ENCAUSTO (gr. ἔγκαυστον, da ἐν "in" e καίω "abbrucio"; lat. encaustum)
È una tecnica di pittura in uso presso gli antichi, che adoperava colori sciolti nella cera fusa, i quali si riscaldavano al momento in cui dovevano essere usati; talvolta la cera era usata insieme con l'olio. I Latini, infatti, propriamente dicevano: ceris pingere o picturam inurere.
Plinio e Vitruvio porgono qualche lume intorno alle pratiche della pittura degli antichi, e il primo (XXXV, 11, 41) afferma che furono tre i metodi di dipingere all'encausto presso i Greci e i Romani: "Encausto pingendi duo fuere antiquitus genera, cera et in ebure cestro, id est vericulo, donec classes pingi coepere. Hoc tertium accessit, resolutis igni ceris, penicillo utendi". Vengono dunque ricordati sotto il nome di encausto tre differenti modi di dipingere praticati da Apelle, da Zeusi, da Protogene, da Callimaco e da altri maestri. Che ognuno di questi metodi richiedesse l'uso del fuoco è dimostrato dalla stessa parola "encausto"; tuttavia differente fu la maniera dell'uso, come quella di dipingere.
Nel primo modo detto a stiletto, si lavorava scaldando con la spatola le cere colorate, e lisciandole con essa, al fine di fonderle tra di loro. Così dipinsero i Greci e i Romani, e si rese celebre, tra gli altri, il pittore romano Ludio. Si preparavano i colori unendo a essi, finemente macinati, una parte di cera, di resina o di gomma, e ottenendo la mescolanza al ca] ore del fuoco. S'adoperavano gli stiletti o schidioncini di metallo, da una parte appuntiti, dall'altra piatti o conici. Con la punta, scaldata, si raccoglieva il colore e si applicava sulla parte da dipingere, come si usa col pennello. Si univa, si sfumava poi il colore con la parte piatta. Nel secondo metodo si rigava e scavava, con la punta calda dello stiletto, sull'avorio. Sembra poco ragionevole quanto fu scritto intorno a questo genere di pittura, in ebure, che cioè con lo stiletto infuocato si delineasse un contorno e vi si facessero ombre abbruciando l'avorio. Val meglio ritenere che, presso popoli di gusto squisito, la pittura su avorio sia stata qualche cosa di simile alle nostre più fini miniature. In questi due generi di pittura l'abbruciamento del colore avveniva nell'atto in cui il colore stesso si raccoglieva con lo stiletto scaldato. Il terzo metodo, infine, consisteva nello sciogliere al fuoco la cera, le resine o le gomme; íarne una miscela col colore, e macinarle poi per renderle adatte alla pittura a pennello. Nell'operazione più grossolana di pittura unita o decorativa di legni, di parti di navi, ecc., si operava a caldo. La mescolanza dei colori con la cera e con la pece greca si otteneva a grande calore, e si spalmava sulle parti da dipingersi con grossi pennelli, come si pratica ancora dai calafati per dare il catrame alle barche. Dell'uso della pece greca e della cera è notizia in Plinio (XVI, 12, 23) che, parlando della medicina, ricorda: "Non omittendum apud eosdem (medicos) zopissam vocari derasam navihus maritimis picem cum cera".
Secondo Cros e Henry, i tre procedimenti dell'encausto sarebbero: 1. pittura caldo con bastoni di cera e di resina colorati, ammolliti con l'aggiunta di olio, trasportati dalla paletta calda mediante il pennello sul dipinto, poi fusi e modellati col cestrum. L'aggiunta dell'olio, facilitando il lavoro, permette di renderlo più finito; 2. pittura a freddo, con bastoni di cera e di resina colorati, ammolliti con l'aggiunta di olio, trasportati direttamente sul dipinto come il lapis del pastello, poi lavorati col cestrum; 3. pittura a freddo col pennello per mezzo di bastoni di cera e di resina colorati, sciolti in un olio essenziale e volatile.
Si dipingeva all'encausto su varî fondi: su vasi d'argilla (come attestano due frammenti del museo Biscari a Catania), su terracotta, su tavolette cerate, sull'avorio. V'è anche un encausto delle statue per conservare nettezza e durezza al marmo, oltre che per abbellirlo.
Non è noto chi abbia per primo praticato la tecnica dell'encausto; né è esatto, come si legge in taluni scrittori, che Aristide e Prassitele l'abbiano perfezionata, poiché prima di loro l'avevano usata Polignoto, Nicanore, Arcesilao. Gli Egizî vi si dedicarono, specie dopo la conquista macedone. L'encausto per le navi fu usato fin dai tempi di Omero ed è forse anteriore a quello dei dipinti a pennello.
