività politico-parlamentare, risultando eletto alla Camera dei deputati il 5 maggio nel III collegio di Basilicata, al seggio lasciatogli libero da Francesco Crispi e conquistato anche col sostegno del giovane F.S. Nitti, che nell'autunno di quello stesso anno sarebbe entrato come praticante nel suo studio legale.
Fu in seguito rieletto alle elezioni del 1890, del 1892, del 1895, del 1897, del 1900 e del 1904. Il G. si mostrò sempre estremamente abile nel muoversi sullo scacchiere degli schieramenti parlamentari. Sottosegretario di Stato alla Giustizia nel primo governo presieduto da G. Giolitti (1893), difese quest'ultimo con passione dinanzi al Parlamento in occasione dello scandalo della Banca romana: una difesa che gli fece fruttare un credito notevole all'interno del blocco giolittiano. L'anno successivo appoggiò convinto la repressione crispina dei moti popolari in Sicilia e in Lunigiana, ma si defilò poi dalla maggioranza parlamentare durante il dibattito sulle leggi antianarchiche, votando contro il domicilio coatto previsto per i membri delle disciolte associazioni sovversive. Questo atteggiamento di apparente difesa delle libertà statutarie, ma che era in realtà solo pessimistico quanto all'efficacia dei provvedimenti illiberali fatti approvare da Crispi, gli procurò la rinnovata fiducia di Giolitti e la cooptazione nel secondo governo Di Rudinì come ministro prima della Pubblica Istruzione (10 marzo 1896 - 18 sett. 1897), poi di Grazia e Giustizia (18 settembre - 4 dic. 1897).
Professore, avvocato e statista, il G. incarnava le vocazioni più tipiche del giureconsulto meridionale. La sua concezione del diritto e del "compito sociale" dello Stato, oramai proiettata sul piano della concomitante azione parlamentare e di governo, trovò significativo sfogo nella prolusione d'esordio su L'individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale (Napoli 1891), nella quale condensò il suo pensiero riformistico, individuando in particolare nella disciplina del contratto di lavoro subordinato e dei patti agrari e nella repressione dell'usura le più urgenti risposte legislative alla questione sociale.
La sua visione delle linee di costruzione dello Stato sociale fu comunque decisamente moderata: all'autorità dello Stato e alle capacità d'iniziativa della classe dirigente era affidata, per il G., l'attuazione di quel programma di "pacificazione sociale mercé il diritto", che avrebbe dovuto prevenire, con l'adozione di opportune riforme, le spinte eversive delle masse lavoratrici e favorire la composizione pacifica dei conflitti di classe. Con questo spirito, nei mesi del suo sottosegretariato alla Giustizia il G. contribuì all'istituzione dei probiviri dell'industria, di cui enfatizzò la funzione pacificatrice ed equitativa, provvedendo altresì alla nomina di una commissione governativa per la riforma dei contratti agrari e del contratto di lavoro, al cui tardivo progetto di legge dedicò nel 1902 una conferenza al Circolo giuridico di Napoli (Sul contratto di lavoro, Napoli 1902).
L'educazione cattolica e le umili origini gli ispirarono un sentimento di solidarietà per le sorti delle classi subalterne, che tradusse nella critica, comune a molti altri giuristi della sua generazione, del liberismo economico e dell'"individualismo" del codice civile e nell'auspicio di importanti interventi riformatori. Suoi furono, tra gli altri, i disegni di legge sulla ricerca della paternità (1892), sulla condizione giuridica dei figli naturali e delle donne sedotte (1897) e sulla repressione dell'usura (1900), mentre sempre decisa fu la sua opposizione politica ai progetti di legge sull'introduzione del divorzio, argomento al quale dedicò appassionate pagine in strenua difesa dell'"organismo etico della famiglia". Nel suo disegno di legge di riforma universitaria (1897) si propose di restituire alla docenza privata le libertà e le prerogative godute ai "bei tempi" degli antichi studi napoletani, caratterizzandone, rispetto alla docenza ufficiale, il ruolo di educazione alle professioni. Altri suoi disegni di legge riguardarono istituti e ordinamenti legislativi particolari: la procedura dei piccoli fallimenti e del concordato preventivo (1897); la riforma del procedimento sommario (1897 e 1900); il domicilio coatto (1900), che il G. propose di sostituire con le non meno pesanti misure restrittive della vigilanza speciale, della relegazione e della deportazione a tempo indeterminato; l'ordinamento giudiziario (1900); la pubblicità dei diritti immobiliari (1905); l'ordinamento dell'esercizio di Stato delle ferrovie (1907).
