MANACORDA, Emiliano
Nacque il 16 ag. 1833 a Penango, presso Asti, da Filippo e Giovanna Gatti. Dopo aver compiuto gli studi nel seminario di Casale Monferrato, il 9 apr. 1859 venne ordinato sacerdote dal vescovo L. Nazari di Calabiana. Trascorso un brevissimo periodo come vicecurato presso la parrocchia di Cuccaro Monferrato, frequentò il corso di morale pratica, tenuto nel convitto ecclesiastico di Torino, sotto la direzione del teologo don G. Cafasso.
Nel 1861 si recò a Padova per intraprendere gli studi di diritto civile e canonico, ma, turbato dai moti di indipendenza nazionale, si trasferì all'Università "La Sapienza" di Roma, dove conseguì la laurea in teologia, diritto civile e canonico. Dopo aver frequentato per quattro anni lo studio dell'avvocato del S. Concilio, venne nominato referendario del Supremo tribunale di Segnatura di giustizia (l'equivalente della Corte di cassazione), quindi abbreviatore de parcu maiori, cioè addetto a stendere la minuta dei documenti pontifici.
L'opera sua fu molto apprezzata negli ambienti della Curia romana e da Pio IX, che lo creò cameriere segreto e successivamente prelato domestico, servendosi di lui per incarichi delicati e impegnativi. Nel 1867, dopo il fallimento della missione Vegezzi, gli affidò il compito di studiare e riferire sul problema della copertura delle sedi vescovili che per vari motivi si erano rese vacanti. Le sue proposte furono accolte dal pontefice, cosicché tramite la missione Tonello e la mediazione di don Giovanni Bosco si avviarono nuove trattative che portarono alla nomina o traslazione di 37 vescovi.
Consacrato vescovo il 31 dic. 1871, gli fu assegnata la sede di Fossano, vacante da vent'anni, dopo la morte di L. Fantini. Ottenuti senza difficoltà (a differenza di altri suoi colleghi) sia l'exequatur, sia l'autorizzazione a risiedere nel palazzo vescovile, grazie al favore di cui godeva presso la corte sabauda, il 10 marzo 1872 fece il solenne ingresso in diocesi.
Operoso e risoluto di carattere, fornito di una vasta preparazione culturale, sia pure di stampo tradizionale, si preoccupò in primo luogo di eliminare i disordini intervenuti in diocesi per la lunga vacanza della sede vescovile. Pose quindi mano a una drastica riforma del seminario, caduto in preda all'indisciplina e alla corruzione. Nel 1872 indisse la visita pastorale della diocesi, cui fece seguire la celebrazione del sinodo (1882) nonché la pubblicazione delle relative constitutiones e si adoperò per ristabilire la disciplina ecclesiastica e la corretta amministrazione delle confraternite e dei sodalizi laicali. La sua competenza e autorevolezza in materia normativa sono del resto comprovate da un ampio trattato in due tomi, Specimen iuris et disciplinae ecclesiasticae (Fossano 1897-99). Di fatto l'azione pastorale da lui svolta ottenne un netto miglioramento della vita religiosa, giovandosi della riscoperta delle devozioni locali e di una totale subordinazione del laicato al clero. Un grande impulso ricevette il culto mariano attraverso la costruzione del nuovo santuario di Cussanio. Le benemerenze acquisite verso la città di Fossano valsero al vescovo il conferimento della cittadinanza onoraria.
Frattanto prese spunto dall'enciclica di Leone XIII Quod apostolici muneris (1878) sul socialismo, comunismo e nichilismo, per premunire i fedeli contro i mali della società contemporanea. Sulla scorta di J. de Maistre, il M. si era convinto che la Rivoluzione francese del 1789, provocando una grave crisi di autorità, avesse portato al completo sfacelo della società. I poteri civili erano oramai "sfibrati" e "sciolta la nervatura sociale". Unico rimedio a tanti mali doveva essere "il ritorno agli eterni, immutabili principî della vera potestà". E poiché ogni sovranità derivava da Dio, il M. ne deduceva che tutti i sudditi battezzati erano tenuti a un rapporto di fedeltà e obbedienza verso i principi, come verso qualsiasi altra autorità costituita. Riandava, quindi, a C.L. von Haller per respingere lo Stato pubblicistico e istituzionale delineato dagli illuministi e auspicare il ritorno allo Stato feudale e patrimoniale che dai sudditi battezzati esigeva fedeltà e ubbidienza. Animato da tali convinzioni, stigmatizzava le discussioni sulla questione sociale che assillavano il giovane clero.
I successivi documenti pontifici, dalla Humanum genus (1884) alla Rerum novarum (1891), nonché il graduale moltiplicarsi dei circoli socialisti e l'infittirsi delle agitazioni sociali, lo indussero a una più approfondita riflessione. Frutto del ripensamento fu la lettera circolare del 15 apr. 1894, il cui contenuto, ripreso e ampliato successivamente negli opuscoli Considerazioni intorno al socialismo (1896) e Pensieri sul socialismo (1901), è stato considerato come la sintesi del pensiero sociale del vescovo.
Bersaglio da colpire era per lui l'ideologia socialista, che si andava disseminando fra il popolo come un "verme roditore", e della quale egli cercò di dimostrare l'artificiosità e l'illusorietà. Ne scaturiva una visione immobilistica della società, appena attenuata dal giudizio morale sul comportamento dei singoli individui.
