ENCICLOPEDIA
Il termine moderno e., sconosciuto in epoca medievale e usato in italiano per la prima volta da Galileo Galilei (1564-1642), indica un'opera scritta nella quale la conoscenza universale, o la totalità delle conoscenze relative a un determinato campo, viene raccolta e riassunta without bias (Saxl, 1957, p. 232).Il termine viene qui usato solo per quei testi medievali intesi a racchiudere tutto lo scibile, escludendo pertanto quelli rivolti a un obiettivo limitato (per es. i bestiari), così come le ampie raccolte di contributi originali alla conoscenza, quali le opere di Aristotele, che durante il Medioevo vennero raccolte in compilazioni a volte illustrate. Allo stesso modo non sono considerate in questa sede quelle opere che, pur alludendo nel titolo a trattazioni di carattere generale - con titoli come Summa o Speculum -, non riguardano tutti gli aspetti della conoscenza. Sono inoltre prese in esame soltanto le trattazioni i cui contenuti sono organizzati in modo esauriente, e quindi sono escluse le raccolte, o collectanea, prive di una predeterminata sequenza di argomenti.Per indicare tali trattati si impiegarono di volta in volta nomi diversi, ciascuno fornito di una particolare enfasi (Etymologiae, De naturis rerum, Liber floridus, Hortus deliciarum, Imago mundi, Speculum maius, Omne bonum).I compilatori medievali di e. non ricorrevano a esperti viventi, ma si affidavano ad autorità del passato, giacché non venivano apprezzate tanto le informazioni e le opinioni più aggiornate, quanto piuttosto quelle più venerabili. Gli enciclopedisti medievali, ben lungi dal concetto attuale di e. come opera obiettiva, interpretavano le connaissances du monde (Langlois, 1927) in modo allegorico da un punto di vista coscientemente cristiano o le presentavano come mezzi per giungere alla conoscenza di Dio. Loro scopo era favorire una comprensione della natura, creata da Dio, e delle Sacre Scritture, che avesse valore etico per indicare la giusta condotta, e morale per fornire nutrimento spirituale. Un'e. medievale era generalmente ordinata per soggetti e quasi mai alfabeticamente. Il fondamento della conoscenza, cioè Dio in quanto creatore, precedeva tutti gli altri soggetti, i quali si presentavano spesso secondo un ordine gerarchico. Il lettore medievale, a cui era familiare quel concetto gerarchico di ordine che si esemplifica nei sei giorni della creazione, sapeva dove trovare le informazioni desiderate anche grazie all'aiuto di indici o liste di capitoli.Soltanto alcune e. medievali erano illustrate. Tra le opere più importanti prive di una tradizione figurativa vanno menzionate le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico e lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais. Per quanto riguarda le e. illustrate, alcuni programmi figurativi vennero sviluppati e trasmessi insieme ai rispettivi testi, come nel caso del De rerum naturis di Rabano Mauro, del Liber floridus di Lamberto di Saint-Omer, dell'Image du monde di Gossuino di Metz, del Livre du trésor di Brunetto Latini e delle traduzioni in volgare dell'opera di Bartolomeo Anglico, in particolare le Propriétés des choses. Altre e. illustrate costituiscono, invece, esemplari unici, giacché non esistono copie né del testo, né delle figure; due importanti esempi di questo genere sono l'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg e l'Omne bonum di James le Palmer.L'illustrazione aveva molteplici scopi. Innanzitutto - come nel caso delle raffigurazioni di uccelli, di pesci, di altri animali, di diagrammi del cosmo - poteva fornire informazioni utili, benché le immagini, come del resto anche i testi relativi, non fossero basate sulla diretta osservazione della natura. In secondo luogo le illustrazioni potevano costituire un'aggiunta o un commento al testo, oppure sottolinearne una particolare lettura, spesso frutto di un'interpretazione allegorica o simbolica. In terzo luogo esse servivano come punti di riferimento per l'individuazione delle diverse parti dei testi e come ausilio di memoria, visualizzando ciò che doveva essere ricordato, e ricordato in un modo particolare. Esse infine rappresentano un segno concreto dell'alta stima riservata ai valori della conoscenza contenuti in un'enciclopedia.
La prima e. illustrata che si sia conservata è il De originibus rerum o il De rerum naturis di Rabano Mauro, abate di Fulda (784-856). Il titolo con il quale quest'opera è spesso nota, De Universo, risale alla prima edizione a stampa (Strasburgo, ante 1467). Dell'opera si conservano due manoscritti con l'intero ciclo di raffigurazioni e altri quattro la cui decorazione è giunta in stato frammentario o che furono illustrati solo parzialmente. Tra quelli con l'intero ciclo figurativo il codice più antico, illustrato con più di trecentotrenta soggetti, venne eseguito nel 1023 ca. a Montecassino (Bibl., 132). L'altro venne scritto e miniato nella Germania meridionale, per il conte Ludovico del Palatinato, nel 1425 (Roma, BAV, Pal. lat. 291). Si tratta di due codici che, sebbene strettamente correlati, non sono in linea genealogica diretta. Oltre agli esemplari illustrati, di quest'opera restano numerose copie prive di illustrazioni, due delle quali risalenti al 9° secolo. Le copie non illustrate contengono una più antica edizione del testo, sufficientemente distinta da quella successiva da permettere di ritenere che l'e. abbia avuto una seconda redazione, di cui il dato principale non fu la revisione del testo, ma proprio l'inserimento delle illustrazioni. Queste tuttavia, secondo Reuter (1984), sarebbero state inserite nel De rerum naturis già in epoca carolingia, sebbene non per diretta volontà di Rabano Mauro. Il De rerum naturis è costituito da ventidue libri numerati, ciascuno dei quali diviso in capitoli con un proprio titolo: I, sulla divinità e sugli angeli; II-III, sui personaggi dell'Antico Testamento da Adamo ai profeti; IV, sulle figure del Nuovo Testamento, sui martiri cristiani, sulla fede cristiana, sul clero e sulla vita consacrata, sui laici, sugli eretici e sulle eresie, sulle eresie dei giudei e sulla dottrina cristiana; V, sulle Sacre Scritture, sugli scritti e sui riti cristiani; VI-VII, sulla forma e sulla natura degli esseri umani; VIII, sugli animali; IX, sulla struttura dell'universo e i suoi elementi; X, sul tempo; XI, sull'acqua; XII, sulla terra; XIII, sulle montagne; XIV, sulle strutture; XV, sulla filosofia, sulla poesia e sugli dei pagani; XVI, sul linguaggio; XVII, sulle pietre, sulle gemme e sui metalli; XVIII, sui pesi, sulle misure, sui numeri, sulla musica e sulla medicina; XIX, sull'agricoltura; XX, sulla guerra; XXI, sulle occupazioni; XXII, sul bere e sul mangiare.Il testo, definito sostanzialmente soltanto una glossa di Isidoro (Saxl, 1957, p. 233), costituisce in effetti una spiegazione allegorica o mistica della materia trattata nei singoli capitoli delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Il commentario di Rabano Mauro si basa essenzialmente sulla Clavis dello pseudo-Melitone, compilazione allegorica di testi dei Padri della Chiesa risalente al 9° secolo. L'autore tuttavia elaborò una riorganizzazione della materia, che divenne poi quella consueta delle e. medievali, omettendo gran parte dei primi cinque libri di Isidoro, che trattavano delle arti liberali a partire dalla grammatica, anteponendo a tutti il libro VII delle Etymologiae, dedicato alla divinità e agli angeli; aggiunse inoltre due libri ai venti di Isidoro, in modo che il loro numero coincidesse con quello dei libri dell'Antico Testamento e con il numero delle lettere dell'alfabeto ebraico.Nelle illustrazioni del De rerum naturis sono evidenti sia l'origine isidoriana sia la nuova impostazione allegorica. Per i capitoli sugli animali, sui serpenti, sugli insetti, sui pesci e sugli uccelli furono realizzate ca. centoventicinque illustrazioni dal carattere esplicativo. Gli animali sono raffigurati di profilo, talvolta raggruppati all'inizio del capitolo, ma più spesso disposti entro la colonna del testo o tra le sezioni del testo stesso. Il formato, che suggerisce una relazione con i manoscritti del Physiologus e con i bestiari, testimonia l'appartenenza a una tradizione pittorica d'origine tardoantica, anche se nota solo tramite esempi di epoca carolingia. Di derivazione classica sono altre immagini come quelle delle razze esotiche del mondo (VII, 7), paragonabili alle illustrazioni dei Collectanea rerum memorabilium di Solino e delle 'meraviglie dell'Oriente', o come quelle del Sole, della Luna e delle costellazioni (IX, 9-15), legate alle illustrazioni astronomiche di testi classici come gli Aratea, e degli dei pagani (XV, 6). Un'importante differenza tra la prima e la seconda redazione dell'opera consiste proprio nel fatto che nella seconda fu inserito un testo su Ercole, basato su Fulgenzio e Festo Pompeo, corredato