Embriologia
di Alberto Monroy
Embriologia
sommario: 1. Introduzione generale. 2. La ricerca embriologica nella prima metà del secolo. a) Regolazione e prelocalizzazione. b) Induzione embrionale. c) Il ruolo del nucleo nello sviluppo. 3. I nuovi sviluppi. a) Analisi di alcuni programmi di sviluppo. b) Interazioni nucleocitoplasmatiche nello sviluppo. c) Alla ricerca delle basi molecolari dell'induzione embrionale. d) Movimenti cellulari coordinati e interazioni cellulari. e) Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione generale
Lo scopo dell'embriologia è lo studio dei processi attraverso i quali l'uovo fecondato diventa un organismo adulto.
La storia della maggior parte degli organismi pluricellulari inizia con la fusione di due cellule dette gameti - un gamete femminile, o uovo, e un gamete maschile, o spermatozoo - nel processo della fecondazione. I processi fondamentali e il significato della fecondazione furono scoperti all'inizio del secolo: era stato ormai chiarito che il ruolo della fecondazione era quello di fondere il patrimonio genetico dei due genitori in un unico nucleo, il nucleo dello zigote. Ma fu la scoperta della meiosi (il processo per cui il numero dei cromosomi dei due gameti viene ridotto a metà) che permise di interpretare correttamente il significato della formazione dello zigote. Infine, nuova luce sui processi elementari che stanno alla base della fusione dei gameti è stata gettata dall'applicazione delle tecniche di microscopia elettronica. La fine analisi strutturale del processo di fusione dei gameti - inaugurata dai Colwin all'inizio degli anni sessanta (v. Colwin e Colwin, 1967) - portò alla scoperta che la fusione dello spermatozoo con l'uovo si realizza attraverso una fusione delle loro membrane plasmatiche, che stabilisce una continuità tra i due gameti. Da queste osservazioni derivò il concetto fondamentale che la fecondazione non è il risultato della ‛penetrazione' di una cellula (lo spermatozoo) in un'altra (l'uovo), ma piuttosto della ‛fusione' delle cellule, con un meccanismo analogo a quello della coniugazione di organismi unicellulari, e ancor più a quello della penetrazione dei batteriofagi nei Batteri. Infatti, in ambedue i casi, sia l'involucro del fago sia la membrana citoplasmatica dello spermatozoo sembrano avere il solo compito di stabilire un contatto tra le due cellule; e infatti vengono poi eliminati.
La fecondazione è seguita da un certo numero di rapidi e importanti cambiamenti nell'uovo; di questi il più evidente è che l'uovo riacquista la capacità di dividersi e, cioè, di replicare il suo DNA. Infatti l'ovocito è una cellula che non ha capacità di replicare il proprio DNA (v. sotto, cap. 3, § a, 2). Dopo la fecondazione l'uovo inizia subito a dividersi e le divisioni si susseguono in rapida successione; si forma così un conglomerato di cellule (blastomeri), chiamato ‛morula'. Il processo di divisione porta a una progressiva diminuzione del volume dei blastomeri e alla formazione di una cavità centrale; in questo stadio l'embrione viene chiamato ‛blastula' e la cavità ‛blastocele'.
La fase successiva è la ‛gastrulazione' che, fatta eccezione per alcuni gruppi zoologici, è uno degli stadi fondamentali dello sviluppo embrionale, sia nei Vertebrati sia negli Invertebrati.
La gastrulazione consiste essenzialmente in una complessa serie di movimenti di massa delle cellule che, in strato compatto, si muovono verso l'interno del blastocele. Nel caso più semplice il movimento causa l'invaginazione di una determinata area, dando luogo alla formazione di una struttura digitiforme, il cosiddetto ‛intestino primitivo' o ‛archenteron', dal quale si formano in seguito le cellule del mesoderma. Nei Vertebrati, invece, l'aspetto più importante della gastrulazione è l'invaginazione di un'area, lungo la linea mediana della quale si forma una struttura tipica dei Vertebrati, la corda dorsale, mentre le cellule che la fiancheggiano, da un lato e dall'altro, daranno origine al mesoderma; per questo motivo tale area viene chiamata cordo-mesoderma. La regione lungo la quale avviene il movimento di invaginazione del cordomesoderma è chiamata ‛blastoporo'. Il contatto tra il cordomesoderma e il sovrastante ectoderma induce l'ectoderma a differenziarsi in sistema nervoso: questa zona ectodermica viene infatti chiamata sistema nervoso ‛presuntivo'. L'aggettivo ‛presuntivo' si applica a qualsiasi territorio embrionale per cui si prevede che, nel normale corso degli eventi, si differenzierà in un determinato tessuto od organo. Il sistema nervoso si presenta all'inizio come un'area ectodermica ispessita (piastra neurale), che poi si trasforma in un tubo (il tubo neurale). Durante questa fase l'embrione si chiama ‛neurula'.
2. La ricerca embriologica nella prima metà del secolo
All'inizio di questo secolo, i problemi dello sviluppo embrionale attirarono l'attenzione di alcune tra le menti più brillanti dell'epoca. I biologi non potevano più accontentarsi del modesto ruolo di osservatori degli eventi che si verificavano in un organismo in sviluppo. Si era infatti raggiunto uno stadio in cui era chiaro che, per poter procedere ulteriormente nello studio dei processi dello sviluppo, bisognava sottoporre gli embrioni alla sperimentazione: l'esperimento, cioè l'alterazione programmata del normale corso degli eventi, era l'unico modo per porre quesiti specifici all'embrione. Ciò fu fatto sviluppando ingegnose tecniche microchirurgiche che permisero di effettuare esperimenti di espianto e di trapianto di regioni embrionali e quindi di porre quesiti sul ruolo delle interazioni tra regioni diverse. Fu un importante passo avanti nello studio dell'embriologia, che fornì un numero impressionante di risultati di importanza fondamentale. Tali studi aumentarono in progressione logaritmica fino alla fine degli anni trenta e poi lentamente diminuirono.
In questo articolo, la presentazione della materia sarà divisa in due parti. Nella prima offriremo una breve rassegna dei risultati più importanti ottenuti dalla cosiddetta embriologia sperimentale classica, e cioè del periodo che intercorre tra gli esperimenti di W. Roux e di H. Driesch (alla fine del secolo scorso) e la metà degli anni cinquanta; nella seconda parte tratteremo più dettagliatamente i nuovi sviluppi che, sia a livello morfologico sia biochimico, sono stati catalizzati dall'avvento della biologia molecolare. Questa è, in un certo senso, una suddivisione artificiale, considerando che i risultati ottenuti dall'embriologia sperimentale classica rappresentano in effetti la base che ha permesso i nuovi sviluppi, e cioè di affrontare in modo nuovo problemi classici. D'altro canto, la distinzione sembra essere giustificata dal fatto che i recenti sviluppi, dipendenti dall'avvento della biologia molecolare, sono dovuti non soltanto all'introduzione di nuove tecniche, ma soprattutto a un diverso modo di considerare i problemi; la distinzione è cioè ‛concettuale'.
Le più importanti scoperte dell'embriologia sperimentale classica sono i processi di regolazione e di prelocalizzazione e i processi di interazione tra i territori e gli abbozzi embrionali che danno luogo all'induzione embrionale.
a) Regolazione e prelocalizzazione
Nelle uova di alcuni animali - un esempio classico è quello dell'uovo di riccio di mare - la separazione dei primi due blastomeri dà luogo alla formazione di due embrioni completi, anche se di taglia minore; quindi ciascuno dei due blastomeri, che secondo il normale corso degli eventi avrebbe dato origine a mezzo embrione, deve poter regolare la propria organizzazione in modo tale da dare origine anche alle parti che si sarebbero sviluppate dall'altra metà. Lo stesso risultato si è ottenuto con la separazione dei primi due blastomeri dell'embrione di anfibio. Se un uovo non fecondato di riccio di mare viene tagliato in due metà lungo l'asse longitudinale (che è anche l'asse della prima segmentazione) e le due metà vengono fecondate, da ciascuna metà si sviluppa un embrione completo. Se invece l'uovo viene tagliato secondo un piano orizzontale, solo la metà inferiore, cioè la parte dalla quale si formano l'intestino e lo scheletro della larva, e che è chiamata metà ‛vegetativa', darà origine a una larva più o meno normale; la metà superiore, la metà ‛animale', dalla quale essenzialmente si sviluppa l'ectoderma, darà origine soltanto a una sfera cava (S. Hörstadius).
In quest'uovo, quindi, già prima della fecondazione, deve esistere lungo l'asse animale-vegetativo una certa organizzazione, anche piuttosto rigida. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che tale organizzazione animale-vegetativa è distribuita lungo due gradienti che vanno in direzione opposta: le proprietà animali decrescono dal polo animale al polo vegetativo, mentre le proprietà vegetative si estendono in direzione opposta, dal polo vegetativo al polo animale (v. sotto, cap. 3, § a, 2). Altre uova, come quelle dei Molluschi, hanno certamente un'organizzazione più rigida, in quanto la rimozione di una qualsiasi loro parte provoca la perdita irreparabile delle strutture che da essa avrebbero dovuto formarsi.
I due concetti dei gradienti e della prelocalizzazione, e specialmente quest'ultimo, hanno avuto un ruolo importante nel successivo sviluppo dell'embriologia. Essi dimostrano, infatti, che alcune delle proprietà dell'uovo sono fissate prima che l'uovo sia fecondato e cioè durante l'ovogenesi (v. sotto, cap. 3, § a, 2).
b) Induzione embrionale
Il differenziamento di ciascun territorio dell'embrione e di ciascun abbozzo di organo dipende da una interazione con un altro o con altri territori, come è stato dimostrato sperimentalmente. Il primo caso scoperto, che è inoltre uno dei più chiari esempi di induzione, fu quello della lente cristallina dell'abbozzo oculare nell'embrione di anfibio. Il cristallino si sviluppa dall'ectoderma sovrastante l'abbozzo oculare e il suo differenziamento richiede un contatto tra l'ectoderma e l'abbozzo oculare che ha origine dal diencefalo. Se l'ectoderma contenente il territorio presuntivo del cristallino (cioè l'ectoderma che diverrebbe il cristallino nel normale corso degli eventi) viene trapiantato in un altro territorio prima del contatto con l'abbozzo oculare, non si ha differenziamento di cristallino; si ottiene lo stesso risultato se si impedisce il contatto o con mezzi meccanici o asportando l'abbozzo oculare. Invece, se si scambia l'ectoderma presuntivo del cristallino con l'ectoderma di un altro territorio di un embrione della stessa età o più giovane (per es., l'ectoderma presuntivo dell'addome), dall'ectoderma trapiantato si sviluppa un cristallino; si ottiene lo stesso risultato se l'abbozzo oculare viene trapiantato ectopicamente al di sotto dell'ectoderma dell'addome di un embrione. Non si ottiene, comunque, alcuna induzione se viene usato per il trapianto ectoderma di uno stadio più avanzato.