Alcune ombre parvero offuscare in alcuni momenti la sua carriera di statista: ciò che accadde, in particolare, nel periodo del suo governo alla Pubblica Istruzione (per l'impopolarità che si guadagnò nel Parlamento e nelle università italiane in seguito alle sanzioni disciplinari comminate a carico di Maffeo Pantaleoni e, ancora più, per quelle decise contro Antonio Labriola) e, da guardasigilli, all'epoca della contestata inchiesta Saredo sulle amministrazioni napoletane (in occasione della quale fu tacciato di ostruzionismo nei confronti della commissione governativa incaricata d'indagare sulle collusioni tra l'amministrazione municipale di Napoli e la camorra locale). Comunque, il favore manifestato nei confronti della sanguinosa repressione dei tumulti milanesi del maggio 1898 - circostanza nella quale il G. fu violentemente contestato dagli studenti dell'Università di Napoli - e il deciso sostegno dei provvedimenti restrittivi delle libertà di associazione, di stampa e di sciopero presi dal ministero Pelloux (e poi trasfusi nel d.l. 22 giugno 1899, n. 227), gli procurarono nel giugno 1899 l'elezione a vicepresidente della Camera dei deputati, incarico che svolse nel periodo del tenace ostruzionismo parlamentare dell'Estrema Sinistra, contro il quale reagì energicamente. La sua adesione al blocco conservatore al governo cessò, però, con la sconfitta di quest'ultimo alle elezioni del 1900. Il distacco dalla sua parte politica e le sue riconosciute qualità di mediatore gli favorirono la nomina a ministro della Giustizia nel governo Saracco (24 giugno 1900), incarico che durò sino alla caduta di questo governo (febbraio 1901). Il ministero Zanardelli-Giolitti, costituitosi subito dopo, vide nuovamente il G. schierato nelle file dell'opposizione conservatrice e su posizioni di difesa dello Stato forte. Nei discorsi elettorali e parlamentari di questi anni fu assai accesa la sua polemica contro la politica liberale del governo nei confronti della grande ondata di scioperi agrari e industriali d'inizio secolo. Su questa scia, nei primi mesi del 1906 il G. giunse a farsi promotore a Napoli di un'associazione politica moderata, costituita dai deputati meridionali più legati agli ambienti ecclesiastici e contrari ai progetti anticlericali del ministero Sonnino. Il successo dell'iniziativa, che fruttò larga popolarità al suo promotore, fu però frustrato nel maggio 1906 da Giolitti, che chiamò il G. nel suo governo, affidandogli il ministero più ambito dai deputati meridionali, quello dei Lavori pubblici. Pur restando in polemica con alcuni indirizzi del governo, in particolare a proposito della delicata questione dell'insegnamento religioso, nei mesi del suo ultimo incarico governativo il G. vide accrescere ulteriormente la sua autorità politica grazie all'efficace conduzione della vicenda della statizzazione delle ferrovie. Con tutti i suoi complessi problemi giuridici ed economici, l'affare-ferrovie fu portato a termine in pochi mesi d'intenso lavoro parlamentare e a prezzo di un enorme impegno personale del ministro lucano, gravemente sofferente per un cancro alla gola.
Fu questo male a condurlo alla morte, avvenuta a Napoli il 10 nov. 1907.