da un'illustrazione. Sebbene nessun altro manoscritto conservato offra illustrazioni di divinità paragonabili a queste, è tuttavia da ritenere che anch'esse riflettano un più antico archetipo.Alcune materie hanno illustrazioni basate sull'interpretazione allegorica di Rabano Mauro piuttosto che sul testo etimologico e descrittivo di Isidoro. Nel De regnis et militiae vocabulis (XVI, 3), per es., la parte del testo che concerne la serie dei regni terreni che culminano con gli imperatori romani è derivata da Isidoro, mentre è di Rabano Mauro il commento sulla supremazia del regno eterno di Cristo e la raffigurazione, basata forse su un modello carolingio, che rappresenta due regnanti inginocchiati di fronte a Cristo in trono. Il formato dell'immagine è quello tipico di una serie di illustrazioni di concetti cristiani, in cui si conferisce forma visiva a idee e dogmi tramite la costruzione di composizioni simmetriche, impiegando simboli quali la colomba, la croce, il calice e il libro, oppure la struttura di una chiesa. In altre immagini i concetti vengono tradotti in azioni, come per es. nel De ceteris fidelibus christianis (IV, 7), dove in una illustrazione tre laici trasportano delle croci muovendosi in processione verso l'ingresso di una chiesa. In alcune immagini le azioni hanno carattere metaforico, come in quella del De haeresibus Iudaeorum (IV, 9), che mostra due gruppi di falsi fedeli inginocchiati, un gruppo con le mani sulle orecchie, l'altro composto da figure imbavagliate. Nuove nella concezione, tali illustrazioni drammatizzano, enfatizzandoli, i contenuti letterali dell'e., secondo modalità proprie del Medioevo.Il manoscritto cassinese del De rerum naturis è stato oggetto di un importante dibattito critico, soprattutto per quanto concerne le fonti e i modelli delle illustrazioni. Sulla base dello stile che vi si riflette si è giunti alla conclusione che questo manoscritto del sec. 11° sia copia di un modello carolingio (Goldschmidt, 1924-1925). La derivazione del testo dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia ha fatto ritenere che il modello carolingio fosse basato su un testo di Isidoro illustrato (Saxl, 1957; Panofsky, 1967), benché nessuna delle centinaia di copie conservate della e. isidoriana presenti illustrazioni, eccezion fatta per alcuni diagrammi. A tale incongruenza si potrebbe ovviare riconoscendo i possibili modelli del Rabano Mauro illustrato carolingio in altre opere classiche o tardoantiche che vennero sicuramente illustrate (Le Berrurier, 1978). Del resto proprio la presenza di raffigurazioni relative a parti del testo non derivate da Isidoro consente di abbandonare l'idea di un Isidoro illustrato quale unico modello (Reuter, 1984). Come rilevato da Reuter (1984), il De rerum naturis, per il suo distacco dalla tradizione classica e per l'introduzione delle illustrazioni, ebbe un ruolo fondamentale nell'evolversi della concezione medievale di enciclopedia.Del Liber floridus, compilato da Lamberto, canonico secolare di Saint-Omer, nell'Artois, tra il 1112 e il 1121, si conservano l'originale autografo (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 92), una copia diretta del tardo sec. 12°, forse proveniente dalla Francia settentrionale (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 1 Gud. lat. 2°), e altri sette esemplari non direttamente copiati dall'originale, la cui data varia dal sec. 13° al 16°, il più importante dei quali è il manoscritto del sec. 13° proveniente da Cambrai (Parigi, BN, lat. 8865). Lamberto spiega il titolo dell'e. nel prologo, affermando di aver intrecciato tra loro 'fiori' tratti da diversi autori. L'autografo è un grande volume di duecentoottantasette carte, riccamente illustrato; i principali argomenti dell'opera sono le scienze naturali, la storia pagana e cristiana, universale e locale, e i precetti morali. La materia non è suddivisa per libri, ma viene presentata in centonovanta capitoli numerati e provvisti di titoli. In alcuni casi, i capitoli si succedono l'uno all'altro in base ai temi trattati: per es. i capp. XXIX-LV costituiscono brevi compendi tratti da Isidoro di Siviglia e da altri autori, relativi alla geografia, alle razze mostruose, alle misure, agli animali e alle pietre, mentre i capp. CXXX-CLV, di argomento storico, trattano di Alessandro Magno e della storia del mondo, degli imperatori romani e dei re franchi. Numerose parti dell'e. presentano tuttavia l'uno accanto all'altro testi di vario carattere - numerico, cosmologico, storico, genealogico, allegorico, teologico, morale - così diversi tra loro che Delisle (1903, p. 578) descrisse l'opera come una compilazione del tutto disordinata. Studi recenti (Derolez, 1978) hanno dimostrato che la causa principale dell'apparente disordine, a parte gli errori di legatura, è da ricercarsi nel fatto che l'archetipo di Gand costituisce una copia di lavoro, il cui stato attuale è il risultato di revisioni, inserzioni e addizioni effettuate nel corso degli anni dallo stesso Lamberto di Saint-Omer. Altri studiosi (Bober, 1973; Mayo, 1973) hanno posto in risalto il carattere decisamente allegorico e moralistico dell'opera, che assegna un ruolo fondamentale alle immagini simboliche, allegoriche e schematiche - più numerose che in Rabano Mauro - e che assembla in un'unica entità le disparate componenti testuali del manoscritto.Il Liber floridus comprende alcune illustrazioni di carattere descrittivo e tecnico comparabili a quelle dell'e. di Rabano Mauro, anche se non derivate da esse. Le immagini accompagnano passi tratti da Isidoro di Siviglia, da Macrobio, da Beda il Venerabile e da altri autori. Vi sono rappresentati pianeti e costellazioni (cap. LXXVIII), tavole cosmologiche, numeriche e sfere (capp. III-VI, XIV-XVI, LXXIX, CXXI, CLVIII), raffigurazioni di animali fantastici e di serpenti (capp. XLV-LI). Alcune di esse, a corredo di testi di carattere descrittivo, hanno un formato più grande; appositamente ideate, sottolineano il significato allegorico di creature quali il Behemoth (cap. XLIX) e il Leviatano (cap. XL), entrambe associate al diavolo e all'anticristo, le cui immagini trovano posto tra i testi isidoriani sui serpenti, sui pesci e sugli animali acquatici. I passi tratti dai capitoli di Isidoro sulle pietre, in questo caso non illustrati, sono accompagnati da un frontespizio con cornice raffigurante la Gerusalemme celeste a piena pagina (cap. LIV), con iscrizioni che pongono in relazione i nomi delle dodici pietre preziose della sua struttura con i dodici apostoli. È da notare inoltre che una poesia di autore anonimo sul verso della pagina istituisce un rapporto fra queste pietre e le dodici virtù. Analogamente i capitoli sulle isole e sui fiumi (capp. XXXIII-XXXIV) sono accompagnati da una miniatura a piena pagina con il Paradiso, con un albero che cresce al centro delle mura circolari di un complesso turrito.Alcuni passi del Liber floridus trattano gli stessi argomenti messi a punto dalle opere di Isidoro di Siviglia e di Rabano Mauro, mentre altri affrontano temi nuovi a carattere storico riferiti all'Europa del sec. 12°: la lotta per le investiture (cap. LXVIII), la genealogia delle famiglie nobili della Normandia e delle Fiandre (capp. LX, CXVII) e una cronaca della prima crociata (cap. CXX). Questo materiale, nel contesto del Liber floridus, assume un significato che va oltre la mera documentazione storica: il suo scopo è infatti quello dell'istruzione morale. Le lezioni vengono sottolineate dall'inclusione di ulteriori testi storici: eventi del passato nella forma di epitomi dalla Historia Troiana (cap. CXC), dai Gesta Romanorum imperatorum (cap. CXXXVII) e dai Gesta Romanorum pontificum (cap. CXXXVI); narrazioni delle 'sei età del mondo' (cap. XXI); predizioni del futuro e della fine del mondo (cap. CLVI); inoltre testi sull'anticristo (cap. CLXVIII) e passi di carattere antigiudaico (capp. LXII, CXL CLXX), che dovevano essere intesi in riferimento a regnanti e a eventi contemporanei, come per es. la sfida al papato da parte dei sovrani del Sacro romano impero e la riconquista di Gerusalemme strappata agli infedeli. Alla comprensione del significato morale dei testi storici contribuivano immagini quali: gli schemi delle età dell'uomo e delle età del mondo (capp. IV-VI); un ciclo di miniature sull'Apocalisse (cap. XIII; perduto nell'autografo, ma conservato nel Liber floridus di Wolfenbüttel); l'arbor palmarum (cap. LX), la palma (la Chiesa) sul monte Sion (la Terra Santa), i cui rami (le virtù) si espandono tra le colonne di testo con i nomi dei condottieri della Normandia e delle Fiandre che avevano preso parte alla prima crociata e la serie dei sovrani del regno latino di Gerusalemme; l'ordo beatitudinum VIII (cap. CXXV), simbolo della Chiesa trionfante, nel quale le otto beatitudini del Sermone della montagna sono associate ai nomi