Un caso più spettacolare è quello dell'interazione tra il cordo-mesoderma e l'ectoderma sovrastante, che porta al differenziamento di quest'ultimo in sistema nervoso. Nel corso della gastrulazione il territorio presuntivo della corda dorsale e del mesoderma scivola progressivamente al di sotto dell'ectoderma dorsale. Il contatto tra i due tessuti induce l'ectoderma a differenziarsi in sistema nervoso. Anche in questo caso, se si impedisce il contatto non si ha differenziamento. Se il labbro blastoporale dorsale (la zona lungo la quale il cordo-mesoderma scivola sotto l'ectoderma dorsale) viene trapiantato nella regione ventrale di un embrione della stessa età o più giovane, il trapianto continuerà a invaginarsi, finché il materiale trapiantato si porterà al di sotto dell'ectoderma ventrale dell'embrione ospite che sarà indotto a differenziarsi in sistema nervoso secondario.
È stata questa una delle scoperte fondamentali dell'embriologia sperimentale (v. Spemann e Mangold, 1924) che hanno portato alla formulazione del concetto di ‛organizzatore'. Secondo Spemann, infatti, l'induzione del sistema nervoso centrale causata dal materiale del labbro dorsale del blastoporo (che perciò è stato chiamato ‛organizzatore') è l'evento essenziale responsabile dell'organizzazione generale dell'embrione. Anche in questo caso, affinché si abbia un'induzione, è necessario che l'embrione ospite sia della stessa età o più giovane del donatore; un ectoderma di stadio più avanzato non reagisce all'induzione; esso cioè ha perduto la ‛competenza' a reagire (v. sotto, cap. 3, § c).
Secondo quanto mostrato dagli esperimenti, il risultato dell'induzione è che il destino del territorio indotto va incontro a una progressiva determinazione, dapprima in modo labile e poi in maniera irreversibile: è quindi ‛determinato' o irreversibilmente destinato a differenziarsi in una certa direzione. Dall'analisi dei processi di induzione derivano due importanti concetti. In primo luogo, affinché l'interazione induttiva sia efficace, essa deve aver luogo in un intervallo di tempo ben determinato, durante il quale il sistema reagente (per es., il cristallino presuntivo, o l'ectoderma neurale o altro ectoderma) sia competente a reagire. In secondo luogo, l'induzione non è un processo ‛tutto o nulla', ma ha un parametro di tempo, onde è necessario un certo periodo di contatto tra l'induttore e il sistema reagente affinché l'induzione dia luogo a determinazione.
Queste osservazioni chiaramente suggerivano che l'induzione era dovuta a un processo chimico. Sin dall'inizio degli anni trenta in diversi laboratori si cominciarono a studiare le basi chimiche del processo dell'induzione. Tali studi sono ancora in corso; i più recenti sviluppi saranno discussi in seguito (v. sotto, cap. 3, § c). Basti qui dire che il problema si è dimostrato estremamente difficile. È stata comunque compiuta una vasta mole di lavoro che ha largamente contribuito alla conoscenza della biochimica dello sviluppo embrionale.
Una nuova svolta a questi studi fu impressa dalle ricerche di J. Holtfreter, che ebbero un po' l'effetto di una bomba. Gli esperimenti di Holtfreter dimostrarono che l'induzione può essere causata da una grande varietà di tessuti, sia embrionali sia adulti, omospecifici ed eterospecifici; e che tessuti privi di potere induttivo allo stato vivente possono acquisirlo se sottoposti ad alcuni drastici trattamenti, come bollitura, estrazione con alcool, ecc. In questo caso, però, il sistema reagente, di solito un ectoderma competente, dà luogo a una varietà di strutture apparentemente senza ordine. Questi risultati suggerirono che la sostanza, o le sostanze, inducenti sono probabilmente presenti in ogni cellula e si liberano in determinate condizioni. Anche di questo problema ci occuperemo nuovamente in seguito (v. sotto, cap. 3, § c).
I lavori di Holtfreter si possono considerare come l'evento conclusivo dell'era della ‛meccanica dello sviluppo'; seguì un lungo crepuscolo durante il quale l'embriologia fu considerata con un certo scetticismo, e cioè come un campo alquanto improduttivo, se non addirittura sterile, della biologia. In verità, gli sviluppi della morfologia sperimentale erano stati spinti oramai al limite, e rimanevano ancora da definire i dettagli minori, mentre, d'altro canto, gli studi chimici erano ancora limitati allo studio generale del metabolismo.
c) Il ruolo del nucleo nello sviluppo
Gli sviluppi della genetica e dell'embriologia furono sostanzialmente coevi; nei primi anni fu chiaro a tutti i biologi che le basi dei processi dello sviluppo andavano ricercate nell'interazione tra citoplasma e nucleo. Questo concetto fu mirabilmente espresso da Th. H. Morgan (v., 1934) in questi termini: ‟Si può supporre che le differenze iniziali nelle varie regioni citoplasmatiche influiscano sull'attività genica. I geni a loro volta influiranno sul protoplasma, e ciò darà inizio ad una nuova serie di interazioni. Possiamo così raffigurarci la graduale elaborazione e il differenziamento delle varie regioni dell'embrione". Questa idea tuttavia poco a poco perse mordente. Si può giustificare il fatto con la mancanza di mezzi sperimentali che permettessero di affrontare il problema e, soprattutto, con la mancanza di una base concettuale che permettesse di porre i quesiti nei loro giusti termini. Finché la locuzione ‛espressione genica' rimaneva vaga, indefinita, era molto difficile elaborare uno schema sperimentale che potesse colmare la lacuna tra espressione del genoma e realizzazione fenotipica. Il risveglio dell'embriologia all'inizio degli anni sessanta è stato catalizzato dagli esplosivi sviluppi della biologia molecolare e dai progressi nel campo dello studio delle ultrastrutture.
Il contributo fondamentale della biologia molecolare (elaborata essenzialmente in base ad esperimenti sul batte- rio Escherichia coli) fu di fornire una base per comprendere il significato dell'espressione genica attraverso i processi di sintesi dei prodotti genici (‛trascrizione') e della loro successiva ‛traduzione' nelle sequenze di amminoacidi delle catene polipeptidiche. Infatti, sebbene fosse ben fondata l'idea che a livello molecolare il primo passo del differenziamento era la sintesi di proteine specifiche, soltanto la scoperta dell'RNA messaggero (mRNA) consentì di colmare la lacuna esistente tra la sintesi di queste proteine e l'attività di un gene (o di geni) specifico. A sua volta questa scoperta convalidò il concetto che l'evento fondamentale del differenziamento è quello di un'attività genica differenziale. Quindi il problema centrale dell'embriologia divenne quello di individuare l'esistenza di controlli sia dell'attività genica differenziale, sia dell'utilizzazione fenotipica della trascrizione dei geni, cioè del processo di traduzione. A questo punto, quindi, lo sviluppo embrionale poteva essere discusso in termini di controlli e in tal modo esso divenne immediatamente accessibile all'analisi usando i concetti della biologia molecolare.
Diverse importanti conseguenze derivarono da ciò. In primo luogo, sebbene sia oramai ammesso che l'uovo non è una ‟Escherichia coli glorificata" (v. Monroy, 1970), non vi è dubbio che a livello molecolare i processi fondamentali della regolazione dell'espressione genica sono essenzialmente identici nei Procarioti e negli Eucarioti. In secondo luogo, la complessità degli organismi eucariotici si sovrappone ma non elimina una fondamentale identità tra l'organizzazione dei Procarioti e degli Eucarioti. Terzo, in questo contesto la parola ‛embriologia' perde parte del suo significato operativo e ‛biologia dello sviluppo' sembra essere una denominazione più appropriata. Infatti, dato che il problema fondamentale è quello dei meccanismi, di come cioè il differenziamento sia controllato a livello molecolare, è del tutto irrilevante che l'organismo in esame sia un embrione, un abbozzo di organo, un organo in rigenerazione o un eucariote unicellulare. La scelta del materiale diventa però essenziale in relazione ai quesiti che si pongono; in altre parole, in relazione alla possibilità di porre ‟quesiti significativi, quesiti cioè ai quali si può dare una risposta con esperimenti idonei" (v. Monroy, 1970). Quarto, bisogna riconoscere che i progressi della biologia molecolare sono stati strettamente legati alla disponibilità di organismi estremamente adatti all'analisi genetica. Non vi è alcun dubbio che i marcatori genetici (cioè la possibilità di ottenere mutanti) siano indispensabili per un'approfondita analisi dello sviluppo. Sfortunatamente, gli organismi più adatti all'analisi dello sviluppo sono i meno adatti agli esperimenti genetici e nella maggior parte di essi i marcatori genetici mancano del tutto.
Concludendo, nello studio dello sviluppo l'attenzione è ora concentrata sui programmi di sviluppo, programmi che derivano dall'attività coordinata di un certo numero di controlli a livello sia della trascrizione sia della traduzione. È necessario comunque sottolineare che sebbene sia probabile che l'analisi molecolare possa in ultimo fornire una risposta al quesito degli schemi organizzativi dell'embrione, al momento questa possibilità appare abbastanza remota. In altre parole, siamo ancora nell'impossibilità di colmare la lacuna tra processi di trascrizione e di traduzione e processi che controllano la realizzazione del piano tridimensionale nell'embrione. Esempio di questo problema sono i movimenti morfogenetici che verranno discussi in quest'articolo. (Per un'ulteriore analisi, v. sviluppo embrionale e neurogenesi).
