BETTI, Emilio
Nacque a Camerino il 20 ag. 1890 da Tullio, medico condotto a Bausula (Macerata), e da Emilia Mannucci. Divenuto il padre nel 1901 direttore dell'ospedale civile di Parma, dal 1907 anch'egli visse in questa città, dove avviò i primi studi filosofici e storici e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza.
Le notizie sul periodo della formazione ci provengono in gran parte dallo stesso B., soprattutto da un singolare scritto del giugno 1944 intitolato Notazioni autobiografiche ove egli tracciò una storia del proprio percorso culturale (Padova 1953), mettendo in evidenza tre aspetti che gli stavano a cuore: la dimensione non settoriale e specialistica dei suoi studi, la loro ispirazione fondamentalmente filosofica ma estranea alle scuole consolidate e la forte serenità e indipendenza "spirituale", elemento portante della sua opera.
Tra il 1909 e il 1910 studiò in particolare le opere di Fichte, Hegel e Bergson. Nel 1910 si accostò alla storia del pensiero giuridico leggendo il Genossenschaftsrecht di O. von Gierke, traendo spunto dal terzo volume per uno studio delle dottrine politiche medievali. A. Solmi e G. Segrè, che insegnavano a Parma rispettivamente storia del diritto italiano e diritto romano, orientarono, di comune accordo, il B. verso una tesi sul diritto privato romano. La sua prima formazione romanistica si svolse nel biennio 1910-11. Ricordando le letture di allora nello scritto autobiografico, il B. porrà al primo posto il Labeo di A. Pernice (1873-1892), poi l'Edictum perpetuum di O. Lenel (già alla seconda edizione nel 1907) e la Römische Rechtsgeschichte di O. Karlowa (1901). In nessuno di questi autori occupa un posto di primo piano la ricerca interpolazionistica, che operava la dissezione della compilazione giustinianea per recuperarne il fondo classico dei testi, separandolo dalle interpolazioni giustinianee. E infatti il B. rifiutò fin da allora l'interpolazionismo. L'opposizione tra diritto classico e diritto giustinianeo, se compare nei suoi scritti romanistici, non esprime quasi mai una puntuale linea di confine tra due sistemi. Talvolta serve a definire due ideologie giuridiche, tra le quali quella classica sembra più congeniale all'autore. Non emerge comunque la classificazione dei caratteri distintivi dei due sistemi, che è generalmente condivisa dall'interpolazionismo e secondo la quale gli istituti classici sarebbero più schematici e lontani dal nostro diritto civile, quelli giustinianei più complessi e modernizzanti.
L'insegnamento di G. Segrè spingeva il B. piuttosto all'analisi giuridica che all'investigazione filologica secondo i criteri interpolazionistici. Egli preparò una tesi sul contrahere e le obligationes da contrahere, un tema privatistico che lo portò ad approfondire la problematica delle obbligazioni nell'opera di Gaio, e si laureò il 13 dic. 1912. Sviluppi e punti di arrivo di queste ricerche si trovano in studi pubblicati negli anni successivi, tra i quali Sul significato di "contrahere" in Gaio, Sanseverino Marche 1912, e Sul significato dogmatico della categoria "contrahere" in giuristi procullani e saliniani, in Bullettino dell'istituto di diritto romano, XXVI (1916), pp. 3-96, 329-333.
Nel 1912, vinto il concorso per sottobibliotecario reggente, prese servizio presso la Biblioteca Marciana di Venezia.
Intanto proseguiva nelle letture e nelle meditazioni filosofiche e si iscrisse al terzo anno della facoltà di lettere di Bologna. Risale al 1912 un breve scritto elaborato per una esercitazione di storia della filosofia dal titolo Il diritto nel sistema della realtà secondo Platone. Contributo alla storia della filosofia del diritto nell'antichità (poi pubblicato negli Annali della facoltà di giurisprudenza di Macerata, XXX [1971], pp. 3-29).
