SALGARI, Emilio
SALGARI, Emilio. – Nacque a Verona il 21 agosto 1862, secondogenito di tre fratelli: il primo, Paolo, nato nel 1861, e la terza, Clotilde, nata nel 1864. Il padre, Luigi, era possidente terriero e commerciante di panni, e la madre, Luigia Gradara, proveniva da una famiglia benestante veneziana. Vivevano in vicolo cieco Pozzo San Marco al civico 5. Il 7 settembre Salgari fu battezzato nella parrocchia di Santa Eufemia e presto portato nell’avita casa di Negrar, e affidato alla balia Maddalena Cinquetti.
I Salgari, in Valpolicella fin dal Seicento, si occupavano di attività agricole risiedendo nella vasta corte di Tomenighe. Nel tempo ampliarono le loro proprietà e all’inizio dell’Ottocento un ramo della famiglia si stabilì a Verona, dove era nato il padre. In quella valle Salgari lasciò traccia indelebile di scorrerie giovanili che resero indissolubile nella sua vita l’intreccio tra città e Valpolicella. Frequentò nel 1874-75 la prima classe presso il Regio istituto tecnico, e la ripeté nel 1875-76 e nel 1876-77 presso l’Istituto tecnico comunale: alla terza prova superò la sessione di esami. Nell’anno scolastico 1877-78 fu rimandato ma non si presentò alla sessione autunnale.
Significative le tracce adolescenziali di propensione alla scrittura: il frontespizio di un quaderno giovanile di Poesie; un libro titolato Giorgio Schestakoff, ovvero Un esiliato fuggito dalla Siberia, datato primo agosto 1878; Il capitano Falconara, quaderno con nove illustrazioni e tre carte geografiche; le Avventure di Simone Van Der nella Nuova Guinea, vero e proprio romanzo.
Giovane, aspirava a viaggiare, solcare gli oceani per raggiungere terre lontane e selvagge. Una passione alimentata dalla curiosità e dalla lettura di avventure, di riviste di viaggio, dalla consultazione di atlanti geografici e repertori naturalistici. Fu logico per lui, abbandonati gli studi tecnici, raggiungere Venezia nell’ottobre del 1878 per iscriversi da uditore all’Istituto nautico al fine di diventare capitano di gran cabotaggio.
A Venezia vivevano i parenti materni: la zia Filomena Gradara che lo ospitò tra il 1878 e il 1881, e la nonna, Matilde Trentin, vedova benestante. Forse la morte di questa, l’11 settembre 1882, e l’alluvione che colpì il Polesine gli impedirono di tornare a Verona, dove l’Adige era esondato allagando la città. Il Regio istituto tecnico e nautico Paolo Sarpi aveva iniziato la sua attività all’indomani dell’annessione del Veneto all’Italia: il giovane Emilio lo frequentò irregolarmente.
Nella sessione autunnale 1878-79 tentò, senza superarlo, l’esame di ammissione al secondo corso. Fu ammesso al primo e nel 1879-80 ottenne la promozione al secondo, che frequentò regolarmente nel 1880-81; all’esame della sessione estiva per la licenza di capitano di gran cabotaggio fu riprovato, non si presentò a quella autunnale e non conseguì il diploma. Le sue tracce si persero nel settembre del 1881 durante il Congresso geografico svoltosi a Venezia, promosso dalla Reale società geografica, cui intervennero esploratori, missionari, militari, navigatori e scienziati, curiosi di conoscere il mondo, in particolare la selvaggia Africa e l’esotico Oriente.
Nacque allora la leggenda di un suo viaggio per mare fino a Brindisi tra l’autunno del 1881 e la tarda estate del 1882, alimentata dal falso racconto postumo A bordo dell’Italia Una. Primo viaggio marittimo dell’autore, pubblicato da Sonzogno in appendice a I cacciatori di foche. Ricercatori e biografi vi accreditano un fondamento di verità, eccezion fatta per lo scrittore Umberto Bertuccioli, vicecomandante della Capitaneria del porto di Venezia, che all’inizio del Novecento svolse un’approfondita indagine sui registri d’imbarco e non vi reperì traccia di Salgari, pur non potendo escludere che si fosse imbarcato come passeggero.
