Emanuele Gianturco
In un’età in cui l’avvocatura e la cattedra giuridica costituiscono le vie maestre della formazione del ceto dirigente, la figura di Emanuele Gianturco offre gli elementi identitari più riconoscibili del giurista della nuova Italia, oltre a raccogliere in sé le vocazioni più caratteristiche del giureconsulto meridionale del suo tempo: privato docente di diritto civile nella Napoli patria delle scuole giuridiche private, professore universitario nella fase del rinnovamento della scienza civilistica italiana, prestigioso avvocato e abile statista di fronte all’aggravarsi della questione sociale.
Emanuele Gianturco nasce ad Avigliano, in Basilicata, il 20 marzo 1857. Alla sua prima educazione provvede il fratello maggiore Giuseppe, insegnante e biografo di famiglia (La mia famiglia dal 1840 al 1890, 1916, rist. 1986). Nel 1875 si trasferisce a Napoli e s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza e al Conservatorio musicale di S. Pietro a Majella. Nella stessa settimana del luglio del 1879 consegue sia il diploma in composizione sia la laurea in giurisprudenza, con la dissertazione Sulle fiducie nel diritto civile italiano, sotto la guida di Giuseppe Polignani e di Diego Colamarino. Da Polignani viene avviato alla pratica forense e alle prime prove scientifiche: recensioni, note a sentenze e saggi, pubblicati nella rivista napoletana «Il Filangieri».
La pubblicazione nel 1882 della tesi di laurea gli vale il titolo di privato docente di diritto civile, ottenuto nello stesso anno a Napoli grazie anche all’aiuto di Giustino Fortunato. Il titolo gli consente di aprire, come era tradizione nella città partenopea (Mazzacane 1994), una scuola privata di diritto civile, destinata a diventare tra le più frequentate di Napoli e nella quale si formeranno, tra gli altri, Vincenzo Simoncelli, Nicola Stolfi, Nicola e Leonardo Coviello. Tra il 1885 e il 1887 vince, ma rifiuta, le cattedre di diritto civile nelle Università di Perugia, Macerata e Messina, preferendo continuare l’insegnamento privato a Napoli, città a cui è legato da sempre più assorbenti impegni di avvocato.
Tra il 1884 e il 1886 pubblica i testi didattici e scientifici per i quali diverrà celebre e che gli valgono, nel 1889, la nomina alla cattedra di diritto civile nell’Università di Napoli, che dal 1892 terrà da ordinario.
Il 1889 è anche l’anno della sua elezione alla Camera dei deputati, nel seggio del III collegio di Basilicata lasciatogli libero da Francesco Crispi e conquistato anche con il sostegno del giovane Francesco Saverio Nitti che, nell’autunno di quello stesso anno, entrerà a collaborare nel suo studio legale. Gianturco sarà in seguito sempre rieletto deputato e ricoprirà numerosi e importanti incarichi di governo: sottosegretario di Stato alla Giustizia nel primo governo presieduto da Giovanni Giolitti (15 maggio 1892-15 dic. 1893), ministro dell’Istruzione pubblica (10 marzo 1896-18 sett. 1897) e poi di Grazia e giustizia e dei Culti (18 sett.-4 dic. 1897) nel secondo governo di Antonio di Rudinì, vicepresidente della Camera dei deputati dal giugno 1899, nuovamente guardasigilli nel governo di Giuseppe Saracco (24 giugno 1900-15 febbr. 1901) e infine ministro dei Lavori pubblici nel terzo governo Giolitti, dal 29 maggio 1906 alla morte, avvenuta a Napoli il 10 novembre 1907, all’età di cinquant’anni.
Già all’indomani della morte e poi, più intensamente, negli anni del regime fascista, in cui prende avvio il progetto di edizione nazionale delle sue Opere giuridiche (poi realizzato nel 1947, in 3 voll.), si sviluppa una fitta letteratura d’intonazione celebrativa e apologizzante (Treggiari, in L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, 1987, pp. 47-61), indirizzata, da un lato, a esaltarne l’opera scientifica all’insegna del «primato» della tradizione giuridica italiana sul «praticismo» della dottrina francese e sull’«astrattismo dogmatico» della scuola tedesca; dall’altro, a cogliere nel suo solidarismo «precursore» e nella sua sollecitazione del «compito sociale dello Stato» una valenza ideologica che la dottrina del fascismo non esita a sfruttare per alimentare retoricamente il suo progetto di composizione autoritaria dei conflitti sociali (Rocco 1926).
