CARELLI, Emma
Nacque a Napoli il 12 maggio 1877 da Beniamino e da Matilde Caputo.
Il padre Beniamino, nato a Napoli il 9 maggio 1833, fu personaggio di primo piano nel mondo musicale napoletano. Allievo del conservatorio della sua città, studiò pianoforte con F. Lanza, armonia con F. Parisi, contrappunto con Carlo Conti, canto con A. Busti e composizione con S. Mercadante. Dedicatosi alla composizione quando era ancora allievo del conservatorio, nel carnevale 1855 in collaborazione con i compagni di corso E. Viceconti, G. Mensitieri, C. Conti e L. Vespoli compose l'opera Il Traviato su libretto di Marco D'Arienzo, rappresentata al teatro del Conservatorio. Nominato professore di canto nelle scuole municipali nel 1871, l'anno successivo passò con lo stesso incarico al Real Collegio di musica. Autore di musica vocale da camera, nel 1864 una sua Ode cantata fu eseguita al teatro S. Carlo e riportò un buon successo di pubblico. Dedicatosi in seguito esclusivamente all'insegnamento, pubblicò una breve opera didattica per l'insegnamento del canto dal titolo Cronaca di un respiro (Napoli 1871), che gli valse un riconoscimento al VII congresso pedagogico italiano; ad esso fece seguito il metodo L'arte del canto (ibid. 1873). Il suo nome è legato soprattutto all'intensa attività d'insegnante e alla numerosa schiera di celebri cantanti usciti dalla sua scuola, tra cui si ricordano, oltre alle figlie Emma e Bice, G. Arangi-Lombardi, G. Rapp, C. Montefusco, R. Di Falco, A. Rizzo, E. Magliulo, A. Conti.
La C. fu allieva del padre, il quale curò scrupolosamente la sua educazione musicale, riuscendo con uno studio intenso e severo a sviluppare il settore acuto della sua voce, calda e pastosa nelle note medie e gravi, ma per natura piuttosto corta. Formatasi artisticamente nell'ambiente familiare, ove periodicamente si tenevano tornate musicali, frequentate dai grandi nomi del mondo della cultura napoletana e poi celebrate da M. Serao, M. Uda e R. Pagliara, la C. si fece conoscere in pubblico quale interprete di musica da camera, dimostrando di aver ben assimilato sia l'insegnamento paterno sia quello impartitole nel collegio di S. Pietro a Maiella, ove era entrata all'età di dodici anni, frequentando nello stesso tempo l'istituto Mackean (e qui acquistò quella padronanza delle lingue straniere che le sarà poi molto utile nella sua carriera).
Dopo alcuni concerti a Napoli la C. fu pronta per l'esordio teatrale, che avvenne il 17 sett. 1895 al teatro Consorziale di Altamura (che assumerà da allora il nome di Mercadante), quale protagonista nella Vestale di S. Mercadante, in occasione del centenario della nascita del compositore; fu poi al teatro Marrucino di Chieti per la prima rappresentazione di Stella di C. De Nardis, iniziando così quel lungo tirocinio in teatri minori che molto giovò alla sua formazione artistica. Nello stesso anno cantò al teatro del Fondo di Napoli nella versione originale dei Capuleti e Montecchi di V. Bellini: fu Romeo accanto all'allora giovanissimo E. Caruso, con cui interpretò sempre al Fondo, la Gioconda di A. Ponchielli. Frattanto la C. andava affermandosi fuori della sua città: nel 1897 fu al teatro Rossini di Venezia per La Falena (prima esecuzione) di A. Smareglia, poi a Rovereto e nel 1898 nuovamente al teatro Mercadante di Altamura per la Manon di I. Massenet. Grazie a queste affermazioni, cominciò ad esser seguita con interesse da molti compositori italiani, e fu designata da F. Cilea quale protagonista per la prima esecuzione dell'Arlesiana al Lirico di Milano. A causa di vecchi contrasti con l'impresario E. Sonzogno il progetto non fu realizzato; tuttavia qualche tempo dopo il Sonzogno stesso comprese il valore della C. e la volle interprete di Stella di C. De Nardis, con cui l'artista conquistò il pubblico milanese. Nello stesso anno, dopo scrittura a Perugia per IlMaestro di cappella di F. Paër, sposò Walter Mocchi, uomo politico di estrema sinistra, che aveva raggiunto nel domicilio coatto di Procida.