di otto virtù, alla ricompensa spirituale di coloro che praticano tali virtù e ai nomi degli otto alberi della Terra Santa elencati nell'Ecclesiastico (24, 17-19; 22-23); S. Pietro assiso all'interno di una struttura schematica che rappresenta la città di Roma, nel frontespizio alla storia dei papi.Per quanto l'opinione espressa da Bober (1973) - secondo il quale il Liber floridus deve essere riconosciuto come la più importante, completa e caratteristica e. del Medioevo - sia oggi da riconsiderare, soprattutto in rapporto alla diffusione del Liber floridus, che di fatto fu limitata alle diocesi di Thérouanne, Cambrai e Tournai, nella Francia settentrionale e nel Sud dei Paesi Bassi (Lieftinck, 1973), è tuttavia giusto sottolineare come Lamberto di Saint-Omer abbia alterato l'equilibrio, di stampo ancora classico, delle e. di Isidoro di Siviglia e di Rabano Mauro, estendendo la gamma dei soggetti storici al presente e al futuro e sottoponendo tutti gli argomenti trattati nell'opera a un processo di esegesi cristiana.Negli anni tra il 1175 e il 1185 Herrada di Landsberg, badessa (1176-1195) del monastero agostiniano di Sainte-Odile a Hohenbourg, in Alsazia, portò a termine un'e., cui diede il titolo di Hortus deliciarum; scopo dell'opera era quello di fornire nutrimento spirituale alle giovani monache del suo cenobio. Come era avvenuto in precedenti e. medievali, l'opera di Herrada raccolse il 'nettare' da vari scritti teologici e di erudizione in un unico favum mellifluum. Il manoscritto dell'Hortus deliciarum, un unicum, rimase probabilmente a Hohenburg fino alla metà del sec. 16°, quando il monastero venne distrutto. In seguito il volume divenne proprietà del vescovo di Strasburgo e quindi, all'inizio del sec. 19°, della Bibl. Mun. di Strasburgo. Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana, il manoscritto andò completamente distrutto, ma, in precedenza, gran parte del testo e molte delle illustrazioni erano state copiate o ricalcate. Una ricostruzione definitiva dell'opera è stata pubblicata di recente (The Hortus Deliciarum, 1979).L'Hortus deliciarum era un grande volume di almeno trecentoquarantadue carte, in cui, con ca. centocinquanta miniature a piena pagina e forse un'altra dozzina inserita nelle pagine di testo, si era attuato uno sviluppo enorme della parte figurativa, evidente al confronto con le ca. sessanta illustrazioni del Liber floridus. Mancano intitolazioni di carattere generale, ma la recente ricostruzione elenca millecentosessantuno passi di testo con un proprio titolo e gli argomenti si susseguono secondo un programma coerente: gli angeli, la Trinità e la creazione del mondo; le componenti del cielo e della terra; l'Antico Testamento, dalla creazione dell'uomo al diluvio universale; la filosofia e le arti liberali; l'Antico Testamento da Abramo ai profeti; la relazione del Nuovo Testamento con l'Antico; gli antenati di Cristo, le storie evangeliche e gli Atti degli Apostoli; le virtù e i vizi; la Chiesa e la società cristiana; l'anticristo, la fine del mondo, il paradiso e l'inferno; l'interpretazione teologica di Pietro Lombardo (m. nel 1160) e di altri autori; la vita consacrata; la lista dei nomi dei papi fino a Lucio III (1181-1185), proseguita da un'altra mano fino a Clemente III (1187-1191); le tavole numeriche e il calendario; il monastero e la comunità delle monache di Hohenbourg.La fonte principale per il testo relativo alla creazione del mondo, alla sua composizione e alle arti liberali fu l'Aurea gemma, o Summarium Heinrici, un compendio delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia risalente all'11° secolo. Alcuni passi attinti da questo o da altro materiale di derivazione classica erano corredati da illustrazioni inserite all'interno del testo: la sfera celeste, le rotae dei quattro elementi e le quattro qualità, le regioni climatiche della terra e i venti; i segni zodiacali e le raffigurazioni delle muse. Come nel Liber floridus, alcuni soggetti di origine classica ricevevano particolare risalto tramite immagini concepite per illustrazioni a piena pagina, come per es. la rota della filosofia e delle arti liberali, che seguiva una serie di brevi passi indipendenti sulla filosofia, sulle arti liberali, sulla musica, sulle muse e sulla poesia. Dalla Psychomachia di Prudenzio derivano le dieci illustrazioni a piena pagina della lotta tra i vizi e le virtù, disposte a registri o a rotae. Tali raffigurazioni, corredate da didascalie e iscrizioni, sono tanto eloquenti da comparire senza il testo relativo.Un'analoga attenzione all'immagine si ritrova nelle sezioni centrali dell'Hortus deliciarum, dedicate alla vita di Cristo e degli apostoli. La narrazione era infatti per immagini, non verbale. La serie consisteva di oltre centocinquanta soggetti pittorici in sessanta miniature a piena pagina, suddivise in due o tre fasce orizzontali; passi descrittivi o esegetici erano inseriti all'interno delle immagini stesse. Tali pagine erano intercalate con pagine di testo comprendenti esposizioni di carattere simbolico, allegorico e mistico relative al significato degli eventi rappresentati, eventi che erano tratti dai commentari alla Bibbia di Beda e di s. Bernardo, dalle storie bibliche e universali di Freculfo (sec. 9°), Eusebio di Cesarea (sec. 3°-4°) e Pietro Comestore (m. nel 1179), dagli scritti teologici di Anselmo d'Aosta (1033/1034-1109), di Onorio Augustodunense (sec. 12°), di Pietro Lombardo, dello pseudo-Clemente, di Ruperto di Deutz (m. nel 1135 ca.), dai Panormia, una raccolta di leggi canoniche di Ivo di Chartres (m. nel 1116), da trattati di liturgia, dai sermoni di Gregorio Magno (540 ca.-604) e Giovanni Crisostomo (m. nel 407). Un'organizzazione analoga si ritrovava nelle sezioni con soggetti tratti dall'Antico Testamento e con la fine del mondo, dove nuovamente a pagine di narrazione per immagini se ne alternavano altre di solo testo.Se la nuova ricostruzione dell'Hortus deliciarum ha richiamato l'attenzione proprio sul nucleo di raffigurazioni tratte dal racconto biblico che caratterizza l'e., è stata tuttavia riconosciuta anche l'importanza delle immagini allegoriche che strutturano le sezioni narrative. Tra queste si trovano complessi schemi a piena pagina: rotae (sacrificio dell'Antico Testamento e sacrificio del Nuovo Testamento); l'albero degli antenati di Cristo; la ruota della fortuna; la scala delle virtù e la Chiesa come complesso formato da più parti. Le ultime illustrazioni dell'Hortus deliciarum comprendevano, su pagine affrontate, una storia di Hohenbourg per immagini, con la raffigurazione del monastero in cima alla collina, dei fondatori del sec. 8° (Adalrico, duca di Alsazia, e la figlia, s. Odilia), delle badesse del sec. 12° (Relinda e Herrada), e delle monache del loro tempo. Le illustrazioni ricordano fortemente lo scopo dell'e. enunciato nel prologo da Herrada: si trattava di un libro creato su misura per la gioia spirituale e per l'educazione delle monache, che intendeva offrire cognizioni di carattere enciclopedico alla comunità monastica femminile di Hohenbourg. Non può essere considerato come una semplice coincidenza il fatto che in presenza di un autore e di un pubblico femminile si registri una particolare attenzione alle immagini.A differenza del Liber floridus, lo Speculum maius del frate domenicano Vincenzo di Beauvais (m. nel 1264), la più importante e. in latino del sec. 13°, era diretto a un ampio pubblico di chierici ed era dedicato a re Luigi IX di Francia. Le intenzioni di Vincenzo di Beauvais, a quanto attesta la prefazione generale all'opera, non erano soltanto quelle di informare e fornire benefici spirituali, ma anche di offrire un aiuto per la preghiera, l'insegnamento e le dispute; così egli poneva l'accento sull'utilità della sua e. come strumento di consultazione. Composto alla metà del sec. 13°, lo Speculum maius è un'imponente opera che corrisponde, in edizioni a stampa, a cinque o più volumi in folio. Lo Speculum, di cui in realtà non si è conservata alcuna copia completa, consiste di tre parti fra loro distinte, ma collegate: lo Speculum naturale, lo Speculum historiale e lo Speculum doctrinale. A queste tre parti le edizioni a stampa dello Speculum maius ne aggiungono una quarta, lo Speculum morale, un'opera del sec. 14° sull'etica e sulla teologia, derivata sostanzialmente dalla Summa di Tommaso d'Aquino. Lo Speculum naturale tratta della divinità e delle opere della creazione nella loro interezza, secondo il modello dei 'sei giorni della creazione'. Lo Speculum historiale, che ha alla sua base il concetto delle 'sei età del mondo', ripercorre la storia dell'uomo da Adamo ed Eva fino alla metà del sec. 13°, seguendo la disposizione ad annum propria delle cronache. Lo Speculum doctrinale affronta il tema dell'apprendimento dell'uomo, suddividendolo in linguaggio, filosofia e arti logiche, arti