ELETTRICA, ENERGIA (XIII, p. 637)
Centrali termoelettriche con turbine a vapore (p. 638). - La tecnica della costruzione delle centrali nell'ultimo quindicennio è stata caratterizzata dall'aumento della pressione e della temperatura del vapore: per potenze sotto i 30.000 kW sono generalmente adottati valori intorno a 35 ÷ 50 kg./cm.2 e 400 ÷ 450° C; per potenze di 50.000 kW ed oltre si sale a 65 ÷ 90 kg./cm.2 a e 500 ÷ 515° C; si hanno anche esempî di centrali ad oltre 100 kg/cm2 e temperatura corrispondentemente maggiore (massimi finora raggiunti: 160 kg./cm.2 e 565° C).
All'estero le centrali termiche servono di base (funzionamento continuo); in Italia, prevalentemente, d'integrazione e riserva, con utilizzazione talvolta anche inferiore a 2500 ore all'anno; quindi interessa meno spingere il rendimento, se con ciò dovesse aumentare molto il costo d'impianto.
Il ciclo termico è ormai normalizzato: il surriscaldamento intermedio è impiegato soltanto per le pressioni elevatissime, mentre di uso generale è la rigenerazione del vapore, che viene prelevato dalla turbina (fino a sei spillamenti) e portato a preriscaldare l'acqua di alimento delle caldaie (a 180 ÷ 200° C); anche l'aria occorrente alla combustione viene preriscaldata, con apparecchi (ad es. Ljungström) posti nei condotti del fumo. Per contro, gli economizzatori vanno perdendo d'importanza.
Delle caldaie (v. in questa App.) si sono diffuse quelle a circolazione forzata (Sulzer, La Mont, Velox, ecc.), economiche e d'ingombro ridotto. Le caldaie più grandi sono a circolazione naturale, costituite da grandi camere di combustione, sviluppate in altezza, tappezzate da schermi tubolari che ricevono il calore radiante e da un eventuale fascio tubiero poco sviluppato, generalmente con due collettori cilindrici: uno di vapore ed uno, minore, di acqua. La produzione di vapore delle grandi caldaie raggiunge e supera le 500 t/h; le dimensioni sono legate alle caratteristiche del combustibile e specialmente alla temperatura di inizio di rammollimento delle ceneri. Si hanno esempî di caldaie installate all'aperto.
Circa il combustibile, l'enorme maggioranza delle centrali è a carbone; per l'Italia è interessante anche la nafta. Col carbone, la griglia (o focolare meccanico) è più conveniente per caldaie con produzione fino a 50 t/h di vapore; fra 50 e 100 t/h le griglie ed il polverizzato sono equivalenti; oltre 100 t/h diviene conveniente il polverizzato, più adattabile a diversi tipi di carbone, più elastico di manovra e di maggior rendimento, specie se si adotta il sistema individuale di polverizzazione. Col carbone polverizzato si richiede quasi sempre l'adozione di precipitatori delle polveri (di tipo elettrostatico, a ciclone, ecc.). Recentissimo e promettente il tipo di griglia a lancio (spreader stocker).
Le turbine per potenza fino a 100.000 kW sono a 3000 giri, oppure a 3600 giri se la loro frequenza è di 60 Hz, con più corpi coassiali (alta e bassa pressione, ed eventualmente anche media). Per potenze superiori si scende a 1500 (o rispettivamente a 1800) giri, oppure si ricorre alla costruzione con cilindri affiancati (cross compound): interessante la turbina radiale tipo Ljungström, che si raccomanda per il piccolo spazio occupato.
I condensatori a miscela sono generalmente abbandonati per quelli a superficie, nei quali si fa anche la prima degassazione dell'acqua, che viene ulteriormente degassata in apparecchi speciali.
Schemi di impianti. - Attualmente le centrali hanno piccolo numero di unità, con schema "unitario" che semplifica l'impianto: ogni turbo-alternatore è alimentato da un proprio gruppo di caldaie (una o due), eventualmente con i relativi impianti di polverizzazione del carbone, e il "blocco" è munito di tutti gli ausiliarî (che sono generalmente a comando elettrico), in modo da essere indipendente dagli altri "blocchi". La preoccupazione delle polveri nei fumi spinge a portare le centrali alla periferia o fuori delle grandi città; è preminente, inoltre, la considerazione della larga disponibilità di acqua per la circolazione nei condensatori. Nella fig. 1 è indicata la sezione trasversale della centrale di Oswego, negli S.U., con gruppi da 80.000 kW (100.000 kVA) a 1800 giri, ciascuno alimentato da una caldaia da 450 t/h, con vapore a 93 kg./cm.2 e 482° C.