Il 26 dic. 1899 la C. interpretava a Mantova Fedora suinvito dello stesso Giordano, riportando un clamoroso successo. è tuttavia soltanto nel 1899 che, dopo aver conosciuto: l'impresario V. Morichini, veniva finalmente scritturata per un grande teatro, il Costanzi di Roma; qui poté ricevere il vero battesimo artistico, partecipando alla prima esecuzione di Colonia libera di P. Floridia (7 settembre), con cui si impose definitivamente al pubblico e alla critica. Il successo si rinnovò subito dopo con Iris di Mascagni (dove fu a fianco di E. Caruso e sotto la direzione di L. Mugnone), seguita nell'autunno dello stesso anno da Mefistofele di Boito, in cui la C. offrì, nel ruolo di Margherita, un'esecuzione personalissima assai discussa dalla critica per certi atteggiamenti veristi, ma tuttavia molto lodata da A. Boito per l'originalità, il calore e lo slancio interpretativo.
Infine il 26 dic. 1899 avvenne l'atteso debutto alla Scala di Milano nell'Otello di Verdi, diretto da A. Toscanini e con F. Tamagno: lo straordinario consenso le valse una scrittura per Odessa e altre città della Russia, ma l'impresario della Scala, G. Gatti-Casazza, la invitò a rinunciare, confermandola per il ruolo di Elsa nel Lohengrin diR. Wagner e per la prima esecuzione di Anton diC. Galeotti (17 febbr. 1900), il cui successo, peraltro effimero, fu soltanto merito della sua vibrante interpretazione. Fu comunque con la prima esecuzione italiana di Eugenio Oneghin di P. I. Cajkovskij che la C. rivelò un prepotente temperamento drammatico. Da questo momento la sua carriera, ostacolata peraltro in Italia dall'attività politica del marito, non conobbe più soste, e teatri europei e americani se la contenderanno.
Nel maggio dello stesso anno ottenne la prima scrittura transoceanica, che la portò sulle scene del teatro dell'Opera di Buenos Aires, ove, accanto a Caruso, interpretò Mefistofele, Iris, Cavalleria rusticana, Tosca e Manon di Massenet; le accoglienze entusiastiche le procurarono scritture per Rio de Janeiro e Rosario di Santa Fé. I consensi riportati, e soprattutto la calda partecipazione del pubblico, la indussero poi a tornare in Sud America per tutto l'arco della sua carriera, condividendo il successo con i più grandi nomi della lirica italiana. Frattanto nel 1901, rientrata in Italia, tornò alla Scala per una memorabile Bohème di G. Puccini, diretta da Toscanini e sempre con Caruso, con cui tenne, a battesimo le Maschere di P. Mascagni (17 genn. 1901), che nonostante l'ottima esecuzione fu un clamoroso insuccesso; subito dopo però i due artisti ebbero un grande successo con il Mefistofele con F. Šaljapine. Nella primavera dello stesso anno fu al Politeama di Genova e portò al successo Zazà di R. Leoncavallo, destando un entusiasmo straordinario anche per le sue qualità d'attrice (Eleonora Duse così le scriveva: "L'incanto della voce e la gentilezza del cuore: ecco Emma Carelli e io le dico: grazie come a sorella, e ammirandola e amandola"; cfr. Carelli, p. 81). Nel decennio successivo la sua attività fu febbrile, e alle stagioni nell'America Latina (Rosario, Montevideo, Buenos Aires, Santiago, Valparaiso) alternò fortunate tournées nei maggiori teatri europei: fu infatti al teatro Reale di Madrid (1902-1904), a Barcellona (1905-06, 1908-09), Lisbona (1902, 1905-1908), Oporto (1905, 1908), Bucarest (1907), Montecarlo (1909), Pietroburgo (1906); accanto a opere del suo abituale repertorio presentò novità assolute quali Lorenza di E. Mascheroni e Khryse di A. Berutti, il cui successo fu spesso esclusivamente legato al suo nome, come accadde per Zazà di Leoncavallo, rimasta in cartellone fino a quando la C. non si ritirò dalle scene.
