VEDOVA, Emilio
– Nacque a Venezia il 9 agosto 1919 da Luigi, imbianchino e decoratore, e da Giovanna Zamattio.
Terzogenito di sette fratelli, fu attratto sin da bambino dal disegno e dalla pittura. Spinto dalla necessità cominciò a lavorare già attorno agli undici anni, prima in fabbrica, poi da un fotografo, da un rigattiere e decoratore, e infine nello studio del pittore Armando Tonello. Nel 1936 e nel 1937 fu a Roma, ospitato in casa del nipote del pittore Antonio Mancini, Alfredo, che aveva sposato una sorella del padre di Vedova, «conosciuta quando era venuto a sistemare la sala personale dello zio alla Biennale di Venezia» (Vedova, 1960, 2019, p. 9). Entrò anche alla Scuola libera del nudo e strinse amicizia con Saro Mirabella. Tornato a Venezia, conobbe l’altoatesino Hermann Pircher, allievo di Bruno Saetti, con il quale si recò a Firenze nel 1938 e frequentò la Scuola libera di pittura di Silvio Pucci; nelle osterie del quartiere popolare di S. Frediano ebbe i primi contatti con gli ambienti antifascisti. Nell’autunno del 1939 seguì Pircher a casa, nelle valli del Sarentino, e dopo qualche tempo entrambi tornarono a Venezia, in casa di Vedova, dove il rapporto d’amicizia rapidamente si deteriorò. Nel 1940 la Fondazione Bevilacqua La Masa concesse uno studio al pittore nella soffitta di palazzo Carminati, dove rimase fino alla fine del 1945.
Negli anni della formazione Vedova realizzò molti studi di figura e d’architettura barocca veneziana, della quale sapeva rendere – con i suoi tratti veloci, intrecciati, nervosi – maestosità, complessità e dinamicità delle forme e senso del dramma. Parallelamente, con impeto ed esiti espressionisti, rimeditò la pittura veneta del tardo Tiziano e del Tintoretto, ai quali affiancò lo studio di Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Francisco J. Goya, Honoré Daumier. Tra le prime prove mature figura l’Autoritratto, databile al 1938-39 (Venezia, Fondazione Emilio e Annabianca Vedova).
Nel 1942 aderì a Corrente e partecipò con tre dipinti ispirati a Georges Rouault e Maurice de Vlaminck all’ultima edizione del premio Bergamo, che vide premiata con grande scandalo la Crocifissione di Renato Guttuso, ed ebbe modo in quell’occasione di riconoscere le affinità politiche e morali, prima ancora che artistiche, con i più anziani colleghi Renato Birolli e Giuseppe Migneco e con il coetaneo Ernesto Treccani. Subito dopo si recò per breve tempo a Milano, dove, sempre in stretto rapporto con gli artisti di Corrente e, in particolare, con Enzo Morlotti, espose in mostre collettive alla galleria della Spiga.
Alla caduta del fascismo si recò a Roma, dove prese parte, assieme all’amico Giulio Turcato e a numerosi altri artisti, alla Resistenza; nel 1944 fu invece a combattere sui monti del Bellunese, rimanendo ferito nel corso di un rastrellamento, dal quale riuscì tuttavia a scampare. Finita la guerra, tornò a Venezia, dove trasferì lo studio in fondamenta Bragadin e cominciò a frequentare con gli amici pittori il ristorante L’Angelo, che divenne il loro luogo di ritrovo abituale e dove spesso Vedova riusciva a mangiare gratis o in cambio di un disegno (vi incontrò per la prima volta anche Peggy Guggenheim). Questo sodalizio avrebbe costituito, assieme al critico Giuseppe Marchiori, il Fronte nuovo delle arti, il cui manifesto venne firmato proprio a Venezia il 1° ottobre 1946, mentre la Biennale del 1948 dedicò due sale al movimento.
Nell’immediato dopoguerra, ricordava Vedova (1960, 2019), «ritenni che dovevo pulire la mia tavolozza da un colore irritato, maggiormente definire, stringere i piani: fu così che credetti di reagire attraverso i collages [...], e le forbici erano diventate il mio pennello [...]. Da queste esperienze i quadri colorati in fortissimo del 1946, e cominciano i miei quadri bianchi e neri, molto semplici [...]. Alla Biennale del 1948 riprendo il colore, ma di nuovo la geometria nera mi ritorna, ritenendola maggiormente espressiva del mio stato d’animo» (p. 30). Tra le cinque opere esposte alla Biennale, Il guado entrò subito a far parte del museo veneziano di Ca’ Pesaro.