Rendimenti e consumi. - Il rendimento teorico del ciclo termico si avvicina al 45÷50%; quello delle caldaie al 90% e cosi pure quello delle turbine. Tenendo conto dei servizî ausiliarî, che assorbono il 6÷8% della potenza prodotta, si può arrivare ad un consumo pratico inferiore alle 3000 Calorie/kWh, con un miglioramento dell'8÷10% rispetto a quello raggiunto negli impianti del 1930.
Centrali geotermiche (p. 641). - L'esempio più cospicuo rimane quello italiano di Larderello, dove si utilizzano i soffioni boraciferi (v. fig. 2). Nelle due centrali attuali - completamente ricostruite dopo le distruzioni belliche - sono installati complessivamente 10 gruppi da 12.000 kW, con turbine alimentate da "vapore puro" che si ottiene dal vapore endogeno attraverso uno scambiatore di calore. La costruenda terza centrale è, invece, prevista per l'utilizzazione diretta del vapore endogeno, che verrà immesso in quattro turbine da 26.000 kW ed in due da 12.000 kW. Questo sistema - pur avendo l'inconveniente di mettere in contatto le parti più delicate della turbina con gli agenti chimicamente aggressivi del vapore endogeno - è stato preferito al sistema indiretto, perché consente consumi specifici notevolmente minori.
Centrali a due Fluidi (p. 641). - Il ciclo binario (proposto dall'Emmet) a vapore di mercurio ed a vapore d'acqua ha avuto qualche nuova applicazione in America ed in Russia: la potenza massima raggiunta dalle turbine a vapori d'acqua e di mercurio è di 21.000 kW (a Kearney). Questi impianti sembrano non essere ancora usciti dalla fase sperimentale.
Centrali termoelettriche con motori a combustione interna (p. 642). - Nei due primi anni dopo la seconda Guerra mondiale si sono diffuse, in Italia, varie centrali con motori Diesel, destinate soprattutto al servizio di stabilimenti, per sopperire alle deficienze dell'energia idroelettrica, causate dalle distruzioni belliche e dalle magre eccezionali.
Il progresso fondamentale raggiunto, negli ultimi tempi, dai grossi motori Diesel, consiste nella possibilità di usare non più il gasolio od il dieselolio (peso specifico 0,85÷0,90), ma la nafta pesante da caldaie (peso specifico o,93÷1, ed anche più), cioé il combustibile di qualità più scadente. Il consumo unitario è sceso intorno a 250 grammi per kWh.
La centrale più importante d'Italia a motori Diesel è quella di Messina (3 × 5600 kVA, v. fig. 3). Il gruppo Diesel-elettrico più potente del mondo, da circa 15.000 kW, è stato costruito in Europa.
Centrali termoelettriche con turbine a gas. - I progressi della metallurgia e della fluodinamica hanno portato allo sviluppo di compressori ad alto rendimento e di materiali adatti per alte temperature, permettendo così l'affermarsi, su scala industriale, della turbina a gas sia del ciclo aperto, sia del ciclo chiuso, ovvero misto. Per quanto riguarda le applicazioni alla produzione di energia elettrica, ricordiamo che, del primo tipo, il complesso più importante si ha attualmente nella centrale svizzera di Betznau (due turbine per complessivi 40.000 kW, con temperatura di 650° C). Del secondo tipo sono in costruzione unità da 12.500 kW e in progetto da 50.000 kW. Del ciclo misto si costruiscono attualmente gruppi da 20.000 kW. I rendimenti si aggirano sul 36 ÷ 40%. Si pensa di arrivare presto a temperatura di 700° C, con che il rendimento aumenterebbe ancora. Le turbine a gas (v. in questa App.), che utilizzano prevalentemente combustibili liquidi e gassosi, sono caratterizzate dalla rapidissima messa in moto (una ventina di minuti, da freddo, per potenze di 40.000 kW), dalla riduzione del consumo d'acqua e di lubrificante, ecc. Vi sono, peraltro, da risolvere ancora alcuni problemi tecnici, specie riguardo agli scambiatori di calore.