Oltre ad alcune citazioni di Hegel si trova, alla fine di queste pagine, un confronto tra la concezione platonica dello Stato e la visione marxiana ricavata dalla Questione ebraica. Questa è vista come la "perfetta antitesi" dello Stato ideale di Platone: "dove l'universale da lui viene imposto ai singoli, dal Marx viene svolto da essi", attraverso la loro emancipazione sociale. Il B. insomma coglieva come centrale in Marx, e con una connotazione positiva, l'idea di svolgimento, di divenire. Ma dalla lettura di Fichte, di Hegel e, soprattutto, di Bergson, nella temperie neoidealistica del primo Novecento, traeva una ferma ostilità al materialismo. In un appunto che risale al biennio 1909-1910 (riportato nelle Notazioni autobiografiche) scriveva: "il materialismo sta nel formarsi e rendere indipendenti gradi dello spirito primitivi, ancora astratti se per sé presi". Egli dunque vedeva nel materialismo il contrario del divenire e nel contempo ad esso riconduceva ogni operazione concettuale volta a distinguere tra gli elementi dello spirito. Analogamente era materialismo la ricerca delle "fonti" di un'opera (che spesso costituiva l'obiettivo della filologia positivistica). In realtà, la "filosofia pura" coltivata dal giovane B. coincideva con la reazione antipositivistica e con il soggettivismo diffuso in quegli anni tra le giovani leve intellettuali che leggevano Hegel attraverso Bergson, Gentile e Croce.
Frequentando la facoltà di lettere dell'università di Bologna, il B. intraprese una vasta ricerca storica su un tema suggeritogli da G. Cardinali, "La crisi della costituzione repubblicana a Roma e le origini del principato", e si laureò il 1° dic. 1913. Nel 194 fu a Vienna ove frequentò i corsi romanistici di M. Wlassak e di P. Joers. Dal novembre 194 assunse l'ufficio di sottobibliotecario a Pavia.
Nel 1914 pubblicò il saggio Cause e inizio della crisi della repubblica in Roma (in Il Filangieri, XXXVIII [1914], pp. 161-208, poi in Studi storici per l'antichità classica, VII [1914], n. 43 pp. 301-369; n. 7, pp. 1-34) e nel 1915 con La restaurazione sullana e il suo esito. Contributo allo studio della crisi della costituzione repubblicana in Roma (in Studi delle scienze giuridiche e sociali. Università di Pavia, VI [1915], pp. 117-360) concludeva le ricerche di storia politica romana che avevano avuto origine dalla tesi del 1913.
In questi saggi vi è una rilettura indipendente e in più punti critica delle tesi mommseniane, anche se la teoria del principato somiglia a quella dell'autore del Römische Staatsrecht. Va inoltre osservato l'interesse dichiarato per la storia politica contro il "feticismo giuridico". La costituzione dello Stato romano è il soggetto del divenire storico che trascende le singole forme del diritto.
Sullo sfondo di questi scritti, nei quali torna più volte il problema della rivoluzione, vi è una percezione delle crisi politiche e sociali che precedono il conflitto mondiale. Nasce da qui la curiosità storiografica per un periodo di transizione e di crisi come quello della genesi dei principato. D'altra parte, l'idea di Stato, oltre a essere uno schema euristico che assicura una continuità nella descrizione delle vicende politiche, appare anche come il fondamento di ogni possibile risoluzione delle crisi; è garanzia di equilibrio e di ordine.
Nel luglio 1915 ottenne la libera docenza, presso l'università di Parma, mentre continuava a prestare servizio presso la biblioteca di Pavia, dalla quale fu trasferito nel febbraio 1916 presso la Biblioteca Palatina di Parma. Partecipò l'anno stesso, senza successo, al concorso per una cattedra romanistica a Perugia.
Gli interessi filosofici continuavano ad occupare un posto di primo piano nella sua riflessione, pur senza dar luogo a pubblicazioni. Intorno alla fine degli anni Dieci, essi cedevano il passo alla ricerca giuridica, prevalentemente orientata verso il diritto privato e il diritto procedurale civile. Risale al 1916 un appunto pubblicato postumo, Per una nuova filosofia idealistica del diritto e della cultura (a cura di G. Crifò, in Quaderni fiorentini…, pp. 288-292).