Tornato a Verona sul finire del 1882, esercitò attività che non ebbero successo: prima con una biblioteca circolante, poi con una rivendita di bicicli e di velocipedi. Intraprese quindi la via del giornalismo, che sentiva esser sua. Alla Nuova Arena lavorò come cronista, redattore e appendicista dall’estate del 1883 sino al marzo del 1885, per passare poi all’Arena, dove rimase fino al 1893. In meno di due anni scrisse per la Nuova Arena un lungo racconto e due romanzi di appendice, Tay-See, La Tigre della Malesia e La favorita del Mahdi, dando vita fin dai suoi esordi letterari alla saga del principe bornese Sandokan.
Per quel quotidiano, con le firme ‘Emilio’ o ‘Emilius’ si occupò di commedie, opere e operette, balletti, fantocci meccanici, tracciando resoconti sapidi e stringati. Seguì di preferenza il melodramma (Verdi, Donizetti, Ponchielli) con appassionate cronache musicali e fascinosi ritratti delle belle soprano. Dopo un’esperienza al Filarmonico, primo teatro cittadino, a causa di una polemica con l’autorevole critico musicale dell’Adige Ugo Capetti, fu dirottato al Ristori o al Diurno di piazza Cittadella, arena estiva che metteva in scena opere di autori locali e drammi a tinte forti come Michele Strogoff di Jules Verne e I tre moschettieri di Alexandre Dumas. Forse su quel palcoscenico cominciò a intravedere gli aspetti fondanti il suo immaginario narrativo.
Salgari vide due suoi romanzi adattati e portati sulle tavole del Diurno da Francesco Serravalli, collega e amico fraterno che nel 1889 mise in scena con successo I misteri dell’India, e l’anno seguente La Tigre della Malesia.
Con lo pseudonimo di ‘Ammiragliador’, fu brillante commentatore di politica estera e di conflitti internazionali, occupandosi sulle pagine della Nuova Arena di quegli scenari esotici teatro delle sue appendici. Quel foglio era straordinariamente ricco di documenti, di editoriali, di articoli sul conflitto che nel Tonkino contrapponeva Francia e Cina e sulla rivolta mahdista contro Egitto e Inghilterra: sfondi di Tay-See e della Favorita del Mahdi. In quelle pagine si intravedeva già lo scrittore, ché ‘Ammiragliador’ partecipava agli scontri, elaborava tattiche guerresche, illustrava piani strategici; sollecitava il governo nazionale a intervenire al fianco degli inglesi in Sudan; preannunciava improbabili spedizioni militari, pronto a sfidare i francesi avversari dell’Italia. Il suo pensiero era in sintonia con quello del giornale e con gli orientamenti politici nazionali, e l’Africa lo attraeva irresistibilmente. Monarchico e liberale moderato, avversario della Francia, fu amico della Gran Bretagna, suo modello istituzionale di riferimento.
Giovane e vivace, si distinse come ciclista (fu presidente fondatore del Circolo velocipedistico veronese), ginnasta, schermidore della società sportiva Bentegodi con la quale organizzò impegnative ‘passeggiate di ginnastica’ in provincia. Nel marzo del 1887 morì sua madre e quel lutto lo segnò. Il venticinquenne che entusiasmava i concittadini con i suoi scherzi, lo sportivo che si esibiva nelle palestre e nelle piazze, il brillante giornalista scomparve. Dovette contare su sé stesso e prendersi cura della sorella fino alla morte di lei. Conscio di non poter dissipare le proprie energie in molteplici direzioni, accettò di non appartenere al giornalismo e alla politica, ma alla letteratura. Nacque così il più grande narratore italiano di avventure.
