endiadi
Termine con il quale i grammatici latini indicano l'espressione, mediante una coppia di sostantivi, di un concetto che andrebbe logicamente espresso con un sostantivo e un aggettivo o con un sostantivo accompagnato da un complemento di specificazione. Non catalogata dai retori medievali, ma piuttosto dai moderni, l'e. è frequente nella poesia latina ed è ripresa nella lirica italiana, ma in D. è assai rara, poiché l'accoppiamento dei vocaboli obbedisce in lui piuttosto al modulo della dittologia (v.).
Nella prima stanza di una canzone filosofico-morale fra le più elaborate (Rime XC) ricorrono due coppie di sostantivi, in cui può rintracciarsi la classica e., ma in cui la distinzione ha anche una sua motivazione razionale: ché se al v. 5 oscuritate e gelo, quali effetti della mancanza del sole e simboli della ‛ viltà ', distinguono l'unico concetto della gelida oscurità determinata dalla mancanza dello ‛ splendore ' solare, al v. 15 né dar diletto di color né d'arte scompone attraverso le congiunzioni coordinative il concetto di " arte del colore ", che è quella che propriamente qui vuol indicarsi come invisibile nell'oscurità. Anche in una concettosa canzone ‛ petrosa ' (Rime CII 21) la distinzione di virtù e luce (che tanta avesse né vertù né luce / che mi potesse atar...) è artificiosa, essendo nella luce la virtù propria della pietra. Altra volta in una coppia come guai e pensero (Rime LXXII 13), sebbene il rapporto dei termini sia di causa ed effetto (" disgrazia e dolore "), in realtà il particolare significato del secondo si ricava anche dalla specificazione fornita dal primo, talché l'espressione può indicare precisamente l'angoscioso timore di una disgrazia imminente, come spiega il verso successivo.
Una tipica e. è quella di Pg XIX 76-77 (eletti di Dio, li cui soffriri / e giustizia e speranza fa men duri), dove si tratta appunto della " speranza di giustizia ". Tale è anche quella di Pd XXXI 95-96 (il tuo cammino, / a che priego e amor santo mandommi), se amor santo è quello che ispirò la preghiera di Beatrice, e quindi l'espressione vale " l'ardor sacro della preghiera " o " la preghiera santamente ispirata ".
Alla coppia sinonimica pare invece più vicina l'e. di If X 85 (Lo strazio e 'l grande scempio), dove tuttavia il significato originario di scempio (punizione esemplare) potrebbe suggerire un legame logico differente: lo strazio di quel grande scempio che fu la battaglia sull'Arbia. Un'e. è in sostanza quella di Pg X 78 (di lagrime atteggiata e di dolore), anche se i due termini (con cui si precisava trattarsi di " lacrime di dolore " o di un dolore che esplode nel pianto) possono assumersi come due notazioni distinte, e l'espressione metta soprattutto in evidenza lo zeugma. Altra volta ancora la duplicità dei termini non è necessariamente risolubile in un unico concetto, ma pur lo richiede la logica del discorso: così in If XXIX 1 quel che turba il poeta (La molta gente e le diverse piaghe) è propriamente la vista delle piaghe così varie di quella moltitudine, e non la moltitudine in sé stessa; in Pd XI 77 amore e maraviglia e dolce sguardo va ridotto a due concetti essenziali, e cioè quelli della " meraviglia d'amore ", tipica degl'innamorati novelli, e del " dolce sguardo " con cui essi nutrono il loro amore.
Non presente nella prosa italiana per il suo stesso impianto logico, l'e. ricorre invece nelle Epistole, dove la ricerca dei colores è più intensa. Ma di fronte alle numerose coppie sinonimiche o di vocaboli complementari le vere e proprie e. sono ancora rare. Nell'Ep I l'e. ricorre in una serie di espressioni riguardanti il tema centrale toccato dal poeta, il quale insiste sul rapporto fra il buon governo e la pace che esso assicura: si sottolineano quindi il pacifico sviluppo della libera vita comunale (quietem... et libertatem populi florentini, § 6), la pace civile (civilitatis persuasorem et pacis, § 8), la serenità che offre la pace (sopore tranquillitatis et pacis, § 9), e si contrappone loro la consuetudine della violenza guerriera (guerrarum insultu... et usu, § 8). In Ep VII si parla delle allettanti menzogne (blanditiis et figmentis, § 26) della simbolica volpe, e in Ep XI la rappresentazione dell'Italia abbandonata come una vedova ricorre due volte (§§ 3 e 21) con un medesimo modulo assai vicino all'e. (viduam et desertam; solam sedentem et viduam). Meno evidente sarebbe una doppia e. in XI 16 Illi Deum quaerebant, ut finem et optimum; isti sensus et beneficia consecuntur, se i concetti di fine e sommo bene da una parte (ossia il " bene finale ") e di censo e beneficio dall'altra (ossia i " proventi dei benefici ") non risultassero distinti al fine di complicare il chiasmo e di ottenere il cursus. Invece nel § 15 in aqua et Spiritu si utilizza la scomposizione dell'e. per distinguere nel concetto di acqua battesimale il segno e la sostanza spirituale del sacramento.