Nel frattempo gravi difficoltà insorsero per la C. in Italia a causa dell'attività politica del marito, e quando questi nel 1904 fu tra gli organizzatori dello sciopero generale, essa venne esplicitamente invitata dalla direzione del Lirico di Milano a rescindere il contratto; subito dopo fu la volta del S. Carlo di Napoli, che le revocò una scrittura. In questa occasione Matilde Serao insorse in sua difesa denunciando l'accaduto in un articolo sul Giorno (cfr. Carelli, pp. 122 s.). Un trattamento meno drastico, ma altrettanto diffidente e ingiusto, da parte di altri teatri italiani portò la C. all'esasperazione al punto che tentò il suicidio. Salvata in tempo, si riebbe ben presto, decisa a combattere, per nulla indebolita in quella sua passionale vitalità che la sosterrà poi costantemente nella sua coraggiosa attività impresariale.
Riammessa al Lirico, la C. nel 1906 si recò a Pietroburgo, ove conobbe M. Battistini; al rientro in patria pensò di esordire nell'impresariato con una tournée a Firenze e Ravenna, rivelatasi disastrosa sul piano finanziario, mentre trionfò sulle scene del Lirico di Milano. La C. aveva come partner l'allora esordiente Titta Ruffo. Nello stesso anno fu al teatro Adriano di Roma, interpretandovi fra l'altro Jana di R. Virgilio in prima esecuzione. Intanto il marito W. Mocchi abbandonava la politica per l'impresariato teatrale, con un programma estremamente ambizioso che prevedeva un'intensa attività internazionale rivolta soprattutto alla creazione di un trust di teatri italo-argentini; divenne agente della moglie prevalentemente all'estero, perdurando nei confronti della C. l'ostracismo da parte delle direzioni dei teatri italiani. Nel 1907 fu a Lisbona, Marsiglia, Bucarest e Parigi, dove tra l'altro incise alcuni dischi per la Pathé; apparve saltuariamente a Firenze, Trieste e all'Adriano di Roma per Fadette di D. De Rossi. Finalmente, dopo una tournée nel1908 al Liceo di Barcellona, poté tornare sulle scene del S. Carlo di Napoli per Gloria di F. Cilea, quindi nel 1910 al Costanzi di Roma per la prima di Mese Mariano di U. Giordano, diretto da P. Mascagni e presenti lo stesso compositore e S. Di Giacomo, autore del libretto.
Frattanto il marito poteva attuare il suo piano di un trust dei teatri sudamericani facente capo ad una sola società e avente quale base artistica un grande teatro italiano. Nasceva così una grande organizzazione, la cui finalità era quella di portare il teatro lirico italiano oltre oceano; il progetto andò gradualmente perfezionandosi in un unico organismo che riuniva tutte le compagnie teatrali argentine sotto una sola direzione commerciale, ben presto estesasi, oltre che al Coliseo di Buenos Aires, ai teatri di Rosario, del Brasile e del Cile. Il nuovo organismo, con il nome di Società teatrale internazionale, iniziò ufficialmente la sua attività intorno al 1910, affidando a P. Mascagni la direzione del Costanzi e l'organizzazione della prima stagione.
Nel 1911 in occasione del cinquantenario dell'Unità d'Italia venne organizzata una stagione teatrale straordinaria al Costanzi di Roma e la C., che riuscì a ottenere la concessione del teatro per nove anni, ne assunse la gestione, organizzando nel 1912 la sua prima stagione e apparendo anche come cantante nella prima esecuzione dell'Elettra di R. Strauss con cui concluse praticamente la sua carriera d'interprete.