Nell’autunno del 1948 quasi tutti gli artisti del Fronte nuovo delle arti furono presenti alla I Mostra nazionale d’arte contemporanea organizzata a Bologna dall’Alleanza della cultura, che ricevette la celebre stroncatura di Palmiro Togliatti su Rinascita (dove apparve riprodotto, capovolto, l’olio Uragano di Vedova), aprendo di fatto una crisi irreversibile all’interno della numerosa compagine di pittori non figurativi iscritti, come Vedova, al Partito comunista italiano e portando di lì a poco alla rottura del Fronte nuovo delle arti. Amareggiato, Vedova decise di ritirarsi con l’amica irlandese Haya Murry in una baita solitaria di Auronzo di Cadore, dove trascorse l’inverno e si ammalò di scorbuto.
Espose alla Biennale veneziana del 1950 e nell’occasione conobbe Annabianca Manni, che sposò nel maggio dell’anno successivo. Partirono subito per un lungo viaggio durante il quale sostarono a Ravello, Paestum, in varie località della Svizzera e infine a Santa Cristina in Val Gardena. Nel medesimo anno Vedova vinse il premio dei giovani alla I Biennale di San Paolo del Brasile e ottenne la prima mostra personale in America alla galleria Catherine Viviano di New York.
I dipinti di questo periodo, come Scontro di situazioni del 1951, erano intesi «come un grande racconto universale. L’azzurro di una più bella domenica, messo in iscontro simultaneo, con una presenza – sentimento – di una fucilazione o battaglia, o bombardamento, così come succede nella vita di tutti i giorni, attraverso ormai le nozioni-emozioni, radio, giornale, cinematografo» (Vedova, 1960, 2019, p. 52).
Aderì nel 1952 al gruppo degli Otto, promosso da Lionello Venturi e presentato alla Biennale di Venezia di quell’anno, ma ne uscì l’anno successivo. In seguito alla vittoria del premio Dufy trascorse un periodo a Parigi nel 1953, quando partecipò anche alla II Biennale di San Paolo vincendo il premio della Morganti Foundation, grazie al quale poté viaggiare alcuni mesi in Brasile.
Cominciarono in questo periodo le grandi tele del Ciclo della Protesta e del Ciclo della Natura, nelle quali appare conclamata la sua prossimità con l’action painting americana e con i suoi riflessi europei, dei quali incarna una versione ricca di pathos espressivo, dinamico, spontaneo.
Nel 1955 Vedova fu invitato a Kassel per la prima edizione di Documenta, alla Quadriennale di Roma e a Pittsburgh per l’International exhibition of contemporary painting. Nell’inverno del 1956 si ritirò in montagna per lavorare e rientrò a Venezia solo nel giugno dell’anno successivo; di lì a poco trasferì abitazione e studio in Dorsoduro 46. Dal 1958 ebbe inizio senza sosta la sua produzione grafica, soprattutto litografie e acqueforti, sempre realizzate nel proprio atelier.
La prima antologica fu organizzata in Germania, alla Galerie Franke di Monaco, nel giugno del 1959, anno densissimo di impegni, che vide Vedova presente a Varsavia, a Kassel con una sala personale alla seconda edizione di Documenta e alla V Biennale di San Paolo. Partecipò inoltre, con le prime tele disposte a L allestite in uno spazio nero progettato da Carlo Scarpa, a Vitalità nell’arte, mostra allestita a palazzo Grassi di Venezia (e poi alla Kunsthalle di Recklinghausen e allo Stedelijk Museum di Amsterdam); si aggiudicò infine il premio Lissone grazie al quale intraprese un viaggio di due mesi in Spagna.
Nel 1960 vinse il premio per la Pittura alla XXX Biennale di Venezia; nello stesso anno Luigi Nono compose e registrò la sua prima opera musicale completamente elettronica, intitolata Omaggio a Emilio Vedova, mentre il pittore realizzò scene e costumi per Intolleranza 1960 di Nono, che debuttò al teatro La Fenice il 13 aprile 1961. Risalgono ancora al 1961 la partecipazione alla VI Biennale di Tokyo e la mostra retrospettiva itinerante partita dall’Ateneo di Madrid e conclusasi, dopo una tappa alla sala Gaspar di Barcellona, al palazzo della Gran Guardia di Verona, dove fu allestita a cura di Scarpa e Licisco Magagnato.
Nel novembre del 1963 la galleria Marlborough organizzò la prima mostra romana di Vedova, il quale a fine mese si trasferì a Berlino per una residenza artistica al Senato per le scienze e le arti fino alla primavera del 1965. Nel 1964, oltre ad essere invitato alla XXXII Biennale di Venezia e a Documenta 3 di Kassel, l’artista inaugurò una sua ampia retrospettiva alla Kunsthalle di Baden-Baden.
