VICO, Enea Giovanni
– Nacque a Parma il 29 gennaio 1523, figlio di una Felicita e di Francesco (Bodon, 1997, p. 15).
Discendente di una nobile famiglia ormai in declino, a seguito della perdita di entrambi i genitori nel 1525, venne posto sotto la tutela dello zio paterno Camillo il 20 febbraio 1529 (Affò, 1793, p. 107; Bodon, 1997, p. 16). Dopo un approccio agli studi letterari, presto abbandonati, fu avviato alle arti del disegno, dapprima a Parma, dove avrebbe effettuato il primo apprendistato presso il Parmigianino, poi ancora giovane a Roma. Ignoto è l’anno del suo trasferimento nell’Urbe, ma una serie di stampe da lui firmate e datate 1541 permette di supporre che ciò avvenisse attorno al 1540. Presto arrivò a lavorare con importanti editori e mercanti di stampe a carattere antiquario come Tommaso Barlacchi e Antonio Salamanca ed ebbe sicuri contatti con Antoine Lafréry, il quale incluse alcune sue incisioni nello Speculum Romanae Magnificentiae. Il contesto erudito e classicheggiante romano influenzò notevolmente la formazione di Vico, così come si evince dalla serie di ventiquattro stampe pubblicate tra il 1541 e il 1542 da Barlacchi con grottesche desunte dalle decorazioni della Domus Aurea, sullo stile di Marcantonio Raimondi. Lo studio dei rami di quest’ultimo e della sua scuola permise a Vico di perfezionare il proprio bulino, anche attraverso l’esercizio della copia. Il suo ductus grafico coniugò felicemente gli esempi di grandi maestri del primo Cinquecento, come il già ricordato Raimondi, Marco Dente e Agostino Musi detto il Veneziano, con i modi di altri intagliatori coevi, quali Giulio Bonasone, Nicolas Béatrizet e Battista Franco, e raggiunse un grado di più alta maturità espressiva verso la metà del secolo. Frattanto iniziò a manifestarsi l’interesse dell’artista per l’antico, di cui Roma poteva offrire numerose testimonianze: i suoi studi si concentrarono in particolar modo sui rilievi delle colonne coclidi istoriate e degli archi di Tito, di Settimio Severo e di Costantino, nonché su alcune sculture conservate presso il Belvedere Vaticano e in altre raccolte, come quella dei Della Valle, a cui certamente ebbe libero accesso. Tra i primi lavori emergono il S. Giorgio, commissionato dal miniaturista Giulio Clovio, già ricordato da Giorgio Vasari (1568, 1984, V, p. 18) e pubblicato nel 1542 da Salamanca, insieme al Ritratto di papa Paolo III Farnese, entrambe opere che attestano l’ormai raggiunta affermazione dell’incisore parmense a Roma.
Con uno speciale breve pontificio, il 27 novembre 1542 Vico ottenne di poter conseguire in anticipo i benefici derivanti dal raggiungimento della maggiore età per entrare in possesso della seppur esigua eredità paterna. Dopo aver affidato la gestione dei suoi beni immobili in Parma allo zio Camillo (Affò, 1793, p. 108; Bodon, 1997, p. 20), si risolse ad accettare una «benigna proferta» (Discorsi di M. Enea Vico, 1555, p. 6) da parte del duca Cosimo I de’ Medici e si trasferì a Firenze. Alla corte medicea ebbe modo non solo di frequentare influenti personaggi come Francesco Salviati e Baccio Bandinelli, ma anche di studiare da vicino la ricca collezione dei Medici, in particolare la cospicua raccolta glittica e numismatica, in seguito da lui celebrata e in parte raccontata nei suoi scritti (pp. 5-10). A questo periodo risalgono i contatti con Vasari e l’avvio del legame di amicizia con Pietro Aretino, allora a Venezia, che non mancò mai di apprezzare il «sicuro e gagliardo stile del Parmigiano Enea» (Il terzo libro delle lettere di M. Pietro Aretino..., Parigi 1609, p. 178), come scrisse a proposito della Conversione di s. Paolo intagliata da Vico su disegno di Francesco Salviati nel 1545. Durante il periodo fiorentino, accanto a opere celebrative quali i ritratti di Cosimo I, di suo padre Giovanni dalle Bande Nere e di suo figlio Francesco, l’artista si dedicò all’incisione da soggetti pittorici, eseguendo tra l’altro una serie di stampe d’après gli affreschi di due lunette della cappella Sistina e il Giudizio universale di Michelangelo, quest’ultima tratta da un modello di Giovanni Battista Ponchini detto il Bazzacco.
