NOTTE, Emilio
NOTTE, Emilio. – Nacque a Ceglie Messapica il 30 gennaio 1891 da Giovanni e da Lucinda Chiumenti Fincati.
I genitori, entrambi veneti, si erano trasferiti in Puglia per il lavoro di Giovanni, ricevitore dell’Ufficio del registro, impiego ministeriale che determinò i frequenti spostamenti della famiglia: dopo il trasferimento a Ceglie, seguirono quelli a Bovino, Lagonegro, Serino e Sant’Angelo dei Lombardi. Qui Notte frequentò il ginnasio e il liceo e cominciò a dare prova del suo precoce talento per il disegno, attitudine che convinse il padre a sottoporre i suoi lavori a Vincenzo Volpe, allora direttore del Regio Istituto di belle arti di Napoli, il quale, intuendo le potenzialità del giovane, lo prese sotto il suo magistero. Nel 1906 fu così ammesso presso l’Istituto napoletano e visse in città con la zia paterna. Nell’ambiente artistico dell’Istituto, che gli apparve retrivo, fu colpito dalla figura isolata di Michele Cammarano.
Nel 1907 seguì la sua famiglia a Prato, dove il padre era stato nuovamente trasferito; si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze ed ebbe come maestri Adolfo De Carolis e Giulio Aristide Sartorio. Da studente frequentò Giovanni Michelucci, Attilio Cavallini, Plinio Nomellini e Galileo Chini, che lo introdussero nel gruppo della Giovine Etruria e gli presentarono l’ormai anziano Giovanni Fattori, la cui poetica realista Notte sentì da subito vicina; studiò i pittori toscani del Quattrocento e Cinquecento, ma si interessò altresì agli esiti delle ricerche secessioniste mitteleuropee, la cui influenza è evidente in un’opera come Feticismo, presentata alla Biennale di Venezia del 1912.
Diplomatosi all’Accademia nel 1912, già nel 1908 aveva esposto alla Primaverile fiorentina e nel 1910 alla Promotrice di Firenze. Nello stesso anno del diploma, fu chiamato a partecipare alla citata Biennale e conobbe Lorenzo Viani, «con cui condivide[va] la tematica degli umili e degli oppressi» (Di Nardo, 2005, p. 503).
Le opere realizzate fino al 1913-14 – si vedano, tra tutte, I poveri di Prato, 1910 circa (E. N., 2012; a tale testo si rimanda per le riproduzioni delle opere citate, ove non diversamente indicato); Le bigotte, 1910 (Prisco - Crispolti - De Micheli, 1975); Gli idioti, 1913 (ibid.); Il soldo (1913), vincitore a Bologna del concorso Baruzzi del 1915 (Trione, 1996); L’orfana, 1913 (ibid.) – talvolta frutto di uno studio dal vero dei poveri dell’ospizio di Prato, indagano tanto la miseria della condizione umana, quanto i rituali collettivi degli strati più umili della società, raffigurati in dipinti di impianto corale, il cui realismo, però, è «di contenuti più che di forme» (Picone Petrusa, 2005, p. 32), giacché la resa figurativa dei personaggi – «aspri, scabrosi, antigraziosi» (Notte, 2010, p. 27) – vira in direzione espressionista.
A Prato, si era legato d’amicizia con Mario Carli e Bino Binazzi, e, grazie a quest’ultimo, aveva conosciuto Dino Campana, Curzio Malaparte e Ardengo Soffici, e cominciato a frequentare, a Firenze, l’ambiente lacerbiano e i caffè Pazkowski e Giubbe Rosse. Nel 1913 prese parte alla serata futurista al teatro Verdi di Firenze e incontrò Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni e Carlo Carrà, che esponevano in città le loro opere presso la libreria Gonnelli, e Lucio Venna, che diventò poi suo allievo e amico.