pratiche (economia, politica, diritto), arti meccaniche (comprese tecnologia, agricoltura, medicina applicata), scienze teoretiche (fisica, matematica, metafisica, teologia). Il metodo elaborato da Vincenzo di Beauvais consistette nel raggruppare sotto le diverse voci compendi appropriati tratti da un ampio numero di autorità. Molte delle sue fonti erano di tipo tradizionale: gli antichi scrittori già utilizzati da Isidoro di Siviglia e da Rabano Mauro e i loro successori; i Padri della Chiesa, i testi della Bibbia e i loro commentari; teologi e cronisti medievali. Fra le sue principali fonti vi erano però anche le traduzioni latine delle opere di Aristotele. L'introduzione dei testi aristotelici, sia quelli scientifici sia quelli filosofici, rappresenta in effetti un aspetto nuovo, non soltanto dello Speculum maius, ma di tutte le e. minori del sec. 13°, come per es. il De naturis rerum di Alexander Neckam, del 1200 ca., il De naturis rerum di Tommaso di Cantimpré e il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, entrambe del 1240 circa.Né lo Speculum maius, né le altre e. in latino del sec. 13° contenevano di norma illustrazioni, se non in alcuni casi il ritratto dell'autore o del committente. Fra le poche eccezioni, tuttavia, è una copia del tardo sec. 13° dello Speculum historiale conservata a Oxford (Merton College Lib., 123-126); probabilmente di origine parigina, il manoscritto è corredato da ca. venti iniziali istoriate.Più strettamente collegato con le prime e. illustrate è un codice dell'opera di Bartolomeo Anglico conservato a Cambridge (Fitzwilliam Mus., CFM 15) e proveniente dalla Francia settentrionale. Un'iniziale istoriata è posta all'incipit di ciascuno dei diciannove libri: I-II, Dio e gli angeli; III, l'anima; IV, gli elementi; V, il corpo umano; VI, le età dell'uomo; VII, le infermità dell'uomo; VIII, il mondo e i corpi celesti; IX, il tempo e le stagioni; X, la forma e la materia; XI, l'aria; XII, gli uccelli; XIII, l'acqua; XIV, la terra; XV, le province della terra; XVI, le pietre e i metalli; XVII, le piante; XVIII, gli animali; XIX, i colori, i gusti, le misure, i pesi e il suono. Alcune di queste illustrazioni riflettono la tradizione iconografica codificata da Rabano Mauro, come per es. l'edificio per il libro XV. Tuttavia, dal momento che le illustrazioni si trovano all'inizio di ciascun libro e non all'inizio dei singoli capitoli, esse tendono ad avere un carattere collettivo, come mostra, per es., l'immagine del libro XVIII, con un cervo, un cane, una lepre e uno scoiattolo confrontabili con le illustrazioni di Rabano Mauro, De pecoribus et iuventis (VII, 8); alcune di esse interpretano il soggetto generale con un esempio, come nel libro X, dove un vasaio al tornio dà forma a un'anfora; altre mostrano l'autore mentre espone la materia, come nel libro XVI, in cui l'immagine ritrae un francescano nell'atto di indicare un monticello con inserite gemme multicolori, o nel libro V, dove l'autore è raffigurato mentre indica un uomo nudo. Le illustrazioni non forniscono informazioni relative a ognuno dei soggetti e nemmeno privilegiano una lettura allegorica del testo in chiave cristiana. Piuttosto la loro funzione principale è quella di articolare la struttura dell'e., per rendere più semplice la collocazione dei vari libri e permettere la memorizzazione delle linee principali dei suoi contenuti. In generale il pregio dell'e. di Bartolomeo Anglico è nel rigore della sua ordinatio e nell'uso di elenchi dei capitoli che sono provvisti di titoli e di numerazione; alcune delle copie più antiche sono persino corredate di indici (Londra, BL, Sloane 471, ca. 1300). Quattro dei libri di argomento scientifico, quelli sulle province, sulle pietre e i metalli, sulle piante e sugli animali, sono interamente organizzati secondo un ordine alfabetico. Per la maggior parte gli argomenti che nello Speculum naturale erano presentati in separate serie alfabetiche nel De proprietatibus rerum vennero amalgamati insieme, superando in questo la caratteristica organizzazione per soggetti dell'e. medievale.
Nel 1245-1246 Gossuino, erudito e chierico di Metz, completò un livre de clergie in francese, che intitolò Image du monde. Il titolo suggerisce il carattere enciclopedico dell'opera, che è stata tramandata in diverse redazioni poetiche, con un numero di versi ottoniani che varia dai seimila ai diecimila, e in una versione in prosa un po' più tarda, probabilmente della seconda metà del sec. 13°; l'opera è nota attraverso almeno settanta copie manoscritte. Nel prologo Gossuino spiega che l'opera è tradotta dal latino; certamente una delle fonti principali fu la breve e. delle scienze naturali del sec 12°, il De imagine mundi, spesso attribuita a Onorio Augustodunense, ma uguale importanza dovette avere il più recente De naturis rerum di Alexander Neckam. Inoltre l'autore utilizzò Tolomeo, Solino, Isidoro di Siviglia, gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (m. nel 1211), la Topographia Hibernica di Geraldo Cambrense (m. nel 1223), l'Historia Hierosolymitana di Jacques de Vitry (m. nel 1240) - soprattutto per le ampie sezioni dedicate alla geografia - e la Fisica e la Metafisica di Aristotele. L'Image du monde si divide in tre parti, come il De imagine mundi, sebbene l'opera latina comprendesse in ciascuna sezione soggetti diversi. La prima parte, relativa a Dio e all'uomo, alla terra e al cielo, contiene i capitoli su Dio creatore e sulla creazione dell'uomo, sulle arti liberali, sugli elementi e sui cieli; nella seconda, relativa ai fenomeni fisici, si trovano i capitoli sulla divisione della terra, sulle regioni geografiche e sui paesi, con le creature umane, gli animali e le piante a essi pertinenti, sull'acqua e le sue forme multiple, sull'aria, le stelle e i pianeti; la terza parte riguarda l'astronomia e tratta degli astronomi e dei filosofi.Diversamente da quanto avvenne per le altre e. del sec. 13°, per l'Image du monde furono previste fin dall'origine ventotto illustrazioni: "figures sanz quoi li livres ne pourvoit estre legierement entenduz". Le immagini non erano ideate per tutti i capitoli, ma accompagnavano soltanto alcuni passi del testo. Alcune rappresentano schemi circolari elaborati per spiegare i soggetti cosmologici; tra questi diagrammi, uno mostra la terra tonda come una mela e illustra come due uomini, camminando intorno a essa in direzioni opposte, si incontrerebbero nel punto da cui erano partiti. Altre raffigurazioni hanno un carattere esclusivamente simbolico e sono intese come paralleli visivi o come arricchimento del testo: per es., le rappresentazioni delle Sette arti liberali in veste di maestri che illustrano la pratica di ciascuna arte, talvolta davanti a un pubblico. Non strettamente necessarie alla comprensione del testo, tali immagini non furono peraltro incluse in tutte le copie dell'opera. Un esemplare particolarmente lussuoso è costituito dal codice con la versione in prosa dell'Image du monde realizzata a Parigi nel terzo decennio del sec. 14° (Parigi, BN, fr. 574) e appartenuta a Guillaume Flote, cancelliere di Francia (1339-1347), e poi al duca Jean de Berry (1340-1416). La versione in prosa dell'Image du monde venne tradotta dal francese anche in ebraico probabilmente prima della fine del sec. 13°; se ne sono conservate due copie, una a Parigi (Coll. Gunzburg, 287) e una, della metà del sec. 16°, a Oxford (Bodl. Lib., Oppenheim 579).La più importante e. in volgare del sec. 13° sono i Livres dou trésor di Brunetto Latini, notaio fiorentino esiliato in Francia tra il 1260 e il 1267, all'epoca in cui Firenze era controllata dai ghibellini. Brunetto, come spiega egli stesso nella prefazione, scrisse questa e. in francese non solo perché si trovava in Francia, ma anche perché il francese era allora la lingua più diffusa. L'opera venne portata a termine in Italia intorno al 1268 e fu dedicata a un "biaus dous amis", un buono e caro amico non meglio identificato, ma che doveva ricoprire un alto incarico di governo, giacché per tutti i Livres dou trésor Brunetto sottolinea come le conoscenze contenute nell'opera siano intese a istruzione di coloro che sono chiamati alla responsabilità di governare sugli altri. Certamente la sua e. si distingue dalla maggior parte delle altre, sia in latino sia in volgare, per l'attenzione riservata ai practica, le scienze economiche e politiche, e all'arte della retorica.I Livres dou trésor si dividono in tre sezioni. La prima parte, sulla natura di tutte le cose, celesti e terrene, comprende duecento capitoli: su Dio, sugli angeli, sull'anima, sulla creazione dell'uomo, sulla sua storia - fino all'imperatore Federico II (m. nel 1250) e alla morte di Manfredi (1266) -, sugli elementi, le qualità e i corpi celesti, sulle parti della terra e su come vi vivono gli uomini, sui pesci, i serpenti, gli uccelli e le bestie. La seconda parte, relativa alla natura dei vizi e delle virtù, "selonc etique" ovvero secondo l'Etica di Aristotele, comprende centotrentadue paragrafi sulla condotta virtuosa sia personale sia civica, su particolari vizi e virtù e sulle loro conseguenze sulla condotta umana. La terza parte, "de bone parleure", cioè sul parlare bene, comprende centocinque capitoli non soltanto sull'arte e sulla virtù della retorica, ma anche sul governo e sul governare. Le fonti latine di Brunetto per i capitoli sulla scienza della natura, nella prima parte, sono paragonabili a quelle cui aveva attinto Gossuino di Metz, ma i passi che trovano un parallelo negli scritti di Ruggero Bacone (m. dopo il 1292) e di Roberto Grossatesta (m. nel 1253) suggeriscono una familiarità con studiosi aggiornati, forse ottenuta, secondo Carmody (1948), dalle glosse a lezioni universitarie. La storia universale di Brunetto si rivela una compilazione di testi tratti da Isidoro di Siviglia, da Orosio, da Goffredo da Viterbo (1120-1191), da Gilbertus (sec. 12°-13°), da Pietro Comestore e, per gli eventi più recenti, attinti da una cronaca analoga a quella usata dallo storico fiorentino Giovanni Villani (1280 ca.