SARTI, Emiliano
SARTI, Emiliano. – Nacque a Roma da Carlo (appartenente a una famiglia di scalpellini da più generazioni) e da Teresa Rocci, l’11 aprile 1795; l’anno si ricava dalla copia di un suo manoscritto e dal cenotafio; giorno e mese si devono al biografo Gaetano Pelliccioni.
Gravi lacune caratterizzano l’intera biografia, parti della quale restano prive di fonti e acquisibili principalmente da Pelliccioni, suo allievo. Raggiunse grandissima fama tra i contemporanei per ingegno, erudizione e i più vasti ambiti di ricerca, ma si indirizzò soprattutto verso la filologia classica e orientale e l’antichistica: epigrafia latina e greca, archeologia.
Orfano di padre in tenera età, con la madre e la sorella Maria (non è noto se maggiore o minore di lui), fu accolto in casa di uno zio. Studiò al Collegio romano con eccezionale profitto, mostrandosi versatissimo anche nelle discipline scientifiche. Non risulta che abbia conseguito la laurea, ma gli studi proseguirono ininterrotti e costituirono la sua fonte di sostentamento attraverso lezioni private.
Decisivo fu l’incontro con Andrea Molza, professore di ebraico e in seguito di siro-caldaico alla Sapienza, scrittore di ebraico e latino presso la Biblioteca Vaticana, del quale fu allievo e amico. Grazie all’iniziativa di questi, nel 1827 divenne suo coadiutore, scriptor di lingua latina, ma anche ebraica, araba e siriaca della Biblioteca Vaticana e poco dopo scriptor hebraicus effettivo. Ancora grazie alle istanze di Molza, per disposizione di Leone XII poté accedere alla Sapienza senza concorso quale professore di ebraico dal dicembre del 1827, per passare alla cattedra di greco nel 1832. La cattedra fu concessa con procedura straordinaria sia in cambio della cooperazione con Molza nell’impegnativo compito di comporre una grammatica, un’antologia e un lessico siriaci a uso dell’università (che però non videro la luce), sia perché già celebre «per le sue produzioni anche presso gli esteri» (Archivio di Stato di Roma, Università di Roma, b. 313, cc. n.n.).
Nel gennaio del 1840 gli fu offerta dalla Sapienza la supplenza della cattedra di archeologia, vacante per la morte di Antonio Nibby, ma egli rifiutò. Degno di nota che tale scelta muovesse da indicazioni dello stesso Nibby. Anche l’offerta della cattedra di greco da parte dell’Università di Oxford fu declinata.
Nel corso di quegli anni Sarti si andò affermando come studioso: nel 1831 e nel 1833 fu nominato rispettivamente socio ordinario e censore della Pontificia Accademia romana di archeologia, nel 1834 membro dell’Accademia di S. Luca, nel 1836 illustratore delle antiche iscrizioni dei Musei pontifici, nel 1847 membro della Königliche Akademie der Wissenschaften di Berlino. Nel 1846 Pio IX lo nominò cavaliere dell’Ordine di S. Gregorio Magno.
Nel 1836 morì la madre. Non risulta che si sia mai sposato.
Lo studio delle antichità lo vide in particolare dedito all’epigrafia, alla topografia e ai monumenti architettonici, ma questi ambiti di ricerca e tutto il suo impegno scientifico vanno ricondotti al suo essere filologo, nella piena ricezione della nuova concezione tedesca di filologia quale scienza globale dell’antichità.
L’applicazione del nascente metodo filologico appare patente nei frammenti pubblicati postumi da Pelliccioni, relativi allo studio della topografia di Roma antica; restano i giudizi di studiosi di rango, suoi contemporanei. Ebbe rapporti di profonda stima, di amicizia e di collaborazione scientifica con il topografo tedesco Christian Bunsen, il quale ne citò a più riprese attività e scoperte (Bunsen 1834 e 1835), in particolare nella grande opera dedicata alla topografia di Roma antica (E. Platner et al., Beschreibung der Stadt Rom, Stuttgart-Tübingen 1830-1842).
