TADINI, Emilio
– Nacque il 5 giugno 1927 a Milano da Giuseppe, imprenditore tipografo; resta ignoto invece il nome della madre.
Rimasto orfano di madre all’età di sei anni, trascorse l’infanzia tra le cure della nonna e della zia Romilda, che gli trasmise, assieme al padre, la passione per la lettura e la scrittura. Durante la guerra frequentò il liceo classico Carducci di Milano e prese parte all’organizzazione partigiana Fronte della gioventù. Gli eventi bellici vissuti a Milano s’impressero nella sua coscienza e la città divenne luogo d’elezione dei suoi futuri racconti e dipinti. Con il fratello Giovanni ereditò dal nonno la tipografia e casa editrice Grafiche Marucelli, a pochi passi da piazzale Loreto, dove trascorse tutta la sua esistenza.
Nel 1945 s’iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università cattolica del Sacro Cuore e si laureò nel 1948. Respirò il clima di rinnovamento teatrale promosso da Giorgio Strehler e Paolo Grassi presso il circolo Il Diogene. Accanto alla passione per il teatro, maturò un profondo interesse per la poesia di Ezra Pound, di Thomas S. Eliot e per l’ermetismo di Stéphane Mallarmé. Esordì in poesia nel 1947 con L’oratorio della pace e La passione secondo s. Matteo, poema civile che contribuì a inserire la sua figura nel panorama della giovane poesia italiana. Il componimento ottenne il premio Serra e l’attenzione di Elio Vittorini, al quale Tadini fu introdotto da Eugenio Montale, che lo invitò a pubblicarlo nella prestigiosa rivista Il Politecnico.
Dopo un breve periodo d’impiego presso la tipografia di famiglia, iniziò a collaborare con riviste di vario genere, contribuendo ai loro anni fondativi, e svolse attività di traduttore. Dal 1950 al 1959 la rivista Inventario ospitò gran parte dei suoi contributi poetici, testimoniandone il nuovo corso, così come recensioni e saggi che inaugurarono l’attività critica. Al tema bellico degli esordi seguirono una narrazione più intensamente simbolica e astratta (Epitalamio, 1952) e la centralità del rapporto tra uomo e natura, come in L’acqua (Dalle «Storie dei Lombardi») del 1954, Arena Po (1955), Natura nel segno (1959). In veste di critico letterario espresse le sue posizioni in merito alla poesia italiana e in ambito estetico.
A indicare la vastità di studi e interessi del periodo formativo, costante dell’intera produzione, sono i reportages economici, politici e sociali che licenziò a partire dal 1953 sulle riviste Il Mercurio e Civiltà delle macchine. Il contatto con il mondo dell’industria e le visite alle fabbriche furono alla base degli approfonditi articoli e restituiscono il ritratto di una militanza culturale che, dalla fine degli anni Quaranta con l’iscrizione al Partito comunista italiano, fu anche politica, nonostante l’aperto dissenso espresso nel 1956 verso le posizioni del PCI sulla rivolta d’Ungheria.
Appassionato di cinema, Tadini ne intuì la relazione con la cultura umanistica e dal 1953 redasse la rubrica Letterati al cinema per la rivista Cinema nuovo. L’arte cinematografica rivestì un ruolo centrale nella sua concezione estetica: ammirò le qualità luministico-formali degli espressionisti tedeschi Friedrich Wilhelm Murnau e Fritz Lang, mentre s’ispirò alle comiche del muto per l’irriverente commistione di tragico e comico.
In quel periodo approfondì l’opera di scrittori determinanti per la sua creatività, come William Faulkner, modello di riferimento per il primo romanzo Le armi l’amore (1963), e James Joyce, che ispirò poi alcuni suoi dipinti. Vere e proprie rivelazioni furono Carlo Emilio Gadda e Louis-Ferdinand Céline, che scoprì in viaggio a Parigi con l’amico d’infanzia Dario Fo.
Partecipò alle lezioni presso l’Accademia di belle arti di Brera e prese a frequentare il bar Giamaica, crogiolo di intellettuali e artisti tra gli anni Cinquanta e Sessanta. L’esperienza si rivelò decisiva per l’incontro con la pittura e per l’instaurarsi di una fitta rete di rapporti. All’epoca Tadini si legò in profonda amicizia con i pittori Alfredo Chighine, Alik Cavaliere, Valerio Adami, Cesare Peverelli, con i fratelli Guido e Sandro Somarè. Frequentò i fotografi Ugo Mulas e Mario Dondero e vari scrittori, tra cui Luciano Bianciardi. Le visite agli studi degli artisti stimolarono le prime prove nelle arti visive, cui conferì inizialmente una dimensione intimistica, a latere della preminente attività di scrittura.