All’esempio del maestro Polignani – avvocato e professore di diritto romano a Napoli dal 1863 al 1882, fra i primi traduttori ottocenteschi di manuali tedeschi di pandette – possono essere ricondotte le principali attitudini scientifiche di Gianturco: l’attrazione verso la cultura giuridica tedesca, che fascinerà la sua e le successive generazioni accademiche; l’invenzione del binomio scientifico-didattico costituito dal libro istituzionale e dalla raccolta di casi pratici, inteso simultaneamente a irrobustire la preparazione teorica dello studente e a gettare un ponte tra mondo dell’università e mondo delle professioni; l’osmosi tra l’avvocatura e la cattedra giuridica che, grazie anche all’esperienza formativa delle scuole private di diritto, ancora fiorenti a Napoli tra il 1840 e il 1870, quel ponte contribuiva costantemente a sostenere (Treggiari, in L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, 1987, pp. 83-88; Treggiari 1989, pp. XX e segg., e 1998).
Frutto di queste convergenti inclinazioni sono i tre libri che Gianturco pubblica in rapida successione. Il primo è il volumetto di esercitazioni didattiche su casi pratici, la Crestomazia di casi giuridici in uso accademico (1884; cfr. Treggiari 1989; Gaeta, Stolfi 2007; Stolfi 2009), primo libro di casi giuridici a uso didattico pubblicato in Italia nell’età del codice civile unitario, ideato e redatto sulla traccia dei celebri esempi offerti in Germania da Rudolf von Jhering (Civilrechtsfälle ohne Entscheidungen, 1847, 18702; Die Jurisprudenz im täglichen Leben, 1870), al quale la Crestomazia è entusiasticamente dedicata.
La raccolta di casi (58 in tutto: accanto ad alcune quaestiones di giuristi medievali, vengono formulati casi giudiziali e casi fittizi; ma il piano dell’autore, poi non realizzato, era di far seguire a questa ulteriori raccolte) era stata progettata da Gianturco per essere coordinata con il contenuto delle sue Istituzioni di diritto civile italiano (1885). Anche questo libro – che resterà limitato alla Parte generale e al diritto di famiglia e che nell’edizione del 1892 cambierà titolo in Sistema del diritto civile italiano – è dedicato da Gianturco a un giurista di lingua tedesca, Joseph Unger, al cui System des österreichischen allgemeinen Privatrechts (6 voll., 1856-1864) l’opera italiana si rifà dichiaratamente, nella concezione e nei contenuti (Treggiari 1989, pp. XL-XLVI).
Il modello euristico e didattico risultante dal binomio tra la teoria «dommaticamente esposta» nel manuale istituzionale e la pratica dell’esercizio sui casi, intesa come riprova e necessario «complemento» della teoria, si manteneva sostanzialmente fedele ai canoni pandettistici, sebbene l’invocazione della «felice unione della teoria con la pratica, come nei bei tempi della giurisprudenza romana» (Gli studii di diritto civile e la questione del metodo in Italia: considerazioni, 1881, in Opere giuridiche, 1947, 1° vol., p. 10; Sistema di diritto civile italiano, cit., in Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 29) e la condanna delle astrazioni concettuali e delle «vuote categorie» della scienza giuridica – ribadita sulla scia delle pagine polemiche dello Scherz und Ernst in der Juriprudenz (1884) di Jhering (Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 71) – manifestavano un prudente approccio al dato costruttivo e un non retorico richiamo all’esperienza della prassi, intensamente vissuta dal Gianturco avvocato e docente privato (Treggiari 1989; Cianferotti 2007; Grossi 2000, p. 73).
Se la coppia didattica costituita dal libro sistematico e dal complementare libro di casi non sarebbe riuscita a inaugurare un metodo e un genere in Italia, il manuale giuridico 'elementare' per la scuola troverà invece nell’opera di Gianturco il suo esempio precorritore. Nel 1886, a un anno dall’introduzione nel piano di studi delle facoltà di Giurisprudenza dell’insegnamento di istituzioni di diritto civile, Gianturco pubblica, nella fortunata collana Manuali giuridici dell’editore fiorentino Piero Barbera, una più agile e completa versione delle sue Istituzioni di diritto civile: un testo didattico – anzi un «capolavoro di chiarezza, di precisione, di brevità» (F.S. Nitti, Prefazione a Opere giuridiche, cit., 1° vol., p. XI) – che con le sue numerose edizioni e ristampe sarà tra i più fortunati manuali giuridici italiani, vigente il codice Pisanelli (Alpa 2000, pp. 178 e segg.; Cianferotti 1887).