L’adesione al futurismo, cui era accomunato da un profondo «amor vitae» (De Micheli, 1975, pp. n.n.) e da un’ansia di sperimentazione, avvenne «dopo almeno un biennio di studi e riflessioni» (Notte, 1996, p. 270), durante i quali l’artista meditò sulla lezione di Cézanne e recepì l’influenza di Boccioni, rimando aperto ai contatti con la Mitteleuropa, come testimoniano le sue partecipazioni, nel 1914 e 1915, alla I e II Mostra della Secessione romana, e dipinti come Manichino nero (1913; Trione, 1996), Maschere (1914; Prisco - Crispolti - De Micheli, 1975) e Sotto le armi (1915). Se in alcune nature morte realizzate tra il 1913 e il 1914, nonché nel Ritratto di Lucio Venna (1914; Notte, 1998), la tassellatura dei colori e il trattamento dei volumi evidenziano lo studio di Cézanne, nel baroccio del quadro La stradabianca (opera dipinta nel 1914, presentata alla Mostra del soldato del 1917 e acquistata dai Savoia) è ravvisabile un primo tentativo di dinamismo e sintesi compositiva. Fu, però, La carrozzella del 1915, con la sua vorticosa scomposizione delle forme, ad aprire la stagione futurista di Notte.
Il futurismo di Notte si contraddistinse per la vocazione umanistica (Notte, 2010, p. 32), «sociale ed esistenziale» (Pontiggia, 1998, p. 123), e per la solida costruzione delle figure e dei piani, di tratto quasi cubista. Ai temi della macchina e del progresso, continuò a preferire quelli del mondo popolare, ritratto nelle piazze; così come, alla retorica della guerra, oppose immagini di soldati affratellati o vinti dalle battaglie: a tal proposito vanno menzionate le opere Popolana (1915; Notte, 1996), Piazza Mercatale a Prato (1916; Id., 1998), Piazza Battistero a Firenze (1916), Vento e lavandaie (1916; Picone Petrusa, 2005), Il burattinaio (1916), Girotondo (1916; Prisco - Crispolti - De Micheli, 1975), Ritratto di un commilitone (1916-17; Notte, 1996), Piazza d’armi-Sintesi geometrica (1917; Pontiggia, 1998), Soldati in azione (1917; Crispolti, 2000) e La distribuzione del pane (1918; Notte, 1998).
Nel 1915 prese studio a Firenze, dove presentò 30 opere nella sua prima personale, organizzata presso il palazzo delle Esposizioni. Dal 1916 cominciò a mettere su carta le sue riflessioni sull’antiastrattismo e la necessità della sintesi geometrica in pittura, confluite in un primo documento, rimasto all’epoca inedito, e nel manifesto Fondamento lineare geometrico, redatto con Venna e pubblicato nel 1917 in L’Italia futurista, sulle cui colonne aveva già esordito l’anno precedente con la tavola parolibera Natura morta = Venezia (Bove, 2009, pp. 105 s.). Nel 1917 si cimentò con la pittura polimaterica, dipingendo il Ritratto di Arnaldo Ginna (Notte, 1996). Tra il 1916 e il 1917 fu chiamato alle armi: la sua esperienza come militare si concluse a Bologna, dove fu ricoverato per una ferita ed ebbe modo di frequentare Giorgio Morandi.
Nel 1918 lasciò Firenze e visse per un breve periodo a Venezia, ma dalla laguna si spostò frequentemente a Milano; alla fine dello stesso anno vi si trasferì con la cantante lirica Ines Dell’Armi, dalla quale ebbe, nel 1920, la figlia Adriana. A Milano, intensificò i suoi rapporti con Marinetti e Carrà; fu vicino anche ad Achille Funi, Arturo Martini e Mario Sironi, e frequentò il salotto di Margherita Sarfatti. La sua pittura si arricchì di soggetti propri della vita cittadina moderna, come le automobili in corsa, e il suo stile evolse in direzione di un’accentuazione del dinamismo e del cromatismo, riscontrabile in opere quali Ragazza sul prato (Notte, 1998) e Le popolane (Prisco - Crispolti - De Micheli, 1975), dipinte tra il 1918 e il 1919.
