EMBRIACI o Embriachi
Intagliatori in osso, forse d'origine genovese, attivi a Venezia, per quanto sappiamo, dalla fine del sec. XIV alla prima metà del XV. Ad essi si deve la vastissima produzione di oggetti - altaroli, trittici, cofanetti - decorati di lamelle d'osso istoriate, talvolta lievemente avvivate di colore, entro cornici intarsiate d'osso e di legni di varie tonalità, nel modo detto comunemente "alla certosina". Ne è esempio il grande dossale d'altare della Certosa di Pavia, opera - coi cofani eseguiti per la stessa Certosa, ora smembrati (Milano, Casa Cagnola), sicuramente circoscritti da documenti tra il 1400 e il 1409 - di Baldassare, il più celebre della casata, che i documenti ricordano a Firenze prima del suo fissarsi a Venezia, dove poi si ha notizia di membri della stessa famiglia (un ser Andrea degli Ubbriachi, Antonio e Giovanni, e i loro figli Geronimo e Lorenzo) fino alla metà del sec. XV.
Baldassare, che fu anche banchiere e agente politico dei Visconti, eseguì per loro il dossale, svolgendovi un vastissimo ciclo narrativo relativo alla vita di Cristo e della Vergine e alla storia dei Re Magi, secondo il racconto degli Apocrifi, e i due cofani ricordati, di soggetto profano. Si avvicinano a queste altre opere di grandi dimensioni, come il dossale d'altare dell'abbazia di Poissy oggi a Parigi (Louvre), ecc., ma non possono dirsi le più felici creazioni dell'officina per la monotonia derivante dal soverchio numero di lamelle consimili, per il continuo spezzarsi dell'attenzione nel seguire la quantità degli episodî susseguentisi senza un risultato figurativo d'insieme. Meglio, invece, questo genere decorativo fu applicato in oggetti di minori proporzioni, in cui la sua sobrietà d'effetto si unì, senza turbarla, alla sobrietà architettonica delle forme, sia nelle cornici poligonali di specchi (Firenze, Museo nazionale; Bologna, Museo civico), sia, specialmente, nei cofanetti. Su questi, in due tipi principali, o quadrangolari con copertura a tetto, o a prisma poligonale sormontato da coperchio a piramide (Vienna, collez. Estense; Venezia, Museo Correr, ecc.), pianamente si svolgono in tranquillo ritmo rappresentazioni dei soggetti più cari alla cultura raffinata delle classi ricche, attinti a novelle e romanzi (storia dell'aquila d'oro, di Mattabruna sui cofani di casa Cagnola, ecc.), a leggende dell'antichità (storia di Giasone, su una cassettina del Victoria and Albert Museum di Londra, ecc.; Piramo e Tisbe; storia di Paride, su una cassettina di Vienna, collezione Estense; Teseo, ecc.), a racconti religiosi, tutti trasportati nei modi gentili del tempo.
Lo stile, in genere più contenuto del fluido linearismo proprio degli avorî gotici francesi, per riflesso forse dell'origine toscana dell'arte degli Embriaci, non è però su questi oggetti del tutto omogeneo, sicché più che a differenze di mano nella stessa officina si è pensato addirittura (A. Venturi) a diversi centri di produzione, sempre però localizzati nell'Italia del Nord. Si è poi suddiviso qualitativamente questo materiale in due gruppi, migliore il più arcaico, tra la fine del sec. XIV e i primi anni del XV, intorno all'opera di Baldassare, inferiore il più recente, nei cui esemplari, pur perdurando i modi gotici, particolari architettonici e decorativi dicono il '400 avanzato.
Opere degli Embriaci sono sparse in tutti i musei del mondo; e ricordiamo le raccolte di Londra (British Museum e Victoria and Albert Museum), Parigi (Louvre), Dresda (Grünes Gewölbe), Vienna (Hofmuseum e coll. Estense). In Italia sono da segnalare i pezzi adunati a Bologna (Museo civico), Firenze (Museo nazionale), Ravenna (Museo nazionale), Venezia (Museo Correr), e poi Brescia, Catania, Torino, ecc.
Bibl.: J. von Schlosser, Die Werkstatt der Embriachi in Venedig, in Jahrb. d. kunsthist. Samml. d. Allerh. Kaiserh., XXII (1899), pp. 220-82; B. C. Kreplin, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, X, Lipsia 1914 (con la bibliografia precedente); R. Koechlin, Les ivoires gothiques français, Parigi 1924; D. D. Egbert, North Italian Gothic Ivories, ecc., in Art Studies, VII (1929), pp. 169-206.