È una testimonianza esplicita di quali fossero gli approdi dell'antipositivismo e del soggettivismo del Betti. Le citazioni sono numerose (come è costume dell'autore), ma spicca tra i nomi richiamati la coppia Nietzsche-Bergson. Qui il B. propone un'immagine più drammatica e pessimistica dei divenire, la cui formulazione teorica attribuiva proprio a questi pensatori: "Vi è una analogia innegabile tra - la concezione che Nietzsche (Geburt der Tragödie, prima pagina) ha della cultura antica come inserentesi (s'entamant) nella natura titanica e barbara sorgente e distaccantesi da essa quale rimedio o difesa... e la concezione che Bergson (Evolution créatrice) ha della vita, come sforzo per risalire la china che la materia discende, per arrestare o per ritardare tale discesa, per sospendere… provvisoriamente la generale degradazione dell'energia" (ibid., p. 289). La cultura e la vita gli apparivano come eccezioni, come il frutto di una lotta controcorrente. La stessa cosa valeva per il diritto. La iudicatio del terzo arbitro non è che "sospensione" dell'esercizio privato della ragione; e così l'obligatio sospende la vindicatio della persona. Il diritto, come lo spirito, è superamento del negativo, ma il B. sceglieva le concezioni di Nietzsche e Bergson proprio in quanto contrarie all'ottimismo di Hegel. Il superamento del negativo gli sembrava, insomma, un'impresa difficile e precaria.
Il 17 nov. 1917 vinse la cattedra di diritto romano all'università di Camerino, ove insegnò fino al 1922, ricoprendo anche l'incarico di diritto processuale civile. A di questi anni la monografia su La struttura dell'obbligazione romana e il problema della sua genesi (in Annuario dell'università di Camerino, 1918-1919, pp. 35-249; poi, in volume, Camerino 1919).
Meno di due anni erano passati dalla redazione di Per una nuova filosofia idealistica, ed ora il metodo del B. sembrava essere quello "organico e morfologico", elaborato da P. Bonfante, di stampo nettamente positivistico. È concetto di obbligazione veniva raffigurato come un'entità reale. R una vecchia metafora savigniana, già richiamata da R. Jhering che su di essa aveva fondato la teoria dei "corpi giuridici": prodotti di un'elaborazione concettuale che assumono un'identità e divengono soggetti di storie particolari. A questa immagine il B. riferiva le nozioni bonfantiane sostenendo che il concetto giuridico di obbligazione ha una struttura la quale cambia nel tempo in rapporto al mutamento di funzione. In ogni fase, secondo Bonfante, gli aspetti strutturali che non corrispondono alla funzione svolta rivelano il fatto che vi sia stata un'altra funzione preesistente: ne rappresentano un relitto ed una testimonianza. Ma il metodo bonfantiano perde nel B. la sua oggettività. La struttura dell'obbligazione non è assunta naturalisticamente, bensì costruita dal oggetto conoscente (che potrebbe denominarsi, senza tradire il pensiero bettiano, come "giurista storico"). E la comparazione si svolge anche prescindendo dalla funzione: vale a dire tra diverse strutture. Se il giurista storico fissa i caratteri costituenti la struttura dell'obbligazione classica e, fin dove è possibile, di quella arcaica, potrà poi raffrontarle con la struttura dell'obbligazione moderna. Ciò che vi è di diverso e irrecuperabile dal diritto moderno illumina la "natura originaria" dell'obbligazione; fornisce una traccia per ritrovare la sua genesi. Insomma, il metodo organico serve a compiere operazioni concettuali di classificazione entro il continuum storico; ed è il soggetto conoscente che consapevolmente lo usa per svolgere la propria attività ordinatrice. Questa immagine soggettivistica della storiografia giuridica si èsviluppata e articolata teoricamente nelle opere del B. a partire dalla seconda metà degli anni Venti.
Nel biennio 1921-22 videro la luce due studi in materia di effetti della cosa giudicata, problema che sta al confine tra diritto processuale e sostanziale: Efficacia delle sentenze determinative in tema di legati, d'alimenti. Contributo alla dottrina dei limiti oggettivi della cosa giuridica, Camerino 1921, e Trattato dei limiti soggettivi della cosa giuridica in diritto romano, Macerata 1922. Frattanto dal 1920 al 1922 il B. insegnò nell'università di Macerata, soggiornando durante i mesi invernali in questa città. I suoi interessi erano in questo periodo solidamente orientati verso la concettualizzazione giuridica in due direzioni: da un lato il diritto romano e il diritto civile (dei quali sottolineava l'unità), dall'altro il diritto processuale civile. Nella prefazione al Trattato del 1922 egli fissava comunque come obiettivo del proprio lavoro la "sistemazione", in termini che ricordano il pensiero di Savigny, secondo cui il sistema è valido non solo in ragione della propria compattezza logica, ma anche perché è idoneo a comprendere la disciplina dei singoli casi concreti.