Il degradarsi dei rapporti con Bandinelli, influente membro dell’ambiente artistico locale, le pressanti difficoltà finanziarie e il desiderio di una carriera più stabile spinsero Enea ad abbandonare Firenze per trasferirsi a Venezia, dove si trovava l’amico Aretino. Il 19 novembre 1546 l’incisore chiese il riconoscimento di un privilegio per stampare alcune sue invenzioni, subito accordatogli dalla Serenissima Repubblica per dieci anni (Landau - Parshall, 1994, p. 295; Bodon, 1997, p. 23). Grazie al sostegno di Aretino e del poligrafo Anton Francesco Doni, appena giunto nella laguna, Enea si inserì nel locale ambiente culturale e artistico, stringendo importanti legami, tra gli altri, con Ludovico Dolce, per il quale eseguì una serie di incisioni con i profili di illustri esponenti del mondo della cultura e della politica, inserite poi nel volume Le medaglie del Doni, pubblicato a Venezia verso il 1550. Queste amicizie indirizzarono Vico verso l’approfondimento delle humanae litterae e, da allora in poi, egli si dedicò con rinnovata passione alla storia e allo studio del mondo antico. Insieme all’erudito Antonio Zantani diede alle stampe nel 1548 Le imagini con tutti i riversi trovati et le vite de gli Imperatori..., opera per la quale venne chiamato a realizzare l’apparato iconografico con tavole calcografiche desunte dalla monetazione romana imperiale e riproducenti le monete della collezione Zantani. Da quel momento la sua fama si estese nel campo delle discipline antiquarie, parallelamente alla sua carriera di incisore e, attorno al 1550, egli venne accolto come membro della neo-istituita Accademia dei Pellegrini, che aveva Doni tra i suoi fondatori.
Con una lettera di raccomandazione dell’Aretino indirizzata al cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, nel settembre del 1550 l’artista partì per un lungo viaggio con lo scopo di recarsi ad Augusta, presso la corte imperiale. Durante il suo soggiorno in Germania fu ospite dell’imperatore ed ebbe modo di farsi apprezzare per la sua cultura umanistica e le sue abilità nel disegno, offrendo a Carlo V l’incisione con il suo ritratto d’après Tiziano, posto entro un arco trionfale con figure e motivi desunti dall’antico. Questo lavoro valse a Vico una ricompensa da parte dell’imperatore, ed egli intagliò inoltre un libretto di imprese per Carlo V, con dedica da Augusta 20 settembre 1550, ma stampato a Venezia nel 1551 (Affò, 1793, p. 118).
Di ritorno nella laguna poco dopo il 4 novembre 1550, riallacciò i rapporti con gli amici, e in questo periodo si può probabilmente collocare il matrimonio con Caterina Maffei, celebrato nella Serenissima in data incerta (Campori, 1874, p. 14). L’artista avviò inoltre nuove amicizie e scambi culturali con diversi esponenti dell’ambiente del collezionismo antiquario, come Jacopo Strada, Marco Mantova Benavides, Alessandro Maggi e Tiberio Deciano, e sul loro esempio costituì una raccolta di monete antiche, tra le più importanti esistenti a Venezia alla metà del secolo, celebrata anche da Hubertus Goltzius. Durante questa fase ormai matura della sua attività, Vico iniziò a lavorare a un trattato di lunga genesi che avrebbe raccolto le biografie delle Auguste, accompagnate da una descrizione delle loro effigi monetali. Con il finanziamento del cardinale Ippolito II d’Este, cui è dedicata, l’impresa editoriale venne data alle stampe nel 1557 con il titolo Le imagini delle donne auguste, dopo che nel 1550 Doni aveva già pubblicato le illustrazioni intagliate da Vico. Di notevole influenza per gli studi antiquari e numismatici, l’opera vede la fusione dei ruoli di studioso e di incisore che caratterizzò la produzione vichiana. Nel 1555 vennero inoltre stampati i Discorsi sopra le medaglie de gli antichi, opera basilare per la storia della numismatica, intesa dal suo autore come un manuale per il collezionista studioso di monete antiche. La pubblicazione scatenò un’aspra