USIGLIO, Emilio
USIGLIO, Emilio. – Nacque a Parma l’8 gennaio 1841 da Ciro Abram Graziadio e da Marianna Sacerdoti.
Nativi di Modena, i genitori discendevano da facoltose famiglie di fede ebraica. Il padre, avvocato, era cittadino del Ducato di Parma e Piacenza dal 1839; sposò Marianna, vedova del negoziante Marco Grassetti, pochi giorni prima che nascesse Emilio.
Il giovane crebbe in un ambiente agiato e sensibile alle arti (la madre possedeva un palco al teatro Ducale) e beneficiò di un’istruzione varia, che coniugava studi matematici e letterari. Fin dall’infanzia mostrò inclinazione per la musica, impratichendosi in particolare sul pianoforte: suoi insegnanti furono Giuseppe Barbacini e Giovanni Rossi, maestri concertatori al Ducale di Parma. Quando con la famiglia si trasferì a Pisa (non prima del 1848), proseguì gli studi con Gustavo Romani, per perfezionarsi poi nella composizione, a Firenze, con Teodulo Mabellini.
Il debutto da operista avvenne il 5 settembre 1861 al teatro Vittorio Emanuele di Torino con il melodramma giocoso La locandiera (libretto di Giuseppe Barilli, dalla commedia di Carlo Goldoni), che godette di recensioni incoraggianti e parca circolazione. Secondo la stampa, nei mesi seguenti avrebbe lavorato all’opera seria Lara (o I fratelli di Lara) di cui non resta però traccia. È invece certo che iniziò allora ad associare attività compositiva e interpretativa, binomio che avrebbe caratterizzato gran parte della sua carriera. Nell’autunno del 1862 fu a Novi Ligure come maestro concertatore e direttore d’orchestra (curando, cioè, sia la preparazione dei cantanti sia quella degli strumentisti, nonché l’esecuzione musicale tutta di fronte al pubblico), e vi diede il balletto Stella; l’anno dopo ebbe eguali mansioni a Casale Monferrato, dove presentò il balletto Bella ossia Tersicore, la musa della danza.
Nel frattempo compose il dramma buffo Un’eredità in Corsica (dal vaudeville di Dumanoir e Paul Siraudin La vendetta; nella sigla F. G. apposta sul libretto va forse identificato Francesco Guidi, che già ne aveva scritto uno omonimo per Luigi Gordigiani). Ben accolta al teatro Santa Radegonda di Milano il 17 giugno 1864, riproposta poi in varie città, l’opera fu lodata per la spontaneità dell’eloquio musicale, a onta di «un numero grandissimo di reminiscenze e di plagi» (La nazione, 4 ottobre 1866). Poche settimane dopo il debutto milanese Usiglio si fece impresario per riproporre l’opera a Livorno, ma i pessimi esiti economici lo indussero a una fuga repentina.
Si aggregò a una compagnia riunita dall’impresario Augusto Cagli per portare per la prima volta l’opera italiana a Bombay (l’odierna Mumbai). Fra l’autunno del 1864 e la primavera del 1865 fu apprezzato direttore-concertatore al teatro di Grant Road, dove curò i primi allestimenti in India del Trovatore e della Traviata di Giuseppe Verdi, e presentò una polka di sua composizione.
Al rientro in Italia incentrò la propria attività a Firenze. Nel biennio 1866-67 scrisse brani vocali da camera per editori locali, musiche per due balletti dati al teatro Nazionale (Il canta storie napolitano e Atabalipa degli Incas o Pizzarro alla scoperta delle Indie), e soprattutto il titolo che gli avrebbe dato notorietà internazionale: il melodramma giocoso Le educande di Sorrento (di Raffaello Berninzone, dal vaudeville di Paul Duport e Amable de Saint-Hilaire L’habit ne fait pas le moine). Montata all’Alfieri il 1° maggio 1868 e riveduta incisivamente alcuni mesi più tardi, l’opera godette di ottima diffusione (anche all’estero), attirando l’attenzione di critici reputati quali August Wilhelm Ambros, Eduard Hanslick e Francesco D’Arcais, e radicandosi in repertorio per circa mezzo secolo.
A determinarne la fortuna fu sia la composizione di buona fattura, caratterizzata da pregnanza melodica e citazioni parodiche del repertorio serio corrente, sia il mordente di un intreccio che vede due ufficiali penetrare travestiti in un collegio femminile per conquistare una vispa fanciulla tutt’altro che rassegnata al chiostro cui il padre l’ha destinata. La prassi scenica invalsa, che si discosta dalle prescrizioni del libretto (un «Istituto femminile di educazione») per rifarsi al modello francese, collocò la vicenda in un monastero, con tanto di abiti talari: il che attirò sull’opera i fulmini del mondo cattolico.