-1348). Sebbene Brunetto Latini non abbia quasi mai specificato le sue fonti, egli cita l'Etica di Aristotele a origine della prima metà della seconda parte dell'opera; la seconda metà è invece basata per lo più sulla Summa de vitiis et virtutibus di Guillaume Peyraut. La terza parte è una compilazione da traduzioni di Cicerone e da altri trattati di retorica, oltre che da numerose opere di politica del sec. 13°, compreso il De regimine civitatum (1228) di Giovanni da Viterbo.Dei Livres dou trésor si conservano più di settanta copie, frequentemente corredate da illustrazioni. Malgrado su queste ultime non siano stati pubblicati studi specifici, dai manoscritti presi in esame risulta, tuttavia, l'assenza di un programma generale. In alcuni casi le immagini si basano su cicli che avevano una tradizione consolidata, come per es. la serie di sessanta piccole miniature di pesci, serpenti, uccelli e bestie, inquadrate entro cornici, che compaiono in un codice francese, del terzo decennio del sec. 14°, conservato a Londra (BL, Yates Thompson 19), comparabili a quelle che compaiono nei coevi bestiari. Oltre a queste, il manoscritto di Londra comprende dodici ulteriori illustrazioni con soggetti biblici e storici, alcuni diagrammi circolari per la prima parte e numerose miniature con la raffigurazione di maestri e studenti per la seconda e la terza parte.La maggior parte delle copie illustrate dei Livres dou trésor è di origine francese, mentre poche sono di origine italiana; una copia (Parigi, BN, fr. 571), realizzata nella Francia settentrionale, con straordinarie miniature dipinte da un artista inglese alla fine del terzo decennio del sec. 14°, è probabilmente da porre in relazione con il fidanzamento di Edoardo III, erede al trono d'Inghilterra, con Filippa di Hainaut. Il programma figurativo differisce considerevolmente da quello del citato manoscritto di Londra; sono assenti le rappresentazioni di animali e le illustrazioni di altre parti dell'e. sembrano essere state appositamente ideate per l'occasione; la seconda parte, per es., presenta all'inizio una miniatura che accompagna l'elenco dei mestieri e di coloro che li esercitano in una società armoniosa e pacificata, con la raffigurazione di un fabbro, un aratore, un uomo con una botte sul carro, un marinaio su una nave e un carpentiere che costruisce una casa. Alcune illustrazioni nel manoscritto sono situate ai margini, consentendo forse di concludere che esse furono aggiunte al numero, più limitato, di immagini presenti nell'esemplare che servì da modello.All'interno di un'intensa attività di traduzione di opere latine promossa dai re di Francia nel sec. 14°, Jean de Vignay approntò, nel 1333, per Giovanna di Borgogna, moglie di Filippo VI, il Miroir historial, traduzione in francese dello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais. In modo consono alla destinazione regale, la copia dedicatoria, della quale si conserva la parte con i libri I-VIII (Parigi, BN, fr. 316), fu riccamente illustrata, come del resto anche le copie successive, quale quella realizzata per il re Carlo V e passata poi in proprietà del duca Jean de Berry (Parigi, BN, nouv. acq. fr. 15939-15944), che ha più di settecento miniature per i primi ventiquattro dei complessivi trentadue libri del testo di Vincenzo di Beauvais. Le miniature corrispondono a quelle che nello stesso periodo vennero elaborate per traduzioni francesi, come la Bible historiale di Guyart des Moulins (traduzione della Historia scholastica di Pietro Comestore), la Histoire ancienne jusqu'à César, i Faits des Romains, i Miracles de la Vierge, la Légende dorée.Nell'insieme, tuttavia, va considerato che senza la traduzione delle altre due parti dell'e. di Vincenzo di Beauvais, il Miroir historial, pur così riccamente illustrato, deve essere più giustamente compreso nella categoria delle storie universali che non in quella delle enciclopedie.Durante il sec. 14° furono approntate quattro traduzioni in volgare del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico: quella in dialetto mantovano (1309) del notaio Vivaldo Belcalzer, per il podestà di Mantova, Guido Bonacolsi; un'anonima versione in provenzale (ca. 1350-1355) per Gaston Phébus, conte di Foix; la versione in francese (1372) del cappellano Jean Corbechon, per il re Carlo V, e la versione inglese (1398-1399) di John Trevisa, vicario di Berkeley, nel Gloucestershire.La traduzione provenzale, nota come Elucidari de las proprietaz de totas res naturals, si conserva soltanto nella copia dedicatoria (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 1029), riccamente illustrata. Straordinarie miniature con la raffigurazione del palazzo della Saggezza, della regina Saggezza e di Gaston Phébus che chiede di essere ammesso per ricevere da questa l'illuminazione accompagnano la prefazione; il testo, poi, presenta per ciascun libro un corredo di iniziali miniate che talvolta interpretano il contenuto con figure allegoriche - come per es., nel libro XIV, la personificazione della Terra, presentata come donna incoronata su un carro - o con esempi dal carattere simbolico, come il personaggio raffigurato nel libro XIX con una veste a bande di vari colori. In aggiunta a ciò i margini dei libri XII e XVIII contengono un ampio ciclo di immagini di uccelli e animali, comprendente una serie di quasi centoventi figure.Come la traduzione provenzale, anche la versione francese, il Livre des propriétés des choses, venne illustrata. Nonostante la copia dedicatoria sia andata perduta, si conservano ca. quindici copie di lusso risalenti agli anni precedenti il 1420, tutte con un programma decorativo analogo, che consiste in miniature di frontespizio dell'ampiezza di mezza pagina e altre, di una colonna, all'inizio di ciascun libro. Molte di queste copie vennero eseguite per nobili committenti, come lo stesso duca di Berry (Reims, Bibl. Mun., 993), dai più importanti artisti parigini dell'epoca, quali il Maestro di Boucicaut (Cambridge, Fitzwilliam Mus., 251; Parigi, BN, fr. 9141). La committenza aristocratica di tali opere era legata a una nuova concezione delle finalità di un'e., finalità definite nella prefazione che Jean Corbechon fece precedere a quella di Bartolomeo Anglico. Secondo Bartolomeo, la sua e. doveva permettere ai giovani e agli incolti di imparare quanto necessario per poter svelare il significato delle Sacre Scritture; la prefazione di Jean Corbechon, come quella del mantovano Vivaldo Belcalzer, si propone un più ambizioso fine. Riecheggiando la prefazione dei Livres dou trésor di Brunetto Latini, Jean Corbechon sottolinea il valore della traduzione per il principe, giacché, egli afferma, il saggio sovrano non può governare con onore e con giustizia coloro che gli sono sottoposti senza la conoscenza di tutte le cose, conoscenza che è contenuta all'interno di questa "somme générale". Il Livre des propriétés des choses era dunque concepito come un'e. universale per l'educazione del principe. Anche le illustrazioni, spesso, riflettono questa nuova interpretazione, raffigurando i maestri che insegnano a un piccolo pubblico di nobili - talvolta con il soggetto delle loro lezioni raffigurato nello spazio precedente, come nella rappresentazione degli storpi, nel libro VII, del manoscritto eseguito per il conte Amedeo di Savoia (Cambridge, Fitzwilliam Mus., 251) - o i maestri che, quasi come guide personali, sono intenti a mostrare gli aspetti di un paesaggio lontano, mentre camminano al fianco del proprio nobile allievo, come nell'illustrazione del libro sugli elementi, sull'acqua e sulle province della terra nel manoscritto posseduto da Béraud, conte di Clermont (Paris, BN, fr. 9141).