Proprio negli anni cruciali dello squadrismo e del cedimento degli apparati statali, di fronte all'ondata di illegalità, il B. si accostò al fascismo. Dal 1923 al 1924 fu professore all'università di Messina, ove ebbe G. La Pira, che si laureò con lui a Firenze, tra i suoi studenti. Nel 1925 fu professore nell'università di Parma. Tornava così nella città dei suoi primi studi. Qui preparò nel dicembre 1925 la prima di due importanti prolusiofti che tenne il 17 genn. 1926: La creazione del diritto nella iurisdictio del pretore romano (poi pubblicata in Studi in onore di G. Chiovenda, Padova 1927, pp. 57-129).
Sinteticamente il B. esponeva il proprio programma teorico, ma soprattutto lo applicava. Esso può così riassumersi: i concetti giuridici della dottrina contemporanea, più adeguati alla descrizione dei presente, sono anche i più idonei a ricostruire gli istituti del diritto romano. Lo ius honorarium dei romani (diritto nuovo introdotto dai pretori e consolidato attraverso l'edictum) viene in questa prospettiva descritto come un ordinamento giuridico in senso istituzionale. Più precisamente, esso può considerarsi l'ordinamento interno della magistratura pretoria. Il B. ricollegava questa impostazione ad alcune pagine dell'Ordinamento giuridico di S. Romano (1918), nelle quali lo Stato veniva rappresentato come istituzione complessa, che consta di più istituzioni, ognuna delle quali ha un ordinamento interno. Ed applicava lo schema, di recente elaborato dalla dottrina, all'antica magistratura pretoria, considerata come parte dello Stato romano.Insegnò nell'università di Firenze tra il 1926 e il 1927, anno in cui fu chiamato alla cattedra di istituzioni di diritto romano dell'università di Milano. Il 14 nov. 1927 tenne la seconda delle due prolusioni che fissano l'indirizzo dei suoi studi per gli anni successivi: Diritto romano e dogmatica odierna (pubblicata in Archivio giuridico, 1928, vol. XCIX, pp. 129-150; vol. C, pp. 26-66): il soggettivismo filosofico che aveva segnato la formazione del B. diveniva ora una teoria della conoscenza giuridica.
"Pretesa ingenua - scriveva - è quella di far tabula rasa della mentalità del soggetto come per porlo "direttamente" a contatto dell'oggetto. Pretesa assurda secondo le più elementari nozioni di gnoseologia. Perché la conoscenza non consiste in una recezione puramente passiva dell'oggetto da parte del soggetto, ma sì in una elaborazione ricostruttiva, che è assieme assimilazione congeniale e valutazione critica". È evidente il distacco dalla mentalità positivistica e anche dal senso comune della storiografia dei diritto. In definitiva la ricostruzione del passato consiste in un procedimento di selezione, attraverso il quale viene formato l'oggetto medesimo dello studio. In questa opera le categorie proposte dal soggetto, non incontrando i limiti di una verifica, svolgono un ruolo dominante. L'attrezzatura logica del giurista che studia un diritto dei pqssato con intendimenti di storico non può non provenire dalla dogmatica odierna. Si tratta, nel campo del diritto civile, di una dogmatica postpandettistica, in parte ancora da costruire, della quale l'autore delinea già alcuni tratti: non più fondata sull'individualismo ma sul primato delle norme statuali e dei rapporti giuridici da queste disciplinati. Qui il B. considerava il liberismo ed il volontarismo caratteri peculiari della pandettistica. Anzi, tendeva a stabilire una stretta affinità tra la dogmatica elaborata dai giuristi bizantini e quella proposta nelle trattazioni sistematiche dell'Ottocento. Parallelamente, scorgeva una somiglianza tra gli scherni desumibili - anche se non espressi - del diritto romano classico e il sistema postpandettistico, in parte già delineato, in parte ancora da costruire. In entrambi - per ricordare un terna assai rilevante nel diritto civile - l'oggettivismo e la tipicità dei negozi giuridici esprimono il prevalere di un punto di vista sociale sulla volontà multiforme degli individui. Dunque, l'opposizione tra diritto classico e diritto giustinianeo, cara all'interpolazionismo, veniva qui recuperata in una prospettiva tutta ideologica. Ma si rivendicava una più netta attualità del diritto classico. Nella