Centrali ad energia nucleare. - L'energia nucleare (o "atomica" come si dice comunemente), sviluppata nel processo di scissione di un elemento pesante (per es. uranio 235), può venire utilizzata industrialmente come sorgente di calore per generazione di vapore o per alimentazione di turbine a gas o simili.
Nella fig. 6 è indicato uno schema semplificato di utilizzazione di una "pila nucleare" (reattore nucleare) per una centrale termoelettrica a vapore. Gli ostacoli principali da superare sono dovuti alla radioattività, che complica la scelta del fluido trasmettitore di calore dalla pila al vapore (si pensa di utilizzare gas liquefatti o metalli fusi) e che rende difficili e pericolose le fermate dell'equipaggiamento per manutenzione. Non si hanno ancora applicazioni pratiche nel campo della produzione di energia; esistono impianti sperimentali (Oak Ridge-Hanford Work).
Centrali idroelettriche (p. 643). - Caratteristici dell'ultimo periodo sono i progressi cospicui, fatti sia nel campo teorico, sia in quella della tecnica costruttiva. I fenomeni idraulici sono stati largamente studiati, oltre che con affinamenti di calcolo, anche e soprattutto sperimentalmente, ricorrendo all'aiuto di modelli, che si sono mostrati utilissimi, per es. per lo studio delle dighe di ritenuta, dei canali di scarico, dei pozzi piezometrici, ecc. L'impiego sempre maggiore di mezzi meccanici nei cantieri ha, poi, permesso di affrontare costruzioni enormi, altrimenti impossibili. Ne è seguita, anche nel campo idroelettrico, una evoluzione dimensionale analoga a quella avutasi nel campo termoelettrico.
Serbatoi. - La necessità di "regolare" l'energia ottenibile da un impianto è andata sempre più accentuandosi, come conseguenza della necessità di sfruttare risorse idrauliche aventi caratteristiche sempre meno favorevoli. Ovunque possibile, dunque, un impianto è munito del proprio serbatoio settimanale, o mensile, o stagionale. In Italia l'energia di serbatoi è all'incirca il 15% di quella totale. Per le più recenti costruzioni di dighe v. la relativa voce in questa App.
Impianti di accumulazione. - Le stazioni di pompaggio per la regolazione giornaliera, in Italia, dove peraltro furono fatti i primi impianti del genere, sono andate perdendo d'importanza, dato che è venuta attenuandosi, fino a scomparire, l'esuberanza di energia nelle ore notturne, che un tempo permetteva di pompare l'acqua di notte, per utilizzarla di giorno. Invece, esse sono ancora di attualità altrove, ad esempio, nella Renania dove l'energia, accumulata di notte facendo azionare le centrali termiche, serve a superare le punte di carico delle ore diurne.
Sempre d'attualità sono, anche per l'Italia, gli impianti di pompaggio per assicurare il riempimento dei serbatoi stagionali (es. la stazione pompe da 2.200 l/sec. e 360 m. di Promeron in Valle d'Aosta).
Impianti a bassa caduta (fino a 20 metri). - Sono caratteristici dei fiumi a grandi portate e quindi sono rari in Italia: spesso si fanno senza canali di derivazione, incorporando la centrale nella diga di sbarramento. Uno fra i più caratteristici impianti italiani di questo tipo sarà quello progettato per Porto della Torre sul Ticino (portata 153 m3./sec., salto 4,70 ÷ 5,60 m.); all'estero ricordiamo quello di Dnieprostroj in Russia, distrutto durante la guerra e ricostruito con macchine più potenti, e quello di Verbois sul Rodano, per complessivi 530 m3./sec., con un salto di 20 metri e una potenza di 93.000 kW su quattro gruppi. In impianti di questo tipo talvolta (Svezia e America) le macchine sono installate all'aperto, con un semplice schermo di lamiera per protezione: con ciò si ottiene un notevole risparmio nella costruzione della centrale.