Le difficoltà derivatele dalla nuova attività di impresaria e la consapevolezza di non poter continuare a sostenere allo stesso tempo gli impegni d'una carriera che precocemente, andava declinando la indussero ad abbandonare le scene. Non diede neanche ascolto ai pressanti inviti rivoltile da D'Annunzio, che la voleva interprete della sua Fedra musicata da I. Pizzetti e inviandole una copia della tragedia, così le si rivolgeva: "A Emma Carelli questo poema nerazzurro che attende ancora "la bipede leonessa", la grande Rivelatrice, è offerto con altissima aspettazione".
Da questo momento, fatta eccezione per alcune recite straordinarie di opere di Mascagni a Buenos Aires (Cavalleria rusticana)nel 1913 e a Roma (Iris e Cavalleria)nel 1914, la C. si dedicò completamente al "suo" teatro allestendo stagioni che rimasero esemplari, e non soltanto nella storia del teatro romano. L'intelligenza, l'intuito e il coraggio con cui intraprese la nuova attività le permisero di porsi su un piano concorrenziale con gli altri teatri della penisola, in particolar modo con la Scala; la sua abilità, oltre che nell'alto livello degli spettacoli, si rivelò nella scelta degli artisti e nella sorprendente serie di novità presentate spesso in prima esecuzione italiana, come il Parsifal diretto da G. Marinuzzi (1º genn. 1914), Lodoletta (30 apr. 1917) e Il PiccoloMarat (2 maggio 1921) di Mascagni, IlTrittico pucciniano (11 genn. 1919) con B. Gigli e G. Dalla Rizza, nonché i balletti russi di Djagilev, oltre a tutta una serie di operisti minori che al Costanzi conobbero il loro momento di celebrità come Petronio di G. Giovannetti (20 marzo 1923), La Grazia di V. Michetti (31 marzo 1923), I Compagnacci di P. Riccitelli (10 apr. 1923), I Carnasciali di G. Laccetti (13 febbraio 1925), Anna Karénina di I. Robbiani (6 maggio 1924); varie furono le riprese famose, tra cui ICavalieri di Ekebù di R. Zandonai (1925), Kovàncina e Boris Godunov di M. Musorgskij (1926), Salomè di R. Strauss in una nuova edizione diretta dall'autore e poi magistralmente da E. Vitale, in una rappresentazione rimasta a lungo nel ricordo del pubblico romano.
Intanto con lo scoppio della prima guerra mondiale la gestione del Colon di Buenos Aires era collegata al Costanzi e iniziava quella che può definirsi l'epoca d'oro della gestione Carelli, cui si affiancava nella direzione del gabinetto scenografico il fratello Augusto in questi anni passeranno per il Costanzi i nomi più grandi del teatro lirico internazionale, dai cantanti A. Pertile, T. Schipa, M. Battistini, H. De Hidalgo, B. De Muro, R. Stracciari, N. De Angelis, C. Galeffi, M. Stabile, G. Besanzoni, ai direttori, tra cui O. Klemperer, V. Gui, G. Marinuzzi, E. Vitale, L. Mancinelli. L'ultima stagione si chiuse con una memorabile rappresentazione della Turandot di Puccini diretta dal Vitale, due giorni dopo la prima scaligera (29 apr. 1926), in una edizione a lungo rimasta insuperata.
Nel luglio 1926 il Costanzi veniva venduto al governatorato di Roma e la C., costretta ad andarsene, ne ebbe un colpo gravissimo. Tentò di inserirsi in altri teatri non senza risultato. Il 17 ag. 1928, ritornando a Roma da Siena, morì in un incidente automobilistico.