Nel 1887 l’editrice Guigoni di Milano raccolse in volume La favorita del Mahdi, primo libro salgariano, rielaborazione delle appendici del 1884 e del 1886. Nello stesso anno, Il Telefono di Livorno pubblicò in appendice Gli strangolatori del Gange (poi conosciuto come I misteri della jungla nera) dove comparvero Tremal-Naik, Kammamuri, Ada, i thugs, che avrebbero occupato con Sandokan e Yanez un posto predominante nell’opera narrativa di Salgari. L’anno seguente la Guigoni editò Duemila leghe sotto l’America, dove era evidente l’influenza verniana. Le appendici del quotidiano La Gazzetta di Treviso, tra il 1890 e il 1891, presentarono la versione rivisitata della Tigre della Malesia, mentre la definitiva in volume apparve nel 1900 con il titolo Le tigri di Mompracem presso l’editore Antonio Donath di Genova. Il primo gennaio 1891 Il Giornale dei Fanciulli della casa editrice Treves presentò La scimitarra di Budda, rivolto ai ragazzi. È ipotizzabile che siano stati i fratelli Tedeschi, suoi concittadini, a introdurre il giovane scrittore alla Treves: Virginia, scrittrice con il nom de plume di Cordelia, moglie di Giuseppe Treves, e Achille, provenienti da una famiglia di editori.
Tra l’ottobre del 1891 e il gennaio del 1892, in appendice alla Gazzetta di Treviso, uscì La vergine della pagoda d’Oriente, continuazione de La Tigre e degli Strangolatori. Nel 1893 il Giornale dei Fanciulli annunciò il romanzo I pescatori di balene e La Provincia di Vicenza pubblicò la prima parte de L’amore di un selvaggio, rivisitazione de Gli strangolatori già apparso sul Telefono, e nel 1894 la seconda parte de L’amore di un selvaggio. L’edizione definitiva de La Vergine e della seconda parte de L’amore di un selvaggio fu data alle stampe, con modifiche e quattro capitoli aggiunti, presso l’editore Donath nel 1896 con il titolo I pirati della Malesia; e nel 1902, alla terza edizione, furono inseriti altri sei capitoli.
Nel novembre del 1889 Salgari fu colpito da una gravissima sciagura: il padre Luigi, convinto di essere affetto da una malattia incurabile, si uccise lasciandosi cadere dalla finestra della casa del cognato, di cui era ospite.
L’attività giornalistica di Salgari all’Arena, diretta da Giovanni Antonio Aymo, si concluse alla fine del 1893, quando si trasferì a Torino per collaborare con Speirani e Paravia senza vincoli contrattuali, iniziando a scrivere per altri editori nazionali: Bemporad, Cogliati, Treves, Voghera. L’anno prima, nel 1892, aveva sposato Ida Peruzzi, talentuosa attrice di una compagnia amatoriale con il nome d’arte di Aida, che gli diede quattro figli: Fathima, Nadir, Romero e Omar. Nel gennaio del 1894 la moglie incinta e la piccola Fathima lo raggiunsero a Torino e il suo secondogenito, Nadir, vi nacque il 18 dello stesso mese.
Per gli Speirani scrisse racconti e romanzi a puntate su varie riviste: Silvio Pellico, L’Innocenza, Il Giovedì, Il novelliere illustrato: le grandi pesche nei mari australi (1894); Il tesoro del presidente del Paraguay (1894); Un naufragio nella Florida (1895). Collaborò anche con Camillo Speirani che, disponendo di una propria sigla editoriale, ospitò altri suoi lavori nella Biblioteca per l’infanzia e per l’adolescenza e propose in volume Attraverso l’Atlantico in pallone e Le novelle marinaresche di Mastro Catrame.
A Torino gli Speirani fecero di lui il simbolo dell’apertura al nuovo, riconoscendogli la capacità di valorizzare aspetti educativi e scientifici che, di là dalle Alpi, in Jules Verne avevano un importante maestro. Con gli Speirani mantenne rapporti cordiali anche dopo averli abbandonati, accordandosi per pubblicare, con lo pseudonimo di Guido Altieri, L’eroina di Port-Arthur (1904) e dei racconti per la collana Piccole avventure di terra e di mare (1905).