Con questi suoi tre sussidi didattici, di diverso spessore ma di convergente finalizzazione, Gianturco metteva in opera i propositi espressi anni prima dalle pagine de «Il Filangieri» (Gli studii, cit., in Scritti vari, 1906, pp. 74-105; Opere giuridiche, cit., 1° vol., pp. 3-19), intervenendo sulle condizioni della scienza civilistica italiana a sedici anni dalla promulgazione del codice civile unitario. Ritenuto quasi uno spartiacque nella storia giuridica del nostro Ottocento – per via della condanna dei troppi «commentari esegetici, infarciti di citazioni» circolanti in Italia e l’auspicio di una trattazione sistematica del diritto civile idonea a «colmare le lacune dei nostri codici sui principii fondamentali del nostro diritto» –, questo scritto sullo stato degli studi italiani di diritto privato, più che additare astratte opzioni metodologiche, invitava a considerare le esigenze concrete dell’insegnamento, a rimediare alla mancanza di una buona manualistica per la scuola e a rimarcare la necessità per la scienza giuridica di mantenere uno stretto rapporto con la pratica del diritto (Mazzacane 1989, p. 468; Treggiari, in L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, 1987, pp. 101 e segg.).
La dissertazione di laurea Sulle fiducie nel diritto civile italiano, licenziata per le stampe in quegli stessi mesi (1882; rist. nel 1884 in appendice alla traduzione italiana dei Principes de droit civil del belga François Laurent), testimoniava, del resto – e proprio con riguardo alla trattazione di uno specifico e controverso istituto successorio assai diffuso nei secoli precedenti, ma che il codice civile del 1865 aveva pressoché espulso dal suo sistema –, l’ancoramento di Gianturco alla tradizione dottrinaria e forense precodicistica. In questa stessa chiave può trovare spiegazione anche la sua ferma difesa delle tradizioni giudiziarie locali contro il progetto di Cassazione unica (Treggiari, in L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, 1987, pp. 79-80).
All’impegno politico che caratterizza la seconda fase della sua vita (1889-1907) corrisponde una flessione della produzione scientifica. Di questi anni, oltre ad alcuni brevi studi, sono da segnalare soprattutto le raccolte delle lezioni universitarie di diritto civile, pubblicate a cura degli allievi (Dei diritti reali, 1892; Del diritto delle successioni, 1893; Diritto delle obbligazioni, 1894; Contratti speciali, 3 voll., 1904-1906; poi in Opere giuridiche, cit., 2° vol., pp. 315-563, e 3° vol., pp. 237-626).
Sebbene le opere civilistiche di Gianturco non siano del tutto impermeabili a considerazioni politiche e ad auspici di riforme (Opere giuridiche, cit., 2° vol., pp. 12 e segg.), è soprattutto nei suoi interventi oratori come parlamentare e ministro che i temi della questione sociale si traducono nella critica, comune a non pochi altri giuristi della sua generazione, del liberismo economico e dell’individualismo del codice civile.
La critica ‘sociale’ del diritto privato codificato è già nella breve Lettera agli elettori del 20 aprile 1889, che prepara la sua elezione alla Camera (Discorsi parlamentari, 1909, pp. 1-2); ma ispira soprattutto la prolusione accademica napoletana del 1891 su L’individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale (in Opere giuridiche, cit., 2° vol., pp. 262-69), un discorso che gli farà guadagnare la fama di precursore del 'socialismo giuridico' (Vano 1986; Passaniti 2006, pp. 112-26; Gaeta, Stolfi 2007, pp. 41-48). La critica dell’«individualismo astratto e disorganico» e delle «crudeli leggi della concorrenza» gli fa invocare il «còmpito sociale dello Stato» e «la sua missione di protettore dei deboli» (Sistema, cit., in Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 17) e sollecitare le novità legislative più urgenti: il contratto di lavoro, la riforma dei patti agrari, la repressione dell’usura.