querelle tra Vico e Sebastiano Erizzo, studioso e collezionista veneziano, autore anche lui di un saggio sulla numismatica. Mosso da un eclettico interesse antiquario, nel 1559 Vico studiò e riprodusse in incisione un frammento della cosiddetta Tavola Isiaca, allora facente parte della collezione Bembo, ed ebbe anche modo di scrivere un’opera in due volumi sulla collezione numismatica del duca Alberto V di Baviera (Affò, 1793, p. 122). Nel 1560 venne pubblicato il primo dei ventitré volumi previsti, ma mai realizzati, di un’opera dedicata a tutti i tipi monetali della Roma imperiale, dal titolo Ex libris XXIII commentariorum in vetera imperatorum Romanorum numismata liber primus, che avrebbe incluso un corpus di immagini e una serie di testi di interpretazione. L’autore dedicò il volume al papa Pio IV, e ciò probabilmente gli valse l’onore della cittadinanza romana, privilegio concessogli dal pontefice il 19 maggio 1561, a riconoscimento dei suoi meriti di studioso dell’antichità (Missere Fontana, 1995, p. 389). Legato a questa circostanza, si colloca il viaggio di Vico a Roma nel 1561, che gli permise di vedere direttamente molte statue antiche in luoghi pubblici e in collezioni private.
Grazie all’amicizia con Girolamo Faletti, oratore estense a Venezia, che l’incaricò di intagliare l’albero genealogico degli Este per la sua storia della famiglia ducale, Vico entrò in contatto con Alfonso II d’Este. Sebbene renitente alla prospettiva di una vita di corte, ma di nuovo spinto da necessità economiche, nel maggio del 1563 lasciò per sempre Venezia su invito dello stesso duca e con la moglie si trasferì a Ferrara, dove venne subito stipendiato in qualità di «custode al gabinetto delle medaglie» (Campori, 1874, pp. 7 s.; Bodon, 1997, p. 41). Con questa nuova qualifica e con la collaborazione del suo assistente Agostino Mosti, Vico si adoperò nella sistemazione delle raccolte estensi e negoziò l’acquisizione di celebri medaglieri privati; per suo tramite, in quegli anni, Alfonso II entrò in possesso delle collezioni numismatiche e antiquarie di Giovanni Andrea Averoldi e di Pier Luigi Manlilio. Durante il soggiorno ferrarese, Enea produsse una serie di trattati sulla numismatica antica, ormai suo interesse principale, e altri lavori di estrema importanza nell’ambito degli studi antiquari, rimasti tutti inediti, di cui oggi abbiamo appunti, disegni, prove di stampa e incisioni a bulino (Modena, Biblioteca Estense e universitaria, α.L.55 [cod. Lat. 496]: Numismata antiqua explicata; Bodon, 1997, p. 43). A coronamento delle sue ricerche sulle immagini numismatiche e scultoree degli uomini antichi illustri per dottrina e potere, in questo periodo iniziò la stesura di un trattato intitolato De gloriæ studio, nel quale offriva una base filosofica alle ricerche sulle immagini degli antichi, con particolare riguardo per quelle derivanti dalle monete, di cui però non restano che tre versioni manoscritte incomplete (Missere Fontana, 1995, p. 401). Tra gli ultimi suoi documenti autografi si annovera una lettera indirizzata all’erudito Angelo da Erba, autore di un Discorso de l’origine et nobiltà di Vicchi di Parma, saggio sulla famiglia dello stesso Enea (Affò, 1793, p. 173). Nella risposta a questo elogio, egli espresse l’orgoglio della propria discendenza e manifestò il desiderio di vedere pubblicata quest’opera celebrativa sulla sua stirpe.
Dopo aver contribuito efficacemente alla diffusione della cultura antiquaria nella seconda metà del XVI secolo con la sua opera incisa, che consta di oltre cinquecento fogli, e con i suoi scritti, Vico morì per apoplessia, mentre sottoponeva all’attenzione del duca Alfonso II un vaso antico da acquistare, nell’agosto del 1567 (Bodon, 1997, p. 45).
Fonti e Bibl.: Padova, Biblioteca del Seminario vescovile, ms. 663: A. Bassano, Interpretatio historiarum ac signorum in numismatibus (XVI secolo).
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