Fu ancora Firenze a conoscere per prima il melodramma buffo La scommessa (di Benedetto Prado, dalla commedia La scommessa fatta a Milano e vinta a Verona di Cesare Della Valle duca di Ventignano), dato al teatro Principe Umberto il 6 luglio 1870 con fortuna buona ma effimera, e La secchia rapita, melodramma eroicomico (di Angelo Anelli, già musicato da Filippo Celli nel 1823), che con la musica di sei diversi compositori, tutti allievi di Mabellini, debuttò al Goldoni il 6 aprile 1872: Usiglio ne scrisse almeno la sinfonia.
Fra il 1868 e il 1874 fu stabilmente impegnato nel fiorentino teatro Pagliano: fino al 1872 come direttore, poi anche concertatore. In tali vesti curò, oltre a numerose primizie, i debutti locali del Don Carlos di Verdi e di Ruy Blas di Filippo Marchetti. La residenza in quel teatro non gli impedì comunque di lavorare anche altrove: sia come autore (del 1870 è il balletto Arianna e Bacco per il Regio di Parma), sia per attendere a riprese di sue opere (come al Mercadante di Napoli e al Carl-Theater di Vienna, dove nel 1872 montò Le educande di Sorrento), sia per condurre intere stagioni, specie di fiera. In particolare, si distinse come uno dei direttori più alacri nella prima circolazione italiana dell’Aida: dopo aver presentato trionfalmente l’opera ad Ancona nel 1873 (allestimento probante, perché fu il primo non supervisionato dall’autore), nell’arco di un biennio ne curò i debutti a Perugia, Firenze, Roma e Ferrara.
Elogiate dalla stampa, le sue interpretazioni di Aida suscitarono forti riserve da parte di Verdi. In particolare, in occasione del primo allestimento all’Apollo di Roma (1875), l’autore scrisse lettere di fuoco all’editore Giulio Ricordi per censurare gli arbitrii perpetrati o avallati dal direttore (tagli, trasposizioni, riscritture, alterazioni dei tempi).
Oltre che l’investitura, da parte di certa critica, a erede del compianto Angelo Mariani, il giro di Aida valse a Usiglio una visibilità che si tradusse in chiamate da teatri di prima sfera. Nell’autunno del 1875 fu direttore al Comunale di Bologna, dove curò un evento di grande risonanza quale il debutto del Mefistofele di Arrigo Boito revisionato. Fra il 1876 e il 1877 diresse e concertò alla Fenice di Venezia, introducendo l’Hamlet di Ambroise Thomas sulle scene italiane. Il successo dell’allestimento ebbe eco anche in Francia, il che dovette favorire la scelta del parigino Théâtre-Italien di ingaggiare Usiglio come direttore-concertatore per la stagione 1877-78 e di affidargli, tra le altre, la prima esecuzione assoluta di Alma l’incantatrice di Friedrich von Flotow, rifacimento dell’Esclave de Camoëns (1843).
La stampa coeva additò come peculiari dello stile direttoriale di Usiglio la ricerca di effetti vigorosi, la tendenza ad accelerare i tempi, l’uso di battere percettibilmente la misura con la bacchetta (ricorrendo anche ad accentuate oscillazioni del corpo), l’abitudine a dirigere senza il sussidio della partitura.
Nella stagione 1878-79 fu direttore-concertatore al Real di Madrid. Con esecutori d’eccezione quali Julián Gayarre ed Erminia Borghi-Mamo, l’11 febbraio 1879 vi diede con successo il melodramma giocoso Le donne curiose (di Angelo Zanardini, dall’omonima commedia goldoniana).
Su un libretto dal vago sapore scapigliato, infarcito di maschere carnevalesche e umoristiche reminiscenze del melodramma corrente, Usiglio scrisse musica che, nonostante il convenzionalismo formale, fu giudicata un felice connubio fra «i caratteri della scuola rossiniana, il grottesco del genere napoletano e la modernità dell’operetta comica, non alla Offenbach, ma alla Lecocq» (così Il Trovatore, XXVI (1879), 32, p. 1).
Sostenuta dall’editore Sonzogno, che ne era il committente, l’opera fu subito replicata al Dal Verme di Milano, per poi circolare largamente in Italia fin oltre lo scadere del secolo. Seguì il melodramma buffo Le nozze in prigione (di Zanardini, dal folie-vaudeville di Eugène Grangé e Lambert-Thiboust La mariée du mardi-gras), anch’esso caratterizzato da ambientazione carnevalesca e influenze musicali francesi: ebbero modesto successo il debutto al Manzoni di Milano il 23 marzo 1881 e le poche riprese del decennio seguente, né miglior fortuna arrise a una revisione data nel 1896 al Filodrammatico di Milano.