A partire dal 1919 collaborò, contemporaneamente, alle riviste I nemici d’Italia, diretta da Armando Mazza, Cronache d’attualità, fondata da Anton Giulio Bragaglia, e Roma futurista; ebbe contatti con il periodico dadaista italiano Procellaria, su cui pubblicò due disegni (Notte, 2012, p. 139); ideò, per l’editore Facchi, le copertine di due opere di Voltaire, Candido e Zadig, illustrazioni non ancora indagate dagli studi, così come la sua attività di grafico pubblicitario; espose nella collettiva futurista tenutasi presso l’ex caffè Cova e fu impegnato in un’importante personale alla galleria Ballerini, replicata poi a Roma presso la casa d’arte Bragaglia; con Roberto Marcello Baldessari e Venna maturò l’idea di una tournée futurista (Notte, 2010, pp. 52-54); a Padova realizzò gli affreschi per la villa del mercante d’arte Francesco Pospisil (Cassese, 2012, p. 32); a Venezia, con Teodoro Wolf Ferrari, Arturo Martini, Ercole Sibellato e Enrico Trois, fondò l’UGA (Unione giovani artisti), al fine di svecchiare la cultura figurativa lagunare, considerata accademica e passatista; partecipò all’Esposizione internazionale di Ca’ Pesaro e, nel 1920, alla Mostra dei Dissidenti di Ca’ Pesaro, ospitata nella galleria Geri-Boralevi.
Se per Notte il biennio 1919-20 fu frenetico, le opere che produsse in quegli anni – come la natura morta Post prandium (Notte, 1996), Tre soldati italiani (Id., 1998), Ragazze sul prato a Milano (Id., 1996), L’arrotino (Mercuri, 1974), Al mercato (ibid.) e La vendemmia (ibid.) – denotano invece un ‘raffreddamento’ del dinamismo futurista e «una sintesi che richiama i modi quattrocenteschi» (Notte, 2010, p. 58). Nel 1920, la partecipazione alla Mostra internazionale d’arte moderna di Ginevra, su invito di Enrico Prampolini, costituì, difatti, «l’ultimo atto della sua intensa stagione futurista» (Pontiggia, 1998, p. 126). Apprestandosi a vivere il suo periodo novecentista, ritornò, tra il 1920 e il 1922, ai modi veristi degli esordi fiorentini – si vedano, per esempio, La mendicante (Mercuri, 1974) e La cieca cantastorie, entrambe del 1922 – e allo studio della pittura veneziana del Settecento, magistralmente reinterpretata nelle nove lunette dipinte per il caffè Florian di Venezia, successivamente rimosse e in parte passate sul mercato antiquario (Cassese, 2012, pp. 31 s.).
Nel 1923 gli fu assegnata la cattedra di pittura al liceo artistico di Venezia e l’anno successivo, a seguito della vittoria del Pensionato artistico nazionale, si trasferì a Roma, dove cominciò a insegnare presso la Scuola libera del nudo dell’Accademia di belle arti. Nel 1925 Attilio Rossi, direttore della Regia Calcografia nazionale e di Villa d’Este, gli affidò la decorazione dell’auditorium del monumento tiburtino, dedicata alle arti e i mestieri descritti negli statuti medievali di Tivoli. Il ciclo pittorico, ricco di richiami al realismo italiano e francese dell’Ottocento, è testimonianza dell’interpretazione nottiana dei valori figurativi promossi da Novecento italiano.
Tra il 1927 e il 1929 mise mano ad una serie di tele di soggetto mitologico e allegorico, che costituivano la decorazione di un soffitto di casa gentilizia (ubicazione ignota; Cassese, 2012, p. 35; Notte, 2012, p. 139).
Influenzato dalla frequentazione di Massimo Bontempelli, già a partire dal 1929 e fino al 1932, accolse, in dipinti quali Tre allieve nello studio (1929), Ballerina (1930; Notte, 2010) e L’allievo (1931), le atmosfere del realismo magico; contestualmente, nella serie di tele raffiguranti la figlia Adriana e nel Ritratto di Costanza Lorenzetti (1931), utilizzò una pennellata e delle cromie che riecheggiano gli impressionisti.
Nel 1929 accettò la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Napoli, ma a causa dei reclami dei colleghi, contrari alla sua nomina perché di formazione avanguardista, dovette insegnare decorazione. Molto amato dagli studenti per la sua didattica eterodossa e la capacità «di aprire finestre significative su parecchie delle avanguardie storiche» (Picone Petrusa, 2005, p. 55), maestro dei maggiori artisti napoletani della seconda metà del Novecento, ma osteggiato inizialmente dagli intellettuali locali, si trasferì a Napoli solo nel 1936; fino a tale data, visse a Roma e partecipò alle principali esposizioni nazionali – fu presente alla Biennale di Venezia nel 1930, 1932 e 1936; alla Quadriennale di Roma nel 1931 e 1935 e alle Mostre sindacali toscane, laziali e campane (Notte, 2010, pp. 74 s.; De Rosa, 2012 B, passim) – e internazionali, prendendo parte alla Mostra circolante di arte italiana contemporanea in Germania, organizzata a Berlino (e in altre città) nel 1933.