prolusione milanese vi era anche un'esplicita adesione all'indirizzo statalista del fascismo e all'idea di una solidarietà tra le classi da imporre, ove necessario, autoritativamente, secondo le linee fissate un anno prima dalla Carta del lavoro.Negli anni dell'insegnamento milanese, fino al conflitto mondiale, il B. sviluppò un progetto teorico di sistemazione in campi diversi del diritto positivo del presente e del passato proponendosi di superare l'eredità pandettistica attraverso ricerche particolari e trattazioni di largo impianto. Tra queste va segnalato il Corso di istituzioni di diritto romano, Padova 1929, in due volumi; Diritto procedurale civile. Appunti delle lezioni, Milano 1933 (2ª ediz., ibid. 1936); Esercitazioni romanistiche su casi pratici, dedicato al problema dell'"anormalità del negoziato giuridico", Padova 1930; infine, una poderosa sintesi dei suoi corsi romanistici è offerta in Diritto romano, I, Parte generale, ibid. 1935.
Frattanto, le meditazioni filosofiche occupavano uno spazio minore, anche se continuavano ad alimentare letture ed amicizie del B. (va ricordato il sodalizio con Adelchi Baratono). Fra il 1932 e il 1935 intraprese numerosi viaggi nell'Europa continentale e in Gran Bretagna. Nell'estate 1936 tenne conferenze per difendere la posizione dell'Italia in ordine alla campagna d'Etiopia in Svizzera, Germania, Olanda e Austria. Nel 1938 fu Gast Professor nelle università di Francoforte e Bonn. Nel 1938 si recò in alcune università tedesche per tenere una lezione di argomento politico dal titolo Die faschistische Staatsidee. Nello stesso periodo polemizzò con gli orientamenti avversi al diritto romano presenti nella cultura del nazismo. A queste esperienze è dedicato lo scritto Per la nostra propaganda culturale all'estero (in Studi in onore di G. Pacchioni, Milano 19393 pp. 1-51), ove si segnalavano tra l'altro alcune disavventure burocratiche con organi dei regime dovute, secondo il B., ad una scarsa consapevolezza di quanto fosse importante la diffusione in Europa delle idee guida del fascismo.
Nel 1939 il ministro guardasigilli D. Grandi lo chiamò a partecipare all'elaborazione del IV libro del codice civile (obbligazioni e contratti), ed è questo - insieme con le conferenze tenute all'estero - il solo incarico pubblico ricevuto dal fascismo. Del resto egli considerò deludente l'esperienza di collaboratore del codice civile. In questo testo prevalsero infatti concezioni del diritto privato non coincidenti con le sue e lontane da quelle che egli riteneva dovessero essere le novità storiche del fascismo.
Nell'estate e nell'autunno 1942 portò a compimento la Teoria generale del negozio giuridico, per la quale aveva cominciato a lavorare nel 1936.
Il volume fu pubblicato a Torino nel 1943 e lasciò una traccia profonda nella letteratura civilista. La categoria del negozio giuridico ruota qui intorno all'autonomia privata che l'ordinamento giuridico riconosce come fonte generatrice di rapporti giuridici. Questi a loro volta sono disciplinati dalle norme, in via astratta e generale. Il diritto oggettivo non può prestare il proprio appoggio all'autonomia privata, qualsiasi scopo essa si proponga. "Prima di rivestire il negozio della propria sanzione, l'ordinamento giuridico valuta la funzione pratica che ne caratterizza il tipo, e lo,tratta in conseguenza". Ciò significa che l'autonomia si risolve nella scelta tra tipi negoziali prefissati dalle norme in relazione al conseguimento di scopi che il diritto qualifica degni di tutela. A tali scopi l'ordine giuridico, e per suo tramite lo Stato, subordina le volizioni individuali disciplinando così la sfera economica della circolazione dei beni. La costruzione rivela un'ideologia statalisfica. Descrive il rapporto tra negozio giuridico e norma statale puntando sulla tipicità dei modelli negoziali, quindi riallacciandosi alla teoria della dichiarazione e svalutando la pura volontà, l'intenzione del soggetto. Il linguaggio impiegato ha più di una volta intonazioni antindividualistiche, ma non si può dire che dall'insieme di questa opera emerga una linea precisa di politica del diritto quanto alla disciplina dei rapporti di scambio e all'intervento statale nell'economia.