Con questo titolo Usiglio archiviò la carriera di autore per il teatro (non fu eseguita né forse completata la successiva La guardia notturna ossia La notte di san Silvestro su libretto buffo di Berninzone), ma per oltre un decennio l’attività direttoriale restò fitta. Dopo una breve esperienza al Liceo di Barcellona (1879), lavorò in decine di teatri italiani, negoziando ingaggi stagionali senza legarsi stabilmente a una piazza. Spesso chiamato a esercitare funzioni da direttore artistico, coadiuvando gli impresari nella scelta di programmi ed esecutori, si vide affidare allestimenti di rilievo: oltre a curare importanti debutti locali – fra cui Carmen di Georges Bizet a Milano (Dal Verme, 1880), Lohengrin di Richard Wagner a Venezia (La Fenice, 1882), Fosca, espressamente revisionata da Antônio Carlos Gomes, a Modena (Comunale, 1889), il Requiem di Verdi a Orvieto (per il sesto centenario del duomo, 1891), la Manon Lescaut di Giacomo Puccini a Verona (Filarmonico, 1893) – contribuì ai primi giri italiani della Gioconda di Amilcare Ponchielli (versione del 1880), delle verdiane Simon Boccanegra (seconda versione) e Otello, di Cavalleria rusticana (Pietro Mascagni) e dei Pagliacci (Ruggero Leoncavallo).
Questi dati impongono almeno di ridimensionare la voce – radicatasi sulla scorta di aneddoti raccolti da Gino Monaldi – secondo la quale Usiglio, fin dai tempi dell’Aida perugina (1874), avesse perso la fiducia degli impresari per la soverchia propensione all’alcol.
Malfermo di salute, con problemi di vista e forse di udito, nella seconda metà degli anni Novanta vide scemare gli ingaggi da direttore (condusse i suoi ultimi spettacoli nel 1897), ma avviò una proficua attività di maestro di canto, che esercitava sia a Milano, dove si stabilì nel 1895, sia a Montecatini e Boscolungo, dove passava le estati. A quel periodo risalgono ritocchi, rimasti inediti, delle sue opere.
Morì a Milano il 7 luglio 1910.
Usiglio fu insignito di alte onorificenze italiane: cavaliere dell’Ordine mauriziano (1867), ufficiale (1891) e poi commendatore (1893) della Corona. Riconosciuto in vita come uno dei campioni dell’opera buffa italiana del suo tempo, per disposizione testamentaria della moglie Clementina Brusa (soprano dalla discreta carriera teatrale, sposata nel 1892), dal 1914 gli fu intitolato, presso il Conservatorio di Parma, un concorso triennale riservato a giovani italiani per la composizione di un’opera o un’operetta «di carattere giocoso».
Fonti e Bibl.: Parma, Biblioteca Palatina - Sezione musicale, Fondo Usiglio; E. Hanslick, Musikalische Stationen, Berlin 1880, pp. 67-74; G. Monaldi, I miei ricordi musicali, Roma 1921, pp. 59-63; H. Busch, Verdi’s Aida, Minneapolis 1978, ad ind.; T.G. Kaufman, Verdi and his major contemporaries, New York-London 1990, passim; J. Streicher, Goldoni dopo Goldoni: U., Wolf-Ferrari e “Le donne curiose”, in Musica e poesia: celebrazioni in onore di Carlo Goldoni (1707-1793). Atti dell’Incontro di studio, Narni... 1993, a cura di G. Ciliberti - B. Brumana, Perugia 1994, pp. 99-111; C. Pitt, Opera’s Indian spring. I, in Opera, LII (2001), pp. 808-814; M. Sansone, U., E., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVI, London-New York 2001, pp. 170 s.; A. Rostagno, “Aida” e l’orchestra. Le prime esecuzioni, le partiture, le prassi esecutive, in Studi verdiani, XVI (2002), pp. 265-292; Id., Verdi alle Muse. Aida “à la grace de Dieu” (1873), in Le Muse. Storia del teatro di Ancona, a cura di M. Salvarani, Ancona 2002, pp. 147-156; A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900, Firenze 2003, pp. 476 s.; P. Cirani, «Gran bell’uomo conquistator di cuori». E. U., un musicista parmigiano dimenticato, in Aurea Parma, XCI (2007), pp. 141-152; R. Vernazza, “Le nozze in prigione” di E. U., tesi di laurea, Università degli studi di Parma, a.a. 2008-09; Id., La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi fra sacro e profano. Un allestimento ottocentesco attraverso le carte del Fondo U., in Accademie e società filarmoniche in Italia. Studi e ricerche, a cura di A. Carlini, Trento 2010, pp. 241-273; Id., Il direttore d’orchestra nel sistema produttivo del teatro d’opera italiano di fine Ottocento. Un caso eloquente: E. U. a Firenze nel 1892, in Orchestral conducting in the nineteenth century, a cura di R. Illiano - M. Niccolai, Turnhout 2014, pp. 185-209; A. W. Ambros, Musikaufsätze und -rezensionen 1872-1876, a cura di M. Štědronská, I, Wien 2017, pp. 232 s.