FRANCESCHI, Emilio
Nacque a Firenze il 16 marzo 1839 da una famiglia di modeste condizioni. Dopo gli studi al collegio Fortiguerri di Pistoia e all'istituto di belle arti di Firenze divenne allievo e apprendista dell'intagliatore P. Cheloni. I primi lavori autonomi che eseguì furono opere in legno, quali mobili, cornici e decorazioni, ricordate da M. Della Rocca nel 1883. Con i suoi intagli il F. partecipò all'Esposizione internazionale di Londra del 1862 e a quella di Parigi del 1867, dove ricevette la menzione d'onore. Nel 1869 si stabilì a Napoli, dove divenne direttore, e in un secondo momento socio, di una fabbrica di mobili, diffondendo lo stile neorinascimentale toscano in Campania. Nel 1873 fu nominato professore all'istituto di belle arti di Napoli. Mentre portava avanti la sua attività industriale, intorno al 1870 iniziò a scolpire in marmo, stimolato dalla frequentazione dello studio di D. Morelli.
In questi anni l'ambiente artistico napoletano era particolarmente animato e vivace. Al processo di rinnovamento in senso antiaccademico e verista, verso una immediata resa della realtà, aveva contribuito la scultura di S. Lista, A. Cecioni, V. Gemito e A. D'Orsi. Le prime prove del F. risentono di influenze piuttosto eterogenee. All'Esposizione internazionale di Vienna del 1873 ricevette un premio con un Menestrello in abiti medioevali, probabilmente ispirato alla Storia di un paggio del Morelli (la prima redazione risale al 1868), opera di analogo soggetto romanticheggiante e sentimentale. Dopo una facile concessione al gusto aneddotico e commerciale, testimoniata dall'opera Nel parco, esposta alla Promotrice di Napoli del 1875 (la "figura in gesso" raffigurante una "signora italiana del secolo XV", ricordata da F. Netti nella sua recensione alla mostra), il F. trovò una prima importante affermazione alla Promotrice napoletana del 1877, dove presentò le opere Guida araba in riposo (bronzo: Napoli, coll. Vonwiller), Parini (marmo: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e Opimia (marmo: Napoli, Museo di Capodimonte).
In Guida araba il F. affrontò un soggetto caratteristico ed esotico, quasi fratello degli scugnizzi alla Gemito, e tentò anche di rendere un effetto di policromia variando la fusione delle diverse parti del bronzo; Parini, dall'espressione pensosa e arguta, segue il modello di ritratto di un uomo illustre semplicemente seduto in poltrona, senza alcuna mitizzazione né retorica, il cui esempio più vicino nel tempo è il Cavour di V. Vela del 1861-63 (Ligornetto, Museo Vela). Il grande successo personale fu però assicurato da Opimia, nobile e bella vestale che si innamora di un nemico di Roma ed è perciò condannata a morte: il soggetto fu suggerito dalla abbondante letteratura contemporanea di ambientazione romana, tra la quale viene menzionata una tragedia di D.A. Parodi (L'Illustrazione italiana, 5 ag. 1877, p. 78).
Sono questi gli anni in cui, in ritardo rispetto alla pittura, la critica italiana si interroga su che cosa sia la scultura moderna: generalmente condannata è l'abbondante e facile produzione commerciale, che incontra però il favore del pubblico, anche europeo; il dibattito si orienta tra una scultura di "idea", espressione di un concetto anche nobile da tradurre plasticamente (per esempio l'opera di G. Monteverde), e il naturalismo più o meno esasperato (D'Orsi), e, infine, una scultura che ritrae le emozioni, impasto di intuizione e riflessione, espressione del sentimento e delle meditazioni dell'artista (in questo gruppo viene incluso il Franceschi). Per i critici moderati, quali R. De Zerbi e F. Netti, la figura concentrata in se stessa di Opimia è, innanzitutto, l'espressione di un malinconico dolore e solo in un secondo momento essi notano il costume antico della vestale.
Il F. sembra quindi ricercare un equilibrio tra la tradizione classico-romantica e l'adesione ai valori del naturalismo. Tale posizione è confermata dall'Eulalia cristiana, presentata all'Esposizione nazionale di Torino del 1880 (marmo: Torino, Musei civici; gesso: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna; bronzo, 1901: Ravenna, Accademia di belle arti).
La martire spagnola è raffigurata come un'adolescente legata alla croce, con il capo reclinato sulla spalla destra, il busto seminudo e le vesti che ricadono formando un lungo e ricco panneggio intorno alle gambe. L'Eulalia fu tra le opere premiate da una giuria che prediligeva quasi esclusivamente soggetti neoromani e archeologizzanti (come dimostrano i premi a F. Jerace, E. Maccagnani ed E. Ferrari). Nell'Eulalia, tuttavia, manca totalmente il tono polemico o di protesta; sebbene la figura in croce richiami il gruppo Cum Spartaco pugnavit del Ferrari, esposto nella stessa mostra, o lo Spartaco (1873) di E. Barrias, in quest'opera del F. è del tutto assente il dramma. La grazia e l'erotismo della martire seminuda fu notato anche dal Cecioni, che scrisse: "bella donna e bel panneggio, non è una vera martire morta… neanche a farlo con secondo fine, essa avrebbe potuto morire in una attitudine più graziosa" (1932, p. 97).