Fu grazie alla testimonianza dello studioso tedesco, nel primo volume (1830), che è stato tramandato un suo importante contributo alle fonti della topografia urbana: l’aver stabilito la non autenticità di due opere tramandate dai codici sotto i nomi di Publio Vittore e Sesto Rufo, amplificazioni di umanisti e non testo dell’antico Catalogo regionario. Bunsen era consapevole della sua grande dottrina filologica e ne scrisse a Giacomo Leopardi, spregiatore degli «antiquari» romani; ma certo ne reputava non comuni anche le conoscenze topografiche, se coniò per lui l’epiteto di «Principe degli astigrafi». Valga infine tutto il peso del giudizio di Theodor Mommsen, che pubblicò parte di una sua lettera su temi epigrafici (Corpus inscriptionum latinarum, XIV, 244-245), con parole di lode tanto più impressionanti, poiché ne è nota la severità di giudizio: «[...] Sarti uno dei pochi in Roma, che può chiamarsi Studioso» (Mommsen, 1849, p. 290).
Attivissimo in campo epigrafico, raccolse, collezionò e classificò numerose iscrizioni pagane e cristiane di Roma, concepì e/o partecipò a diversi progetti di studio e catalogazione epigrafica, senza che nessuno andasse a buon fine. Va ricordata la cooperazione negli anni 1835-37 con Olaus Kellermann, allievo di Bartolomeo Borghesi, nell’immane lavoro di creare un Corpus delle iscrizioni latine, primo grande tentativo dell’impresa che anni dopo sarebbe sfociata nel Corpus inscriptionum latinarum (CIL); si impegnò, inoltre, nel reperire fondi presso il governo pontificio. Tutto si interruppe per l’improvvisa morte di Kellermann, ma Sarti continuò a lavorarvi con l’Académie des Inscriptions di Parigi, che assunse allora l’onere del Corpus. Non è noto il suo ruolo, invece, quando l’accademia di Berlino si fece infine promotrice dell’opera, con successo. È certo, comunque, che fu in relazione scientifica con Mommsen, come detto. Nel 1824 con il collega Girolamo Amati progettò la ristampa emendata e integrata del Lessico di Egidio Forcellini (Totius latinitatis Lexicon, Padova 1771), che naufragò in extremis; il Manifesto di presentazione dell’opera, da lui redatto, offre uno squarcio della sua parallela attività di archeologo e topografo: era prevista un’appendice di lemmi «raccolti con lungo studio ed attenzione [...] dall’infinito numero d’iscrizioni de’ migliori tempi, che si conservano e sono giornalmente scoperti sotto i nostri occhi in Roma, o nei suoi contorni, miniere inesauste di simili monumenti» (Cugnoni, s.l. né d., p. 4).
A fronte di tanta attività, l’unica opera che pubblicò, con Giuseppe Settele, professore di astronomia e ottica alla Sapienza, fu Ad Philippi Laurentii Dionysii opus de Vaticanis cryptis; appendix in qua nova cryptarum ichnographica tabula... (Roma 1840), nuova edizione notevolmente ampliata e corretta dell’illustrazione dei monumenti antichi e medievali delle Grotte Vaticane, pubblicata nel 1773 da Filippo Lorenzo Dionisi (Sacrarum Vaticanae Basilicae cryptarum monumenta aereis tabulis incisa..., Roma 1773). Il peso scientifico dell’opera gli va ascritto pressoché esclusivamente. Buona parte delle carte manoscritte che lasciò, furono pubblicate postume da Pelliccioni (Pelliccioni, 1881a, pp. 73-142, figg. I-X; Id., 1881b) o da questi affidate ad altri allo stesso scopo (Henzen, 1849; E. Sarti, Frammento d’una tavola iliaca, in Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica, XXXV (1863), pp. 412-419, tav. N), incluso un certo numero di iscrizioni latine consegnate ai curatori del Corpus inscriptionum latinarum (e ivi pubblicate: VI, 1, p. LXVI, n. CXX). Un nucleo di manoscritti rimasti presso Pelliccioni, per lo più di filologia orientale, non sono ancora individuati. Andò invece a buon fine la completa revisione del lessico ebraico-caldaico di Johannes Buxtorf, pubblicato da Giovanni Ferretti (Joannis Buxtorfi Lexicon hebraicum et chaldaicum complectens voces omnimodas quae in Sacris Bibliis exstant, Roma 1845).
La quasi completa perdita dei suoi studi è dovuta alla prassi di affidarli solo alla propria memoria, al confronto verbale, ad appunti, a tal punto pativa un rifiuto della scrittura, «la naturale avversione che ho sempre avuto alla fatica improba dello scrivere» (Roma, Archivio storico Capitolino, Misc. di famiglie e persone, Carte Tocco, b. 29, c. 20A). Chiese persino di non comparire come autore nella pubblicazione (che non giunse a compimento) di un papiro greco acquistato per la Biblioteca Vaticana, il cui studio aveva condotto assieme ad Amati.