Impianti a media caduta (da 20 a 250 metri). - Sono generalmente caratterizzati da portate notevoli e da canali derivatori per lo più a pelo libero, più raramente a pressione. Nei casi in cui si puo costruire una diga di ritenuta per un serbatoio, ma non è possibile e conveniente avere il canale derivatore, si possono utilizzare le acque del serbatoio direttamente in una centrale connessa alla diga. Fra le realizzazioni più recenti di questo tipo si hanno, in Francia la centrale di Génissiat sul Rodano con 6 gruppi di 65.000 kW e 2 gruppi ausiliarî da 2000 kW; in America l'impianto della Boulder Dam (fig. 4) che ha attualmente il primato mondiale per la potenza installata (1.317.500 kVA). La centrale di questo impianto è composta di 3 edifici, 2 lungo le due sponde del Colorado e 1 mediano per i quadri: vi sono installati 15 gruppi Francis-generatori ad asse verticale da 82.500 kVA (16,5 kV) e due gruppi da 40.000 kVA.
Impianti ad alta caduta. - Per questi impianti, se utilizzanti serbatoi, va sempre più estendendosi la pratica dei canali in pressione, con o senza rivestimento metallico, che d'altronde si impiegano anche nel caso di lunghe derivazioni ad acqua fluente, attraversanti rocce compatte.
Anche le condotte forzate in roccia si sono perfezionate, ad opera soprattutto di tecnici italiani; i tipi primitivi in cui la tenuta era affidata alla roccia, semplicemente rivestita di calcestruzzo, hanno ceduto il campo alle soluzioni "elastiche" cioè con rivestimento di lamierino sottile, rinforzato con tondino di acciaio e intasato contro la roccia. Importanti, se pure non ancora molto numerosi, sono gli impianti che utilizzano questi sistemi. Nelle tubazioni metalliche si è introdotto l'uso della saldatura elettrica, in concorrenza con quella al gas d'acqua; per ridurre gli spessori, si ricorse poi alla "blindatura" cioè al rinforzo di tubi saldati, mediante applicazione esterna di anelli trafilati di acciaio ad alta resistenza, o anche di spirali in fune di acciaio.
Per questi impianti, come pure per quelli a media caduta, negli ultimi anni si sono avuti molti esempî di "centrali in caverna" i cui prototipi sono stati quelli del Coghinas in Sardegna e di Porjus in Svezia. La diffusione di questo tipo di centrali è dovuta, in gran parte, alla sicurezza che esse presentano contro le offese belliche, d'altronde esse possono risultare economicamente più convenienti di quelle di tipo normale, quando permettano di accorciare la lunghezza delle condotte forzate. Talvolta la loro adozione può essere imposta da impossibilità di trovare, in valli anguste, un posto adatto all'edificio della centrale. Se la caverna è a profondità notevole dentro alla montagna, conviene installarvi anche i trasformatori elevatori, per risparmiare nelle condutture di collegamento con gli alternatori. La centrale in caverna, italiana, di dimensioni maggiori è quella di Bressanone sull'Isarco (lunga 105 m. larga 15 m. alta 18 m. sopra il piano dei cinque alternatori, che assommano a 142.300 kVA) (fig. 5). Sono in costruzione in Italia altre due centrali in caverna più grandi; quella di Soverzene sul Piave e quella di Santa Massenza (Sarca-Molveno) dove si installeranno gruppi per oltre 350.000 kW.
Circa le modalità di installazione del macchinario, lo sfruttamento sempre più diffuso delle basse cadute porta alla adozione sempre più estesa dei gruppi ad asse verticale, disposizione questa che si può avere (ma raramente) anche con ruote Pelton per alte cadute. La sala macchine ne risulta sviluppata in altezza e ridotta in larghezza, con conseguente economia per le gru, le coperture, ecc. Riduzione in larghezza della sala si ha, anche, disponendo le macchine in fila indiana, anziché con gli assi paralleli. Per grosse unità a media ed alta caduta è frequente l'uso dei gruppi ad asse orizzontale, composti ciascuno da due turbine, montate a sbalzo ai due estremi dell'albero di un alternatore centrale (es. Chandoline, Portillon, Castiglion Dora, ecc.).