Con quello pseudonimo, il più noto da lui utilizzato, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento firmò diversi lavori con le edizioni Fratelli Biondo di Palermo e divenne lo scrittore più rappresentativo della Bibliotechina aurea illustrata, diretta da Emma Perodi: ben 67 i racconti firmati Guido Altieri. In seguito, tra il 1900 e il 1904, con lo pseudonimo G[uido] Landucci pubblicò per Paravia Avventure fra le pelli-rosse, originale adattamento del romanzo epico americano Nick of the woods or The Jibbenainosay di Robert Montgomery Bird, e per Belforte di Livorno La giraffa bianca, Sul mare delle perle e La Gemma del Fiume Rosso.
Giunse a Genova nella seconda metà del 1898 e si stabilì a Sampierdarena rimanendovi poco più di due anni. Sul periodo ligure fiorirono varie leggende che lo volevano nelle taverne del porto ad ascoltare le traversie di vecchi marinai. Qualcosa di vero ci dovette essere, perché colse limpide immagini e aspre metafore dalla vita di mare.
Convinto di aver trovato in Antonio Donath, berlinese trasferitosi a Genova, l’editore congeniale alle sue ambiziose mire di scrittore, aveva intensificato la collaborazione con lui fin dal 1896 scrivendo in pochi anni alcune delle sue opere migliori: I misteri della jungla nera, I Robinson italiani, Il Corsaro Nero, Gli orrori della Siberia, I figli dell’aria, L’uomo di fuoco, Le due tigri, Il Capitan Tempesta, Cartagine in fiamme, e altri. Donath diede forma compiuta al libro salgariano con l’artificio di una sgargiante copertina a colori e una ventina di tavole realizzate da illustratori di eccezionale bravura quali Alberto Della Valle, Gennaro Amato, Pipein Gamba, e altri. Modello che, con pochi aggiornamenti grafici, caratterizzò il libro d’avventura italiano fino agli anni Settanta del Novecento.
Tornò a Torino nel 1900 senza abbandonare le frequentazioni genovesi, che gli consentirono tra il 1904 e il 1906 di dirigere il periodico ligure Per terra e per mare. Sul settimanale accolse esempi di letteratura di genere che si spingevano ben oltre il confine tracciato dalla sua scrittura: fantastico inquietante, racconti neri, anticipazione fantascientifica, investigazione poliziesca, prove di verismo, pupazzetti. Vi scrissero Ida e Manfredo Baccini, Athos Gastone Banti, Salvatore Di Giacomo, Aristide Gianella, Maria Savi Lopez, Yambo.
Nel 1906 l’editore fiorentino Enrico Bemporad, con la complicità di Edoardo Spiotti, agente letterario di Salgari, lo strappò a Donath pagando la penale prevista per liberarlo dai vincoli a suo tempo sottoscritti. Lo scrittore firmò un buon contratto garantendosi un sensibile miglioramento delle proprie condizioni economiche (diecimila lire annue per non più di quattro romanzi), senza dimenticare i vantaggiosi contratti con agenzie ed editori esteri per la diffusione dei suoi romanzi nei Paesi di lingua francese, slava e tedesca. Per merito di Spiotti, che commerciava con la Spagna e il Portogallo, Salgari riscosse un notevole successo in quei Paesi e in America Centrale e Meridionale. In poco meno di cinque anni licenziò per l’editore fiorentino una ventina di opere, tra cui La Stella dell’Araucania, Le meraviglie del Duemila, Il re dell’aria, Sandokan alla riscossa, La scotennatrice. Con Bemporad volle pubblicare anche l’unico suo romanzo non d’avventura, La Bohème italiana, che rappresentava la dichiarazione di appartenenza al movimento scapigliato. Con la Bohème rese evidente il debito culturale verso chi aveva dispiegato, innanzi ai suoi occhi, le meravigliose e infinite possibilità dell’avventura.
