endecasillabo
L’endecasillabo è un verso di 11 sillabe metriche (➔ metrica e lingua), con accento principale obbligato in decima posizione (Beltrami 20024: 181-188; Menichetti 1993: 386-424). È il verso principe della tradizione metrica italiana: il più versatile, anche perché ritmicamente più duttile e maestoso; dei versi più lunghi, l’alessandrino ha avuto un uso limitato nella poesia delle origini, e la diffusione posteriore dei metri doppi, come il martelliano, è stata circoscritta (➔ versificazione). Metricamente è affine al décasyllabe galloromanzo – nelle sue varietà oitanica e soprattutto occitanica – da cui si ritiene derivi (Beltrami 20024: 87-92).
In funzione della posizione dell’accento nell’ultima parola del verso si distinguono endecasillabi piani, di gran lunga i più diffusi, quando l’accento di decima cade sulla penultima sillaba dell’ultima parola del verso; tronchi, quando l’accento cade sull’ultima sillaba; sdruccioli, quando l’accento cade sulla terz’ultima sillaba (non più di curiosità sono i rarissimi endecasillabi bisdruccioli). Tronchi e sdruccioli sono adottati sporadicamente (rarissimi già nella Commedia dantesca): sistematica è però l’adozione degli sdruccioli in alcune canzoni trecentesche (per es. di Fazio degli Uberti) o nel metro eglogistico quattrocentesco (per es. nell’Arcadia di Iacopo Sannazaro).
L’articolazione ritmica dell’endecasillabo prevede, nel tipo prevalente (detto perciò canonico), oltre all’accento fisso di decima, almeno un accento principale di quarta o di sesta: nel primo caso (4a, 10a) si parla di endecasillabo a minore (primo emistichio ritmicamente equivalente a un quinario), nel secondo (6a, 10a) di endecasillabo a maiore (primo emistichio ritmicamente equivalente a un ➔ settenario). La distinzione tra endecasillabo a minore e a maiore è in genere (ma non di necessità) correlata, nella fase più antica, alla presenza della cosiddetta cesura, cioè di una pausa ritmico-sintattica tra le due parti principali del verso (ampia discussione, anche in rapporto alla struttura del décasyllabe, in Beltrami 20024: 87-92; Menichetti 1993: 466-477).
Al di fuori di queste regole accentuative, il distribuirsi di eventuali altri accenti secondari all’interno dell’endecasillabo è libero. Si riconoscono tuttavia alcune formule ricorrenti. Se all’interno del verso l’accento principale è di quarta, è usuale la presenza di un accento secondario in ottava posizione (Petrarca, Canz. I, 3: «in sul mio prímo gioveníle erróre»); è anche possibile, meno di frequente, che l’accento secondario sia di settima (Petrarca, Canz. XII, 14: «alcun soccórso di tárdi sospíri»): questo schema si riscontra più spesso nella poesia narrativa che in quella lirica. Nell’endecasillabo canonico quarta e sesta possono essere entrambe toniche (e in questo caso l’identità a minore o a maiore del verso è decisa dall’interpretazione metrica o dall’esecuzione), ma non entrambe atone: così nella tradizione postdantesca e soprattutto in quella post-petrarchesca. Nell’endecasillabo a maiore vero e proprio (cioè senza accento di quarta), l’accento secondario può cadere in genere sulla seconda o terza (Petrarca, Canz. XXXI, 1: «Questa ánima gentíl che si dipárte»).
Forme non canoniche (con quarta e sesta atone e accento, per es., di quinta) si riscontrano nella poesia delle origini (ma anche nella Commedia dantesca); il loro apparire nella tradizione tre-quattrocentesca deve imputarsi, più spesso, a imperizia del versificatore (o far sospettare la presenza di un guasto nella tradizione testuale), anche se gli esempi non sono infrequenti (Beltrami 20024: 187-188). Forme equiparabili alle non canoniche, escluse dalla codificazione bembesca, riemergono, in tutt’altro contesto, nella tradizione del verso libero novecentesco, nella quale si assiste a un originale rinvigorirsi, pur nell’ambito del travestimento ritmico e sillabico, della fortuna dell’endecasillabo (per es. in Montale). Tipici dell’uso pascoliano sono i cosiddetti endecasillabi crescenti, endecasillabi sdruccioli in cui la rima perfetta si ripristina nell’esecuzione, per episinalefe, riassorbendo la sillaba finale dello sdrucciolo nell’iniziale vocalica del verso successivo.
Dal punto di vista dell’uso, assoluto o in combinazione con altri versi, nelle principali forme metriche della tradizione italiana, l’endecasillabo è il verso unico di numerose forme liriche e narrative, come il ➔ sonetto (nella sua forma canonica), la ➔ terza rima e l’➔ ottava rima, e il verso nobile di numerose altre forme, quali la ➔ canzone e la ➔ ballata, nelle quali può – anche se non necessariamente (in soli endecasillabi è, per es., la ➔ sestina) – alternarsi con altri versi (e in particolare con il settenario). Si parla di endecasillabi sciolti (o semplicemente di sciolti, o versi sciolti) a proposito di componimenti, o di loro parti (per es. in molta poesia teatrale), in soli endecasillabi non legati da rime (o con rime possibili solo a grande distanza le une dalle altre e senza riconoscibile nesso).
Il metro si affaccia nel primo Cinquecento (anche se è di fatto in endecasillabi sciolti anche il duecentesco Mare amoroso) e consolida la sua fortuna in epoca più recente: metro tipico delle traduzioni (in sciolti sono l’Iliade di ➔ Vincenzo Monti e l’Odissea di Ippolito Pindemonte) e dei poemi didascalici, è adottato da Giuseppe Parini nel Giorno; in sciolti sono anche i Sepolcri di ➔ Ugo Foscolo (ampio excursus storico in Beltrami 20024: 123-132). Di qualche successo ha goduto il cosiddetto endecasillabo rolliano (dal nome del poeta settecentesco Paolo Rolli), formato da un quinario sdrucciolo + un quinario, che intende riprodurre la struttura dell’endecasillabo falecio catulliano; tuttavia, per quanto gli accenti siano di quarta e di decima, non è ascritto al novero degli endecasillabi canonici (perché nell’endecasillabo a minore l’accento può cadere su monosillabo tonico o polisillabo piano, ma non sdrucciolo). Il cosiddetto endecasillabo frottolato è collegato in sequenza mediante rima e rima interna ai versi che precedono e seguono: è caratteristico della frottola e dell’egloga.
Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a ed. 1991).
Menichetti, Aldo (1993), Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova, Antenore.