3. I nuovi sviluppi
a) Analisi di alcuni programmi di sviluppo
1. Il programma dello sviluppo dei Mixomiceti. - I Mixomiceti sono organismi di un certo interesse in quanto iniziano il loro ciclo vitale come singole amebe che si nutrono di Batteri e continuano a dividersi finché il nutrimento è disponibile. Quando questo si esaurisce o viene rimosso si produce un immediato cambiamento: le amebe non si dividono ulteriormente e cominciano ad aggregarsi. In una coltura su terreno solido (agar o filtri Millipore), l'aggregazione ha luogo in diversi centri. Essa è controllata chemiotatticamente dalla diffusione di un agente chimico, chiamato acrasina (molto probabilmente l'AMP ciclico; v. Bonner e altri, 1969), liberato da singole cellule che agiscono poi come centro di aggregazione. È stato provato che l'agente di aggregazione è prodotto e liberato con pulsazioni brevissime di frequenza determinata (v. i contributi di Cohen e Robertson, 1971). Gli aggregati formano proiezioni digitiformi o limaciformi (slugs), dalle quali dopo un certo tempo si sviluppa un corpo apicale a forma di limone (il corpo fruttifero); questo sovrasta un peduncolo ricoperto di cellulosa, che a sua volta aderisce al terreno solido a mezzo di un disco basale. Le spore si differenziano nel corpo fruttifero dal quale sono infine liberate, dando origine ad amebe che iniziano un nuovo ciclo. Questo complesso programma di sviluppo, che inizia con organismi unicellulari che poi si fondono dando origine ad organismi pluricellulari con parti differenziate, si presta all'analisi di alcuni problemi di interesse generale per lo studio dello sviluppo. Si è trovato che in alcuni tipi di mutanti il programma di sviluppo che abbiamo delineato viene alterato in diverse fasi. L'analisi sierologica e biochimica ha permesso di individuare un certo numero di prodotti che sono specifici di determinate fasi del ciclo. D'altra parte l'associazione dei metodi biochimici con lo studio dei mutanti ha reso possibile l'analisi del controllo genetico degli eventi dello sviluppo a livello molecolare. Un esempio di tale studio è il controllo della sintesi dell'enzima uridingalattosio-polisaccaride transferasi (UDP-Gal-PTasi; v. Sussman, 1966) che catalizza l'incorporazione di galattosio in un polisaccaride che si accumula durante l'aggregazione cellulare e durante la formazione dello slug e che poi rapidamente scompare durante il differenziamento del corpo fruttifero. La scomparsa dell'attività enzimatica è da attribuirsi al fatto che l'enzima viene escreto dalle cellule. Che il ciclo enzimatico si trovi sotto il controllo di un programma di sviluppo è provato dall'analisi del ciclo in alcuni mutanti. In due mutanti che non raggiungono lo stadio in cui compare il polisaccaride non vi è alcun aumento di attività enzimatica. In altri due mutanti che formano slugs migranti, ma che non danno origine a corpi fruttiferi maturi, l'enzima si accumula come nei ceppi selvatici, ma non viene poi escreto. Un altro mutante, che presenta un'alterazione nella sequenza temporale dei processi, è particolarmente interessante, perché in questo caso la maggior parte ma non tutti gli eventi dello sviluppo iniziano prima e vengono completati più velocemente che nel ceppo selvatico. In questo mutante si formano masse di cellule e spore filiformi, mescolate caoticamente in aggregati a papille e appiattiti. In conformità con l'accelerazione generale del programma di sviluppo, l'attività della transferasi inizia e scompare in anticipo rispetto al ceppo selvatico.
La comparsa dell'attività dell'UDP-Gal-PTasi non è dovuta all'attivazione di una forma inattiva preesistente dell'enzima, bensì alla sua sintesi de novo: essa, infatti, è completamente soppressa se si aggiunge alla coltura un inibitore delle sintesi proteiche nel momento in cui l'enzima compare per la prima volta. Al contrario, un inibitore della sintesi dell'RNA (actinomicina D, che inibisce l'attività dell'RNA polimerasi DNA-dipendente), aggiunto nello stesso periodo, non interferisce con il normale ciclo dell'enzima. La sintesi dell'enzima viene però soppressa totalmente se si aggiunge l'actinomicina alla coltura diverse ore prima dell'inizio della sintesi enzimatica. Infatti, quanto più l'aggiunta dell'inibitore è vicina all'inizio dell'attività enzimatica, tanto minore è l'inibizione. Questa osservazione è di un certo rilievo in quanto dimostra che i prodotti genici, cioè gli mRNA, che controllano la sintesi enzimatica, vengono trascritti con un certo anticipo rispetto alla loro effettiva utilizzazione. Questa situazione è abbastanza frequente nello sviluppo embrionale e in generale nei sistemi che si differenziano: ciò dimostra che la trascrizione spesso precede, e talvolta di molto, gli eventi della traduzione. Devono quindi esistere nelle cellule meccanismi che in qualche modo rendono non traducibili gli mRNA (viene usato talvolta il termine improprio di ‛messaggeri mascherati') che entrano poi in funzione in determinati momenti. Non sappiamo nulla sulla natura e sui meccanismi di questo controllo.
2. Il programma dello sviluppo dell'uovo animale. - È oramai ben noto che le prime fasi dello sviluppo di tutti gli animali sono in gran parte programmate durante l'ovogenesi. La migliore dimostrazione è data da alcune osservazioni genetiche, delle quali la più antica e ancora una delle migliori è quella di Boycott, Diver, Garstang e Turner (v., 1931) i quali dimostrarono che la direzione delle volute del guscio della lumaca Limnea è controllata da geni materni che si esprimono durante l'ovogenesi. Le uova di Limnea appartengono al gruppo delle Spiralia: i piani di segmentazione dell'uovo non sono perpendicolari l'uno all'altro, ma spostati l'uno rispetto all'altro, così da originare una disposizione a spirale. Nei Molluschi la direzione dei piani di segmentazione, che può essere oraria o antioraria, corrisponde alla direzione delle spirali della conchiglia. Queste osservazioni dimostrano quindi che la direzione dei piani di segmentazione è una caratteristica controllata da geni la cui attività si esprime durante l'ovogenesi e che influenza l'organizzazione molecolare del citoplasma dell'ovocito in modo tale da dar luogo a un'orientazione oraria o antioraria dei piani di segmentazione.
Risultati interessanti sono stati ottenuti anche dall'analisi di alcuni ibridi interspecifici e intergenerici (principalmente di Echinodermi e Anfibi): questi esperimenti hanno dimostrato che nelle prime fasi dello sviluppo compaiono solo caratteri materni, mentre i caratteri della specie paterna compaiono molto più tardi. Gli esperimenti di separazione di parti dell'uovo di riccio di mare provano inoltre che l'asse animale-vegetativo dell'uovo è già fissato prima della fecondazione.
Il problema ora è quello di sapere quale sia la base molecolare del programma di sviluppo fissato nell'ovocito. Durante l'ovogenesi ha luogo una sintesi molto attiva di prodotti genici (cioè di molecole di RNA), e in particolare di mRNA, che vengono accumulati in grande eccesso rispetto alle necessità immediate dell'ovocito. È stato dimostrato che questi RNA sono destinati ad essere utilizzati dopo la fecondazione.
Nelle uova di riccio di mare esposte all'actinomicina D prima della fecondazione e lasciate sviluppare in presenza di questo farmaco (v. Gross e Cousineau, 1963) la sintesi dell'RNA è praticamente del tutto soppressa; eppure l'uovo si divide e si sviluppa fino allo stadio di blastula in maniera apparentemente normale. Di maggior rilievo è il fatto che la quantità totale di proteine sintetizzate è identica a quella degli embrioni di controllo. Gli embrioni comunque non riescono a raggiungere la gastrulazione; infatti la sintesi dell'mRNA che controlla la gastrulazione ha luogo tra la fecondazione e lo stadio di biastula (v. sotto, punto 4, A). In base a questo esperimento si può concludere che lo sviluppo fino allo stadio di biastula non richiede una sintesi continua di RNA; esso infatti è diretto dall'mRNA presente nell'uovo prima della fecondazione, e cioè dall'RNA sintetizzato durante l'ovogenesi.
Questa conclusione è avvalorata da osservazioni compiute sull'uovo del rospo Xenopus laevis, che hanno dimostrato che una rilevante frazione dell'mRNA sintetizzato durante l'ovogenesi viene conservata fino alla maturazione (v. Davidson e altri, 1956). È stato anche dimostrato che l'mRNA accumulato nell'ovocito contiene copie di circa 104-105 sequenze genomiche diverse, il che significa un gran numero di messaggeri differenti (v. Davidson e Hough, 1971). È generalmente ammesso che questa riserva di mRNA venga utilizzata solo dopo la fecondazione, e che quindi essa sia responsabile del controllo della maggior parte delle sintesi proteiche durante le prime fasi dello sviluppo. Queste osservazioni implicano anche l'esistenza nell'ovocito dei meccanismi che rendono non traducibili gli mRNA. I meccanismi alla base di questo fenomeno non sono chiari. Lo studio della fecondazione dell'uovo di riccio di mare ha fornito qualche indicazione. Infatti si è trovato che nell'uovo non fecondato di riccio di mare un inibitore ribosomico rende i ribosomi incapaci di interagire con l'mRNA (v. Monroy e altri, 1965; v. Metafora e altri, 1971). Quindi questa condizione effettivamente impedisce l'utilizzazione dell'mRNA. Non è chiaro se questa sia l'unica condizione che interferisce con l'attività di sintesi proteica dell'uovo non fecondato, o se l'mRNA sia anch'esso presente in condizioni di non-traducibilità. Non si sa neanche come e quando nel corso dell'ovogenesi sia sintetizzato l'inibitore. È interessante notare che nelle uova di Anfibi il tasso di sintesi proteica decresce quando l'ovocito entra nell'ovidutto, ma l'inibizione è soppressa immediatamente dopo la deposizione dell'uovo. Questo fenomeno può essere simulato dall'anaerobiosi; non si sa comunque se questo sia il meccanismo operante nell'ambiente uterino (v. Smith e Ecker, 1970). Nel caso dell'uovo di riccio di mare esistono prove che l'inibitore è rimosso alla fecondazione, anche se rimane sconosciuto il processo responsabile di questa rimozione. È interessante comunque rilevare che la fecondazione determina una reazione per cui i ribosomi vengono immediatamente attivati; essi cioè acquistano immediatamente la capacità di partecipare alla sintesi proteica. D'altro canto, poichè il tasso della sintesi proteica aumenta gradualmente durante le prime fasi dello sviluppo, devono esistere altri meccanismi di regolazione che controllano l'utilizzazione sequenziale dell'mRNA.
Da questo punto di vista, quindi, la fecondazione può essere considerata come il processo che attiva l'utilizzazione delle informazioni genetiche accumulate nell'ovocito durante l'ovogenesi. Ma non solo questo. Nel passare da ovogonio a ovocito la cellula perde la capacità di replicare il proprio DNA e di dividersi (le divisioni meiotiche non comportano replicazione di DNA). Una delle prime conseguenze della fecondazione, e una delle più spettacolari, è che l'uovo riacquista la capacità di replicare il proprio DNA e di dividersi. Gli eventi alla base di questo fenomeno non sono stati ancora completamente chiariti. Esistono prove che l'attività della DNA polimerasi, molto ridotta nell'ovocito, subisce un aumento considerevole all'inizio della maturazione. In accordo con questa osservazione, si è visto che nuclei di cellule somatiche o DNA iniettati in ovociti maturi di Anfibi iniziano immediatamente a sintetizzare DNA, ma che ciò non si verifica se l'iniezione è fatta in ovociti che non hanno raggiunto la maturazione (v. Gurdon e Woodland, 1968 e 1970).