Nel 1954 sposò Antonia Perazzoli, con la quale ebbe due figli e condivise la passione per la letteratura e il mestiere di traduttore.
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta iniziò a dedicarsi alla pittura in maniera più assidua ed esordì come critico d’arte. Muovendo dal clima surrealista di Paul Klee e Max Ernst, creò un’arte fantastica e onirica percorsa da citazioni dalla metafisica di Giorgio De Chirico e dal Bauhaus di Oskar Schlemmer (Il vincitore, 1959). Predilesse effetti di trasparenza ottenuti per velature attraverso una perizia artigianale e grafica; del resto, il disegno lo appassionò sempre. Ammiratore di Hieronymus Bosch, ne colse la modernità della suggestione evocativa e il legame con l’inconscio (Saggio sul nazismo, 1960). Nel 1961 tenne la prima mostra personale alla galleria del Cavallino di Venezia, dove il pittore Tancredi Parmeggiani acquisì un suo dipinto.
Sul finire del decennio fu tra le voci più sensibili al rinnovamento della pittura figurativa. In qualità di critico introdusse l’opera di artisti a lui più affini in vari cataloghi di mostra: Chighine (galleria Il Milione, 1958), Adami (galleria del Naviglio, 1959), lo scultore Cavaliere (galleria Bergamini, 1959). Seguirono numerose presentazioni: tra queste per Gianni Dova (galleria del Cavallino, 1961) e Bepi Romagnoni (galleria Bergamini, 1962), di cui lesse con originalità l’intreccio tra pittura e fotografia.
Nel 1960 curò con i critici Enrico Crispolti e Roberto Sanesi la collettiva Possibilità di relazione presso la galleria L’Attico di Roma, che convogliò linee di ricerca improntate a un rinnovamento dell’immaginario figurale, oltre l’informale e l’espressionismo astratto. Persuaso che la vera arte esprima una liberazione totale della ragione, in quell’occasione formulò l’ipotesi di un «realismo integrale» (Tadini, 1960). Con i seguenti interventi critici alle edizioni della rassegna Alternative attuali (1962, 1965) e il saggio Organicità del reale (1963) si rese portavoce del movimento artistico denominato Nuova figurazione, che animò la scena milanese e incluse, oltre a Tadini stesso, Adami, Romagnoni, Lucio Del Pezzo, Enrico Baj e altri.
Nello stesso periodo condivise le istanze sperimentali propugnate in letteratura dal neo-avanguardista Gruppo ’63, cui presero parte Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Umberto Eco, il quale si legò a Tadini da profonda amicizia. Pur non aderendovi, Tadini si collegò al movimento con il racconto Paesaggio con figure, che pubblicò nella raccolta antologica del gruppo (Gruppo ’63..., a cura di N. Balestrini - A. Giuliani, 1964).
Nel 1963 esordì come romanziere con Le armi l’amore, incentrato sulla figura del patriota risorgimentale Carlo Pisacane che guidò il fallimentare tentativo di rivolta nel Regno delle Due Sicilie. In linea con il clima avanguardista, l’autore compì un superamento del tradizionale genere del romanzo storico attraverso una complessa costruzione narrativo-stilistica e il ritratto sottilmente ironico del protagonista. Nonostante il notevole successo critico del romanzo, maturò in Tadini la decisione di dedicarsi quasi interamente alla pittura. Sarebbe tornato alla scrittura dopo diciassette anni con il romanzo L’opera.
Durante la pausa dal mestiere di scrittore si affermò nel 1965 come traduttore dei romanzi ottocenteschi Mardi. E un viaggio laggiù di Herman Melville e La certosa di Parma di Stendhal. Qualche decennio più tardi avrebbe portato a termine la complessa e sofisticata traduzione di Gente di Dublino di Joyce (Garzanti, Milano 1988). L’attività avrebbe incluso in anni seguenti incarichi prestigiosi, come le traduzioni del Re Lear di William Shakespeare (Einaudi, Torino 2000) e di Artaud le Mômo, Ci-gît e altre poesie di Antonin Artaud, in collaborazione con la moglie Antonia.
