GIORDANA, Emilio (Claudio Gora)
Nacque a Genova il 27 luglio 1913, da Carlo, generale nell'esercito, e da Rosa Zardetto.
Nella città natale, dopo gli studi superiori in un istituto religioso, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Nel periodo universitario prese parte all'attività dei Gruppi universitari fascisti (GUF), fondando la rivista Il Barco, e cominciò a lavorare in teatro: la compagnia sperimentale da lui fondata, intitolata a L. Pirandello, si schierò contro il conformismo delle filodrammatiche dell'epoca. Presto, tuttavia, i suoi interessi si orientarono verso il cinema: insieme con il suo gruppo universitario concorse ai Littoriali della cultura e dell'arte con un film a passo ridotto, ottenendo il secondo premio.
In occasione di un censimento dei giovani talenti promosso dal settimanale Film, il G. ebbe l'opportunità di veder pubblicate alcune sue fotografie sulla rivista; in questa occasione usò per la prima volta il nome d'arte di Claudio Gora. Contattato dal produttore E. Fontana, fu chiamato a Roma per il film Ricchezza senza domani (1939) di F.M. Poggioli: il provino ebbe esito positivo e Fontana lo mise sotto contratto per due anni con la sua casa di produzione. Ciò nonostante, poté trasferirsi qualche tempo a Milano per le riprese di quello che fu, di fatto, il suo primo film, Trappola d'amore di R. Matarazzo (1939).
Fu questa la prima di più di cento interpretazioni cinematografiche. Sempre del 1939 è Torna, caro ideal di G. Brignone sulla vita del musicista F.P. Tosti, in cui il G. è protagonista. L'anno successivo prese parte ancora a due film di ambientazione musicale, entrambi diretti da C. Gallone: Amami, Alfredo! (di nuovo nelle vesti di un compositore) e Melodie eterne. Nel 1941 il G. fu coinvolto nel rilancio italiano dell'attrice Isa Miranda, di ritorno da Hollywood, con due film di A. Guarini, È caduta una donna e Documento Z-3, opera questa di propaganda fascista, alla quale egli lavorò pur con qualche riserva di natura ideologica.
In questi anni il suo personaggio si era cristallizzato nella figura del bel giovanotto, spesso affiancato alle maggiori dive dell'epoca. È il caso di Amore imperiale di A. Wolkoff (1941), dove fu protagonista insieme con Luisa Ferida, allora all'apice del successo; di Signorinette di L. Zampa, dove figura accanto a Carla Del Poggio, o ancora di Quarta pagina di M. Manzari, con Valentina Cortese (entrambi del 1942).
Il 1943 vide il G. ancora impegnato in diverse produzioni, tra cui: Dove andiamo signora? di G.M. Cominetti ed E. Marischka, L'amico delle donne di Poggioli e Resurrezione di F. Calzavara, tratto dal romanzo di L.N. Tolstoj, in cui l'attore interpreta il ruolo del principe Dmitri.
Nel 1944 sposò l'attrice Marina Berti, incontrata sul set di La storia di una capinera (1943) di G. Righelli, tratto da G. Verga. Dal matrimonio nacquero cinque figli, Carlo, Andrea, Marina, Luca e Cristina, alcuni dei quali hanno intrapreso la carriera dei genitori. Dopo le nozze, a causa della guerra, la coppia si rifugiò in Molise, tornando a Roma nel 1945. Qui il G. riprese la sua attività di attore.
Al 1946 risale il ritorno in teatro - dopo la sporadica attività giovanile - nei panni del Basil Hallward di Il ritratto di Dorian Gray (C. Bestetti, da O. Wilde), al Quirino di Roma per la regia di G. Salvini. Nel contempo, tra il 1946 e il 1950, la presenza del G. sui set si diradò.
Di questo periodo si ricordano Preludio d'amore (1946)di G. Paolucci, in cui fu affiancato dalla moglie e da V. Gassman. E ancora, Trepidazione di T. Frenguelli (1946) e L'isola di Montecristo di M. Sequi (1948).
Intanto egli pensava alla regia, sua vera vocazione; il mestiere d'attore, spesso mercenario, non era per lui che un mezzo di sostentamento. Già da tempo aveva proposto alcuni copioni al produttore C. Ponti, tra cui un progetto intitolato Home sweet home, sul problema della casa, affannoso e spesso drammatico nel dopoguerra: un primo esempio dei temi a sfondo sociale che coinvolgevano il miglior cinema dell'epoca, con cui il G. tentò di misurarsi.
Nel 1950 esordì dietro la macchina da presa con Il cielo è rosso, tratto dal romanzo omonimo di G. Berto, sceneggiato da lui stesso con C. Zavattini, L. Trieste e L.G. Santilli.
Si tratta di un film tardivamente neorealista, storia di un orfano di guerra che si unisce a un gruppo di disperati in uno sfondo di desolazione e morte. La pellicola, in cui recitava anche la moglie del G., segnò il lancio dell'attrice Anna Maria Ferrero.
Fu questa la prima di nove regie, non sempre fortunate. Nel caso di Febbre di vivere (1953), sua opera successiva, la lavorazione fu più volte interrotta per mancanza di fondi.