Nel 1938 fu chiamato ad affrescare il Mito di Enea su una delle pareti del salone d’onore del palazzo degli Uffici della Mostra d’Oltremare di Napoli, mentre nel 1939 ottenne la cattedra di figura del nudo all’Accademia – per il trasferimento definitivo a quella di pittura dovette tuttavia aspettare fino al 1948 (De Rosa, 2012A, p. 138) – e ne fu nominato direttore. Successivamente, desideroso di superare i modelli novecentisti, trasse ispirazione da Renoir, stemperandone però l’acceso cromatismo, com’è possibile osservare in Nudo (1939), Autoritratto con allievi (1940) e Famigliain giardino (1940).
Tra il 1941 e il 1944, durante i bombardamenti che colpirono la città, realizzò una serie di disegni raffiguranti i rifugiati nei ricoveri antiaerei. Nel 1942 partecipò al premio Bergamo e fu invitato alla Biennale di Venezia, dove gli fu riservata un’intera sala. Dal novembre 1943 al febbraio 1944, in piena occupazione americana dell’Accademia, ne ricoprì la carica di presidente (De Rosa, 2012B, p. 93) e nell’inverno del 1944 prese parte alla mostra organizzata dalla Libera Associazione degli artisti napoletani presso la galleria Forti (Picone Petrusa, 2005, p. 56).
La militanza politica, incominciata nel 1947 con l’iscrizione al Partito comunista italiano, accentuò la sua propensione a rappresentare il dramma umano e della storia (De Micheli, 1975): accanto a opere schierate – come il Corteo del primo maggio del 1951-52 – e di denuncia – si veda la sofferta Strage di Melissa del 1953 – si accostano quelle incentrate sulle pene umane – visibili sui volti di acrobati, mendicanti, pastori e contadini, esposti nelle Quadriennali romane del 1951, 1955 e 1959 – e sul ruolo civilizzatore del lavoro – incarnato dal S. Giuseppe operaio, pala d’altare dipinta nel 1958 per la basilica di S. Giovanni Bosco a Roma.
Per tale, ricca produzione, l’artista operò «il recupero di tanti diversi linguaggi» (Di Nardo, 2005, p. 504), dal cezannismo al cubo-futurimo, passando per il picassismo del ‘periodo rosa’ e di Guernica, fino a lambire il muralismo messicano.
Nel 1958 nacque il suo secondo figlio, Riccardo, avuto dall’ex allieva Maria Palliggiano; nel 1961 fu collocato in pensione per raggiunti limiti di età – ma lasciò l’insegnamento in Accademia nel 1963 (De Rosa, 2012A, p. 138) – e cominciò a rifugiarsi, frequentemente, nelle isole Eolie.
Le opere datate dal 1961 al 1965 – «quadri “neri”», «talvolta dipinti polimaterici», dai contenuti filosofici ed ermetici (Notte, 2010, p. 81) – sono dette, infatti, del ‘periodo di Vulcano’. A tale fase seguì il ‘periodo delle pietre’ (1965-74), giacché i soggetti dei dipinti sembrano pietrificati nell’attimo in cui compiono un movimento, al pari dei Prigioni michelangioleschi. Contestualmente, l’artista produsse una serie di nature morte con giocattoli e diversi collage di forma irregolare dedicati alle esplorazioni spaziali; inoltre, dipinse «tele di forte impatto» (ibid.), quali le Crocifissioni del 1971 (Prisco - Crispolti - De Micheli, 1975) e del 1972 (Notte, 2010) e La strage dei pionieri del 1974.
Dall’inizio degli anni Sessanta era stato invitato a presenziare alle due principali retrospettive italiane sul futurismo, tenutesi la prima a Roma, presso la galleria La Medusa nel 1961, e la seconda a Firenze, presso Palazzo Strozzi nel 1967. Nel 1974 l’Ente premi di Roma gli tributò la prima mostra antologica, organizzata presso la Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini, seguita, nel 1977, dall’esposizione monografica ospitata presso il Palazzo reale di Napoli. Nello stesso anno, fu inaugurata, nella sua città natale e in sua presenza, la Galleria d’arte moderna Emilio Notte, alla quale aveva donato un nucleo significativo di opere.