Questi esperimenti dimostrano quindi che, mentre nuclei estranei rispondono all'ambiente citoplasmatico dell'ovocito maturo, il nucleo di questa cellula (chiamato vescicola germinale) non risponde; ciò conferma l'esistenza di una condizione intrinseca del nucleo dell'ovocito che, pur verificandosi tutte le condizioni necessarie, non riesce a replicare il proprio DNA. Ancora una volta, la replicazione del DNA è iniziata dalla fecondazione, ma rimangono sconosciuti i meccanismi responsabili del processo.
Come abbiamo già accennato (v. sopra, cap. 1), il primo passo dello sviluppo embrionale è la segmentazione, che ha come risultato l'origine dall'uovo di un organismo multicellulare. È questa, però, una descrizione alquanto semplificata della segmentazione. Infatti le cellule che costituiscono quest'oggetto multicellulare non sono tutte uguali. In precedenza (v. sopra, cap. 2, § a) abbiamo descritto alcuni esperimenti che illustrano i diversi risultati ottenuti tagliando un uovo di riccio di mare in due metà, a seconda che il taglio venga fatto lungo l'asse animale-vegetativo o perpendicolarmente ad esso: nel primo caso hanno origine due embrioni completi; nel secondo, solo dalla metà vegetativa si sviluppa un embrione completo, mentre la metà animale dà origine a una sfera cava. L'esperimento dimostra che la metà animale e la metà vegetativa dell'uovo sono portatrici di proprietà diverse; ma si è ancora all'oscuro sulla natura di tali proprietà. Dopo la fecondazione, i solchi della prima e della seconda divisione tagliano l'uovo rispettivamente in due e quattro blastomeri; la separazione microchirurgica dei quattro blastomeri porta alla formazione di quattro embrioni completi, anche se di dimensioni minori. Il solco della terza divisione è perpendicolare ai primi due e separa un quartetto di blastomeri superiore (animale) e uno inferiore (vegetativo). Una separazione sperimentale dei due quartetti riproduce i risultati della separazione orizzontale dell'uovo; cioè solo il quartetto vegetativo si sviluppa in un embrione normale. Alla quarta divisione, al polo vegetativo si raccoglie un gruppo di quattro piccoli blastomeri: essi sono chiamati ‛micromeri' (in quanto sono molto più piccoli di tutti gli altri blastomeri) e sono i precursori dello scheletro della larva. I micromeri possiedono una proprietà molto interessante: se trapiantati in una metà animale isolata (che da sola darebbe origine soltanto a una sfera cava) essi le conferiscono la capacità di svilupparsi in un embrione normale. Se trapiantati in un embrione completo, portano alla formazione di un embrione secondario (e cioè una situazione simile a quella dell'impianto del labbro dorsale del blastoporo della gastrula di anfibio). Possiamo quindi comprendere perché una metà vegetativa isolata riesca a svilupparsi in un embrione normale, mentre una metà animale isolata non ha questa possibilità; la parte vegetativa deve essere portatrice di qualche ‛fattore' dal quale dipende il differenziamento generale dell'embrione e che, con la segmentazione, viene segregato nei micromeri. Si potrebbe quindi dire che il ruolo minimo della segmentazione è quello di isolare delle proprietà che nell'uovo non segmentato, anche se localizzate di preferenza in determinate zone, formano ancora un tutto unico col resto del citoplasma. Uno degli esempi più evidenti (v. Coniklin, 1905) è l'uovo del tunicato Styela. L'uovo non fecondato è di colore giallastro alquanto omogeneo; immediatamente dopo la fecondazione esso subisce una serie di mutamenti di forma rapidi e drammatici (evento comune tra i Tunicati), contemporanei a, o causati da, rapidi spostamenti interni, che danno luogo a una ridistribuzione dei costituenti citoplasmatici. Una volta terminato il processo (che dura solo qualche minuto), si possono distinguere tre principali aree o plasmi a mezzaluna: a) una mezzaluna gialla (la più grande e ricca di mitocondri); b) una mezzaluna grigio ardesia; c) una mezzaluna color grigiastro trasparente. Conklin è riuscito a seguire il destino dei materiali delle tre zone durante il corso dello sviluppo (che va sotto il nome di cell lineage) e ha scoperto che essi si segregano costantemente e con precisione in determinati blastomeri dai quali, nel corso dello sviluppo, hanno origine determinate strutture. Dai blastomeri che contengono il materiale giallo ha origine la muscolatura della larva; il materiale grigio ardesia dà luogo alla corda dorsale; dai blastomeri contenenti il materiale grigio trasparente ha origine il sistema nervoso. Queste osservazioni costituiscono un eccellente esempio di segregazione precoce di materiali specifici per determinate strutture. Le zone colorate furono chiamate da Conklin ‟sostanze organo-formatrici"; ulteriori studi, comunque, hanno reso più probabile l'ipotesi che non sia il materiale colorato in sé, ma piuttosto il citoplasma che lo contiene il responsabile del differenziamento specifico dei vari territori. Rimane sconosciuta la base chimica e molecolare della segregazione.
È probabile che, una volta completata la segregazione e la localizzazione, i singoli nuclei vadano soggetti a diverse influenze nei vari biastomeri, il che potrebbe dar luogo a una attivazione e/o repressione genica differenziale. Uno degli esempi più drammatici dell'azione differenziale dei vari territori citoplasmatici sui nuclei è quello della segregazione della linea germinale nell'insetto Wachtliella persicaria (v. Geyer-Duszynska, 1959). Al polo posteriore dell'uovo si può identificare, grazie al suo aspetto vacuolare, una zona citoplasmatica detta ‛plasma polare'; i vacuoli sono pieni di una sostanza che all'analisi citochimica appare ricca di RNA. Nelle prime fasi dello sviluppo dell'uovo dell'insetto, le divisioni nucleari non sono accompagnate da divisioni citoplasmatiche e, infatti, i nuclei si accumulano nella regione centrale dell'uovo. Soltanto in uno stadio successivo essi migrano verso la superficie dell'uovo, dove ciascun nucleo viene circondato da un'area citoplasmatica (formazione del blastoderma). Comunque, molto prima che ciò i verifichi, e cioè dopo la terza segmentazione dei nuclei, uno di essi si sposta verso la regione del plasma polare, che subito dopo si stacca dando origine così alla cellula progenitrice della linea germinale. Dopo la penetrazione del nucleo nel plasma polare ha luogo un fenomeno molto interessante; mentre tutti i nuclei originati dalla terza segmentazione perdono tre quarti (30 su 40) dei loro cromosomi, il nucleo penetrato nel plasma polare conserva intatto il numero dei cromosomi. Se si centrifuga l'uovo prima dell'inizio della segmentazione e il materiale contenente RNA del plasma polare viene dislocato in un'altra zona dell'uovo (il citoplasma vacuolare non subisce spostamenti), si osserva che qualsiasi nucleo che penetri in questo materiale conserva intatto il numero dei cromosomi.
Questa osservazione costituisce una prova indiscutibile non solo dell'influenza esercitata dal citoplasma sul nucleo, ma anche della profonda differenza esistente nella costituzione dei nuclei tra la linea somatica e quella germinale. L'importanza del processo non è stata ancora compresa appieno, né è stato scoperto il meccanismo con cui il materiale del plasma polare contenente RNA esercita la sua azione sui nuclei.
È stato già detto in precedenza che lo sviluppo dell'embrione fino allo stadio di blastula è diretto principalmente da messaggeri materni, ma non esclusivamente da questi. Infatti, subito dopo la fecondazione, l'RNA inizia ad essere trascritto dal genoma dello zigote e la maggior parte di questo RNA sembra essere mRNA. Si pensava un tempo che tutto questo RNA di nuova sintesi venisse anch'esso accumulato per essere poi usato dopo lo stadio di blastula, soprattutto per dirigere il processo di gastrulazione. Nonostante sia probabile che una certa parte di questo mRNA zigotico (non sono disponibili dati quantitativi) venga usata in un secondo tempo, recenti studi indicano che almeno parte di esso viene tradotto prima della gastrulazione. Lo si trova infatti associato ai poliribosomi caratterizzati da sintesi attiva e, principalmente, associato a una classe di piccoli poliribosomi sui quali si sintetizzano gli istoni (v. Nemer e Lindsay, 1969; v. Kedes e Gross, 1969; v. Kedes e Birnstiel, 1971). Gli istoni hanno naturalmente una grande importanza durante il periodo della segmentazione, allorché il numero dei nuclei aumenta in un breve tempo da uno a diverse centinaia (nel riccio di mare) o a varie migliaia (negli Anfibi). Evidentemente, la riserva di istoni o di messaggeri degli istoni dell'uovo non è sufficiente a far fronte alle esigenze dell'embrione fino allo stadio di blastula.
Concludendo, il programma delle prime fasi dello sviluppo embrionale sembra essere controllato: a) principalmente da prodotti genici (le varie classi di RNA, in particolare di mRNA) trascritti durante l'ovogenesi; b) in piccola parte dalle classi di mRNA sintetizzate dai nuclei dell'embrione. Sarebbe certamente interessante appurare quali geni vengono attivati nell'embrione durante le varie fasi dello sviluppo; costruire cioè una mappa dell'attivazione e della repressione genica durante lo sviluppo. Si è già detto che una delle prime classi di geni attivati all'inizio dello sviluppo è quella degli istoni. Come si vedrà in seguito, vi sono indizi circa i tempi di attivazione dei geni che controllano la gastrulazione. La gastrulazione rimane comunque un processo troppo complesso per poter essere analizzato in termini molecolari. Sarebbe interessante riuscire a identificare i vari messaggeri attraverso i loro prodotti di traduzione, cioè attraverso le proteine che essi codificano, come nel caso dei messaggeri degli istoni.
Recentemente si è iniziato a isolare e a purificare alcuni mRNA (come ad esempio quello messaggero dell'emoglobina), mentre sembra prossima la purificazione di altri mRNA, come i messaggeri delle proteine muscolari, del cristallino e del collagene; si spera inoltre che i nuovi metodi di ibridazione DNA/RNA possano aiutarci a scoprire il periodo in cui i geni corrispondenti entrano in azione (v. sotto, 4). Il problema appare molto più difficile ove si consideri che non è stata identificata finora alcuna nuova proteina nelle prime fasi dello sviluppo (cioè proteine diverse da quelle già presenti nell'uovo non fecondato).