Nel periodo della repubblica di Salò, che il B. trascorse tra Milano e Camerino, proseguì in condizioni più difficili l'affività di insegnamento e volle ancora pubblicamente schierarsi a fianco del fascismo. Scrisse tre articoli sul Corriere della sera, diretto allora da E. Amicucci (26 febbraio, 12 e 19 maggio 1944), che riprendevano temi già svolti nelle conferenze tenute all'estero ai tempi della guerra d'Etiopia, proponendo un ordine nuovo fondato sull'asse Italia-Germania capace di allargarsi a tutta l'Europa continentale. La storia di questa attiva adesione, elaborata nell'isolamento, come del resto tutta la riflessione del B., va ricostruita tenendo conto degli orientamenti soggettivistici (a partire dal binomio Nietzsche-Bergson) e dell'ideologia autoritaria che lo accompagnavano fin dagli anni giovanili.
All'inizio dell'estate 1944, trovandosi a Camerino già occupata dai partigiani (un mese prima della liberazione della regione ad opera delle truppe alleate, che sarebbe avvenuta a luglio), il B. venne arrestato e imprigionato per circa un mese per decisione del Comitato di liberazione nazionale. In questo modo fu messo anche al sicuro da possibili e minacciati attacchi alla sua persona, mentre, in un momento di aspro conflitto, andava pubblicamente dichiarando solidarietà verso i Tedeschi e i fascisti. Proprio nell'estate 1944 concepì e scrisse le citate Notazioni autobiografiche, pervase da un pessimismo profondo e dal rimpianto per le meditazioni filosofiche abbandonate.
Sospeso dall'insegnamento nell'agosto 1945 e sottoposto a giudizio di epurazione, fu prosciolto da ogni addebito un anno dopo. Il 30 nov. 1946 fu chiamato dalla facoltà di giurisprudenza di Roma alla cattedra di diritto civile. Tenne la prolusione il 15 maggio 1948, essendo stato ritardato il suo trasferimento da un parere negativo del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.
Nella lezione introduttiva (Le categorie civilistiche dell'interpretazione, poi pubblicata in Rivista italiana per le scienze giuridiche, LV [1948], pp. 34-92) proponeva una problematica sulla quale già aveva avuto occasione di riflettere fin dalla prolusione milanese del 1927. Aveva sottolineato la storicità delle categorie di cui si serve il giurista moderno: "Non possiamo saltare a pie' pari diciassette secoli di tradizione giuridica". Ma alla mentalità e alla tradizione attribuiva nel 1927 una forza necessaria ed univoca. Il corso della storia legittimava il presente fino agli sviluppi appena abbozzati della dogmatica postpandettistica. Nel dopoguerra, invece, la riflessione bettiana sull'ermeneutica, sia in generale sia in riferimento al diritto, non nasconde una sua drammatica problematicità. Il punto d'arrivo è costituito dalla Teoria generale della interpretazione (Milano 1955), nella quale i rapporti fra categorie ermeneutiche e materiali della conoscenza si intrecciano con una difficile composizione tra soggettività e generalità dei valori: "Lungi dall'essere una creazione arbitraria del singolo io pensante e frutto di valutazioni meramente soggettive, i valori dello Spirito costituiscono un'oggettività ideale, che obbedisce infallibilmente a una propria legge. Ma d'altro canto essi debbono pure supporsi legati alla coscienza da un nesso cosi intimo e profondo da render ragione all'attitudine della coscienza a scoprirli; giacché, altrimenti, essi le renderebbero inattingibili". Così il B. credeva di superare il soggettivismo (abbandonando il rischio di una relatività della conoscenza); ma in realtà non trovava altra fonte ai valori se non il riconoscimento da parte dei soggetto (un soggetto portatore e erede di tradizioni che ora tendevano ad apparirgli come eccezioni. come principi negati dal conformismo di un mondo ostile).
