ENCOMIO (ἐγκώμιον)
Secondo il valore etimologico della parola greca, è propriamente il canto del κῶμος, cioè della festa e del banchetto. Nel periodo della lirica dorica greca, e più precisamente di Pindaro, troviamo usata questa espressione da Pindaro stesso (Ol., II, 47; X [XI], 77; Pyth., X, 53) per indicare gli epinici delle vittorie agonali che venivano infatti cantati in occasione della festa e del banchetto celebrativo della vittoria. L'epinicio è del resto una sola delle diverse forme di encomia, potendo la parola designare la celebrazione di un personaggio insigne in diverse occasioni: v. p. es., tra i frammenti di Pindaro, l'encomio di Gerone e quelli di Aminta. Anche l'elogio di morti prese il nome di encomio (v. Diod., I, 72, 2; 92, 5): la differenza posta da Ammonio (De diff., p. 139) fra inno, dedicato alla celebrazione degli dei, e encomio, proprio degli uomini, non può essere rigidamente mantenuta.
Poiché però nei banchetti si cantavano anche poesie più brevi, non sempre di carattere corale, ma anche in forma di assolo, si trova, anche nel periodo della poesia corale dorica, usato encomio, per indicare quei canti conviviali che più tardi presero il nome di scolî (v.). E in verità tra i più antichi scolî attici alcuni, come quello per Armodio e Aristogitone, sono degli elogi di antichi prodi (cfr. Arist., Rhet., I, 9). Preso così il significato più vasto di elogio, quando la prosa cominciò a svilupparsi, nel periodo della retorica siciliana, soprattutto per opera di Gorgia di Lentini, si trova usato encomio da Gorgia stesso per indicare un elogio prosastico come quello scherzoso di Elena, da lui composto. Dopo d'allora l'encomio divenne uno dei generi dell'eloquenza di apparato che furono in onore presso gli oratori attici. Gorgia stesso, oltre quelli di carattere mitologico e scherzoso, per Elena e per Achille, ne scrisse uno per gli Elei, ricordato da Aristotele. In questi scritti si sente ancora qualche risonanza dell'antico genere poetico degli encomî lirici. E in verità in questo periodo il retore sofista ha una funzione sociale e artistica simile a quella degli antichi lirici dorici.
Con Isocrate e Senofonte il genere viene prendendo grande importanza e notevole sviluppo. Al primo periodo della carriera di Isocrate appartengono l'Elena e il Busiri, specie di encomî di carattere critico che si riattaccano alla scuola di Gorgia, già manifestando tendenze personali. Ma ben maggiore è la personalità e la novità di spiriti nell'Encomio di Evagora, orazione funebre del re di Cipro che era stato un fiero avversario dei Persiani. Qui l'oratore vuol fare dell'eloquenza di apparato una degna rivale dell'antica lirica e assegnarle uno scopo letterario e civile. Come ci dice egli stesso, l'Evagora era il primo esempio di encomio oratorio di contemporanei. Il genere ebbe fortuna, e fu proseguito per opera di Senofonte, il cui Agesilao fu uno degli esempi classici di encomî. In esso Senofonte cercò di fissare il ritratto ideale del condottiero di eserciti. A questi modelli classici si riattacca Teopompo nei suoi Elogi di Mausolo, di Filippo, di Alessandro. Il tipo così diventò consueto per l'elogio dei re ellenistici, come più tardi sarà per i grandi personaggi e imperatori di Roma. Encomî prosastici si recitavano di consueto negli agoni timelici nel periodo della sofistica imperiale.
Isocrate già dava qualche cenno di quelli che considerava i caratteri del genere che egli iniziò; più tardi se ne occupò Aristotele (Ret., I, 9). Ma è nel periodo imperiale che i grammatici teorizzatori stabiliscono quelle che considerano le vere norme di questo genere letterario, e in particolar modo se ne occupano Ermogene nel suo Περὶ εγκωμίου e Menandro nel Περὶ ἐπιδεικτικῶν.
Il diffiondersi degli encomî oratorî in prosa non fece però sparire quelli poetici; e un esempio in età ellenistica ne abbiamo nell'Encomio di Tolomeo di Teocrito (Id., XVII) in lode di Tolomeo Filadelfo: mediocre per il valore letterario, ma appunto perciò rappresentativo del genere e ossequente alle norme tecniche consuete di questa specie di componimenti. Di simili encomî epici in stile omerico, abbiamo ricordo in età ellenistica, anche nelle iscrizioni; v. p. es. quella di Dioscoride presso Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., n. 722 (dopo il 167 a. C.); cfr. anche Inscr. Graec., VII, 420.
Il genere sarà ripreso dai Romani, presso cui è da ricordarsi il panegirico di Messala in distici elegiaci, nel Corpus Tibullianum.
Bibl.: G. Fraustadt, Encomiorum in litteris graecis usque ad Romanam aetatem historia, Lipsia 1909; O. Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 2581 segg.