La pittura gestuale di Vedova trovò un approdo creativo originalissimo nella serie dei Plurimi, avviata nel 1961 e presentata alla mostra romana due anni più tardi. Staccate dalle pareti e dipinte da ambo i lati, le opere polimateriche occupano lo spazio e costringono chi guardi a muoversi, persino ad attraversarle, per poterne avere esperienza. Pur nella loro forte oggettualità che tende ad assimilarli alla scultura, i Plurimi rimangono espressione pittorica pura.
Durante il 1965 viaggiò per la prima volta negli Stati Uniti e tenne una serie di conferenze a Chicago, Cleveland, Detroit, Philadelphia, Providence, Washington, mentre nella seconda metà dell’anno cominciò l’insegnamento, durato cinque anni, alla Sommerakademie für Bildende Kunst di Salisburgo, fondata da Oskar Kokoschka. Nel 1967, anno nel quale trasferì lo studio in un magazzino del sale alle Zattere, tenne un secondo ciclo di lectures in città americane, tra cui New York e San Francisco, e realizzò per il padiglione italiano dell’Expo di Montréal Spazio/plurimo/luce, grande ambiente animato dai fasci luminosi grazie a un sistema di piccole lastre di vetro e proiettori brevettato da lui stesso.
Vicino ai movimenti studenteschi, nel 1968 partecipò a numerose loro manifestazioni e tenne ‘controcorsi’ all’Accademia di belle arti di Venezia; nel medesimo anno venne allestita una sua retrospettiva al palazzo dei Diamanti di Ferrara.
Dopo aver dedicato gran parte del 1971 all’attività grafica e a un viaggio in Serbia, Macedonia e Montenegro, l’anno successivo si recò a Cuba per il convegno internazionale Arte e società assieme, tra gli altri, a Julio Cortázar e a Roberto Matta. Fu uno dei protagonisti, nel 1974, della lunga lotta per il salvataggio dei Magazzini del sale, che il Comune di Venezia avrebbe voluto ridurre a piscine.
Nel 1975 individuò uno squero del Quattrocento come studio (Dorsoduro 51) e intraprese l’insegnamento di pittura all’Accademia veneziana, proseguito fino al 1986.
Dal 1977 il ciclo dei Plurimi assunse una nuova, inedita, forma con l’installazione degli elementi in binari d’acciaio che ne consentissero lo scorrimento su cuscinetti (Plurimi/Binari). Si amplificavano così, attraverso il movimento, l’estensione dell’opera nello spazio e il ruolo attivo dello spettatore.
Fu invitato di nuovo alla Biennale di Venezia nel 1978, mentre nel 1980 espose una serie di grafiche al Museo Carrillo Gil di Città del Messico. Ne approfittò per visitare il Paese, rimanendo molto colpito dal paesaggio e dalle rovine della civiltà Maya. Questa influenza si riverberò nella pittura dei primi anni Ottanta, che dismise il bianco e nero dei Plurimi/Binari per abbracciare di nuovo il colore. Le mostre monografiche nel nuovo decennio continuarono a susseguirsi frequenti in Italia e all’estero, mentre nel 1982 Vedova fu presente con cinque grandi teleri a Documenta 7 e con altre opere di grande formato, dai cicli Emerging e Compresenze, alla XL Biennale di Venezia.
Una sua grande antologica veneziana si aprì al Museo Correr nel 1984 (Vedova. 1935-1984), anno nel quale il pittore tornò a collaborare con Nono progettando interventi luminosi per il suo Prometeo, in scena la prima volta nella chiesa di S. Lorenzo a Venezia il 25 settembre, con testi di Massimo Cacciari, costruzione dello spazio scenico di Renzo Piano e direzione di Claudio Abbado.
Del 1985 sono i primi Dischi, lavori bifronti nei quali l’artista intervenne anche con collage e décollage, i Tondi e gli Oltre.
Numerosissime furono le mostre importanti del 1986, tra le quali la retrospettiva alle Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco (con tappe successive allo Städtisches Museum Schloss Morsbroich di Leverkusen e alla Kunsthalle di Darmstadt), la personale a Vienna al Museo della Secessione, la partecipazione alla XLII Biennale di Venezia e all’XI Quadriennale di Roma.
Nel 1987 Vedova dette avvio al grande ciclo ... in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88, composto di centoundici opere (ventisei su tela nera e ottantacinque su tela bianca) realizzate con una nuova tecnica consistente nel far combaciare la superficie su una ‘matrice’ costituita da un foglio di plastica pieno di colore – bianco per la tela nera e viceversa – e poi agire con le mani sulla parte posteriore della tela in modo da modulare la stesura, alla cieca, con la sola pressione, trasferendo così l’arena della gestualità dal recto al verso dell’opera.