Turbine idrauliche. - In questo campo gli studî teorici di idro-dinamica e le prove su modelli in laboratorio portarono a progressi notevoli, specialmente per quanto riguarda la lotta contro la cavitazione nelle basse cadute e la forma dei boccagli e delle pale per le Pelton. Il campo di applicazione delle ruote Kaplan a pale orientabili si è esteso a salti sempre maggiori: la ruota Kaplan più potente costruita in Italia è quella della centrale di Hône in Valle d'Aosta (portata 55 m3./sec.; salto 38 m.; potenza 18.350 kW); mentre quella da 3700 kW della centrale di Rocchetta vanta il salto maggiore (56 m.). Le massime dimensioni per le Kaplan, in Italia, saranno raggiunte da quella di 7500 kW che si installerà nel già ricordato impianto di Porto della Torre. A maggiori potenze si arriva con le turbine Francis; in Italia il primato è a quello di Soverzene (portata 223./sec.; salto 284 m.; potenza 55.000 kW). All'estero quelle dell'impianto della Grand Coulee, sul fiume Columbia negli S. U, (salto 85÷100 m; potenza 120.000 kW). Le turbine Pelton di maggiore potenza installate in Europa sono quelle di San Giacomo al Vomano (portata 12,5 m3./sec.; salto 655 m.; potenza 75.000 kW).
La più alta caduta utilizzata in Italia è quella di Piantonetto (Valle dell'Orco. 1150 m.).
I rendimenti delle turbine sono migliorati assai; con le Francis si è sorpassato il 93%, mentre anche con le Pelton valori attorno al 90% sono abbastanza comuni.
I regolatori di velocità delle turbine hanno subìto notevoli perfezionamenti: ad es. il comando elettrico del pendolo sostituisce generalmente quello a cinghia; i dispositivi tachimetrici cedono il posto a quelli accelerotachimetrici, molto più pronti e razionali; si vanno anche affermando i regolatori elettrici a risonanza, nei quali la coppia agente è proporzionale alla quarta potenza della frequenza, ed è quindi molto energica.
Generatori elettrici (XIII, p. 652).
Nella enorme maggioranza dei casi l'energia elettrica viene generata sotto forma di corrente alternata trifase. Il progresso realizzato nella costruzione degli alternatori riguarda i rendimenti, che pure erano già assai elevati, ma soprattutto le potenze specifiche riferite alle dimensioni ed ai pesi. Con la sostituzione del ferro saldato alla ghisa nella carcassa, nel basamento e nelle cuffie, si è potuto ottenere un alleggerimento del 15 ÷ 20% sul peso totale della macchina finita. Con il miglioramento dei circuiti di ventilazione e dei lamierini magnetici si è potuto ottenere un maggiore sfruttamento dei materiali attivi (ferro-rame), pur rimanendo entro i limiti consentiti dalle sovratemperature.
Per quanto riguarda il rendimento, i miglioramenti ottenuti sono dovuti essenzialmente alla riduzione delle perdite meccaniche, perdite nel ferro e perdite addizionali. Per le perdite meccaniche si sono ridotte soprattutto le perdite per ventilazione, diminuendo la resistenza dell'aria lungo il suo tragitto ed adottando nuove forme di pale; nei turboalternatori di grande potenza ad elevato numero di giri, in America, si è adottato il raffreddamento ad idrogeno, realizzando sensibile riduzione delle perdite per ventilazione (in un alternatore sperimentale di 10.000 kVA a 3000 giri/min. le perdite sono state diminuite, con l'adozione del raffreddamento a idrogeno, da 54 a 4 kW). L'efficacia del raffreddamento ad idrogeno è circa 1,5 volte quella dell'aria, dato il maggior coefficiente di conducibilità termica e la maggiore viscosità cinematica dell'idrogeno. Le perdite nel ferro sono diminuite in seguito al miglioramento dei lamierini magnetici per l'adozione di leghe al silicio ed il perfezionamento dei sistemi di lavorazione. Per diminuire le perdite addizionali si sono adottati opportuni accorgimenti, quali: inversioni delle spire, uso di passo raccorciato, adozione di materiali non magnetici negli anelli serra lamierini, laminazione dei poli, impiego di più appropriati isolanti.