Nel 1893 Gianturco contribuisce all’istituzione dei collegi dei probiviri dell’industria a cui, nel 1902, in occasione della conferenza tenuta presso il Circolo giuridico di Napoli (Sul contratto di lavoro, 1902, in Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 271), riconoscerà il merito d’essere una «giurisprudenza progressiva [...], che supplisce e conforma ai nuovi bisogni la legge [...], compiendo veri miracoli di intuizione giuridica», ma insufficiente da sé sola a risolvere i problemi del lavoro, a cui soltanto un'organica legislazione sul contratto di lavoro avrebbe potuto provvedere.
Tra il 1893 e il 1894 promuove la costituzione della commissione governativa per la riforma dei contratti agrari e del contratto di lavoro, i cui risultati esporrà nella citata conferenza napoletana del 1902, commentandone i punti salienti: la definizione generale di lavoro subordinato (da cui restavano esclusi il lavoro domestico e l’impiego pubblico); l’obbligo del datore di lavoro di «vigilare, con la diligenza del buon padre di famiglia», sulla salute del lavoratore; la contrattualizzazione dell’obbligo di garantire i dipendenti contro gli infortuni sul lavoro (obbligo introdotto dalla l. 17 marzo 1898, n. 80, che aveva istituito il regime dell’assicurazione obbligatoria); il recesso dal contratto, che coinvolgeva «la grave questione degli scioperi», lasciando però alla giurisprudenza il riconoscimento delle sue giuste cause (Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 278; Vano 1986, p. 169; Passaniti 2006, pp. 203-227; Gaeta, Stolfi 2007, pp. 48-57).
Il riformismo sociale propugnato da Gianturco – un riformismo dall’alto, governato da uno Stato non più «indifferente», ma ostile al socialismo, definito «minaccioso», «della cattedra, della Chiesa e della piazza, inneggiante allo Stato onnipotente, monopolizzatore e distributore degli strumenti di lavoro» (Opere giuridiche, cit., 2° vol., p. 265) –, seguiva le linee tipiche del conservatorismo riformatore, che nella risposta legislativa alle più urgenti questioni sociali coglieva piuttosto la finalità di prevenzione dei radicalismi e delle sovversioni dell’ordine costituito, affidando allo Stato il compito di realizzare una «grande opera di pacificazione sociale mercé il diritto» (p. 281), dichiaratamente ispirata al modello bismarckiano (Mazzacane 1989, p. 468).
Numerose sono le riforme promosse da Gianturco nel corso dei diciotto anni del suo impegno di parlamentare e di ministro. Suoi sono, tra gli altri, i disegni di legge sulla ricerca della paternità (1892), sulla condizione giuridica dei figli naturali e delle donne sedotte (1897) e sulla repressione dell’usura (1900), mentre sempre decisa e appassionata è la sua opposizione ai progetti di legge sull’introduzione del divorzio, in difesa dell’«organismo etico della famiglia» (Opere giuridiche, cit., 1° vol., pp. 184-89; 2° vol., pp. 19-27).
Altri suoi disegni di legge riguardano istituti e ordinamenti legislativi particolari: la procedura dei piccoli fallimenti e del concordato preventivo (1897); la riforma del procedimento sommario (1897 e 1900); il domicilio coatto (1900); l’ordinamento giudiziario (1900); la pubblicità dei diritti immobiliari (1905); l’ordinamento dell’esercizio di Stato delle ferrovie (1907). Merita menzione anche il suo disegno di legge di riforma universitaria (1897), con cui si proponeva di restituire alla docenza privata il ruolo di educazione alle professioni (Discorsi, cit., pp. 25 e segg.).
Gianturco manifesta favore nei confronti della sanguinosa repressione dei tumulti milanesi del maggio 1898 – circostanza nella quale viene violentemente contestato dagli studenti dell’Università di Napoli – sostenendo decisamente i provvedimenti restrittivi delle libertà di associazione, di stampa e di sciopero presi dal governo del generale Luigi Pelloux (1898-1900). Schierato nelle file dell’opposizione conservatrice all’epoca del governo Zanardelli, polemizza contro la politica liberale del governo nei confronti della grande ondata di scioperi agrari e industriali d’inizio secolo.
Poco felici sono anche i due provvedimenti censori da lui presi come ministro dell’Istruzione pubblica: il primo, nell’aprile 1896, contro Maffeo Pantaleoni, che induce il collega della facoltà di Napoli a trasferirsi a Ginevra; il secondo, contro Antonio Labriola, per il suo discorso all’Università di Roma del novembre di quello stesso anno, poi stampato e presentato da Benedetto Croce come «uno dei più elevati che si sieno mai sentiti nelle aule universitarie» (in A. Labriola, L’università e la libertà della scienza, a cura di S. Miccolis, Torino 2007, p. 5).