Nel maggio 1896, svolgendosi a Fossano il VI congresso regionale dell'Opera dei congressi, il M. venne a contatto diretto con il dibattito interno al movimento cattolico, che nelle sue punte più avanzate metteva in discussione il rapporto di piena sottomissione del laicato al clero, da lui ritenuto inoppugnabile. Nel porgere il saluto ai congressisti, si limitò a esortare i convenuti a ubbidire al pontefice per quanto riguardava il non expedit, e cioè l'astensione dalla vita politica. Ma nel luglio successivo istituì un comitato di coordinamento dei sodalizi laicali e delle opere esistenti in diocesi. Avuta, poi, notizia che a Cuneo si pubblicava il quotidiano Lo Stendardo in stretto collegamento con il settimanale torinese Democrazia cristiana, s'affrettò a dotare di un periodico il comitato da poco costituito con l'acquisto della Gazzetta di Fossano, cui fece subentrare l'anno dopo un foglio del tutto nuovo, La Fedeltà. Egli si mostrava allarmato dai contrasti insorti all'interno del movimento cattolico subalpino e in particolare dal susseguirsi di accese polemiche fra conservatori intransigenti e democratici cristiani.
Nei confronti di questi ultimi il M. espresse posizioni assai critiche, da lui concentrate in una lettera pastorale del 27 maggio 1897, che suscitò un vivace dibattito anche oltre i confini della piccola diocesi fossanese. Il quotidiano cattolico torinese L'Italia reale - Corriere nazionale, diretto da S. Scala, riportò integralmente la circolare e, considerandola di "importanza eccezionale", fece rilevare "la sapienza e dottrina mirabile e l'apostolica unzione che vi rifulgevano". All'opposto, L'Osservatore cattolico di don D. Albertario accusò di ignoranza i redattori del quotidiano torinese, perché confondevano la democrazia con la demagogia. Il Pensiero del popolo di Ivrea vi aggiunse la taccia di puerilità. Dal canto suo, la Gazzetta di Fossano, a nome del M., rimproverò alla Democrazia cristiana di Torino di aver "messo in canzone" la pastorale.
Il serrato dibattito sui rapporti fra azione cattolica e democrazia e l'infuriare di accuse su questioni minori finirono col preoccupare il Vaticano. Così, nel tentativo di placare le polemiche, il card. M. Rampolla invitò G. Toniolo a pubblicare il testo della conferenza da lui tenuta nel maggio 1897 a Roma sul significato da attribuire al termine "democrazia cristiana". Anche lo scritto di Toniolo, tuttavia, incontrò il totale dissenso del M., il quale dichiarò che si doveva stigmatizzare la democrazia razionalista e cercare la formula dell'azione cattolica a vantaggio del popolo soltanto nelle massime del Vangelo e nella parola del papa. E fu appunto al pontefice che il M. ritenne infine opportuno indirizzare una lettera, per chiarire la propria posizione e spiegare le ragioni del proprio intervento nella polemica. Non si conosce il contenuto della risposta, ma molto probabilmente il papa si limitò a fare appello all'unione delle volontà di tutti per mettere fine al generale turbamento degli animi. In effetti, lo stesso pontefice concluse in quei giorni un colloquio con Scala esortando i giornalisti a cessare le polemiche e a ristabilire la piena armonia. Una raccomandazione analoga il card. Rampolla rivolse nel novembre successivo allo stesso M., che gli aveva inviato copia di una circolare riservata al clero e provocatoria persino nel titolo: Movimento cattolico, errori democratici e relativi doveri dei sacerdoti. In essa il vescovo insinuava il sospetto, per altro non infondato, che il "modernismo sociale", predicato con tanto zelo dai democratici cristiani, potesse anche tradursi in "modernismo teologico" con gravissime conseguenze sul piano dottrinale.
Il M. accolse, quindi, con gran sollievo l'enciclica Graves de communi re (1901), che al termine di "democrazia", unito a "cristiana", attribuiva unicamente il significato di "una benefica azione cristiana in favore del popolo". Nel 1904, licenziando per la stampa in Roma il volume su Il Pontificato romano e l'incivilimento cristiano attraverso XIX secoli, plaudì con calore a Pio X che "in breve tratto di tempo seppe imprimere un'orma di riforme salutari, incancellabile nella storia del suo pontificato". Era l'uomo del suo tempo che rispondeva pienamente alle esigenze della Chiesa. Con tutto ciò, dal motu proprio del dicembre 1903, che richiamava i cattolici all'ortodossia e all'esclusione da ogni attività civile rivolta alla conquista dello Stato, il vescovo trasse ancora motivo per mettere sotto accusa i gruppi democratici cristiani. Ma nello scioglimento dell'Opera dei congressi e nell'enciclica Il fermo proposito, con cui il nuovo papa impose una più netta distinzione di compiti nel vastissimo campo dell'azione cattolica, il M. ebbe modo di vedere finalmente riconosciuta la fondatezza dei motivi per cui si era tanto a lungo battuto contro i pericoli di una politicizzazione dell'azione cattolica.
Il M. morì a Fossano il 29 luglio 1909.
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