I turboalternatori delle centrali termoelettriche si costruiscono del tipo a due poli per potenze fino a 100.000 kVA ed oltre. Nelle centrali idroelettriche le maggiori potenze, le dimensioni più grandi ed i pesi più elevati si hanno nel campo degli alternatori ad asse verticale, pei quali all'estero va prendendo piede il tipo "ad ombrello", che ha un solo supporto di guida ed il supporto di spinta situato sotto il corpo del rotore (v. fig. 7), il che presenta alcuni vantaggi rispetto al solito tipo con due supporti di guida ed il supporto di spinta collocato sopra il rotore.
Le unità ad asse verticale più potenti, in costruzione attualmente in Italia, sono quelle da 60.000 kVA (428 giri) destinate alla centrale di Soverzene sul Piave. Della stessa potenza, ma con asse orizzontale ed a 375 giri, sono quelle installate nell'impianto del Vomano.
L'adozione delle turbine Kaplan, data la loro elevata velocità di fuga, ha portato a problemi meccanici importanti, che i miglioramenti metallurgici e tecnologici hanno permesso di risolvere soddisfacentemente. Altro problema da affrontare è stato quello delle possibilità di trasporto dei macchinarî, il quale diventa sempre più difficoltoso con l'aumentare delle dimensioni: il rotore, sovente, viene spedito con i poli separati da montare in centrale; Così pure lo statore viene costruito diviso in più parti e l'avvolgimento si completa sul posto.
Le tensioni di esercizio sono di solito comprese fra 6000 e 15.000 V; in Inghilterra si costruiscono turboalternatori per 33.000 V. Il rendimento è andato sempre migliorando ed è arrivato (a pieno carico e cos ϕ=1) fino al 98%, ed anche oltre.
Le macchine destinate ad essere allacciate a lunghe linee devono poter erogare una notevole potenza capacitiva, per mantenere in tensione le linee stesse. La considerazione della "stabilità elettrica" impone poi la adozione di sistemi di eccitazione pronti (a risposta rapida), che dominino sicuramente le variazioni di tensione, conseguenti a qualche perturbazione. A questo scopo, la dinamo principale, anziché essere del tipo normale, può venire vantaggiosamente sostituita da una "metadinamo" (v. in questa App.) o da una "amplidina", o simili; la dinamo ausiliaria può venire collegata in serie, come survoltrice-devoltrice. In America si sono esperimentati anche sistemi elettronici di eccitazione, molto pronti ma delicati e costosi.
Di prammatica è l'impiego di regolatori automatici di tensione, del tipo extrarapido, oppure del tipo ad impulso, con i quali si migliora la stabilità.
Nelle centrali in caverna, e spesso anche nelle altre, la ventilazione degli alternatori moderni è fatta in circuito chiuso, con refrigeranti ad acqua, prelevando una parte dell'aria calda pel riscaldamento della sala macchine e dei locali annessi.
Impianti aeroelettrici.
Un'utilizzazione sistematica della forza del vento per la produzione di energia elettrica, ovunque ciò sia possibile (velocità media del vento superiore ad un certo valore minimo e sufficiente numero di giorni in cui si verifica), è ora perfettamente realizzabile per potenze fino a 500 watt ed anche 1200 watt, che permettono già, oltre all'illuminazione, l'utilizzazione individuale di un piccolo apparecchio a motore, di un ferro da stiro ed anche di un ridottissimo riscaldamento elettrico (v. fig. 8). Per impianti aeroelettrici di potenza maggiore o su scala industriale, collegati a una rete di distribuzione a corrente alternata, si è ancora in fase di progetti e di esperimenti, che peraltro fanno sperare che si possa in tempo non lontano giungere alla fase di sfruttamento della forza del vento su scala industriale.
Per questo ultimo tipo di impianti si è fatto ricorso in un primo tempo a generatori asincroni, collegati in parallelo con la rete ed azionati da aeromotori a pale ad angolo d'incidenza variabile (eliche a passo variabile), che consentivano la quasi costanza della velocità di rotazione ed anche, nel caso assai frequente di venti deboli e quindi rallentamento dell'aeromotore, la marcia a vuoto del generatore funzionante come motore; conviene in tal caso stabilire un accoppiamento in un sol senso, per evitare al motore elettrico il carico di trascinare la girante dell'aeromotore. Oltre che per l'impianto eseguito in Russia nel 1931 a Balaklava, presso Sebastopoli in Crimea, per una potenza installata di 100 kW, una soluzione di questo tipo fu adottata negli S. U. per un impianto sperimentale da 1000 kW a Grand Pa's Knob, nel Vermont (fig. 9), che funzionò regolarmente, sebbene ad intervalli, per più di un anno ed è andato fermo per rottura di una pala dell'aeromotore.