Nel maggio 1906 Gianturco viene chiamato da Giolitti al ministero dei Lavori pubblici. Pur restando in polemica con alcuni indirizzi del governo, in particolare a proposito della delicata questione dell’insegnamento religioso, lavora alacremente ai complessi problemi giuridici ed economici della statizzazione delle ferrovie, conducendola in porto in pochi mesi d’intenso lavoro parlamentare e a prezzo di un enorme sacrificio fisico, già sofferente com'era per il cancro alla gola che lo avrebbe portato di lì a poco alla morte.
Scritti vari (1880-1905), Napoli 1906.
Discorsi parlamentari, Roma 1909.
Opere giuridiche, 3 voll., Roma 1947.
A. Rocco, Emanuele Gianturco, «La Basilicata nel mondo», 1926, 4, pp. 248-53; rist. in Id., Studi di diritto commerciale ed altri scritti giuridici, 2° vol., Roma 1933, pp. 389-404.
G. Sorge, Emanuele Gianturco nella storia parlamentare della nuova Italia, Roma 1973.
F. Treggiari, Emanuele Gianturco: l’educazione di un giurista (aspetti dell’insegnamento del diritto in Italia tra Otto e Novecento), «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1986, pp. 1235-76.
C. Vano, Riflessione giuridica e relazioni industriali fra Ottocento e Novecento: alle origini del contratto collettivo di lavoro, in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1986, pp. 127-32.
L’esperienza giuridica di Emanuele Gianturco, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1987 (in partic.: F. Treggiari, Scienza e insegnamento del diritto tra due secoli: l’opera e la fortuna di Emanuele Gianturco, pp. 47-152; Id., Bibliografia degli scritti giuridici e politici di Emanuele Gianturco, pp. 365-413).
L’esperienza culturale e politica di Emanuele Gianturco, a cura di C.D. Fonseca, Napoli 1987.
F. Treggiari, Itinerari della casistica: la 'Crestomazia' di Emanuele Gianturco fra modelli illustri e nuove istanze, in E. Gianturco, Crestomazia di casi giuridici in uso accademico (1884), rist. anast. Bologna 1989, pp. V-XLVI; G. Cianferotti, Emanuele Gianturco giurista pratico, 157-65).
A. Mazzacane, Emanuele Gianturco, in Il Parlamento italiano 1861-1988, 6° vol., Milano-Roma 1989, pp. 467-69.
A. Mazzacane, Pratica e insegnamento: l’istruzione giuridica a Napoli nel primo Ottocento, in Università e professioni giuridiche in Europa in età liberale, a cura di A. Mazzacane, C. Vano, Napoli 1994, pp. 79-113.
A. Mazzacane, A jurist for united Italy: the training and the culture of Neapolitan lawyers in the nineteenth century, in Society and professions in Italy 1860-1914, ed. M. Malatesta, Cambridge 1995, pp. 80-110.
F. Treggiari, Il ruolo degli avvocati nella formazione del giurista (secoli XVIII-XIX), «Rassegna forense», 1998, pp. 99-117.
U. Gentiloni Silveri, Conservatori senza partito. Un tentativo fallito nell’Italia giolittiana, Roma 1999, pp. 74-78.
G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari 2000.
P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000.
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F. Treggiari, Sistematica e metodo del caso come tecniche complementari d’istruzione giuridica: maestri tedeschi ed epigoni italiani dell’Ottocento, in Per una riflessione sulla didattica del diritto, a cura di V. Cerulli Irelli, O. Roselli, Milano 2000, pp. 105-31.
P. Passaniti, Storia del diritto del lavoro, 1° vol., La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920), Milano 2006.
L. Gaeta, E. Stolfi, Visioni del diritto e impegno politico in Emanuele Gianturco, (introd. di G. Cianferotti) Avigliano 2007.
E. Stolfi, Quaestiones iuris: casistica e insegnamento giuridico in romanisti e civilisti napoletani di fine Ottocento, in Studi in onore di Generoso Melillo, Napoli 2009, pp. 1239-75.
Emanuele Gianturco. Nuovi studi per i centenari, a cura di F. Treggiari, Avigliano 2012.