Come riconoscimenti per la sua lunga carriera, nel 1961 fu nominato membro del comitato italiano dell’Unesco, nel 1968 dell’Accademia di S. Luca (Notte, 2012, p. 140) e nel 1982 dell’Accademia pontaniana di Napoli (Cassese, 1991, p. 999); nel 1961 e nel 1977 ottenne anche onorificenze dalla Presidenza della Repubblica (Notte, 2012, p. 140).
Morì a Napoli il 7 luglio 1982.
Fonti e Bibl.:per la bibliografia precedente e per la ricostruzione delle vicende biografiche di Notte si fa riferimento, principalmente, al volume del figlio Riccardo (R. Notte, E. N.: la vita, le opere, San Cesario di Lecce 2010), nonché a una testimonianza da questi gentilmente rilasciata a chi scrive nell’aprile 2012. Allo stesso si deve anche la notizia relativa all’illustrazione della copertina del Candido di Voltaire. Tra i contributi più significativi, si segnalano: E. Mercuri, E. N. Impegno politico e autonomia poetica, Roma 1974; M. Prisco - E. Crispolti - M. De Micheli, E. N., Macerata 1975 (M. Prisco, E. N., appunti per una biografia; E. Crispolti, E. N. futurista (tra realismo, secessionismo, Novecento); M. De Micheli, La vicenda di E. N. dal verismo al futurismo); G. Cassese, E. N., in La pittura in Italia, a cura di C. Pirovano, Il Novecento I 1900-1945, Milano 1991, II, pp. 998 s; M. Picone Petrusa, 1945-1955. Gli anni della ricostruzione e il dibattito tra realisti e astrattisti, in Fuori dall’ombra… (catal.), a cura di N. Spinosa etal., Napoli 1991, pp. 31-62; R. Notte, E. N., in Futurismo e Meridione (catal.), a cura di E. Crispolti, Napoli 1996, pp. 270-280; V. Trione, E. N., futurista in transito, in OttoNovecento, I (1996), 1, pp. 29-41; E. Pontiggia, E. N. Un futurismo esistenziale, in Verso le avanguardie… (catal., Bari-Taranto), a cura di G. Appella, Bari 1998, pp. 121-126; R. Notte, Nuovi inediti di E. N., ibid., pp. 127-148; Gaetano Facchi: un editore di cultura all’origine del tascabile popolare (catal.), a cura di A. Modena, Milano 1999, p. 18; Il futurismo attraverso la Toscana… (catal.), a cura di E. Crispolti, Livorno 2000, passim; M. Picone Petrusa, Gli anni difficili. Le arti a Napoli dal 1920 al 1945, inArte a Napoli dal 1920 al 1945… (catal.), a cura di Ead., Napoli 2000, pp. 25-40; I. Valente, Grandi cicli decorativi a Napoli negli anni Trenta: un percorso tra la stazione marittima e la Mostra d’Oltremare, ibid., pp. 53-66; V. Trione, E. N., ibid., pp. 341 s; E. N. Dal futurismo agli anni Settanta. Opere su carta (catal., Melfi-Napoli), a cura di G. Agnese - R. Notte - M. Pinottini, Napoli 2001; U. Piscopo, E. N., in Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, II, K-Z, Firenze 2001, pp. 796 s; M. Picone Petrusa, La pittura napoletana del ’900, Sorrento 2005, passim; D. Di Nardo, E. N., ibid., pp. 503 s; G. Bove, Scrivere futurista…, Roma 2009, pp. 85-109; M. Confalone, E. N., in 9cento. Napoli 1910-1980. Per un museo in progress (catal.), a cura di N. Spinosa - A. Tecce, Napoli 2010, pp. 246-249; R. Notte, E. N.: la vita, le opere, San Cesario di Lecce 2010; E. N. (catal.), a cura di G. Cassese - A. Spinosa, Napoli 2012 (con bibl. precedente); G. Cassese, E.N.: un percorso tra arte pubblica, ‘fare monumentale’ e decorazione, ibid., pp. 31-42; F. De Rosa, E.N. in Accademia, ibid. (2012A), p. 138; R. Notte, E.N., ibid., pp. 139 s; F. De Rosa, Il sistema delle arti a Napoli durante il ventennio fascista. Stato e territorio, Napoli 2012B, passim.