Liberamente tratto dal dramma Cronaca di L. Trieste, il soggetto fu sceneggiato, tra gli altri, anche da Suso Cecchi D'Amico. Interpretato da M. Mastroianni, dalla Berti, M. Serato e dalla Ferrero, è un'opera di denuncia sul disagio giovanile negli ambienti borghesi. Il film venne censurato perché trattava di aborto, subì dei tagli e dovette essere modificato nel finale. Nonostante ciò, il regista ottenne un importante riconoscimento, il Nastro d'argento, "per avere impostato una coraggiosa indagine d'ambiente e di costume".
L'esito commercialmente negativo della pellicola impose, comunque, al G. di abbandonare l'impegno delle opere precedenti per girare il dozzinale L'incantevole nemica (o Patte de velours), commedia pensata espressamente per Silvana Pampanini e cosceneggiata da Age e Scarpelli, in cui spicca la pantomima muta di B. Keaton.
Per poter seguire le proprie ambizioni e continuare nell'attività di regia, nel 1954 il G. fondò a Genova, insieme con C. Stagnaro, la Janua Film, casa di produzione che puntava soprattutto su spot pubblicitari e documentari. Ma tornò anche, più volte, a calcare le scene.
Nel 1955 lavorò con il Teatro regionale emiliano, al fianco di Elena Zareschi; con questa compagnia portò in scena, da protagonista, La moglie ideale di M. Praga, Vestire gli ignudi di Pirandello, La regina e gli insorti di U. Betti. Nel 1959 si unì alla compagnia del Teatro d'arte italiano. Una sua più assidua frequenza sulle scene si può riscontrare, infine, nel corso degli anni Ottanta, quando il G. collaborò con diversi teatri stabili: con quello di Genova nel 1981 (L'orologio americano di A. Miller, regia di E. Petri), con quello di Torino (La Mandragola di N. Machiavelli, regia di M. Missiroli) e con Veneto teatro (L'impostore di C. Goldoni), pur ricoprendo raramente ruoli da protagonista.
Frattanto, seppur con minore soddisfazione, aveva continuato a dedicarsi alla regia, con Tormento d'amore del 1956, triste storia sentimentale, diretta in collaborazione con E. Manzanos per una coproduzione italo-spagnola. Del 1958 è La grande ombra, melodramma ambientato a Venezia con M. Serato e Mara Berni. L'anno successivo fu la volta di Tre straniere a Roma, una commedia leggera con Claudia Cardinale.
Proseguiva, intanto, la sua carriera di attore cinematografico che, con gli anni, si fece più sicura e consapevole: se da giovane si era posto quasi esclusivamente come bel giovane, talvolta impacciato e freddo, con la maturità il suo personaggio si fissò nello stereotipo del borghese severo ed elegante, spesso antipatico, cinico e senza scrupoli, cui il G. seppe conferire il carattere di una sfuggente ambiguità.
Fra le sue più importanti interpretazioni si ricordano il delatore di Adua e le compagne (A. Pietrangeli, 1960), il colonnello di Tutti a casa (L. Comencini, 1960), il ricco industriale in Una vita difficile (D. Risi, 1961), l'attempato fidanzato di Catherine Spaak in Il sorpasso (D. Risi, 1962), l'accusatore di G. Ciano in Il processo di Verona (C. Lizzani, 1962), il primario corrotto di Il medico della mutua (L. Zampa, 1968), l'alto burocrate di Confessione di un commissariodi polizia al procuratore della Repubblica (D. Damiani, 1971).
Del 1960 è il secondo Nastro d'argento, questa volta come miglior attore non protagonista, per l'interpretazione di Remo in Un maledetto imbroglio di P. Germi, liberamente ispirato al romanzo di C.E. Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Nello stesso anno egli tornò alla regia.
La contessa azzurra, finanziato dall'armatore A. Lauro per farvi recitare la compagna E. Merolle, sceneggiato di nuovo con la collaborazione della Cecchi D'Amico, è un ben confezionato melodramma sullo sfondo dei café-chantant partenopei. Da regista il G. firmò ancora L'odio è il mio Dio (1969), western all'italiana con il figlio Carlo e Giusva Fioravanti, e Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo, del 1972: una commedia boccaccesca con risvolti sociali, anticipatrice di un filone che ebbe larga diffusione negli anni successivi.
A partire dagli anni Sessanta, e per tutto il decennio successivo, il G. aveva preso a recitare anche in televisione, dividendosi tra scena teatrale, grande e piccolo schermo; comparve, quindi, in popolari commedie e sceneggiati come Il fu MattiaPascal (1960), La Pisana (1960), La frana (1963), Vita di Dante (1965), La famiglia Benvenuti (1968), Una prova d'innocenza (1969), fino a La piovra 8 (1997). L'ultima apparizione cinematografica risale invece a Le mille bolle blu di L. Pompucci del 1996.
Il G. morì a Rocca Priora (Roma) il 13 marzo 1998.
Fonti e Bibl.: Venti anni di cinema italiano, Roma 1965, pp. 293 ss.; F. Savio, Cinecittà anni Trenta, II, Roma 1979, pp. 621 ss.; Enc. dello spettacolo, V, coll. 1480 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 1105 s.; Diz. del cinema italiano - I registi, Roma 1993, pp. 128 s.; Diz. del cinema italiano - Gli attori, Roma 1998, pp. 250 s.