Il tema romano, ma di minore successo, ritorna anche nelle opere presentate all'Esposizione internazionale di Roma del 1883, dove il F. espose Fossor (bronzo: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e Ad bestias: nella figura del vecchio che sta per essere divorato dalle belve si accentua l'ispirazione al naturalismo più brutale del D'Orsi. L'anno seguente prese parte, con il gruppo equestre Vittoria e con Mater dolorosa, all'Esposizione di Torino.
Nel 1888 il Morelli lo presentò all'Accademia di belle arti di Napoli (si veda la Relazione, in Morelli - Dalbono, 1915). Nello stesso anno il F. portò a termine la statua di Ruggero il Normanno per la facciata del palazzo reale di Napoli.
Il progetto, eseguito per volere del re Umberto I, prevedeva di riempire le nicchie della facciata con le immagini dei sovrani del Regno di Napoli. Nel loro insieme queste statue sono una sorta di compendio della scultura napoletana del tempo: dal Federico II di Svevia di E. Caggiano al Carlo d'Angiò di T. Solari; dall'Alfonsod'Aragona di A. D'Orsi al Carlo V di V. Gemito; dal Carlo II di R. Belliazzi al Gioacchino Murat di G.B. Amendola, sino al Vittorio Emanuele II di F. Jerace (L'Illustraz. italiana, 1888, p. 25). Ruggero il Normanno è perfettamente inquadrato nella nicchia: le gambe divaricate, la spada trasversalmente in primo piano, l'espressione imperiosa e austera, vuole essere soprattutto l'emblema di un re conquistatore, discendente di una razza di dominatori.
Sempre nel 1888 il F. vinse il concorso per il monumento a Vittorio Emanuele II da erigersi nella piazza del Municipio di Napoli: il bozzetto prevedeva un gruppo equestre su un alto basamento quadrangolare, con i lati decorati a bassorilievo e la figura di Partenope ai piedi del monumento. Lo scultore aveva eseguito numerosi studi dal vero per il cavallo, aveva aggiunto quattro colonne ai lati e variato la posizione di Partenope, quando morì improvvisamente a Napoli, il 2 giugno 1890, senza aver realizzato l'opera.
La commissione affidò i lavori a T. Solari, concedendogli la possibilità di avvalersi di altri collaboratori; alla decisione si oppose il D'Orsi, che, per evitare il pericolo di un eclettismo di stili, avrebbe voluto che il concorso fosse nuovamente bandito, anche solo per portare a termine il bozzetto del F. (Della Sala, 1935). Dopo alcune incertezze, la commissione si limitò ad affiancare al Solari lo scultore A. Balzico. Quando il monumento venne inaugurato, fu criticata l'eccessiva altezza del basamento rispetto alle proporzioni del gruppo, la contorsione eccessiva del cavallo e un generale tradimento del progetto originario (De Luca, 1896-97).
Fonti e Bibl.: I. Fortunato, Una parte della Promotrice di Napoli, in Nuova Illustraz. universale, 6 sett. 1874, p. 130; F. Netti, XII Esposizione della Società promotrice di belle arti in Napoli, in L'Illustraz. universale. Rivista italiana, 6 giugno 1875, p. 314; C. Boito, Scultura e pittura d'oggi, Torino 1877, p. 406; R. De Zerbi, L'arte moderna, Firenze 1877, pp. 117 s.; F. Netti, Le nostre incisioni. Guida in riposo. Bronzo di E. F., in L'Illustraz. ital., 8 apr. 1877, pp. 209, 215; L'Illustraz. ital., 5 ag. 1877, pp. 77 s., 87; Eulalia cristiana, ibid., 23 maggio 1880, pp. 321 s.; Schizzi d'artisti. E. F., ibid., 22 ag. 1880, p. 114; L. Chirtani, Esposizione nazionale di Torino, ibid., 12 sett. 1880, pp. 170-172; Id., La scultura, in Album ricordo della Esposizione di belle arti a Roma, Milano 1883, p. 35; G. Arbib, in Giornale illustrato della Esposizione di belle arti in Roma, Roma 1883, pp. 26 s.; M. Della Rocca, L'arte moderna in Italia…, Milano 1883, pp. 315-318; Ennio, Fossor, in L'Italia, 1883, 16, p. 126; All'Esposizione diRoma… Due statue di E. F., in L'Illustraz. ital., 29 apr. 1883, pp. 262, 265; C. Boito, Gite di un artista, Milano 1884, p. 373; Le otto statue del re di Napoli, in L'Illustraz. ital., 1° luglio 1888, pp. 25, 30; N. Lazzaro, E. F., ibid., 12 genn. 1890, p. 33; F. Netti, Scritti vari, Trani 1895, pp. 180, 286; P. De Luca, L'ultimo monumento. Napoli a Vittorio Emanuele, in Natura ed arte, VI (1896-97), pp. 852-854; W.A. Rollins, History of modern Italian art, New York-Bombay 1898, pp. 159-163; O. Fava, La Pinacoteca di Capodimonte, in Natura ed arte, X (1900), pp. 355-360; D. Morelli - E. Dalbono, La scuola napol. di pittura nel secolo decimonono e altri scritti d'arte, Bari 1915, pp. 61-64; A. Cecioni, Opere e scritti, a cura di E. Somarè, Milano 1932, pp. 97 s.; V. Della Sala, Ottocentisti meridionali, Napoli 1935, pp. 177-181; E. Guardascione, Dall'artigianato all'arte: E. F, in Gazzetta del Mezzogiorno, 15 genn. 1938; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, II, pp. 607 s.; M.M. Lamberti, L'Esposiz. nazionale del 1880 a Torino, in Ricerche di storia dell'arte, 1982, n. 18, p. 42; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 288.