Reynaud, Émile
Scienziato e inventore francese, nato a Montreuil-sous-Bois nel 1844 e morto a Ivry-sur-Seine il 9 gennaio 1918. A lui si deve una pagina ricca e appassionante della storia del precinema e delle ricerche sulla riproduzione dell'immagine in movimento che precedettero l'invenzione dei fratelli Lumière. Appassionato di meccanica di precisione, di disegno e di fotografia, condusse molti importanti studi nei quali il cinema è stato anticipato, quasi sfiorato nella elaborazione di un nuovo concetto di spettacolo, non più legato all'osservazione della natura o alla rappresentazione teatrale, ma alla produzione tecnica dell'immagine e alla sua proiezione pubblica.
Divenuto professore di scienze naturali presso le Écoles industrielles di Puy-en-Velay, R. si fece ispirare da alcuni apparecchi, già messi a punto dai ricercatori contemporanei, per costruire il suo prassinoscopio, brevettato il 30 agosto 1877, che perfezionò e unì le proprietà del fenachistoscopio di Joseph-Antoine Ferdinand Plateau, e dello zootropio, ideato da William G. Horner nel 1834. Un tamburo di metallo sulla cui parete interna venne collocata una striscia disegnata con alcune figure a comporre un movimento completo. La novità era rappresentata dal prisma di specchi, posti al centro del cilindro, che dovevano riflettere le immagini. Le prime bande, presentate all'Esposizione universale di Parigi nel 1878, furono disegnate dallo stesso R., litografate con colori vivaci e brillanti per accentuare la luminosità di questo elegante giocattolo, ideato proprio per sopperire alla perdita della luce e alla distorsione delle immagini provocate dalle strette fessure dello zootropio. Nel gennaio del 1879 R. brevettò un modello perfezionato che, inserito in una speciale scatola su misura, chiamò prassinoscopio-teatro. Esso prevedeva di far passare l'occhio dell'osservatore attraverso un vetro che rifletteva, a sua volta, l'immagine di una scenografia teatrale; a questa venivano sovrapposte le immagini in movimento prodotte dal solito meccanismo.
Nel progetto originale del prassinoscopio-teatro era già contenuta l'idea di un dispositivo per la proiezione (prassinoscopio da proiezione), ideato nel 1880 e messo in commercio due anni dopo, che rivoluzionò la fruizione delle immagini semoventi, facendone un evento spettacolare di aggregazione. La differenza, innanzitutto, stava nei disegni, litografati su piccole lastre di vetro attraverso le quali era fatto passare un fascio di luce prodotto da una particolare lanterna magica. Le immagini che ne derivavano erano riflesse sugli specchi e, passando attraverso una lente, venivano proiettate sullo schermo. Il passo successivo fu il Théâtre optique (1888), vero e proprio capolavoro di R. che apportò una determinante innovazione: utilizzava, cioè, una banda flessibile, continua e illimitata (di un materiale detto cristalloide), su cui venivano dipinte le immagini separate (una sorta di anticipazione del cartone animato). La banda si muoveva su due bobine collocate in senso orizzontale sul piano principale. La proiezione sullo schermo delle cosiddette pantomime luminose avveniva grazie a un complicato sistema di specchi e fasci di luce che sfruttava l'azione di due lanterne magiche, rispettivamente per le immagini semoventi e per lo sfondo.
Le pantomime luminose possono essere considerate l'anello di congiunzione tra gli esperimenti sul movimento che interessarono tutto l'Ottocento, e il cinema, il cui avvento (1895) determinerà la fine del loro successo. Tra il 1892 e il 1895, infatti, i piccoli spettacoli di R. trovarono un pubblico caloroso che affollava quotidianamente il Musée Grévin per assistere al fantasioso programma, composto, inizialmente, di tre pantomime, Pauvre Pierrot, Clown et ses chiens, Un bon bock, cui si aggiunsero, a partire dal 1895, Un rêve au coin du feu e Autour d'une cabine.
V. Tosi, Il cinema prima di Lumière, Torino 1984; D. Robinson, Masterpieces of animation/ Capolavori dell'animazione 1833-1908, in "Griffithiana", 43, 1991; D. Pesenti Campagnoni, Verso il Cinema. Macchine spettacoli e mirabili visioni, Torino 1995, pp. 252-63, 278.