Gli esperimenti effettuati da alcuni autori (v. Glisin e altri, 1966) sull'embrione di riccio di mare mediante un metodo di ibridazione DNA/RNA, hanno portato all'ipotesi che sino allo stadio di gastrula gli mRNA sintetizzati non differiscano in maniera significativa da quelli dell'uovo non fecondato. D'altro canto, sono stati identificati nel rospo Xenopus, all'inizio dello stadio di blastula, mRNA diversi da quelli dell'uovo non fecondato (v. Crippa e Gross, 1969). Tutti questi risultati però vanno riconsiderati alla luce di recenti studi che provano che, a meno che non si realizzino determinate condizioni sperimentali, i metodi di ibridazione DNA/RNA rivelano pressoché esclusivamente i prodotti di trascrizione di geni presenti in copie multiple (geni ridondanti), mentre non è possibile identificare i prodotti dei geni presenti in copie singole o in numero limitato (sequenze uniche). È probabile che gli mRNA che codificano per la maggior parte delle proteine siano prodotti di geni non ridondanti.
Si è cercato di presentare in maniera coordinata gli eventi delle prime fasi dello sviluppo, facendo rilevare come questo programma sia largamente preparato durante l'ovogenesi. Come già facemmo notare, rimangono comunque ignoti i processi mediante i quali questi eventi portano all'organizzazione molecolare che è alla base della realizzazione del piano tridimensionale dell'uovo (per es., la polarità animale-vegetativa dell'uovo) e dell'embrione. Ci si può chiedere, per esempio, se la polarità dipenda da una distribuzione qualitativamente differenziale degli mRNA e/o delle proteine nelle varie regioni dell'uovo, o al contrario da una specifica organizzazione molecolare della superficie dell'uovo. Possiamo porci queste ed altre domande circa le prime divisioni dell'embrione; fino a oggi non è possibile fornire una risposta a questi quesiti.
3. La sintesi dei ribosomi durante l'ovogenesi e lo sviluppo: un esempio del controllo dell'attività genetica in un programma di sviluppo. - Si è visto che in tutti gli animali finora studiati (ad eccezione dei Mammiferi) lo sviluppo fino a uno stadio alquanto avanzato procede in assenza di nuovi ribosomi (per la struttura e la composizione dei ribosomi, v. cellula: Fisiologia della cellula). Ciò significa che, fino a quello stadio, per la sintesi proteica devono essere utilizzati solo i ribosomi presenti nell'uovo all'atto della fecondazione, e cioè i ribosomi materni. L'ovocito deve quindi sintetizzare ribosomi in numero sufficiente da poter soddisfare i bisogni di diverse centinaia o migliaia di cellule. È noto che in tutti gli Eucarioti i geni che controllano la sintesi dell'RNA ribosomale (rRNA) sono presenti in copie multiple; essi sono cioè più o meno ridondanti. Nell'anfibio Xenopus laevis, ad esempio, vi sono circa 900 copie per genoma diploide. Ciononostante, se l'ovocito dovesse dipendere esclusivamente dal suo numero normale di geni rRNA, impiegherebbe mesi e perfino anni per completare la sintesi di tutti i ribosomi che sono presenti nell'ovocito maturo; in realtà, la sintesi viene completata in tre mesi circa. Questa accelerazione è resa possibile da un processo di amplificazione genica, consistente nella produzione di una grande quantità di copie supplementari di geni per l'rRNA. L'amplificazione si effettua attraverso una replicazione del DNA limitatamente ai geni dell'rRNA (in contrasto al normale processo di replicazione del DNA che ha luogo durante la divisione cellulare, in cui viene replicato l'intero DNA). È interessante rilevare che l'amplificazione dei geni dell'rRNA si effettua ad opera di una DNA polimerasi che sintetizza DNA su uno stampo di RNA (la cosiddetta DNA polimerasi RNA-dipendente o trascriptasi inversa). In altre parole, il segmento di DNA viene trascritto in una catena complementare di RNA che, a sua volta, agisce da stampo per la sintesi di una catena di DNA (v. Crippa e Tocchini-Valentini, 1971). In tal modo, viene prodotta e liberata nel nucleoplasma una grande quantità di copie supplementari di tali geni, e in ciascuno di essi inizia un'attiva sintesi di RNA.
Era infatti noto da parecchio tempo che il nucleo (vescicola germinale) dell'ovocito di Anfibio contiene una grande quantità (da 400 a 1.200) di nucleoli soprannumerari; la loro importanza come copie multiple dei geni dell'rRNA è stata però chiarita solo recentemente (v. Brown e David, 1968). Attraverso questo meccanismo di amplificazione genica selettiva, l'ovocito riesce a sintetizzare una grande quantità di rRNA in un periodo di tempo relativamente breve. Era anche noto, d'altra parte, che anche quando nell'ovocito non si ha più sintesi di rRNA, e in effetti sino all'inizio della maturazione, i nucleoli multipli sono ancora presenti nella vescicola germinale. È solo con l'inizio della maturazione (contrassegnata dalla rottura della vescicola germinale) che i nucleoli multipli vengono emessi nel citoplasma, ove lentamente si disintegrano. Si deve quindi supporre che a un certo punto entri in funzione nell'ovocito un meccanismo che interrompe l'attività di sintesi di rRNA da parte dei nucleoli. multipli. È stato ora dimostrato (v. Crippa, 1970) che il blocco dell'attività sintetica dei nucleoli multipli è dovuto a un fattore proteico che si lega specificamente ai geni dell'rRNA, impedendone così la funzione.
Dopo questo periodo di grande attività sintetica, i geni dell'rRNA rimangono inoperosi per lungo tempo; nella maggior parte degli animali, infatti, come già detto in precedenza, questo periodo si estende fino all'inizio della gastrulazione. Si ignora però con quale meccanismo venga riattivata la loro funzione.
Non si sa neanche se i nuovi ribosomi (cioè i ribosomi sintetizzati all'inizio, talvolta durante o dopo la gastrulazione) siano in qualche modo diversi dai ribosomi materni. È comunque evidente che, in mancanza di sintesi di nuovi ribosomi, lo sviluppo embrionale non può procedere. La migliore dimostrazione di questo fatto è data da un mutante di Xenopus, nel quale si ha la delezione dei geni dell'rRNA. Gli eterozigoti, riconoscibili dal fatto che le loro cellule hanno soltanto un nucleolo e sono perciò denominati 1-nu (per il ruolo del nucleolo nella sintesi dell'rRNA, v. cellula: Fisiologia della cellula), sono perfettamente normali; infatti i geni dell'rRNA, pur essendo la metà che negli animali normali, riescono a produrre quasi la stessa quantità di rRNA. Il risultato dell'incrocio degli eterozigoti è che il 25% circa della discendenza, come previsto dalla segregazione mendeliana, è anucleolata (0-nu). Gli embrioni omozigoti 0-nu sono letali; essi si sviluppano quasi normalmente fino allo stadio di neurula e quindi muoiono. È stato dimostrato che la morte di questi embrioni è dovuta alla incapacità di sintetizzare rRNA e, di conseguenza, nuovi ribosomi.
Come già accennato in precedenza, l'embrione di Mammifero differisce da tutti gli altri esaminati in quanto esso riprende a sintetizzare rRNA allo stadio tra 4 e 8 blastomeri (v. Woodland e Graham, 1969). Non si sa ancora se ciò sia o meno in relazione alla viviparità o alla durata molto più lunga della segmentazione.
4. Tre ulteriori esempi di programmi dello sviluppo. - A. Gastrulazione. Come abbiamo già rilevato (v. sopra, 2), la soppressione della sintesi dell'RNA durante l'intero periodo che va dalla fecondazione allo stadio di blastula, pur non interferendo con la segmentazione e con la formazione della blastula, tuttavia impedisce la gastrulazione. Tale osservazione giustifica l'ipotesi che il processo di gastrulazione richieda la trascrizione di mRNA diversi da quelli già presenti nell'uovo non fecondato; in altre parole, affinché la gastrulazione abbia luogo, è necessaria l'attivazione di una classe di geni specifici.
Sebbene non esistano ancora prove dirette di una sintesi di mRNA specifico per il processo di gastrulazione (non è stato cioè finora isolato un mRNA di questo tipo), i dati disponibili indicano con buona approssimazione in quale periodo dello sviluppo si ha la trascrizione di questi mRNA.
Gli esperimenti eseguiti su embrioni di stella di mare (v. Barros e altri, 1966) e di riccio di mare (v. Giudice e altri, 1968) hanno dato risultati essenzialmente sovrapponibili. Lo schema dell'esperimento consisteva nell'esporre gli embrioni ad actinomicina D durante un determinato periodo del loro sviluppo, tra la fecondazione e l'inizio della gastrulazione. I risultati indicano che, mentre la soppressione della sintesi di RNA tra la fecondazione e l'inizio della fase di blastula non interferisce con la gastrulazione, il trattamento con actinomicina tra l'inizio e il termine dello stadio di blastula inibisce la gastrulazione. Una volta iniziata la gastrulazione, l'actinomicina non è in grado di bloccare il processo.
Tali osservazioni suggeriscono, sebbene non dimostrino, che la trascrizione che controlla la gastrulazione ha luogo durante lo stadio di blastula, e cioè diverse ora prima dell'inizio della gastrulazione. Durante il periodo sensibile alla actinomicina, quanto più il trattamento è vicino all'inizio della gastrulazione, tanto minore ne sarà l'effetto. Sembra quindi che per il completamento della gastrulazione sia necessario l'accumulo di una certa quantità di molecole (templates) di mRNA (non si sa se uguali o diverse).
La domanda alla quale questi esperimenti non danno una risposta è se gli mRNA siano accumulati come tali e la loro traduzione avvenga durante la gastrulazione; o se invece essi vengano immediatamente tradotti in proteine che, a loro volta, vengono accumulate fino all'inizio della gastrulazione.
B. La sintesi dell'emoglobina primitiva nell'embrione dei Vertebrati. L'emoglobina (Hb) presenta un certo numero di vantaggi per lo studio del differenziamento cellulare a livello molecolare. I principali vantaggi sono: a) l'emoglobina è una delle proteine meglio studiate; b) essa è sintetizzata da cellule ben conosciute e facili da isolare; c) in epoca recente è stato identificato un certo numero di mutanti (principalmente nel topo e nell'uomo) e ciò risponde a uno dei requisiti per un'approfondita analisi del differenziamento.