Al crescente impegno politico e parlamentare che caratterizzò la seconda fase della sua vita corrispose una flessione dell'attività scientifica. Di questi anni, oltre ad alcuni brevi studi, sono da segnalare soprattutto le raccolte delle lezioni universitarie di diritto civile, pubblicate a cura degli allievi (Dei diritti reali, Napoli 1892; Del diritto delle successioni, ibid. 1893; Diritto delle obbligazioni, ibid. 1894; Contratti speciali, I-III, ibid. 1904-06).
Gli scritti giuridici e politici, nonché le allegazioni forensi a stampa tratte dai volumi donati da Nicola Stolfi alla Biblioteca della Società operaia di mutuo soccorso di Avigliano, sono stati ordinati cronologicamente da F. Treggiari nella Bibliografia degli scritti giuridici e politici di E. G., in L'esperienza giuridica di E. G., a cura di A. Mazzacane, Napoli 1987, pp. 365-413. Una prima schedatura delle opere del G. era già in M. Sbriccoli, Elementi per una bibliografia del socialismo giuridico italiano, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, III-IV (1974-75), 2, pp. 957-962.
Quattro sono le raccolte principali delle opere del G.: Scritti vari (1880-1905), Napoli 1906; Discorsi parlamentari, Roma 1909; Opere musicali, Firenze 1912; Opere giuridiche, I-III, Roma 1947.
Fonti e Bibl.: Per la carriera accademica: Roma, Arch. centrale dello Stato, Min. Pubblica Istruzione, Dir. gen. istruzione superiore: a) Fascicolo personale, II vers., E. G.; b) Libere docenze, Univ. Napoli 1882, E. G., n. 11 B; c) Concorsi a cattedra, b. 19, f. 22; Annuario della R. Università degli studi di Napoli, a.a. 1882-83 e seguenti.
La dispersione e la parziale distruzione delle carte del G., dovute soprattutto all'incendio che danneggiò la sua casa napoletana, non ha consentito a tutt'oggi di ricostruire il suo archivio giuridico e politico. Una selezione di lettere e documenti è stata pubblicata da F. Treggiari in Scienza e insegnamento del diritto tra due secoli: l'opera e la fortuna di E. G., in L'esperienza giuridica di E. G., cit., pp. 141 ss. Altre lettere del G., tra cui quelle del 1884-85 a Rudolf von Jhering, con segnalazione di ulteriori corrispondenze inedite e altri autografi, sono state pubblicate da C. Vano nel volume appena citato, pp. 201-219, e in Rudolf von Jhering. Beiträge und Zeugnisse…, a cura di O. Behrends, Göttingen 1993, pp. 139 s. Le lettere inviate dal G. a Josef Unger tra il 1884 e il 1888 sono state edite da F. Treggiari in appendice a E. Gianturco, Crestomazia di casi giuridici in uso accademico, rist. anast. Bologna 1989, pp. XL-XLVI. Una lettera dell'11 maggio 1907 del G. a Giolitti è pubblicata in Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di vita politica italiana, II, a cura di G. Carocci, Milano 1962, pp. 431-433 (v. pure pp. 401, 410, 413, 422). Riferimenti all'attività politica e di governo del G. sono contenuti nel diario di famiglia, tuttora inedito, scritto a partire dal 1890 dalla moglie Remigia Guariglia. Altri riferimenti biografici in Giuseppe (fratello del G.) Gianturco, La mia famiglia dal 1840 al 1890, Napoli 1916 (rist. Venosa 1987).