Un'altra soluzione, molto più completa della precedente, per potenze sino a 200 e 300 kW, è quella offerta da un impianto costituito da un aeromotore a pale fisse e da un generatore che fornisca, a velocità variabile, energia trifase a tensione e frequenza costanti, quale potrebbe essere una macchina trifase a collettore in serie o in derivazione (macchina Schrage). Nel primo caso lo statore è provvisto di un avvolgimento che crea un campo rotante e i cui circuiti si chiudono su quelli del rotore, ad avvolgimento analogo a quello di una macchina a corrente continua e quindi a collettore, con adduzione di corrente a mezzo di spazzole a carbone, comandate a distanza da un motorino ausiliario. Nel secondo caso da uno dei due avvolgimenti del rotore sono derivate le tre fasi dell'unico avvolgimento dello statore, mediante due terne di spazzole: per una determinata posizione di queste le variazioni di velocità del rotore in dipendenza del carico non superano che di poco quelle di un'ordinaria macchina asincrona. In collegamento con una rete di distribuzione tale macchina si comporta come generatore o come motore, a seconda che l'energia meccanica fornita dal vento superi o sia inferiore a quella elettrica data dalla rete per quella determinata posizione delle spazzole. Un dispositivo speciale permette poi la regolazione della posizione di queste, in maniera tale che il rapporto tra la velocità periferica u delle pale al loro estremo e quella v del vento (coefficiente di regime di velocità), sia sempre mantenuto uguale al valore ottimo (e cioè fra 4 e 5, trattandosi di aeromotori veloci), per il quale il rendimento dell'aeromotore è il massimo possibile (v. aeromotore, in questa App.).
Per potenze superiori a quelle suindicate è tuttavia indispensabile ricorrere ad altri mezzi per raggiungere lo scopo anzidetto di azionare generatori sincroni o asincroni collegati in parallelo alla rete mediante un aeromotore a passo variabile. È merito dei tecnici della Brown-Boveri di aver riconosciuto, in un progetto d'impianto aeroelettrico della potenza di 10.000 kW redatto nel 1942 in collaborazione con la MAN di Norimberga e con l'ing. F. Kleinhenz di Berlino (che ideò un aeromotore di 130 m. di diametro su traliccio di 250 m. d'altezza), la possibilità di tale soluzione in sostituzione di quella prima proposta di interporre tra la rete e il generatore a velocità variabile un impianto di mutatori (v. convertitore statico, in questa App.) per la trasformazione della corrente trifase prodotta in corrente continua a tensione costante, ritrasformata poi in corrente trifase, a tensione e frequenza costanti, con altro impianto convertitore rotante. Negli S. U. l'ing. P. H. Thomas della Federal Power Commission ha recentemente proposto un'altra soluzione: l'aeromotore a passo fisso aziona un generatore a corrente continua a tensione costante, il quale alimenta un gruppo convertitore rotante in funzione sincronicamente con la rete; come variante si propongono mutatori per la detta conversione. Facendosi variare l'eccitazione del generatore con reostato di campo, comandato, con sistema differenziale meccanico o elettrico, in modo da seguire le variazioni del rapporto u/v, si può regolare la potenza erogata in modo che il rendimento dell'aeromotore sia sempre il massimo possibile in corrispondenza al valore ottimo di quel rapporto.
Infine la possibilità di intervenire con la regolazione del carico per ottenere la costanza del rapporto u/v è offerta anche per gli impianti aeroelettrici a corrente continua dall'impiego dei sistemi a metadinamo, per la grande prontezza e flessibilità di questo tipo di macchina.