Ultima e. illustrata del Medioevo è forse l'imponente compilazione dell'inglese James le Palmer, scriba dello scacchiere, dall'autore medesimo chiamata Omne bonum. Si tratta di un autografo di quasi due milioni di parole, in quattro volumi in folio, con ca. settecentocinquanta illustrazioni, per lo più iniziali istoriate. Scritta tra il 1360 e il 1375, l'opera rimase incompleta alla morte del compilatore. Importante per la storia dell'organizzazione dell'e. medievale è il fatto che l'Omne bonum è disposto in ordine alfabetico: si tratta del primo esempio noto di questo modo di strutturare tutta la conoscenza.I principali generi di soggetti dell'Omne bonum riguardano la vita secolare e quella clericale, la teologia, la storia biblica e l'agiografia, l'istruzione morale, la storia naturale e l'apprendimento. Tra le fonti cui si attinse o che vennero parafrasate la più importante è il Corpus iuris canonici, al quale fu aggiunto un gran numero di commentari e manuali giuridici, anch'essi in alcuni casi già ordinati alfabeticamente e con soggetti simili a quelli che compaiono nell'Omne bonum. Un tale grado di dipendenza dalle fonti giuridiche costituisce un aspetto nuovo per le e. medievali. Tra le altre fonti utilizzate da James le Palmer, nell'ordine in cui egli le elencò nella sua prefazione, si trovano: il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico; l'Opus imperfectum, una serie di omelie sul Vangelo di Matteo, durante il Medioevo attribuita a Giovanni Crisostomo; la Bibbia e la Legenda sanctorum; il Manipulus florum, un florilegio in ordine alfabetico di citazioni dai Padri della Chiesa e da altri teologi compilato da Tommaso Ibernico nel 1306; i Secreta Secretorum, un manuale per l'istruzione dei principi durante il Medioevo attribuito ad Aristotele; il Catholicon, un dizionario compilato nel 1286 dal genovese Giovanni Balbi. È probabile che James le Palmer si fosse posto l'obiettivo di assorbire l'intero De proprietatibus rerum nell'Omne bonum, riorganizzandone i contenuti in ordine alfabetico. La maggior parte delle restanti fonti, a eccezione della Bibbia e della Legenda Sanctorum, non era stata usata in e. precedenti; il motivo per cui vennero incluse e adottate opere come il Manipulus florum e il Catholicon risiede proprio nel fatto che queste si presentavano già organizzate in ordine alfabetico; in ordine alfabetico era anche la Margarita decreti et decretalium o Tabula Martiniana di Martin Polono (m. nel 1278), una delle principali fonti giuridiche di James le Palmer. Nell'Omne bonum queste varie serie alfabetiche vennero fuse insieme con il materiale tratto da quelle fonti che erano ordinate diversamente e alle quali fu imposto il sistema alfabetico.Circa metà dei singoli lemmi dell'e. presentano all'inizio delle illustrazioni. Alcune derivano da opere quali il Decretum Gratiani; le raffigurazioni di soggetti biblici riprendono quelle delle bibbie, dei salteri e di altri testi sacri e le centinaia di illustrazioni di uccelli, pesci e animali corrispondono nel formato a quelle dei bestiari, sebbene in questi ultimi fosse preso in considerazione un numero notevolmente inferiore di creature che non nell'Omne bonum o nello stesso De proprietatibus rerum, da cui l'Omne bonum derivò le epitomi; l'organizzazione alfabetica dell'Omne bonum, peraltro, creava soggetti per i quali non era disponibile alcuna tradizione figurativa e di conseguenza l'artista, forse sotto la diretta supervisione di James le Palmer, dovette idearne di nuove. Generalmente queste sono strettamente legate al soggetto, ma in altri casi ne forniscono innovative interpretazioni iconografiche, come per es., le illustrazioni del matrimonio clandestino, che fa riferimento alla natura illecita di tale matrimonio mostrando la sposa e lo sposo che si danno la mano destra e la sinistra piuttosto che raffigurando una tradizionale iunctio dextrarum. Talvolta le illustrazioni erano collegate a passi scelti nel testo, senza un generale riferimento al soggetto dell'intero lemma. Sebbene scrivesse in latino, James le Palmer non era un chierico e, pur essendo estremamente erudito, non era stato educato presso un'università. Egli non ebbe nemmeno un committente per la propria opera, che fu ideata per sua personale iniziativa. Il pubblico cui era rivolta viene definito soltanto vagamente come "ciascuno che avesse una discreta conoscenza" e il suo scopo era quello di raccogliere "tutto ciò che portava al benessere di ogni uomo", sistemato in ordine alfabetico di modo che lo "si potesse ritrovare senza difficoltà o noia". Per il fruitore della sua opera James le Palmer pensava che "questo libro poteva realmente essere sufficiente senza altri libri". Una tale rivendicazione di completezza era senza paralleli e preannunciava l'inizio di un nuovo periodo, postmedievale, nella storia dello sviluppo dell'enciclopedia.
Bibl.:
Fonti. - Lamberto di Saint-Omer, Liber Floridus. Codex autographus Bibliothecae Universitatis Gandavensis, a cura di A. Derolez, Gand 1968; Herrada di Landsberg, Hortus deliciarum, a cura di A. Straub, G. Keller, Strassburg 1901; ''On the Properties of Things'': John Trevisa's Translation of Bartholomaeus Anglicus' De proprietatibus rerum, a cura di M.C. Seymour, 2 voll., Oxford 1975-1988; C. Fant, L'image du monde. Poème inédit du milieu du XIIIe siècle, étudié dans ses diverses rédactions françaises d'après les manuscrits des bibliothèques de Paris et de Stockholm, Uppsala 1886; L'image du monde de Maïtre Gossouin. Rédaction en prose, a cura di O.H. Prior, Lausanne-Paris 1913; F.J. Carmody, Li livres dou trésor de Brunetto Latini, Berkeley-Los Angeles 1948; Caxton's ''Mirror of the World'', a cura di O.H. Prior, Oxford 1912.
Edd. in facsimile. - A. de Bastard, Peintures et ornements des manuscrits dans un ordre chronologique, 8 voll., Paris 1832-1869; The Hortus Deliciarum of Herrad of Hohenbourg, a cura di R. Green, M. Evans, C. Bischoff, M. Curschmann (Studies of the Warburg Institute, 36), 2 voll., London-Leiden 1979.
Letteratura critica. - A. Neubauer, Les traductions hébraïques de l'Image du Monde, Romania 5, 1876, pp. 129-139; E.D. Grand, L'image du monde. Poème didactique du XIIIe siècle, Revue des langue romanes, s. IV, 7, 1893-1894, pp. 5-58; A.M. Amelli, Miniature sacre e profane dell'anno 1023 illustranti l'enciclopedia medioevale di Rabano Mauro, Montecassino 1896; V. Cian, Vivaldo Belcalzer e l'enciclopedismo italiano delle origini, Giornale storico della letteratura italiana. Suppl. 5, 1902; L. Delisle, Notice sur les manuscrits du 'Liber Floridus' composé en 1120 par Lambert, chanoine de Saint-Omer, Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque Nationale et autres bibliothèques 38, 1903, pp. 577-791; A. Marigo, Cultura letteraria e preumanistica nelle maggiori enciclopedie del Dugento. Lo 'Speculum' ed il 'Tresors', Giornale storico della letteratura italiana 68, 1916, pp. 1-42, 289-326; P. Plassmann, Bartholomaeus Anglicus, Archivum Franciscanum historicum 12, 1919, pp. 68-109; A. Goldschmidt, Frühmittelalterliche illustrierte Enzyklopädien, Vorträge der Bibliothek Warburg 3, 1923-1924, pp. 215-226; C.V. Langlois, La vie en France au moyen âge de la fin du XIIe siècle au milieu du XIVe siècle, III, La connaissance de la nature et du monde, Paris 1927, pp. 135-197, 335-390; P. Lehmann, Illustrierte Hrabanus codices, in Fuldär Studien. Neue Folge, Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-philologische und historische Klasse 2, 1927, pp. 13-47; M. de Boüard, Encyclopédies médiévales. Sur la "connaissance de la nature et du monde" au moyen âge, Revue des questions historiques 112, 1930, pp. 258-304; O. Gillen, Ikonographische Studien zum Hortus deliciarum der Herrad von Landsberg (Kunstwissenschaftliche Studien, 9), Berlin 1931; F. Saxl, A Spiritual Encyclopaedia of the Later Middle Ages, JWCI 5, 1942, pp. 82-142; id., Lectures, London 1957, I, pp. 228-254 (trad. it. La storia delle immagini, Bari 1965); R. Collison, Encyclopaedias: their History throught the Middle Ages, New York-London 1964; La pensée encyclopédique au Moyen Age, Cahiers d'histoire mondiale 9, 1965-1966; J. Fontaine, Isidore de Séville et la mutation de l'encyclopédisme antique, ivi, pp. 519-538; M. Lemoine, L'oeuvre encyclopédique de Vincent de Beauvais, ivi, pp. 571-579; P. Michaud-Quantin, Les petites