Dal 1952 al 1954 tornò ai viaggi di studio e di insegnamento in Germania. Fu Gast Professor a Marburg durante i semestri estivi. Nel trimestre invernale tra il 1957 e iI 1958 fu Visiting Professor nelle università del Cairo e di Alessandria.
Tra la fine degli anni Quaranta e i Sessanta, mentre seguitava a condurre le sue ricerche sull'interpretazione, pubblicò numerosi lavori romanistici, oltre ad una seconda edizione della Teoria generale del negozio giuridico (Torino 1950), ad una trattazione della Problematica del diritto internazionale (Milano 1956) "e ad un volume di Lezioni di diritto civile sui contratti agrari (ibid. 1957).
Tra gli studi romanistici vanno ricordati soprattutto quelli sulle obbligazioni: Teoria generale delle obbligazioni in diritto romano, I, Milano 1947; Appunti di teoria dell'obbligazione in diritto romano, Roma 1956 (altre sezioni della stessa opera vennero pubblicate nel 1957); Imputabilita dell'inadempimento dell'obbligazione in diritto romano. Rischio contrattuale, atto illecito, negozio giuridico, ibid. 1959. Dell'inizio degli anni Sessanta è infine il volume di Istituzioni di diritto romano, II, 1, Padova 1962, che vuol essere un seguito dell'opera avviata nel 1929.
Il diritto romano continuava a costituire per lui un grande campo aperto di analisi casistica e di sistemazione. Proseguiva nella sua opera ricostruttiva con il duplice scopo di spiegare quel diritto del passato e di affinare su di esso la dogmatica odierna. Il suo insegnamento appariva agli studenti severo ed arduo, ma insieme capace di fornire un linguaggio rigoroso e sicuij punti di riferimento concettuali nella lettura e nella combinazione delle norme. Una cura particolare egli poneva nella costruzione dei linguaggio giuridico, fino a foggiare termini e locuzioni nuove che in qualche caso hanno avuto una fortuna duratura nel lessico dei giuristi. Basta ricordare tra tutti il termine "fattispecie", usato per la prima volta nel Corso del 1929, e risultante dal calco sul sintegma medievale species facti: un termine che indica nel suo discorso ogni situazione di fatto che formi oggetto di una previsione e valutazione normativa e perciò produca effetti giuridici.
Ma negli ultimi anni l'interesse dominante fu per la teoria dell'interpretazione. Curiosità intellettuali e campi di studio diversi confluivano in questa prospettiva: dall'estetica alla linguistica, dalla storia del teatro a quella del pensiero religioso. Nel 1955 la creazione di un istituto di teoria della interpretazione nelle università di Roma e di Camerino rappresentò un riconoscimento al lavoro svolto e realizzò un'aspirazione da lui a lungo coltivata. Nell'ambito di quell'istituto, dopo aver lasciato l'insegnamento ufficiale nel 1960 per raggiunti limiti d'età, continuò a svolgere corsi e seminari sull'ermeneutica e sulle sue applicazioni negli studi romanistici.
Il B. mori a Camorciano di Camerino l'11 ag. 1968.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ord., fasc. 509730; P. De Francisci, E. B. e i suoi studi intorno all'interpretazione, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, LVIII (1951), pp. 1-49; L. Caiani, La filosofia dei giuristi italiani, Padova 1955, pp. 163-199; G. Crifò, E. B., in Bullettino dell'istituto di diritto romano, LXX (1967), pp. 293-320; N. Henrichs, Bibliographie der Hermeneutik und ihrer Antvendungsbereiche seit Schieiermacher, Düsseldorf 1968, pp. 90-102; F. Wieacker, E. B., in Labeo, XVI (1970), pp. 131-139; A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica italiana, Milano 1974, ad Indicem; Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, VII (1978), numero monografico dal titolo E. B. e la scienza giuridica dei Novecento, con contributi di H. G. Gadamer, F. Bianco, A. De Gennaro, M. Bretone, L. Mengoni, R. Malter, G. Crifò, A. Schiavone, P. Costa, N. Irti, I. L. de Los Mozos. Le notizie degli avvenimenti dell'estate 1944 sono state gentilmente fornite da Giuseppe Ferri, professore all'università di Roma.