L'embrione di pollo costituisce uno dei materiali più appropriati per l'analisi del controllo del differenziamento delle cellule emopoietiche. In tutti i Vertebrati, la prima generazione di cellule del sangue ha origine nell'embrione da una zona del mesoderma situata all'esterno del corpo embrionale (come nei Pesci, Rettili, Uccelli e Mammiferi) o in un territorio omologo a questa zona extraembrionale (come negli Anfibi). In questa zona le cellule si differenziano dal mesoderma e si riuniscono in piccoli gruppi - isolotti sanguigni - dove inizia la sintesi dell'emoglobina. Una volta iniziata la sintesi dell'emoglobina il meccanismo di sintesi proteica di queste cellule è quasi interamente rivolto verso di essa. Soltanto a uno stadio più avanzato le isole sanguigne stabiliscono una connessione con i vasi sanguigni (che intanto si differenziano nell'embrione) e ha inizio la circolazione generale del sangue. La prima generazione delle cellule sanguigne, tuttavia, ha vita piuttosto breve; le cellule degenerano presto mentre un'altra generazione di cellule si forma nel fegato e nella milza; infine, almeno nei Mammiferi, in uno stadio più avanzato, si formano nel midollo osseo le cellule sanguigne definitive, che nel midollo stesso vengono continuamente rigenerate.
Nell'embrione di pollo, le isole sanguigne appaiono verso la ventiduesima ora di incubazione; circa dieci ore più tardi (quando l'embrione ha 6-7 somiti) comincia la sintesi dell'emoglobina nelle cellule delle isole. In blastodermi di embrione di pollo trattati con una bassa dose di actinomicina D prima della comparsa delle isole sanguigne, la sintesi dell'emoglobina è totalmente e irreversibilmente soppressa. D'altra parte, la formazione dell'emoglobina non è inibita se lo stesso trattamento si effettua a uno stadio un po' più avanzato, ma in ogni caso prima che l'emoglobina sia rivelabile nelle cellule e malgrado che la sintesi dell'RNA sia completamente bloccata (v. Wilt, 1967). Simili osservazioni sono state fatte nel topo: l'incubazione con actinomicina di cellule eritroidi del sacco vitellino di embrioni di 11 giorni non interferisce con la sintesi dell'emoglobina, mentre la sintesi delle proteine nucleari è inibita per oltre il 90% (v. Fantoni e Bordin, 1971). Questo è un altro caso nel quale è giustificato pensare che la sintesi dell'RNA messaggero, che dirige la sintesi dell'emoglobina, abbia luogo diverse ore prima della sua traduzione; in altre parole, a livello genico, il programma per la sintesi dell'emoglobina è messo in funzione in anticipo rispetto alla realizzazione della sintesi stessa. Il recente successo nell'isolamento del messaggero dell'emoglobina in condizione attiva, apre nuove possibilità per l'analisi del controllo della sintesi dell'emoglobina embrionale.
Sebbene la sintesi dell'RNA messaggero specifico sia il requisito fondamentale (difatti il controllo principale del processo è a livello genico), la sintesi dell'emoglobina è sottoposta a ulteriori controlli che sono chiamati controlli post-trascrizionali. Per esempio è stato osservato (v. Levere e Granick, 1965) che esponendo blastodermi di pollo di circa 25 ore (cioè prima della comparsa dell'emoglobina nelle isole sanguigne) ad acido δ-ammino-levulinico (ALA) si ha la comparsa di una fluorescenza intensa nella zona extraembrionale, che indica la presenza dell'eme. Poiché l'ALA è un precursore dell'eme, ciò significa che a questo stadio il fattore limitante della sintesi dell'eme è l'assenza di ALA che a sua volta dipende dal basso livello di attività dell'enzima responsabile della sintesi dell'ALA. Poiché è noto che l'eme esercita un forte effetto stimolante sulla sintesi dell'emoglobina, si potrebbe pensare che l'utilizzazione (traduzione) dell'RNA messaggero dell'emoglobina sia ostacolata dall'assenza dell'eme. In altre parole, la sintesi dell'emoglobina è regolata a due livelli: prima a livello genico (sintesi di RNA messaggero specifico), poi a livello di traduzione, cioè a livello di utilizzazione dell'RNA messaggero.
C. Controllo della sintesi della glutamminosintetasi nella retina di embrione di pollo. Uno studio dettagliato di questo sistema è stato fatto da A. Moscona e collaboratori (per un riassunto del loro lavoro, v. Moscona, 1973).
La glutamminosintetasi (GS) è un enzima che catalizza la conversione del glutammato in glutammina ed ha un ruolo importante in vari processi sintetici, tra i quali quelli dei nucleotidi. La glutamminosintetasi è associata alle strutture delle membrane sinaptiche, e la conversione del glutammato in giutammina ha un qualche ruolo nella trasmissione nervosa. È stato constatato che l'enzima è un ottimo marcatore del differenziamento della porzione nervosa della retina. La retina si sviluppa come una estroflessione vescicolare della parete diencefalica (vescicola ottica); a seguito del contatto della vescicola con l'ectoderma sovrastante, questo si differenzia in cristallino; in realtà questo è stato uno dei primi casi, e tra i meglio studiati, di induzione embrionale (v. sopra, cap. 2, § b). Successivamente, la parete esterna della vescicola si invagina, dando così origine al calice ottico; il territorio invaginato dà origine alla porzione nervosa della retina. Nell'embrione di pollo, il differenziamento della retina (sia morfologico che funzionale) inizia verso il sedicesimo giorno di incubazione; la proliferazione cellulare è rapida fino al dodicesimo giorno, poi rallenta e, verso il sedicesimo giorno, cessa interaramente. L'attività della glutamminosintetasi è bassa fino al sedicesimo giorno; poi, in concomitanza con l'inizio del differenziamento, subisce un rapido aumento per cui l'attività dell'enzima aumenta di circa cento volte in 5 giorni. È da notare che la retina è il solo organo dell'embrione nel quale si osserva un tale incremento. Questa situazione può essere alterata sperimentalmente: infatti, sia in vivo sia in vitro, si può indurre un incremento precoce dell'attività enzimatica. In retine di embrioni anche di dieci giorni si può indurre l'aumento coltivandole in vitro in presenza di siero adulto. È stato dimostrato che il fattore responsabile è un corticosteroide; infatti, in esperimenti sia in vitro sia in vivo (cioè quando sono iniettati nell'embrione di pollo), un certo numero di 11β-idrossicorticosteroidi sono risultati potenti induttori.
Ci si può chiedere se l'aumento sia dovuto a sintesi de novo dell'enzima o all'attivazione di un preesistente precursore della molecola enzimatica: questa questione è stata chiaramente risolta con la dimostrazione che si ha infatti sintesi di enzima. Un'importante osservazione è stata quella che l'induzione è totalmente dipendente da sintesi di RNA. Gli esperimenti dimostrano che, sopprimendo con actinomicina la sintesi dell'RNA durante il trattamento con l'induttore, si blocca completamente l'incremento dell'attività enzimatica. Tuttavia, dopo 4-5 ore dal momento dell'inizio della somministrazione dell'induttore, il sistema diviene actinomicino-insensibile. Questa osservazione dimostra che l'induzione consiste nella sintesi e nell'accumulo di messaggeri stabili e che questo processo è completato nel corso delle prime ore dopo l'induzione. Questa situazione è dunque simile a quelle già descritte nel caso della sintesi UDP-Gal-PTasi nei Mixomiceti e del controllo della gastrulazione.
I motivi di interesse di questo sistema sono due: il primo è che in questo caso è stato identificato un induttore ormonale specifico; il secondo è che i geni specifici sono già capaci di rispondere all'induzione molto tempo prima di cominciare ad esprimersi (cioè prima dell'inizio del normale processo di trascrizione); allo stesso tempo si deve presumere che le cellule siano già pronte a interagire con l'induttore. Tutto ciò solleva numerosi e importanti interrogativi di carattere generale riguardanti il meccanismo con il quale la competenza delle varie linee cellulari, per differenziarsi in determinate direzioni, viene instaurata e controllata a livello molecolare.
b) Interazioni nucleocitoplasmatiche nello sviluppo
Sebbene il ruolo del materiale genetico contenuto nel nucleo delle cellule nel dirigere lo sviluppo embrionale fosse stato postulato da molto tempo, non sarebbe stato possibile darne la dimostrazione fino a quando il problema non fosse stato affrontato sperimentalmente. Alcuni esperimenti simili - per es. quelli su cellule o uova anucleate e su ibridi cellulari - sono stati descritti da J. Brachet (v. cellula: Fisiologia della cellula): nel presente articolo saranno descritti gli esperimenti di trapianti nucleari e la loro importanza per quel che riguarda i problema dello sviluppo. Il materiale più adatto per tali esperimenti è l'uovo di Anfibio in quanto può essere maneggiato con molta facilità anche per le sue dimensioni. Recentemente sono stati fatti dei tentativi anche su uova di Drosophila (v. Zalokar, 1971): in considerazione della profonda conoscenza che si ha della genetica della Drosophila, e della facilità con la quale si può sottoporre a ‛manipolazioni genetiche', il successo di questi esperimenti potrebbe rappresentare un reale progresso nella biologia dello sviluppo.