Risalgono al 1990, anno della grande retrospettiva viennese all’Istituto italiano di cultura dedicata all’incisione (Emilio Vedova - Graphik 1958-1990), nuove sperimentazioni tecniche nel campo della grafica, condotte a New York e poi nel North Carolina, dove Vedova realizzò le prime ‘vetrografie’.
Nel 1993 l’Accademia dei Lincei gli conferì il premio Feltrinelli per la classe della pittura; nel 1996 vinse il Gran premio europeo d’arte grafica durante la IV Biennale di Novo Mesto in Slovenia.
Ricevette il Leone d’oro all’opera alla XLVII Biennale di Venezia nel 1997, anno della sua grande retrospettiva allestita al castello di Rivoli. Nel 2003 gli furono conferiti il premio Nonino e la laurea honoris causa dall’Istituto universitario di architettura di Venezia (IUAV) in Progettazione e produzione di arti visive, mentre l’anno successivo venne creata la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.
Morì a Venezia il 25 ottobre 2006, un mese dopo la scomparsa della moglie, avvenuta il 21 settembre.
Fonti e Bibl.: E. Vedova, Pagine di diario (1960), Venezia 2019; G.C. Argan - V. Aguilera Cerni - G. Marchiori, V., Madrid 1961; L. Magagnato, Disegni di V., 1935-1950 (catal.), Milano 1961; E. V. Scontro di situazioni, Milano 1963; G. Montana, V. Presenze. 1935-1968 (catal.), Ferrara 1968; G.C. Argan - M. Calvesi, V. Compresenze. 1946-1981 (catal.), Milano 1981; V. 1935-1984 (catal.), a cura di G. Celant, Milano 1984; E. V. (catal.), a cura di C. Schulz-Hoffmann, München 1986; E. V. und Salzburg, a cura di W. Schmied, Salzburg 1988; R. Kacianka - M.L. Sternath, Vedovas “Engel” und die visionäre Figurenwelt seiner frühen Zeichnungen (catal.), Klagenfurt 1989; G. Ghirardi, Appunti su E. V., in Pantheon, XLVIII (1990), pp. 188-196; E. V. (catal.), a cura di R. Chiappini, Milano 1993; La pittura in Italia. Il Novecento, 2, a cura di C. Pirovano, Milano 1993 (in partic. A. Negri - C. Pirovano, Esperienze, tendenze e proposte del dopoguerra, I, pp. 32, 35, 45, passim; D. Marangon, Le Venezie, II, pp. 438, 439, 442, passim; F. Bizzotto, E. V., II, p. 897); E. Crispolti, La pittura in Italia. Il Novecento, 3, Milano 1994, pp. 23, 79, 96, passim; E. V. (catal.), a cura di D. Eccher, Torino 1996; E. V. (catal.), a cura di I. Gianelli, Milano 1998; E. V. (catal.), a cura di J. Merkert - U. Prinz, Berlin 2002; N. Stringa, E. V. Spazio versus tempo, in Venezia ’900 (catal.), a cura di N. Stringa, Venezia 2006, pp. 256-273; E. V., 1919-2006 (catal.), a cura di A. Barbuto - A. Rorro, Milano 2007; E. V. (catal.), a cura di F. Gazzarri, Venezia 2007; L. Collavo, Als ob. Nei “fragilissimi inquietanti territori dell’equivalente”, in Critica d’arte, LXX (2008), 35-36, pp. 88-110; E. V. scultore (catal.), a cura di G. Celant, Milano 2010; G. Celant, E. V. ... in continuum (catal.), Milano 2011; W. Haftmann, Über E. V., in Id., Das antwortende Gegenbild, München 2012, pp. 125-133; V. Tintoretto (catal.), a cura di G. Celant - S. Cecchetto, Venezia 2013; E. V. Disegni (catal.), a cura di G. Celant, Venezia 2016; G. Baselitz, E. V., Venezia 2019; Baselitz Vedova (catal., Duisburg, 2016-2017), a cura di W. Smerling, Köln 2016; G. Celant, E. V. (catal.), Milano 2019 (con bibliografia ulteriore); Da V. a V. L’opera grafica di E. V. della Collezione Albicocco (catal., La Spezia, 2018-2019), a cura di R. Budassi - M. Ratti, Cinisello Balsamo 2019; V. De America, a cura di G. Celant, Milano-Verona 2019.