All’approccio filologico affiancò, per formazione e disposizione, l’archeologia sul campo: fu misuratore, disegnatore, ricognitore; nel giugno del 1821 assieme all’amico Melchiade Fossati, cultore di archeologia, richiese di poter «prendere misure [...] di dettaglio» nell’anfiteatro Flavio (Archivio di Stato di Roma, Camerlengato, I, b. 42, f. 231). Per anni si dedicò allo studio in loco degli edifici della parte occidentale del foro Romano (tra gli altri, i templi di Saturno, di Vespasiano e Tito, della Concordia, ma soprattutto il Tabularium), conducendo l’analisi tecnica e il rilievo degli edifici. Bunsen ne attestò l’operato negli Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica, invitandolo, invano, alla pubblicazione. Questo materiale e la mole di conoscenze accumulati per una prevista grande opera generale di topografia romana, andarono perduti.
La personalità scientifica di Sarti è affiancabile alle principali figure di archeologi della prima metà del XIX secolo, che modernizzarono la scienza archeologica; al pari di Nibby, l’esponente più rappresentativo, si avvalse pienamente della filologia, associandola all’archeologia sul terreno.
Gli ultimi due anni della sua vita furono fortemente segnati dalle vicende storico-politiche. Pio IX lo nominò consigliere comunale del Municipio di Roma, istituito con il motu proprio del 1° ottobre 1847, nella categoria degli «Scienziati, Letterati, Negozianti ed Artisti». Dal papa fu anche chiamato nella primavera del 1848 a far parte dell’Alto consiglio, una sorta di Senato previsto dal nuovo statuto. In entrambe le assemblee (particolarmente in quella Capitolina, stando alle fonti) fu molto attivo in settori da lui prediletti: i monumenti antichi e l’istruzione pubblica. Fu il consigliere primo eletto nella commissione deputata a formare l’ordinamento comunale e il progetto da lui presentato fu scelto all’unanimità (con modifiche non determinanti): cinque «Divisioni» in ordine gerarchico, di cui la «Prima» comprendeva la sezione «Istruzione pubblica e Monumenti antichi e moderni»; egli stesso ne fu membro. Iniziò così un impegnativo confronto con il governo, avente a oggetto la questione dei diritti comunali sui monumenti e quindi la consegna di questi da parte del ministero, che il Municipio continuò invano a rivendicare. Altra forte istanza municipale fu la scuola pubblica e in particolare la creazione di un ginnasio-liceo comunale.
Su entrambi i fronti, ebbe un ruolo decisivo, redattore di testi, membro di commissioni e di deputazioni. Poiché si voleva inserire la fondazione del ginnasio-liceo in un piano organico pedagogico-didattico, ne fu incaricato della stesura, che però non giunse mai a termine, per disaccordi e per l’evolvere degli eventi. Resta una sua relazione sull’ordinamento degli studi del nuovo ginnasio; documento alquanto antico nella storia della scuola classica in Italia (sette anni di corsi suddivisi in tre classi di insegnamento). Di minor respiro programmatico, ma di sorprendente modernità, è la sua proposta, che può dirsi di tutela e di archeologia preventiva ante litteram, approvata in Consiglio comunale, che chiedeva si fissasse, prima di discutere di qualsiasi progetto edilizio, «un principio invariabile di non fabbricare in alcuna parte della città, dove siano edifizi antichi di qualunque sorta, o apparenti o in qualche modo sepolti» (Roma, Archivio storico capitolino, Allegato seduta Consiglio comunale, 21 febbraio 1848).
Quale membro della Sezione monumenti, poi, fu un vero punto di riferimento per le autorità municipali: sul piano operativo della tutela e della gestione, a lui venivano richieste ispezioni, consulenze, relazioni.