Si tolse la vita il 25 aprile 1911 nei boschi della proprietà Rei, in Val San Martino, tra le colline che sovrastano Torino. Era prostrato dal ricovero della moglie in manicomio, da pressanti problemi economici, indotti probabilmente da una cattiva amministrazione delle proprie risorse, dall’inquietudine causata dal timore di non riuscire più a scrivere. «Vi saluto spezzando la penna» lasciò scritto in una lettera il cui testo fu pubblicato su La Stampa del 27 aprile 1911, a conferma del legame indissolubile della propria vita con l’arte della scrittura.
I suoi romanzi conquistarono numerose generazioni di lettori: come nessun altro egli seppe creare vicende, eroi e scenari appassionanti. Il funereo Corsaro Nero o l’irruente Sandokan come pochi altri protagonisti della nostra letteratura hanno conquistato l’immortalità. Salgari si pose al centro della storia nazionale, del costume, del comune modo di sentire e delle correnti letterarie del suo tempo. Senza di lui non si percepirebbe la voglia di conoscere e di viaggiare, il fascino dell’Oriente, la fiducia nel progresso, divulgati e accomunati sotto il marchio dell’Avventura tra fine Ottocento e inizio Novecento. Sperimentò il romanzo storico (Cartagine in fiamme, Le figlie dei faraoni), il romanzo positivo (I Robinson italiani), lo scapigliato (Il Corsaro Nero, La Bohéme). I toni melodrammatici, le atmosfere esotiche, le visioni di un mondo futuro, lo rivelarono sensibile alle tensioni e ai problemi della società a lui contemporanea. Fu uomo di cultura, ebbe familiarità con i grandi romanzieri e poeti (Gustave Aimard, Louis-Henri Boussenard, James Fenimore Cooper, Arthur Conan Doyle, Alexandre Dumas, Henry Rider Haggard, Victor Hugo, Jack London, Henry Wadsworth Longfellow, Karl May, Thomas Mayne Reid, Edgar Allan Poe, Robert Louis Stevenson, Jules Verne) e confidenza con i capolavori della letteratura occidentale. Studiò e conobbe la storia e la geografia. Nella sua produzione nulla fu lasciato al caso: ogni sua pagina era il risultato di uno straordinario e continuo sforzo di ricerca e apprendimento. Fu autore aperto al nuovo come pochi. Le più importanti tendenze letterarie, culturali, persino pittoriche, convissero nella sua opera in un efficace gioco di equilibri che la sua personalità riuscì a bilanciare efficacemente. Merito delle aperture del movimento scapigliato, di cui egli fu tardo ma efficace epigono, discostandosi dalla tradizione romanzesca italiana del tempo.
Da qui l’influenza che esercitò su tanti autori italiani, poiché seppe far proprie l’innovazione per stili e per temi, la creatività e la sperimentazione, fondando il più originale genere avventuroso italiano: «È un grande processo culturale democratico, è la modernità che passa attraverso l’opera ‘mediana’ di Salgari, in grado di modificare e orientare le scelte tecniche dell’industria editoriale per ciò che concerne il modo di costruire ‘fisicamente’ i libri, poiché la rivoluzione che avanza è anche estetica e riguarda la carta, l’immagine, la grafica e l’illustrazione. La sua azione letteraria mette in discussione i labili e artefatti confini tra letteratura ‘alta’ e letteratura ‘popolare’ (per lungo tempo e, ancora oggi, con superficialità definita ‘paraletteratura’), e proietta immediatamente il romance nella contemporaneità novecentesca» (Gallo - Bonomi, 2011, pp. 351 s.).