Interprete tra le più acclamate del suo tempo, rivelò nel corso della sua relativamente breve carriera un temperamento versatile che le consentì di affrontare un repertorio vastissimo. La sua natura passionale ed esuberante, dopo le prime esperienze compiute nell'ambito del melodramma ottocentesco, peraltro limitato ai primi anni di carriera, la spinse verso il dramma verista, cui approdò quasi subito trovando in esso il suo elemento più congeniale. Alla sua voce "lirica" vibrante e suggestiva, ma piuttosto limitata nel settore acuto, faceva contrasto un temperamento drammatico fortemente caratterizzato che le consentiva di imporsi anche su artiste vocalmente più dotate; guidata nella scelta dei ruoli da uno straordinario intuito sorretto da una volontà di ferro, non si peritò di riproporre personaggi del repertorio tradizionale in chiave verista come la Margherita del Mefistofele o la Gioconda di Ponchielli, in cui, nonostante la piccola statura e i limiti vocali, seppe trovare accenti di grande efficacia espressiva; fu tuttavia nel repertorio contemporaneo, come Cavalleria, Iris, Zazà, Tosca, Mese Mariano, che rivelò sorprendenti capacità drammatiche, recando un contributo senza dubbio determinante nella definizione stilistica della nuova maniera di canto imposta dalle esigenze della nuova scuola. Così nell'impadronirsi del personaggio, riusciva a rendere gli aspetti più riposti e sottili, aiutata anche da un fraseggio martellato e tagliente di grande efficacia, tale da giustificare la preferenza di molti compositori che in lei trovarono l'interprete ideale (si ricordino, oltre a quelle citate, la partecipazione a molte prime esecuzioni come Mademoiselle de Belle Isle di S. Samara, Editha di A. F. Carbonieri, Milano, teatro Lirico, 1906; Fasma di P. La Rotella, Milano, teatro Dal Verme, 1908; Maja di R. Leoncavallo, teatro Costanzi 1910). Tuttavia "i colpi di petto" (di cui fece larghissimo uso, profittando della risonanza di talune note basse e, spesso, anche forzando e "aprendo" nel registro medio, ch'era assai più esile e chiaro del settore grave); gli acuti repentinamente ghermiti e troncati, i frenetici martellamenti sul fa e sul sol acuti, e infine quel piglio vocale e scenico, sfoggiato poi da quasi tutti i soprani veristi del primo ventennio del Novecento (Celletti), oltre alle spesso troppo ardue tessiture del suo repertorio, finirono per affievolirle le facoltà vocali obbligandola a rinunciare alla carriera prematuramente.
Fonti e Bibl.: F. Florimo, La scuola mus. di Napoli e i suoi conserv., II, Napoli 1882, p. 148; IV, ibid. 1881, p. 529; G. Masutto, I maestri di musica ital. del sec. XIX, Venezia 1884, p. 36 (per Beniamino); R. Perez, Il libro d'oro degli Italiani all'estero, Roma 1909, pp. 462 ss.; Ch. de Platen, Souvenirs musicaux et dramat., Roma 1911, p. 189; M. C. Caputo, A. Boito ed E. C. al Conservatorio di Parma, in Aurea Parma, IX(1925), pp. 379-82; L'Illustrazione italiana, 26 ag. 1928, p. 150; G. Monaldi, Cantanti celebri del sec. XIX, Roma 1928, pp. 282 s.; M. Incagliati, E.C. alla ribalta e tra le quinte, in Il Messaggero, 29 genn. 1932; Id., E.C., ibid., 4 ag. 1932; A. Careffi, E.C., Trent'anni di vita del teatro lirico, Roma 1932; G. Lauri-Volpi, L'Equivoco, Milano 1938, pp. 95-98, 100 s., 107, 109 s., 113, 181, 272, 331; R. Celletti, La Bipede leonessa, in Il Tempo (Milano), 30 nov. 1950; A. De Angelis, E. C. …, in Strenna dei Roman., XII(1951), pp. 254-57; G. Lauri-Volpi, Voci parall., Milano 1955, pp. 29-32, 58; F. De Filippis-R. Arnese, Cronache del Teatro di S. Carlo (1737-1960), I, Napoli 1961, p. 95; C. Gatti, Il Teatro alla Scala nella storia e nell'arte, II, Cronologia, Milano 1964, p. 66; F. J. Fétis, Biogr. universelle des musiciens, Supplement, I, Paris 1878, p. 152 (per Beniamino); C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, I, pp. 295 s. (anche per Beniamino) e Suppl., p. 361; R. Celletti, E. C., in Enc. d. Spett., III, coll. 29 ss.; G. Graziosi, Beniamino Carelli, ibid., col. 29; Encicl. della Musica Ricordi, I, p. 412; La Musica, Diz., I, p. 349 (anche per Beniamino).