Decisivo fu l’incontro, avvenuto all’inizio degli anni Sessanta, con il gallerista Giorgio Marconi, con cui strinse un sodalizio destinato a durare quarant’anni. Nel novembre del 1965 espose alla mostra inaugurale dello Studio Marconi, spazio dedicato agli artisti emergenti, con Adami, Del Pezzo e Mario Schifano. Alla storica collettiva, che evidenziò le congiunzioni tra nuova figurazione milanese e pop art di ambito romano, presentò opere del ciclo Le vacanze inquiete (1965), inaugurando una prassi artistica che contraddistinse la sua opera pittorica. Mentre la pop art statunitense veniva celebrata alla XXXII Biennale di Venezia (1964), Tadini si rivolse alle formulazioni stilistico-narrative del pop britannico di Richard Hamilton, David Hockney, Eduardo Paolozzi e Ronald B. Kitaj. Nel 1966 conobbe Hamilton, Peter Blake, Hockney e Joe Tilson in occasione della collettiva organizzata da Marconi con gli artisti della Robert Fraser Gallery di Londra.
Fino alla metà degli anni Settanta formulò un’originale versione del linguaggio pop, dove i contorni sagomati e il colore disteso per superfici nette veicolarono un simbolismo denso di riferimenti alla psicoanalisi freudiana (La famiglia irreale d’Europa, 1965; Il giardino freddo, 1966). Nel 1967 creò il primo ampio ciclo di pitture Vita di Voltaire, che definì la complessità narrativa del suo linguaggio visivo. Da quel momento realizzò serie di opere fortemente allusive, tra cui L’uomo dell’organizzazione (1968) e Viaggio in Italia (1970), dalle dimensioni ambientali, dai fondi monocromi e dalle gamme cromatiche fredde. Le colte sollecitazioni letterarie e i rimandi onirici produssero una dissociazione tra oggetti e figure, memore dell’effetto di straniamento nella drammaturgia di Bertolt Brecht.
La costante riflessione sull’attualità delle avanguardie storiche ispirò cicli centrali degli anni Settanta, dove elementi desunti dalla grafica pubblicitaria e dai fumetti convissero con l’ironica giustapposizione dell’objet trouvé di derivazione dada. Al suprematismo Tadini dedicò Paesaggio di Malevič (1971), mentre la metafisica dechirichiana fu al centro di opere quali Archeologia (1972-1973), Ulisse & Co. (1973) e Magasins Réunis (1973).
Nel 1978 Tadini espose alla XXXVIII Biennale di Venezia il grande ciclo intitolato Museo dell’uomo (1974). Nello stesso anno eseguì L’occhio della pittura, serie di acrilici di circa 8 metri, con cui trasmise la propria dichiarazione di poetica in seno alla fenomenologia della pittura.
Il 1980 segnò il ritorno alla scrittura con il romanzo L’opera, tagliente satira attorno alla figura del critico militante in epoca postmoderna. Alla trama da romanzo giallo, che si originò da una contaminazione tra generi letterari, Tadini unì una ricerca sulla struttura linguistica a partire dalla tradizione milanese (Gadda e Delio Tessa) ed elaborò un’innovativa commistione di linguaggio aulico e divulgativo.
Nel 1982 partecipò alla Biennale di Venezia con la serie Disordine di un corpo classico (1981), che inaugurò una fase del suo lavoro caratterizzata dall’alterazione delle tradizionali forme del corpo umano (Il processo, 1983; La cacciata dal Paradiso, 1986). Nel corso degli anni Ottanta approfondì alcuni temi sviluppati nei cicli seguenti: i Profughi (dal 1986), che originò dall’esperienza vissuta nella Milano della guerra, e Città italiana (dal 1988), dedicato alla geografia della cultura con visioni immaginarie. Nel 1986, in occasione della personale presso la Rotonda di via Besana a Milano, scrittura e pittura conversero: presentò dipinti sul tema dei profughi e del paesaggio urbano, al centro della raccolta di poesie L’insieme delle cose (1991).
L’opera dell’espressionista tedesco Max Beckmann fornì il modello per la riformulazione della sintassi pittorica che Tadini perseguì negli anni Novanta attraverso il formato del trittico. Le imponenti dimensioni misero in scena una pulsante e variegata umanità, dove emersero riferimenti alla memoria civile e alla storia individuale. Nel 1990 espose sette trittici dal ciclo Profughi presso lo Studio Marconi.