I primi esprimenti fatti da Briggs e King (v., 1959) dimostravano che un nucleo di blastula trapiantato in un uovo anucleato poteva dirigerne lo sviluppo, proprio come se fosse il nucleo dello zigote. Questo fu un risultato molto importante perché dimostrava che, nonostante le numerose divisioni alle quali va incontro nel corso dello sviluppo, il nucleo dello zigote conserva essenzialmente immutate le sue proprietà; in altre parole, la sua composizione genetica non è alterata. Tuttavia, l'interpretazione dei risultati sperimentali richiedeva che venissero soddisfatte due condizioni: a) era indispensabile che il nucleo trapiantato avesse un qualche marcatore chiaramente riconoscibile, e ciò per esser certi che l'uovo che riceveva il trapianto si sviluppasse sotto il controllo soltanto del nucleo trapiantato, in quanto senza questo controllo sarebbe stato molto difficile escludere che il nucleo dell'uovo non fosse stato completamente rimosso o inattivato; b) si doveva dimostrare che nuclei di tessuti differenziati potevano sostituire a tutti gli effetti il nucleo dell'uovo. Gli esperimenti di Gurdon e collaboratori hanno soddisfatto ambedue queste condizioni (v. Gurdon, 1969; v. Gurdon e Woodland, 1970). Le cellule di Xenopus laevis hanno due nucleoli, ma, come abbiamo già detto (v. sopra, § a, 3), è stato scoperto e allevato un mutante nel quale le cellule degli animali eterozigoti hanno solo un nucleolo (1-nu). Questa mutazione ha dimostrato di essere un ottimo marcatore per esperimenti di trapianto nucleare; infatti è stato dimostrato che i nuclei dei girini derivanti da un uovo sviluppatosi a seguito di un trapianto di un nucleo 1-nu sono tutti 1-nu. La seconda condizione è stata soddisfatta con esperimenti che dimostrano che nuclei prelevati da cellule dell'epitelio intestinale possono sostituire il nucleo dello zigote e consentire uno sviluppo fino a uno stadio avanzato. Questi esperimenti hanno poi dato una risposta a uno dei più fondamentali problemi della biologia dello sviluppo: essi infatti dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il processo di differenziamento non provoca alcuna alterazione permanente del genoma. Quindi, l'attività differenziale dei geni, che si ritiene sia un importante passo nel differenziamento, deve dipendere dalla repressione e/o derepressione di differenti serie di geni nelle varie linee cellulari. La tecnica del trapianto nucleare ha inoltre dato una chiara dimostrazione del controllo esercitato dal citoplasma sull'attività nucleare. Citeremo i risultati di due esperimenti. Come è noto, nell'embrione degli Anfibi la sintesi dell'RNA ribosomale inizia verso lo stadio di gastrula; durante la segmentazione, la sintesi dell'RNA è in complesso piuttosto bassa e si accelera nel corso dello sviluppo fino allo stadio di blastula. L'RNA, sintetizzato fino a questo stadio, viene indicato come RNA eterogeneo ed è probabilmente mRNA (è chiamato ‛eterogeneo' perché all'analisi all'ultracentrifuga in gradienti di saccarosio sedimenta in forma polidispersa); la sintesi dell'rRNA, facilmente riconoscibile per il suo tipico diagramma di sedimentazione, non inizia che al momento della gastrulazione. A questo stadio, un nucleolo ben evidente compare per la prima volta nelle cellule dell'embrione (per i rapporti tra nucleolo e sintesi dell'RNA ribosomale, v. cellula: Fisiologia della cellula). È stato dimostrato (v. Gurdon e Brown, 1965) che un nucleo di gastrula (cioè un nucleo già impegnato nella sintesi dell'rRNA), trapiantato in un uovo non attivato e anucleato, subito riacquista l'aspetto e le proprietà sia morfologiche sia funzionali del nucleo dell'uovo non attivato. Il nucleo si rigonfia e in pari tempo il nucleolo scompare; contemporaneamente la sintesi dell'RNA ribosomale si arresta. Se gli embrioni vengono allevati fino allo stadio di girino, si può dimostrare che la sintesi dell'rRNA inizia al momento giusto. Questa cessazione della sintesi dell'rRNA da parte del nucleo trapiantato non è causata da danno nucleare, ma piuttosto dall'influenza dell'ambiente citoplasmatico. Infatti, i nuclei che si formano dal nucleo trapiantato sono in grado di rispondere al momento giusto ai segnali dai quali dipende l'attivazione dei geni dell'rRNA. Il secondo esperimento è stato in parte già descritto a proposito dell'ovogenesi (v. sopra, § a, 2). Nell'ovocito, la capacità di sintetizzare DNA cessa quando l'ovogonio, che è una cellula che si divide attivamente, diviene un ovocito. La sintesi del DNA riprende dopo la fecondazione quando l'uovo riacquista la capacità di dividersi. Tuttavia, la capacità del citoplasma dell'ovocito di sostenere la sintesi del DNA è già presente fin dal momento in cui l'ovocito inizia il processo di maturazione. Gli esperimenti già descritti (v. sopra, § a, 2) dimostrano che nuclei di cellule adulte trapiantati in un ovocito maturo sono stimolati a sintetizzare DNA; ciò che invece non si ha se gli stessi nuclei vengono trapiantati in ovociti che non hanno ancora iniziato il processo di maturazione. Tuttavia, nel lungo periodo durante il quale il nucleo dell'uovo non sintetizza DNA, esso è impegnato a sintetizzare grandi quantità di RNA. (Come abbiamo rilevato in precedenza questo RNA è per lo più destinato ad essere usato dopo la fecondazione). Ora, quando nuclei di cellule adulte vengono trapiantati in questi ovociti immaturi, vengono subito stimolati a sintetizzare RNA. Questi esperimenti dimostrano quindi che l'attività del nucleo è controllata da fattori citoplasmatici. Questa conclusione è rafforzata dall'osservazione già discussa (v. sopra, § a, 3) che nell'ovocito a un certo momento dello sviluppo la funzione dei geni dell'RNA viene bloccata dall'interazione con una proteina sintetizzata nel citoplasma. Infatti, è evidente che sia nell'ovocito sia nelle cellule dell'embrione vi è una continua migrazione nel nucleo di proteine sintetizzate nel citoplasma. Sebbene il ruolo di queste proteine non sia stato stabilito con certezza, è logico supporre che almeno alcune di esse abbiano una funzione regolatrice dell'attività genica.
c) Alla ricerca delle basi molecolari dell'induzione embrionale
Come si è già accennato (v. sopra, cap. 2, § b) la scoperta dei processi di induzione embrionale, e specialmente dell'‛organizzatore', pose subito il problema della natura del fattore (o dei fattori) inducente. Due scoperte furono di fondamentale importanza per lo sviluppo delle ricerche in questo campo. La prima fu che i fattori inducenti non sono legati alla condizione ‛vivente' del materiale inducente; questo risultato si deve principalmente agli esperimenti di Holtfreter, i quali dimostrano che gli induttori sia omologhi (per es. un labbro dorsale del blastoporo della stessa specie) sia eterologhi (qualsiasi tipo di tessuto animale) non perdono la loro capacità inducente se uccisi o sottoposti ad alcuni trattamenti chimici. È da notare, però, che in questi casi si perde la specificità dell'induzione. In altre parole, un labbro dorsale del blastoporo, che allo stato vivente avrebbe indotto un embrione secondario o almeno un sistema nervoso centrale bene organizzato, se ucciso (per es. con ebollizione) indurrà un certo numero di strutture varie organizzate in modo caotico. Si deve aggiungere che anche tessuti che allo stato vivente non hanno capacità inducente, a seguito di tali trattamenti diventano buoni induttori. Queste osservazioni suggeriscono che i fattori inducenti sono presenti in tutte le cellule animali, probabilmente in una condizione mascherata. Nell'embrione essi si smascherano nei siti di induzione e diventano attivi ma in modo rigidamente controllato. Tuttavia, essi possono anche essere liberati da un certo numero di maltrattamenti; è evidente che in questo caso essi perdono la loro specificità. Come avvenga e sia controllato lo smascheramento degli induttori nell'embrione e come ne sia controllata l'azione non ci è ancora noto. Di grande rilievo è stata l'osservazione che l'ectoderma presuntivo di una gastrula di Anfibio, il quale se coltivato in vitro normalmente si differenzierebbe in epidermide, può differenziarsi in tessuto nervoso se sottoposto a un breve trattamento citolizzante (chiamato citolisi subletale) (v. Holtfreter, 1951). Questo risultato conferma l'ipotesi che i fattori inducenti possano essere liberati (o attivati) da trattamenti che causano una transitoria alterazione di qualche componente cellulare (o compartimento cellulare) al quale i fattori inducenti sono legati (o nei quali sono compartimentalizzati). Ci si può chiedere se vi sia un fattore, o diversi fattori inducenti. I risultati di numerosi esperimenti eseguiti in vari laboratori sono piuttosto in favore dell'esistenza di almeno due fattori, uno con azione neuralizzante e l'altro con azione mesodermalizzante. Questo risultato è stato ottenuto lavorando con induttori non naturali. Per esempio, il fegato di cavia trattato con alcool induce generalmente strutture assomiglianti a vescicole cerebrali; d'altra parte, il rene di cavia trattato nello stesso modo induce soprattutto strutture che ricordano il midollo spinale, la corda dorsale e i muscoli. Sembra che trattamenti ad alta temperatura facciano diminuire le frequenze delle strutture mesodermiche ma non la capacità di indurre strutture neurali. La situazione è, tuttavia, piuttosto confusa e l'estrapolazione di queste osservazioni agli eventi dello sviluppo embrionale è, quanto meno, problematica (v. Saxén e Toivonen, 1962).
Sarebbe troppo lungo descrivere tutti gli esperimenti che dalla scoperta dell'induzione sono stati compiuti nel tentativo di scoprire la natura chimica dei fattori inducenti. La prima dimostrazione che durante l'induzione vi è passaggio di sostanze dall'induttore alle cellule che ad esso reagiscono fu data da esperimenti consistenti nell'interposizione di una membrana con pori di dimensioni note fra l'induttore e il sistema reagente; fu così dimostrato che si ha induzione solo a partire da certe dimensioni di pori. Uno dei campi nel quale questo tipo di esperimenti ha dato i risultati più interessanti è stato quello del ruolo del mesenchima nella morfogenesi di alcuni organi epiteliali, in particolare di alcune ghiandole (v. Grobstein, 1967; v. Saxén, 1971).