L’attività del nuovo Municipio fu travolta dagli eventi e questa amministrazione pontificia decadde quando la Magistratura romana (ovvero la giunta comunale) si rifiutò di convocare i collegi elettorali per l’Assemblea costituente della Repubblica, sostituita allora da una commissione provvisoria municipale (5 gennaio 1849). Tuttavia, intenzionato a continuare nell’opera di consigliere, si candidò alle elezioni comunali dell’aprile 1849, risultando tra i primi eletti (nono). Dovendo la nuova amministrazione già sul nascere affrontare la guerra e l’assedio, il precedente sistema di Sezioni e Divisioni decadde de facto, allorché furono affiancate all’amministrazione ordinaria quattro commissioni di consiglieri con ampia facoltà d’intervento e una quinta, la Divisione centrale, organismo centrale di controllo, il solo che continuò pur con tutti i limiti, a discutere anche di piani di riforme: in questa sede si adoperò nella salvaguardia dei monumenti. Partecipò anche alle elezioni a suffragio universale dell’Assemblea costituente del 1849, ma non venne eletto.
Nonostante l’attiva partecipazione anche al Comune repubblicano, non sono ben chiari gli orientamenti politico-ideologici e i contenuti della sua adesione alla Repubblica, che sembrerebbe essere stata indispensabile in chi si candidasse alla Costituente, poiché è attestato che egli invece si rifiutò di prestare il giuramento alla Repubblica richiesto ai docenti universitari. Si proclamava stoico e politicamente contemporaneo dell’Uticense. Pur non credente, fu ammiratore di Vincenzo Gioberti e volle conoscerlo di persona a Roma nel maggio del 1848.
La nuova realtà politica lo scosse nell’intimo, al punto che confessò (9 gennaio 1849) di voler cominciare a scrivere e annotare le proprie idee, così da poterle mettere a frutto a vantaggio delle antichità, grazie alle straordinarie «circostanze della cosa pubblica» (Carte Tocco, cit., b. 29), nelle quali si pentiva amaramente di aver distrutto in passato propri scritti.
Le attuali conoscenze riguardo alla figura umana e scientifica di Sarti compongono un quadro frammentario, contraddittorio, ma restituiscono anche una personalità ricca e poliedrica. Certo siamo di fronte a una figura di cultore dell’antico, che abbracciò la causa repubblicana, vagheggiata quale rifondatrice dell’antica virtù e della passata grandezza, secondo un ben noto filone di pensiero di ascendenza illuministico-giacobina.
Morì a Roma la notte del 22 ottobre 1849 (la data si legge in Pelliccioni (1881b) e nel cenotafio nella chiesa di S. Agostino; il necrologio del Giornale di Roma riporta la data del 23).
Non mancò chi sostenne che si fosse avvelenato a imitazione di Catone Uticense e che, al pari di questi, non fosse sopravvissuto alla caduta della Repubblica. Furono celebrate «solenni esequie» il 25 ottobre, presenti i membri del Collegio filologico e i professori dell’università romana.
La sua raccolta di antichità (centinaia di iscrizioni, sarcofagi ecc.) – unitamente a carte manoscritte e disegni – fu ceduta dalla sorella al Comune di Roma e collocata nei Musei Capitolini.
Fonti e Bibl.: L’Archivio storico Capitolino di Roma conserva il nucleo delle carte manoscritte donate al Comune (i disegni sono irreperibili): Camera Capitolina, Cred. XIV, t. 169; la Biblioteca apostolica Vaticana conserva il manoscritto completo dell’Appendix a Dionisi, tutto di pugno di Sarti (Vat. Ferrajoli, 756) e il manoscritto dello studio del papiro di Tolomeo Filadelfo compiuto assieme a Girolamo Amati, il cui estensore è il solo Amati (Arch. Bibl., 106, cc. 321r-411r: Papyrum aegyptiam Ptolomaei Philadelphi aevo graece scriptam quam eminentissimum vir Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalis Bibliothecarius Iulius Maria a Somalea Sacri Conlegi Decanus Ostiae ac Velitrarum Episcopus Princeps aere suo coemit et Bibliothecae Vaticanae dono dedit Aemilianus Sartius et Hieronymus Amatius inlustrabant). Altre carte manoscritte di Sarti sono conservate sempre presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Arch. Bibl., 35, cc. 260r-261v; 106, c. 274rv; Autografi Ferrajoli - Raccolta Visconti, cart. 49, inv. 3432, cc. 6402r-6402bisv; Archivio segreto Vaticano, Segreteria Camerlengato, Vecchio Tit., XV, f. 778, cc. n.n.; Archivio di Stato di Roma, Università di Roma, bb. 313 e 299, cc. n.n.; Congregazione degli Studi, b. 549, f. n.n.: S. E. prof. di lingua e filologia greca membro del Coll.o Filologico; Camerlengato, I, b. 42, f. 231, c.c. n.n.; Roma, Archivio storico Capitolino, Comune pontificio (1847-1870), Consigli generali, 1, 1847-48: Allegato al verbale della seduta del 21 febbraio 1848, pp. 294-297; Congressi di Magistratura, 41/1, 1847-48; 42/2, 1849; ibid., Congressi di sezione, 98/1, 1848-50; ibid., Titolo 11, B.1, cc. 1/1: Relazione dell’Udienza avuta da Sua Santità per ottenere il Collegio romano e Principi fondamentali che il Comune intende di seguire nella istituzione del Ginnasio comunale, nn. IV-V [non sottoscritta]; Roma, Biblioteca Angelica, 2343, b. 2343.2: Carteggi di Filippo Mercuri, cc. 31-34; Roma, Biblioteca nazionale centrale, inv. 465101, cc. 1801-1900. Su Sarti si vedano, inoltre: Roma, Accademia nazionale di S. Luca, Archivio, vol. 108, n. 122; G. Ferrajoli, note manoscritte a Pelliccioni 1881a (copia in Biblioteca apostolica Vaticana); Roma, Deutsches Archäologisches Institut, Archivio, Corrispondenza, ad ind.; Archivio segreto Vaticano, Segreteria Camerlengato, Prot. 1, 2804, c. 681v; 766, c. 681v; 2805, c. 681v; Roma, Archivio storico Capitolino, Comune pontificio (1847-1870), Congressi di Magistratura, cit., Divisione I, Sez. I, 98/1, 1848-50; Misc. di famiglie e persone, Carte Tocco, b. 28, ff. 33, 71 (cc. n.n.); b. 29, f. 20A (cc. n.n.); Corpus inscriptionum latinarum, VI 1, p. LXVI n. CXX; XIV, p. XIX; Inscriptiones christianae Urbis Romae, n.s, I, p. LVI n. 144.
E. Platner et al., Beschreibung der Stadt Rom, I, Stuttgart-Tübingen 1830, pp. XII, 174, 669; Chr.K.J. Bunsen, Discours lu à la Séance publique de l’Institut, in Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica, VI (1834), pp. 23 s.; Id., Sur la continuation des fouilles du Forum Romain, ibid., VII (1835), pp. 64 s.; E. Braun, Römische Ausgrabungen. Scenen aus dem Abenteuer der Lästrygonen, in Archäologische Zeitung, febbraio 1849, n. 2, c. 31; G. Henzen, Intorno ad alcuni monumenti detti comunemente chiodi magici, in Bullettino dell’Istituto di corrispondenza archeologica, n.s., VI (1849), pp. 10-12; Th. Mommsen, Epigraphische Analekten n. 4, in Berichte über die Verhandlungen der königlich sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig, I (1849), pp. 290-293; O. Jahn, Specimen Epigraphicum in memoriam Olai Kellermanni, Kiel 1861, pp. XXI s.; G. Pelliccioni, E. S. ed alcuni frammenti postumi degli studi di lui, Bologna 1881a; Id., E. S. archeologo e orientalista (1881b), in Vite di Romani illustri, IV, Roma 1891, pp. 61-112; Id., Note astigrafiche postume di E. S., Roma 1886; G. Cugnoni, Recensione a G. Pelliccioni, E. S. ed alcuni frammenti postumi..., cit., s.l. né d.; Epistolario di Giacomo Leopardi, a cura di F. Moroncini, III, Firenze 1936, n. 732, p. 238; Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini - G. Zucchetti, I, Roma 1940, pp. 64, 206; G. Ferretto, Note storico-bibliografiche di archeologia cristiana, Città del Vaticano 1942, ad ind.; G. Mancini, S. E., in Enciclopedia cattolica, X, Firenze 1953, cc. 1931 s.; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, Città del Vaticano 1973, p. 224; J. Vernaccia Galli, L’Archiginnasio romano secondo il diario del prof. Giuseppe Settele, 1810-1836, Roma 1984, ad ind.; E. Flaiani, L’Università di Roma dal 1824 al 1852. Docenti, programmi ed esami tra le riforme di Leone XII e quelle di Pio IX, Città del Vaticano 2012, pp. 34, 66, 284, 298; S. Heid, E. S., in Personenlexikon zur christlichen Archäologie. Forscher und Persönlichkeiten vom 16. bis zum 21. Jahrhundert, a cura di S. Heid - M. Dennert, II, Regensburg 2012, I, pp. 1109 s.