Nel 1987 Tadini pubblicò La lunga notte, romanzo a metà strada tra cronaca e storia, con cui ritornò agli anni della seconda guerra mondiale, a rievocare nella coscienza collettiva l’Italia del primo fascismo fino alla Liberazione. Intrecciando i racconti della voce narrante e del protagonista, mescolò registro tragico e comico, l’immaginario e il reale, tratti distintivi della sua narrativa. Nel 1993 ottenne il premio Strega con La tempesta, romanzo intriso di riferimenti letterari e storico-artistici che ne segnò la piena maturazione in senso espressionista. Parte finale di un’ideale trilogia, vi ritrasse personaggi ostinatamente impegnati in un’attività di resilienza verso il mondo esterno e trattò temi, quali il superamento della crisi dell’individuo, centrali nel romanzo del Novecento.
«Ideologo della pittura», secondo la felice definizione del critico Arturo Carlo Quintavalle, s’interrogò a lungo sulla funzione dell’artista nella cultura moderna (Quintavalle, 1974). Elaborò le proprie teorie estetiche in tre saggi che scrisse in forma d’ipotesi e per aforismi: in L’occhio della pittura (1995) analizzò cinque capolavori dell’arte moderna; approfondì in La distanza (1998) l’omonimo concetto, alla luce di riflessioni psicoanalitiche, ermeneutiche e di teoria dell’arte; in La fiaba della pittura (2001-2002) lesse il complesso intreccio tra mito e fiaba in termini di suggestiva aderenza al reale.
Centrali nella scrittura critica e giornalistica di Tadini furono gli anni della collaborazione con il Corriere della sera. Dal 1993 fino alla scomparsa commentò le principali vicende culturali, politiche e di attualità anche sulle pagine de L’Unità, divenendo tra le voci più autorevoli del nostro tempo. I suoi interventi si estesero alla radio e alla televisione: nel 1997 curò il programma Uomini e profeti e condusse la trasmissione d’arte Contesto. Dal 1997 al 2002 rivestì l’incarico di presidente dell’Accademia di Brera. Nel 2001 il Palazzo Reale di Milano gli dedicò l’esposizione Emilio Tadini: opere 1959-2001, che riunì per la prima volta una nutrita selezione delle principali fasi pittoriche.
Morì a Milano il 25 settembre 2002.
Nello stesso anno Einaudi pubblicò Eccetera, il suo ultimo romanzo.
Nel 2004 il Convegno Le figure, le cose rese omaggio alla poliedrica figura di Tadini nel dibattito culturale del Novecento. In occasione del decennale della morte (2012) la Fondazione Marconi di Milano assemblò il gruppo di cicli recenti nella mostra Emilio Tadini, 1985-1997. I profughi, i filosofi, la città, la notte. Il 2015 segnò la fondazione della Casa-museo Tadini negli spazi della ex tipografia di famiglia. Suoi dipinti sono conservati presso il Museo del Novecento di Milano, il MAMbo - Museo d’arte moderna di Bologna, la Galleria civica di Modena, il CSAC - Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma, e in altre istituzioni in Italia e all’estero.
Opere. E. Tadini, in Possibilità di relazione (catal.), a cura di E. Crispolti - R. Sanesi - E. Tadini, Roma 1960, s.n.p.; Le armi l’amore, Milano 1963; Organicità del reale, in Il Verri, VIII (1963), 12, pp. 12-19; Paesaggio con figura, in Gruppo ’63. La nuova letteratura. 34 scrittori, Palermo 1963, a cura di N. Balestrini - A. Giuliani, Milano 1964, pp. 322-332; L’occhio della pittura, in Data, VIII (1978), 32, pp. 6-9; L’opera, Torino 1980; La lunga notte, Milano 1987; La tempesta, Torino 1993; La deposizione, Torino 1997; Eccetera, Torino 2002; Poemetti e poesie, a cura di A. Modena, Milano 2011.
Fonti e Bibl.: Le carte di Tadini sono conservate dal 2007 negli archivi della Fondazione Corriere della Sera di Milano e presso gli eredi.
A.C. Quintavalle, Le strutture della condensazione e dello spostamento, in E. T. Museo dell’uomo (catal.), Milano 1974, poi in E. T. 1960-1985, cit., 2007, p. 17; Id., E. T., Milano 1994; E. T. Opere 1959-2001 (catal., Milano), a cura di S. Pegoraro, Cinisello Balsamo 2001; E. T., 1960-1985: l’occhio della pittura (catal.), a cura di V. Fagone, Milano 2007; G. Raccis, Una nuova sintassi per il mondo. L’opera letteraria di E. T., Macerata 2018.