Fu portatore di una originale poetica, dotato di uno stile forse discutibile ma unico, capace di interpretare e di parlare con il mondo del suo tempo. Gli effetti del suo operare sono ancora oggi ben avvertibili da tutti coloro che lo hanno letto, che lo leggono e che lo leggeranno.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, grazie allo straordinario lavoro di recupero filologico di Mario Spagnol e di Giuseppe Turcato e al vigoroso impegno intellettuale di Andrea Viglongo, gli studi sono cresciuti in quantità e in qualità. Lavoro ampio e qualificato non ancora censito, proveniente, ieri, da lettori appassionati e, oggi, da nuovi ricercatori, italiani e stranieri. Essi hanno segnato tappe importanti nello studio dell’opera salgariana, restituendola alla storia della letteratura italiana e occidentale dalla quale Salgari, ingiustamente e per tanto tempo, era stato escluso, come sospeso in un limbo opaco da cui finalmente emerge nella sua interezza di uomo e di scrittore.
Opere. Per tanto tempo sono stati pubblicati romanzi e racconti di Emilio Salgari manomessi o falsi. Alla fine del Novecento le opere con testi originali sono entrate a far parte dei cataloghi di numerosi editori. Per l’attenta cura filologica si segnalano i 19 romanzi editi da Mondadori alla fine degli anni Sessanta a cura di Mario Spagnol e Giuseppe Turcato, la collana Salgari&Co avviata nel 1990 dall’editore Viglongo e Salgari tutta l’opera di Fabbri-RCS collezionabili, 2002-2003, a cura di L. Del Sette - C. Gallo.
Fonti e Bibl.: Un ampio carteggio è conservato a Firenze presso l’Archivio storico dell’editore Giunti; singole lettere o frammenti di testo sono consultabili presso la Biblioteca civica di Verona, la Biblioteca nazionale di Firenze, la Biblioteca comunale centrale di Milano, la Fondazione Tancredi Barolo di Torino.
All’opera e alla vita sono stati dedicati monografie, saggi e convegni tra cui: Berto Bertù [U. Bertuccioli], S., Roma-Milano 1928; G. Calendoli, Tragica Jungla sulle rive del Po, in Italia sul Mare, dicembre 1958, pp. 39-72; Scrivere l’avventura. E. S. Atti del Convegno nazionale..., Torino 1980; G. Arpino - R. Antonetto, Vita, tempeste, sciagure di S. il padre degli eroi, Milano 1982; B. Traversetti, Introduzione a S., Roma-Bari 1989; V. Sarti, Nuova bibliografia salgariana, Torino 1994; S. Gonzato, E. S. Demoni, amori e tragedie di un capitano che navigò solo con la fantasia, Vicenza 1995; A. Lawson Lucas, La ricerca dell’ignoto. I romanzi d’avventura di E. S., Firenze 2000; G.P. Marchi, La spada di sambuco. Cinque percorsi salgariani, Verona 2000; F. Pozzo, E. S. e dintorni, Napoli 2000; R. Fioraso, Sandokan amore e sangue. Stesure, temi, metafore e ossessioni nell’opera del S. ‘veronese’, Zevio 2004; Viva S.! Testimonianze e memorie raccolte da Giuseppe Turcato, a cura di C. Gallo, Reggio Emilia 2006; E. S. e la grande tradizione del romanzo d’avventura, a cura di L. Villa, Genova 2007; Un po’ prima della fine? Ultimi romanzi di S. tra novità e ripetizione (1908-1915). Atti del Convegno internazionale..., Liège... 2009, a cura di L. Curreri - F. Foni, Roma 2009; C. Gallo - G. Bonomi, E. S., la macchina dei sogni, Milano 2011; M. Tropea, E. S., Cuneo 2011; La tigre è arrivata! E. S. a cento anni dalla sua scomparsa. Padova... 2011, a cura di D. Lombello, Lecce 2011; S. e il cinema, a cura di F. Francione, in Il corsaro nero, 2011, n. 15; Sui flutti color dell’inchiostro. Le avventure linguistiche di E. S., a cura di G. Polimeni, Pavia 2012.