La natura dei fattori inducenti continua ancora a sfuggirci nonostante gli sforzi, in gran parte coronati da notevole successo, di Tiedemann e collaboratori (v. Tiedemann, 1971). Il lavoro di questi ricercatori è stato per lo più compiuto su estratti di tessuti di embrione di pollo, dai quali è possibile ottenere quantità di materiale molto più rilevanti che non dagli embrioni di Anfibi. Da questo materiale sono stati estratti due fattori inducenti: uno che, quando innestato in una gastrula giovane, induce strutture derivanti normalmente dal mesoderma (come tubuli renali e muscoli) o dall'entoderma (come l'epitelio intestinale), e che perciò fu chiamato ‛fattore vegetalizzante'; l'altro è un fattore neuralizzante che induce strutture simili a parti di sistema nervoso. Sino ad ora, però, solo il primo è stato ottenuto in condizioni di purezza. La purificazione di questo fattore ha richiesto un lavoro lungo e faticoso. La sostanza che è stata isolata è una proteina omogenea dotata di potente azione induttrice quando si impianta in una gastrula in quantità estremamente piccole (meno di 10-3 μg per trapianto). Questi esperimenti hanno anche dato la prima dimostrazione che l'RNA non entra nel processo di induzione. Anche il fattore neuralizzante, sebbene sin qui non ottenuto in una forma altamente purificata, appare essere una proteina (non una proteina coniugata). Un'altra osservazione interessante è stata che gli estratti non purificati contengono un potente inibitore dell'induttore anch'esso di natura proteica. Infatti negli estratti appena preparati (e lo stesso è probabile che accada nelle cellule) l'induttore è sempre sotto forma di complesso con l'inibitore dal quale viene liberato per trattamento con fenolo ad alta temperatura (v. Tiedemann, 1971). Questa osservazione potrebbe spiegare l'acquisizione di attività inducente da parte di tessuti che normalmente non la possiedono, a seguito dei trattamenti ora citati. A queste ricerche si potrebbe muovere la critica di non essere state eseguite su normali induttori. Le ricerche di un'allieva di Tiedemann sono però riuscite a confermare questi risultati su embrioni di Anfibi (v. Faulhaber, 1970). Si può quindi ritenere che la teoria secondo la quale l'induzione è dovuta alla liberazione di fattori specifici da parte dei tessuti inducenti riposi ormai su un terreno solido. Però ora ci si chiede: se i processi di induzione embrionale sono dovuti solo all'azione di due fattori inducenti, come si può spiegare la varietà delle strutture in- dotte? In altre parole, come può il fattore vegetalizzante provocare il differenziamento di tessuti tanto diversi come i tubuli renali e il tessuto muscolare? Evidentemente, nel processo del differenziamento devono entrare in giuoco altri livelli di regolazione. Una delle più importanti nozioni della biologia dello sviluppo, da lungo tempo accettata, è quella della competenza, che può essere definita come la capacità di un determinato territorio embrionale a reagire in un certo modo specifico a stimoli inducenti. Per esempio, l'ectoderma dorsale della gastrula di anfibio è competente a differenziarsi in sistema nervoso mentre l'ectoderma che copre la vescicola ottica è competente a dare origine al cristallino. La competenza subisce una progressiva restrizione nel corso dello sviluppo: tutto l'ectoderma della gastrula giovane è in grado di rispondere all'induttore neuralizzante, mentre nel corso dello sviluppo questa capacità viene ristretta alla parte dorsale dell'embrione. Quindi, il prossimo passo nello studio dell'induzione embrionale dovrà essere l'analisi della competenza. È possibile che la specificità del differenziamento delle varie strutture dell'embrione dipenda dall'interazione di un induttore semi-specifico con un sistema reagente altamente specifico.
d) Movimenti cellulari coordinati e interazioni cellulari
Il problema dei meccanismi di origine e dei controlli dei movimenti di interi territori embrionali, conosciuti come movimenti morfogenetici, non è nuovo. Questi processi furono accuratamente descritti e rappresentati all'inizio degli anni trenta e il progresso più importante fu dovuto al lavoro di W. Vogt (v., 1929). Lo studio dei movimenti morfogenetici fu poi trascurato per alcuni decenni e soltanto recentemente questi processi sono stati di nuovo riconosciuti come uno dei principali problemi dello sviluppo, e stanno infatti attirando crescente attenzione (v. Trinkaus, 1969). Il primo tentativo di interpretare la meccanica della gastrulazione degli Anfibi è stato fatto da Ruffini (v., 1925), secondo il quale il movimento di invaginazione del cordomesoderma presuntivo ha inizio dall'azione traente delle cellule della zona marginale; queste cellule diventano piriformi con la loro estremità allungata attaccata alla superficie esterna dell'embrione. La teoria di Ruffini trovò poi sostegno nelle osservazioni di Holtfreter (v., 1944) e di Townes e Holtfreter (v. 1955), i quali misero in evidenza l'importanza meccanica delle connessioni delle cellule piriformi con la membrana esterna (il coat) dell'embrione. Le cellule della zona marginale (la zona dove appare il blastoporo) sembrano infatti essere dotate della capacità di allungarsi e di ‛avanzare'. Un interessante esperimento di Holtfreter illustra bene questo punto. Se un piccolo pezzo del labbro dorsale del blastoporo viene trapiantato su uno strato di entoderma, le cellule del trapianto iniziano immediatamente ad allungarsi e l'intero materiale trapiantato scompare nella massa dell'entoderma. Per quanto interessanti siano queste osservazioni esse spiegano soltanto l'aspetto iniziale della gastrulazione; perché in realtà la gastrulazione non è un problema di movimenti di singole cellule ma del movimento di una intera zona molto estesa. In particolare resta da dare una risposta ai seguenti problemi: quale è lo stimolo che induce i cambiamenti che stanno alla base dei movimenti delle cellule della zona marginale? In cosa consistono questi cambiamenti al livello molecolare? Quali sono le forze che entrano in funzione una volta che le prime cellule hanno iniziato il loro movimento e permettono il progredire dell'invaginazione dell'intero territorio del cordomesoderma? Un'ipotesi che sta incontrando molto favore è che i microtubuli abbiano un ruolo fondamentale nel dirigere i movimenti delle cellule. Ancora senza risposta, però, è il problema di come è diretta e controllata l'attività dei microtubuli in modo tale da consentire la coordinazione necessaria per i movimenti morfogenetici. L'invaginazione del cordomesoderma è accompagnata da un movimento di scivolamento ed estensione dell'ectoderma presuntivo. È stato dimostrato che frammenti di ectoderma in coltura posseggono la capacità di espandersi su qualunque substrato sottostante; ciò suggerisce l'esistenza di una capacità intrinseca delle cellule dell'ectoderma che le rende diverse dalle cellule del mesoderma, ma la cui natura non è stata individuata.
Nella gastrulazione degli Echinodermi la prima indicazione dell'inizio del processo è un appiattimento al polo vegetativo della blastula (piastra vegetativa). Subito dopo la piastra si invagina dando origine a una struttura digitiforme, l'intestino primitivo o archenteron. Gustafson e collaboratori hanno di recente studiato il processo della gastrulazione degli Echinodermi; approfittando della trasparenza di questi embrioni hanno usato il metodo della registrazione cinematografica (in particolare: v. Gustafson e Kinnander, 1956; v. Kinnander e Gustafson, 1960). È stato così possibile distinguere due fasi nel processo della gastrulazione. All'inizio della prima fase, le cellule della piastra vegetativa si arrotondano mentre la loro superficie interna ha intensa attività pulsatile. Questo arrotondarsi delle cellule indica che il contatto delle cellule l'una con l'altra è diminuito mentre l'attività pulsatile è espressione di un abbassamento della tensione superficiale. Alcune cellule della piastra vegetativa si staccano dalla piastra e migrano nel blastocele; queste sono le cellule del mesenchima primario. Nella seconda fase, che è la gastrulazione vera e propria, l'intera piastra vegetativa si piega verso l'interno formando così l'archenteron. Quando l'archenteron ha raggiunto circa 1/4 della sua lunghezza definitiva, alcune delle cellule alla sua estremità cominciano a formare sottili filopodi, che si allungano e si attaccano alla parete interna dell'ectoderma: queste sono le cellule del mesenchima secondario. L'analisi cinematografica mostra che i filopodi si contraggono in modo intermittente e, per così dire, tirano l'estremità dell'archenteron. Si ritiene che a questo processo si debba il completamento dell'allungamento dell'archenteron. L'allungamento dell'archenteron quindi sembra che sia interamente dovuto all'azione traente delle cellule del mesenchima secondario. Non è però ancora conosciuta la causa dei primi mutamenti nelle cellule della piastra vegetativa che conduce al movimento di invaginazione. Infatti, mentre il movimento di singole cellule è riconducibile ad alcuni parametri relativamente semplici, il problema è notevolmente più complicato nel caso di movimenti di massa quando le singole cellule mantengono un saldo contatto l'una coll'altra. Inoltre, fattori di specificità (peraltro molto poco conosciuti) devono avere un ruolo molto importante. Holtfreter (v., 1939), in una serie di classici esperimenti, ha dimostrato che, mettendo insieme un frammento di ectoderma e uno di entoderma, questi prima si fondono e poi si separano. Se si aggiunge mesoderma, questo aderisce ad entrambi e in questo caso l'ectoderma e l'entoderma si uniscono e formano la parete epiteliale comune di una vescicola riempita da cellule mesodermiche. Ciò sta a significare che le cellule dell'ectoderma e dell'entoderma sono dotate di una proprietà che Holtfreter chiama una ‛affinità negativa', mentre le cellule mesodermiche sono dotate di ‛affinità positiva' per entrambe. E, tuttavia, sconosciuto il significato dell'‛affinità positiva' e ‛negativa'. È probabile che alcune proprietà molecolari specifiche della superficie cellulare abbiano un ruolo fondamentale almeno nella prima e preliminare fase del ‛riconoscimento' tra cellule; il fatto che le cellule possano riconoscersi deve essere alla base di tutti i movimenti morfogenetici, sia di singole cellule che di gruppi cellulari: questo è stato provato dagli esperimenti di Moscona, che dimostrano che in colture eterogenee cellule renali di topo si uniscono con cellule renali di pollo dando origine a una struttura ben organizzata simile a quella del rene. D'altra parte, cellule di rene, fegato e retina dello stesso animale, messe assieme, sono incapaci di dare origine a strutture organizzate (v. Moscona, 1960; v. Moscona e altri, 1968), cioè esse si separano ben presto in base alla loro specificità di organo o di tessuto.
e) Conclusioni
La biologia molecolare ha contribuito molto, sia concettualmente sia tecnicamente, alla recente rinascita dello studio dello sviluppo embrionale e del differenziamento in generale. A livello molecolare, il differenziamento può essere definito come il risultato ‟di cambiamenti cellulari nella sintesi e composizione di macromolecole, bene inquadrati nello spazio e nel tempo e che hanno come risultato alcune specializzate funzioni, forme e organizzazioni cellulari" (v. Moscona, 1973). Questa definizione si applica bene al differenziamento cellulare, ma l'embriogenesi richiede qualcosa di più. Anzitutto, lo sviluppo embrionale non è un problema di singole cellule ma piuttosto di vasti complessi cellulari, e il differenziamento di ciascuna cellula deve essere integrato in schemi ben definiti dai quali dipende la formazione dei vari tessuti, i quali debbono poi essere integrati in organi, e gli organi nel complesso dell'embrione. Pertanto, uno dei meccanismi fondamentali dell'embriogenesi risiede nella specificità delle interazioni cellulari, che ovviamente dipendono dall'organizzazione molecolare delle superfici cellulari che, a loro volta, sono determinate geneticamente. Sembra, perciò, che lo studio delle interazioni cellulari (del quale fa anche parte il fenomeno d'induzione) diventerà una delle aree di ricerca più feconde nel prossimo futuro.
Abbiamo qui presentato alcuni esempi intesi a illustrare alcuni dei più salienti progressi che sono stati realizzati nello studio dello sviluppo embrionale nel corso degli ultimi venti anni. Vorremmo sottolineare ancora una volta che a nostro avviso uno dei maggiori progressi, se non il maggiore, è stato quello di aver spinta l'analisi dello sviluppo a livello genico iniziando così a colmare la lacuna che ancora separa l'embriologia dalla genetica.
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