Dickinson, Emily
Ottocento puritano e ribelle
Poetessa statunitense vissuta nell'Ottocento, Emily Dickinson ha incarnato le radici puritane della cultura americana e oggi è diventata un simbolo della creatività femminile. Il tratto distintivo delle sue liriche ‒ circa duemila, ritrovate nei cassetti della scrivania quattro anni dopo la sua morte, di cui otto soltanto pubblicate in vita ‒ è l'introspezione appassionata, lo scavo incessante e impietoso nell'anima. La solitudine, la morte, il drammatico colloquio con un Dio assente sono fra i suoi temi principali; temi profondi nei quali l'io poetico si rappresenta per lo più in immagini incorporee e in umili creature appartate del mondo naturale: un uccellino, un ragno, un fiore
La leggenda della sua vita ce l'ha consegnata come creatura enigmatica, autoreclusa dopo i trent'anni in una stanza della casa paterna ad Amherst, nel Massachusetts, dov'era nata nel 1830 (e dove morì nel 1886), sempre vestita di bianco; una 'bambola di porcellana', troppo fragile per il contatto umano. Sembra che i pochissimi visitatori ammessi le parlassero da una stanza contigua, attraverso lo spiraglio della porta. I contatti di Emily Dickinson con il mondo esterno si esauriscono con gli anni di scuola e due brevi viaggi. Poi, fino al giorno della sua morte, al mondo parlò soltanto con lettere e poesie, spesso interscambiabili: "Questa è la mia lettera al mondo che non ha mai scritto a me" recita una delle sue poesie più famose; poesie in cui il destinatario è un 'tu' nel quale persone concrete, fra cui l'amatissima sposa di un fratello, si confondono con un 'tu' assoluto, un Dio che è muto, ma incessantemente interrogato.
Per Emily vivere è poetare; poetare è pensare; leggere è pregare. La Bibbia è il libro più importante fra le sue (poche) letture: particolarmente congeniali alla sua natura visionaria sono l'Apocalisse e Cime tempestose di Emily Brontë.
La religione di Emily Dickinson non è ortodossa, non è dottrinaria: "Io non sono che una pagana", afferma. La poetessa si estranea poco a poco dai rituali e dalle cerimonie dei padri, fino a rifiutare di andare in chiesa, e a fondare nell'orgoglio una teologia personale. Nei suoi versi il movimento ascensionale della preghiera si inverte verso il basso e il profondo, verso l'abisso dove Dio è immaginato come "un grande ladro" che le ha derubato l'anima della propria presenza, il più prezioso dei beni.
Questa condizione di privazione alimenta la sua vocazione alla perdita, il suo desiderio del nulla: Emily esercita il cuore a privarsi degli affetti ("Il mio cuore si è fatto man mano sempre più duro"), si educa a un regime di povertà, raggiunge per sottrazione la potenza espressiva. La purezza e durezza del diamante a cui i suoi versi aspirano è ottenuta attraverso un processo di scarnificazione della lingua comune e di dissoluzione dei legami sintattici di coordinazione e subordinazione. Sono versi che danzano intorno al vuoto ("Mi sembra di veleggiare sull'orlo di un precipizio"), con stile compresso, con un ritmo fortemente scandito da sincopi e sottrazioni, intonato al deserto dell'anima e al silenzio di Dio.
La logica di Emily è il paradosso: la scelta di vivere sola, separata da tutto, è la sua libertà; la privazione è la sua ricchezza, l'oscurità la sua luce: "La notte è il mio giorno preferito". Il segreto della sua scrittura sta soprattutto nella cancellazione della congiunzione e, sostituita da una sbarra: i trattini di sospensione fra una parola e l'altra mimano il ritmo del respiro ("Può dirmi se i miei versi respirano?" chiede a un editore); però servono anche a distanziare le parole, a impedire il contatto: una disciplina che Emily impone alla lingua dopo averla imposta al proprio cuore, perché impari a nutrirsi "di niente".
A quest'orgoglio verginale e ribelle, di rispondere con niente al niente che le viene dato e di trattare il Padre (Dio) da pari a pari, si accompagna l'impulso, non meno femminile, a valorizzare i minimi gesti quotidiani: "Mi annodo il cappello ‒ mi aggiusto lo scialle ‒ / I piccoli doveri della vita ‒ precisi ‒ / li compio come se anche il più insignificante/ fosse immenso per me". Nella poesia di Emily Dickinson stanno i nodi più profondi della scrittura delle donne.