encyclopédies du XIIIe siècle, ivi, pp. 581-595; E. Panofsky, Hercules Agricola. A Further Complication in the Problem of the Illustrated Hrabanus Manuscripts, in Essays in the History of Art Presented to Rudolf Wittkower, New York 1967, II, pp. 20-28; E. Heyse, Hrabanus Maurus' Enzyklopädie ''de rerum naturis''. Untersuchungen zu den Quellen und zur Methode der Kompilation (Münchener Beiträge zur Mediävistik und Renaissance-Forschung, 4), München 1969; G. Cames, Allégories et symboles dans l'Hortus deliciarum, Leiden 1972; H. Bober, Structures and Content of the Imagery of the Liber Floridus, in Liber Floridus Colloquium, "Papers Read at the International Meeting Held in the University Library, Ghent 1967", Gand 1973, p. 19; H. Swarzenski, Comments on the Figural Illustrations, ivi, pp. 21-30; G. Lieftinck, Observations codicologiques sur le Groupe W des manuscrits du Liber Floridus, ivi, pp. 31-36; J.P. Gumbert, Recherches sur le stemma des copies du Liber Floridus, ivi, pp. 37-50; P.C. Mayo, The Crusaders under the Palm. Allegorical Plants and Cosmic Kingship in the Liber Floridus, DOP 27, 1973, pp. 29-67; M.C. Seymour, Some Medieval Readers of 'De proprietatibus rerum', Scriptorium 28, 1974, pp. 100-103; D. Byrne, Two Hitherto Unidentified Copies of the "Livre des propriétés des choses" from the Royal Library of the Louvre and the Library of Jean de Berry, Scriptorium 31, 1977, pp. 90-98; id., The Boucicaut Master and the Iconographical Tradition of the 'Livre des propriétés des choses', GBA, s. VI, 92, 1978, pp. 149-164; A. Derolez, Lambertus qui librum fecit. Een codicologische studie van de Liber Floridus-autograaf (Gent, Universiteitsbibliotheek, handschrift 92), Bruxelles 1978; D. Le Berrurier, The Pictorial Sources of Mythological and Scientific Illustrations in Hrabanus Maurus' ''de rerum naturis'', New York 1978; M. Paulmier-Foucart, Etude sur l'état des connaissances au milieu du XIIIe siècle. Nouvelles recherches sur la genèse du 'Speculum maius' de Vincent de Beauvais (Cahiers de l'Atelier Vincent de Beauvais, 1), Nancy 1978, pp. 91-122; M.T. Beonio-Brocchieri Fumigalli, Le enciclopedie dell'occidente medioevale, Torino 1981; D. Byrne, Rex imago Dei: Charles V of France and the Livre des propriétés des choses, Journal of Medieval History 27, 1981, pp. 97-113; M. Curschmann, Texte-Bilder-Strukturen. Der 'Hortus deliciarum' und die frühmittelhochdeutsche Geistlichendichtung, Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte 55, 1981, pp. 379-418; J. Schneider, Une encyclopédie du XIIIe siècle: le "Speculum maius" de Vincent de Beauvais, in Culture et travail intellectuel dans l'occident médiéval. Bilan des colloques d'humanisme médiéval (1960-1980), a cura di G. Hasenohr, J. Longère, Paris 1981, pp. 187-196; C. Meier, Grundzüge der mittelalterlichen Enzyklopädie. Zu inhalten Formen und Funktionen einer problematischen Gattung, in Literatur und Laienbildung im Spätmittelalter und in der Reformationszeit, "Symposium, Wolfenbüttel 1981", a cura di L. Grenzmann, K. Stackmann, Stuttgart 1984, pp. 467-500; M. Reuter, Text und Bild im Codex 132 der Bibliothek von Montecassino ''Liber Rabani de originibus rerum'', Untersuchungen zur mittelalterlichen Illustrationspraxis (Münchener Beiträge zur Mediävistik und Renaissance-Forschung, 34), München 1984; L'encyclopédisme, "Actes du Colloque, Caen 1987", a cura di A. Becq, Paris 1991; M. Salvat, Science et pouvoir à Mantoue et à Paris au XIVe siècle, ivi, pp. 389-393; A. Llinares, Esprit encyclopédique et volonté de système chez Raymond Lulle, ivi, pp. 449-453 L. Freeman Sandler, 'Omne Bonum': A Fourteenth-Century Encyclopedia of Universal Knowledge, London 1994.L. Freeman Sandler
Nelle opere di storia della letteratura araba e persiana, alcuni autori sono stati classificati come enciclopedisti (Brockelmann, 1937-1942; Vesel, 1986); tuttavia va ricordato che, per altri versi, tale classificazione non ha trovato un generale consenso e che molti studiosi hanno di fatto ignorato tale denominazione (Sezgin, 1967-1984; Rypka, 1968). In effetti il termine arabo dā'irat al-ma'ārif ('il circolo delle conoscenze'), che fornisce l'esatta traduzione del gr. ἐγϰυϰλοπαιδεία, non corrisponde secondo le fonti letterarie classiche a un preciso genere letterario. In senso stretto, quindi, si può dire che non esistono né in arabo né in persiano vere e proprie e. organizzate e individuabili in quanto tali. Tuttavia lavori di carattere enciclopedico, cioè opere che in modi diversi riuniscano le conoscenze dell'epoca per ciò che riguarda singole o più discipline, si ritrovano in gran numero in ambito islamico per tutto il Medioevo. Essi di solito contengono nel titolo termini quali majmū'a, majma'a, jāmi' ('raccolta'), kulliyāt ('opere complete'), mawsū'lama (da ma'lam, il luogo in cui si sa dell'esistenza delle cose), seguiti da definizioni più precise sul carattere dell'opera. In molti casi la natura del testo è celata sotto titoli che solo in parte ne chiariscono il contenuto: per es. le Murūj al-dhahab wa ma'ādin al-jawhar (Le praterie dorate e le miniere di pietre preziose) di al-Mas'ūdī, terminate intorno al 950, sono un'e. storico-geografica; le Mafātiḥ al-'ulūm (Le chiavi delle scienze) di al-Khwārazmī (975-977), segretario alla corte del samanide Nūḥ II ibn Manṣūr, sono un'introduzione alle scienze attraverso la spiegazione della terminologia relativa; il Kitāb iḥṣā' al-'ulūm (Libro dei computi delle scienze) del filosofo al-Fārābī (m. nel 950 ca.) contiene invece anche saggi sugli scopi e la struttura delle scienze; le Rasā'il ikhwān al-ṣafā' wa khullān al-wafā' (Le epistole dei fratelli della purità e degli amici leali) di un gruppo di anonimi eruditi del sec. 10° riuniscono in un solo libro - un'opera di alto valore letterario - scienza, filosofia, religione e misticismo; anche il grande Ibn Sīnā, noto in Occidente come Avicenna (980-1037), raccolse nel Kitāb al-shifā' (Libro della guarigione) le conoscenze scientifiche dell'epoca.Definito il diverso concetto di e. nel mondo islamico, va peraltro osservato che i manoscritti di epoca medievale conservati che hanno tramandato le opere sopraelencate non sono illustrati e quindi che i maggiori lavori enciclopedici del Medioevo islamico non furono concepiti come libri illustrati, ma come testi esclusivamente letterari. La sola eccezione, che tuttavia non riguarda l'illustrazione del testo vero e proprio, è il doppio frontespizio di un manoscritto delle Rasā'il ikhwān al-ṣafā' wa khullān al-wafā' (Istanbul, Süleymaniye Kütüphanesi, Esad Efendi 3638, cc. 3v-4r), finito di copiare a Baghdad nel 1287. Questo frontespizio, che presenta a destra e a sinistra due scene simili, con personaggi sistemati in spazi architettonici poligonali a due piani, raffigura i cinque autori del testo enciclopedico insieme ad altre figure, probabilmente discepoli e attendenti, anche se il parere degli studiosi non è concorde sulla loro identificazione (Ettinghausen, 1962, pp. 98-103). Oltre a costituire l'esempio più importante di continuità della tradizione artistica araba dell'illustrazione del libro dopo la presa di Baghdad da parte dei Mongoli nel 1258, esso rappresenta anche uno dei migliori esempi di 'ritratti di autore', che traggono origine dai manoscritti greco-bizantini tradotti in arabo nei primi secoli dell'Islam. Le due scene mostrano una vivacità e una relazione tra i personaggi già presenti nella scuola araba dei decenni precedenti l'invasione dei Mongoli, ma in pratica sconosciute agli statici frontespizi di opere di carattere scientifico-filosofico.L'autore più interessante del sec. 13°, per ciò che riguarda lavori illustrati di carattere enciclopedico, è Zakariyā ibn Muḥammad ibn Maḥmūd al-Qazwīnī, un giudice (qāḍī) musulmano di origine persiana che passò la vita tra Baghdad e Wāsiṭ, in Iraq; nato intorno al 1200, egli morì nel 1283, dopo aver composto due opere letterarie in arabo, una di carattere strettamente geografico e una cosmografia intitolata 'Ajā'ib al-makhlūqāt wa gharā'ib al-mawjūdāt (Le meraviglie del creato e le singolarità delle cose esistenti). Così come è nota attraverso i manoscritti conservati, quest'ultima rappresenta il primo esempio di sistemazione in ordine alfabetico dei vari gruppi appartenenti al mondo vegetale e animale - un dato che ne sottolinea il carattere enciclopedico nel senso moderno