È limitato il numero degli esemplari pervenuti fino a noi degli antichi encausti greci; quelle pitture, condotte con lo stiletto, venivano generalmente affidate a fondi lignei impressi, secondo Plinio, col paretonio. La pittura parietale non era ancora comparsa, come afferma lo stesso Plinio; mentre ne dava l'inizio vitale il vezzo d'incassar tavole dipinte nelle pareti dei portici, dei peristilî e delle case. Ond'è che il maggiore e più profondo studio si è potuto fare sulle pitture parietali abbondanti a Roma, Pompei, Ercolano, Ostia.
Ludio romano e i suoi scolari adornarono le pareti interne ed esterne delle case, delle ville e dei templi. Ludio rinnovò la tecnica degli encausti; sostituì alle gomme resinose e ai bitumi, fin allora usati, le colle da mescolarsi con la cera ai colori; colle, glutini e tempere di varia natura, come ricorda Plinio. Secondo Vitruvio gli intonachi furono eseguiti con un'arricciatura e due consecutive spalmature di calce e arena e altre tre di calce e marmorina, l'ultima delle quali, sottile come una pellicola, veniva colorita a fresco e lucidata a freddo, con la cazzuola. Tutto ciò fu comprovato da esperimenti del Venturini-Papari, che identificò nel materiale usato per i tre strati superficiali, insieme con la calce idrata, la calcite spatica, indicata da Vitruvio: "grani luccicanti a guisa di sale".
Nella preparazione dei colori furono usate la calce idrata, la cera, la gomma arabica o una colla animale, ottenendo dalle polveri colorate le varie tinte, dalla cera l'impermeabilità, il fissaggio dalla calce e la scorrevolezza dalla gomma o dalla colla. Terminata la pittura, si doveva compiere la terza operazione, quella cioè dell'inceratura e del successivo abbruciamento della cera e del colore, col mezzo del calore del fuoco. Plinio e Vitruvio descrivono le pratiche dell'encausto, e Plinio e Dioscoride indicano il procedimento di fabbricazione della cera punica usata negli encausti.
La tecnica usata in Egitto per la rappresentazione delle figure era ancora in voga a Bisanzio nel sec. VI e anche più tardi, per le pitture sacre. Se ne ha testimonianza in S. Giovanni Crisostomo e in altri scrittori. Nel museo di Kiev si vedono iconi dipinte con questa tecnica, che si possono datare con probabilità intorno al sec. VI, provenienti dal Sinai.
Questa specie di pittura, caduta da secoli in disuso, per le diffìcoltà tecniche del suo procedimento, si tentò di far rivivere nel sec. XVIlI. L'Académie des inscriptions di Parigi, nel 1755, bandì un concorso nel quale si segnalarono Caylus e Bachelier. In seguito Palomino, Scheffer, Mengs e Requeno si affaticarono nella ricerca del metodo perduto. Più di recente il Viglioli, il Previati e il Donner scrissero sull'encausto: il primo e il terzo stimandolo affresco spalmato di cera, il Previati limitandosi a riprodurre nella sua Tecnica della pittura i sistemi di Cavlus, di Bachilière, del Requeno e di altri.
Certo si è che sotto varie forme furono condotti encausti che ne avevano solo il nome, introducendosi un errato metodo di pittura, detto encausto francese, il quale non ha i pregi dell'antico, e arreca ai dipinti, nel corso del tempo, tutti quei danni che son proprî della pittura a olio. Né si comprende come si possa dare il nome d'encausto a tutti quei dipinti che, condotti con colori stemperati con una miscela d'olio essenziale di trementina e di cera, non abbiano come fondamentale pratica l'abbruciamento del colore.
Bibl.: C.-Ph. de Caylus e Majault, Mémoire sur la peinture à l'encaustique, ecc., Parigi 1755; V. Requeno, Saggi sul ristabilimento dell'antica arte dei greci e dei romani, Parma 1787; Fabbroni, Antichità vantaggi e metodo della pittura encausta, Roma 1797; L. Lanzi, Istoria pittorica dell'Italia, Pisa 1816, V, p. 275 segg.; B. Éméric-David, Histoire de la peinture au moyen âge, Parigi 1863; H. Cros e Ch. Henry, L'encaustique et les autres procédés de peinture chez les anciens, Parigi 1884; Du Cange, Glossarium mediae et infimae graecitatis, Lione 1688, col. 648; W. Helbig, Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens, Lipsia 1868; id., Die erhaltenen antiken Wandmalereien in technischer Beziehung, pp. I-CXXIV, G. Viglioli, Del modo di dipingere a fresco su l'intonaco greco-romano, Parma 1885; T. Venturini Papari, La pittura ad encausto e l'arte degli stucchi al tempo di Augusto, Roma 1901; id., La pittura ad encausto al tempo di Augusto, Roma 1928.