Considerevole è la serie di scritti commemorativi, apparsi numerosi già a partire dal 1907 e il cui lungo elenco, cronologicamente ordinato, si può leggere in F. Treggiari, Scienza e insegnamento del diritto tra due secoli, cit., pp. 49 ss. La fortuna del G. "onorato", culminata nelle Celebrazioni gianturchiane (Napoli 1957) e proseguita intensa anche dopo l'anniversario, fu segnata, in un suo passaggio cruciale, dalla ricostruzione di A. Rocco, E. G., in La Basilicata nel mondo, III (1926), 4, pp. 248-253 (poi anche in Nuova Antologia, 16 ott. 1926, pp. 405-414, e in Id., Studi di diritto commerciale ed altri scritti giuridici, II, Roma 1933, pp. 389-404), che del G. fece un "precursore" del fascismo (echi in G. Napolitano, Il fattore etico nella realtà e nella dottrina economica, in Riv. di politica economica, XXXI [1941], novembre, p. 807). Sulla scia di questa torsione ideologica e attualizzante del pensiero del G. prese avvio nel 1939 il progetto per l'edizione nazionale delle sue Opere giuridiche, cui dette impulso un'istanza rivolta dai figli del G. al guardasigilli D. Grandi: cfr. Roma, Arch. centrale dello Stato, Min. di Grazia e Giustizia, Gabinetto, b. 31, f. 57, Onoranze ad E. G.; la lettera del 20 ott. 1939 di Mario Gianturco a Dino Grandi è stata edita da F. Treggiari, Scienza e insegnamento del diritto tra due secoli, cit., pp. 141-143.
Punto di partenza per uno studio biografico sono ancora oggi le pagine scritte da F.S. Nitti, Prefazione a E. Gianturco, Opere giuridiche, I, Roma 1947, pp. VII-XVI. Un primo abbozzo di ricostruzione della sua figura politica - già oltre il ritratto convenzionale di G. Leone, E. G. parlamentare moderno, in Id., Testimonianze, Milano 1963, pp. 147-172 - è in G. Sorge, Annotazioni per un profilo storico-politico di E. G., Bolzano 1969 (estr. da Il Cristallo, XI [1969], 2); Id., E. G. nella storia parlamentare della nuova Italia, Roma 1973. Ben più rigorosa è l'analisi di A. Cardini, Statualismo giuridico e riformismo conservatore nel liberalismo di E. G. ministro giolittiano (1886-1907), in L'esperienza giuridica di E. G., cit., pp. 221 ss. Riferimenti puntuali già in F. Barbagallo, Stato, Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno. 1900-1914, Napoli 1976, ad indicem, e negli scritti contenuti in L'esperienza culturale e politica di E. G., a cura di C.D. Fonseca, Napoli 1987. Assai aggiornato storiograficamente è infine il profilo di A. Mazzacane, E. G., in Il Parlamento italiano 1861-1988, VI, Milano-Roma 1989, pp. 467 ss.
Particolarmente approfondita è stata l'analisi del pensiero giuridico del G. nelle ricerche più recenti: cfr. F. Treggiari, E. G.: l'educazione di un giurista (aspetti dell'insegnamento del diritto in Italia tra Otto e Novecento), in Riv. trimestrale di diritto e procedura civile, XL (1986), pp. 1235-1276; i saggi di A. Mazzacane, R. Rascio, F. Treggiari, G. Cianferotti, C. Vano, A. Cardini, F.A. Genovese e P. Beneduce raccolti in L'esperienza giuridica di E. G., cit.; F. Treggiari, Itinerari della casistica. La Crestomazia di E. G. fra modelli illustri e nuove istanze, in E. Gianturco, Crestomazia di casi giuridici in uso accademico (1884), Bologna 1989, pp. V-XLVI; Id., Der Einfluss des deutschen Unterrichtsmodells auf die italienische Rechtskultur: die Fallrechtsmethode, in Deutsche Rechtswissenschaft und Staatslehre im Spiegel der italienischen Rechtskultur während der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, a cura di R. Schulze, Berlin 1990, pp. 158 ss. Cfr. inoltre I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1986, ad indicem; Università e professioni giuridiche in Europa nell'età liberale, a cura di A. Mazzacane - C. Vano, Napoli 1994, ad indicem; A. Mazzacane, A jurist for united Italy: the training and the culture of Neapolitan lawyers in the nineteenth century, in Society and professions in Italy 1860-1914, a cura di M. Malatesta, Cambridge 1995, pp. 80-110.