del termine - e allo stesso tempo è la prima cosmografia interamente illustrata. È noto dalle fonti che opere di carattere cosmografico dovevano esistere già prima che al-Qazwīnī componesse la sua, ma appare chiaro che l'idea di illustrarla possa essere stata concepita dall'autore stesso quando lavorò alla revisione del testo, pochi anni prima della sua morte. Un manoscritto dell'opera, datato 1280 (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Ar. 464; Bothmer, 1971), fu terminato a Wāsiṭ, la città in cui al-Qazwīnī morì tre anni più tardi. Esso costituisce, probabilmente, la revisione ufficiale autorizzata da al-Qazwīnī e sembra del tutto logico supporre che egli stesso abbia desiderato che il proprio testo fosse anche illustrato.Alcuni soggetti sono evidentemente ispirati a scene già presenti in manoscritti illustrati di carattere più specifico, come le immagini delle costellazioni, derivanti da codici del Ṣuwar al-kawākib al-thābita (Descrizione delle stelle fisse) di 'Abd al-Raḥmān b. ῾Umar al-Ṣūfī (Wellesz, 1959), quelle di alcune piante, dalle versioni in arabo del De materia medica di Dioscoride (Grube, 1959), o le raffigurazioni di animali, dalla tradizione dei bestiari, di cui si conserva una versione illustrata (Londra, BL, Or. 2784; Contadini, 1992) precedente al codice di Monaco. Altri soggetti, quali le rappresentazioni degli angeli e dei pianeti, possono essere stati ispirati da contemporanei bassorilievi in pietra o da incisioni su metallo. Tuttavia nella maggior parte dei casi le 'Ajā'ib al-makhlūqāt contengono soggetti insoliti e curiosi; le dimensioni delle illustrazioni sono spesso limitate dal formato enciclopedico - testo incolonnato a sinistra e miniatura a destra, o viceversa, oppure testo su tutta la lunghezza della riga e bassa illustrazione al di sotto, in formato rettangolare -, ma lasciano comunque ampio spazio alla fantasia del pittore per la creazione di immagini inedite che seguono solo in parte la descrizione dell'autore del testo e lo reinterpretano con l'occhio dell'artista.Il manoscritto di Monaco ha aperto la strada al gusto per l'illustrazione di codici cosmografici, e quindi enciclopedici in senso lato, e rappresenta perciò un importante punto di riferimento per la pittura islamica. Un certo numero di manoscritti prodotti nello stesso formato sono sopravvissuti solo in parte: il primo (Londra, BL, Or. 14140), dell'inizio del sec. 14°, mostra una relazione testo-immagine ancora più stretta di quello di Monaco e conteneva in origine un numero di illustrazioni maggiore di qualsiasi altro manoscritto delle 'Ajā'ib al-makhlūqāt di questo primo periodo (Carboni, 1992); il secondo (Gotha, Forschungsbibl., A.1506; Rührdanz, 1973) è all'incirca della stessa epoca e di formato praticamente identico a quello di Monaco; il terzo codice, molto frammentario (coll. privata; Carboni, Contadini, 1990), della metà del sec. 14°, probabilmente venne illustrato in ambiente siriaco mamelucco, a differenza dei precedenti che sono di influenza perso-mesopotamica di epoca ilkhanide. Va infine ricordata una serie di manoscritti che fanno parte di un unico gruppo - inaugurato da un codice oggi diviso tra New York (Public Lib., Spencer Coll., 45) e Washington (Freer Gall. of Art, 54.33-54.114) e da un codice di San Pietroburgo (Saltykov-Ščedrin, E.7) - che sembra abbia ispirato un numero di copie prootte nel Deccan, in India, tra il 1570 e l'inizio del sec. 17°; i due codici, in realtà, non hanno ancora trovato una collocazione chiara nella storia della pittura islamica e potrebbero essere quasi contemporanei a quelli del Deccan (Badiee, 1978; Schmitz, 1992, pp. 7-8; Carboni, in corso di stampa).Le 'Ajā'ib al-makhlūqāt ebbero un tale successo come libro illustrato che il loro testo fu tradotto in persiano e in turco ottomano: decine e decine di copie prodotte a partire dal sec. 15° si trovano ancora oggi in quasi tutte le biblioteche che contengono manoscritti orientali; è naturale pertanto che, essendo un soggetto così popolare, molte di esse dal punto di vista artistico sono di scarsa qualità.La copia più antica di una cosmografia illustrata in persiano non è quella di al-Qazwīnī: si tratta invece della versione anonima di un testo simile con lo stesso titolo, forse redatto da Aḥmad al-Ṭūsī. Tale manoscritto, datato al 1388 e prodotto nella Baghdad di epoca gialairide, è oggi conservato a Parigi (BN, Suppl. persan 332; Fotouhi, 1988).Si tralascia in questa sede di trattare i manuali scientifici concernenti specifici argomenti, quali i trattati sui cavalli e l'arte di cavalcare, i bestiari, i libri sulle costellazioni, i compendi sugli automi e la loro costruzione, sulle piante medicinali e il loro uso farmacologico, sui veleni e i loro antidoti; un accenno merita un manoscritto che fino a oggi è stato descritto dagli storici della pittura islamica come una sorta di e. illustrata, ma che recentissimi studi hanno rivelato essere in realtà l'esempio più antico conservatosi di poesia illustrata, una sorta di rebus in cui il primo emistichio di ogni verso è scritto, mentre il secondo è semplicemente illustrato: si tratta della Mu'nis al-aḥrār fī daqā'iq al-ash'ār (Guida del libero cittadino alle sottigliezze della poesia) di Muḥammad b. Badr al-Jājarmī, un manoscritto autografo redatto a Isfahan nel 1341 (Swietochowski, Carboni, 1994).
Bibl.:
Fonti. - al-Khwārazmī, Mafātiḥ al-'ulūm [Le chiavi delle scienze], a cura di G. van ]Vloten, Leiden 1895; Rasā'il ikhwān al-ṣafā' wa khullān al-wafā' [Le epistole dei fratelli della purità e degli amici leali], 12 voll., Beirut 1957; al-Mas'ūdī, Murūj al-dhahab wa ma'ādin al-jawhar [Le praterie dorate e le miniere di pietre preziose], a cura di Y. Dāghir, Beirut 1973; al-Fārābī, Kitāb iḥṣā' al- 'ulūm [Libro dei computi delle scienze], a cura di 'Uthmān Amīn, Cairo 1931-1948; Ibn Sīnā, Kitāb al-shifā' [Libro della guarigione], Cairo 1952; al-Qazwīnī, 'Ajāib al-makhlūqāt wa gharā'ib al-mawjūdāt [Le meraviglie del creato e le singolarità delle cose esistenti], a cura di Faruq Sa'd, Beirut 1977.
Letteratura critica. - B. Gray, Persian Painting, London 1930 (Genève 19612); C. Brockelmann, Geschichte der arabischen Literatur. Supplementbänden, 3 voll., Leiden 1937-1942 (2 voll., 1943-19492); E.J. Grube, Materialen zum Dioskurides Arabicus, in Aus der Welt der islamischen Kunst. Festschrift für Ernst Kühnel zum 75. Geburtstag am 26. 10. 1957, Berlin 1959, pp. 163-194; E. Wellesz, An Early al-Ṣūfī Manuscript in the Bodleian Library in Oxford, Ars orientalis 3, 1959, pp. 1-26; R. Ettinghausen, Arab Painting (Treasures of Asia, 4), Genève 1962; F. Sezgin, Geschichte des arabischen Schrifttums, 9 voll., Leiden 1967-1984; J. Rypka, History of Iranian Literature, Dordrecht 1968; H.C.G. von Bothmer, Die Illustrationen des Münchner Qazwīnī von 1280 A.D. (tesi), München 1971; K. Rührdanz, Islamische Miniaturhandschriften aus den Beständen der DDR. Qazwīnī Illustrationen des 14. Jahrhunderts, Wissenschaftliche Zeitung der Universität Halle 22, 1973, pp. 123-125; J.A. Badiee, An Islamic Cosmography: the Illustrations of the Sarre Qazwīnī (tesi), Ann Arbor 1978; A. Bausani, L'enciclopedia dei Fratelli della purità: riassunto con introduzione e breve commento, Napoli 1978; Ž. Vesel, Les encyclopédies persanes, essai de typologie et de classification des sciences, Paris 1986; T. Fotouhi, Les illustrations d'un manuscrit persan de la Bibliothèque Nationale: "Le livre des merveilles de la création", Revue de l'histoire de l'art 4, 1988, pp. 41-52; S. Carboni, A. Contadini, An Illustrated Copy of al-Qazwīni's: the Wonders of Creation, in Sotheby's Art at Auction, 1989-90, London 1990, pp. 228-233; S. Carboni, The Wonders of Creation and the Singularities of Ilkhanid Painting: a Study of the London Qazwīnī British Library Ms. Or. 14140 (tesi), London 1992; A. Contadini, The Kitāb na^t al-ḥayawān (Book on the Characteristics of Animals, Bl Or. 2784) and the Illustrated ''Ibn Bakhtīshū^'' Bestiaries (tesi), London 1992; B. Schmitz, Islamic Manuscripts in the New York Public Library, New York-Oxford 1992; M.L. Swietochowski, S. Carboni, Illustrated Poetry and Epic Images: Persian Painting in the 1330's and 1340's, cat., New York 1994; S. Carboni, Constellations, Giants and Angels from al-Qazwīnī Manuscripts, Oxford Studies in Islamic Art (in corso di stampa).S. Carboni