Per procedere ad un calcolo approssimativo della produzione di energia elettrica con un aeromotore installato in una data località, occorre innanzitutto costruire, in base ai rilievi anemologici esistenti e risalenti ad almeno tre anni anteriori consecutivi, la curva di durata delle velocità del vento, in tutto analoga a quella della durata delle portate di un corso d'acqua, impiegata per lo studio degli impianti idroelettrici. Si costruisce poi la curva delle potenze riportando, in funzione delle ore o percentuali del periodo di tempo considerato, le potenze corrispondenti alle varie velocità del vento e sviluppate da un aeromotore di dato diametro (v. aeromotore, in questa App.). L'energia prodotta nel periodo considerato si otterrà poi per integrazione del diagramma delle potenze suddette, da cui però devono essere dedotte quelle necessarie per il funzionamento a vuoto del gruppo aeromotore-generatore.
Da quanto si è esposto si può concludere che un metodo di rappresentazione generale delle disponibilità di energia eolica in una data regione si potrebbe dedurre, analogamente a quanto si fa per le risorse idriche, dal tracciamento delle curve di eguale velocità o isotachie, ad es. di media durata nel periodo prescelto: annuale, trimestrale o mensile a seconda che si voglia conoscere l'entità complessiva dell'integrazione eolica nell'anno o nella stagione o nel mese, in dipendenza del regime dei venti. Da tali curve poi, nelle località ove gli impianti aeroelettrici sono realizzabili a motivo delle condizioni topografiche di vicinanza alle reti d'energia elettrica, della possibilità di sfruttamento locale dell'energia, ecc., si potrà dedurre, scegliendo un dato tipo e diametro di aeromotore e tipo d'installazione, le potenze e l'energia ritraibili dall'impianto, che pertanto non si deducono a priori come per gli impianti idroelettrici dalla massa d'acqua e dal salto disponibili, ma subordinatamente alla scelta degli aeromotori di utilizzazione.
Apparecchiature elettriche e trasformatori (XIII, p. 656).
I dispositivi di protezione contro i guasti delle macchine hanno assunto un'importanza sempre maggiore; ai relais di massima corrente si sono aggiunte la protezione differenziale, quelle di massa statorica, di massa rotorica, di tensione massima, ecc.; contro le sovratensioni atmosferiche sono impiegati gli scaricatori del tipo autovalvola, od a caduta catodica, ecc., sfruttanti il particolare comportamento di speciali materiali di resistenza, che consentono il passaggio a terra delle correnti del fulmine, mentre ostacolano quello delle correnti a frequenza normale.
Nel campo delle apparecchiature di manovra, i mutamenti principali si sono avuti negli interruttori ad alta tensione, pei quali i laboratorî di prova si sono dimostrati indispensabile strumento di ricerca e di studio. Il tipo in casse d'olio - esclusivamente impiegato fino a quindici anni addietro - ha trovato in Europa dei temibili concorrenti negli apparecchi ad aria soffiata ed in quelli a poco volume d'olio, entrambi basati prevalentemente sull'impiego di materiali ceramici. Agli inizî, il loro sviluppo è stato favorito anche dalle direttive autarchiche dell'economia di molti paesi europei, che trovavano difficoltà a rifornirsi di olio. Attualmente, peraltro, questi tipi di interruttori si sono affermati tecnicamente e si impiegano anche in America. Con essi si raggiungono "capacità di interruzione" di varî milioni di kVA, quali si possono avere nelle vaste reti interconnesse, in caso di corti circuiti. Altro tipo di interruttore, per tensioni medie, è quello in aria "Deion", di concezione molto originale, basata sulle caratteristiche dell'arco elettrico con catodo freddo.
Dei quadri di manovra sono andati sempre più affermandosi quelli in lamiera con "schemi ripetitori" in rilievo, oppure luminosi, che danno la segnalazione delle varie posizioni degli apparecchi. In generale gli strumenti oltre che rotondi sono quadrati od a profilo, sovente con il quadrante illuminato.
Accanto ai quadri, il centralino telefonico assicura le comunicazioni attraverso le linee con filo e gli apparecchi "ad onde convogliate", i quali si servono delle linee ad alta tensione e vanno diffondendosi sempre più.
Per quanto riguarda i trasformatori, la loro potenza è aumentata e così pure la tensione: si hanno ora unità trifasi di oltre 100.000 kVA a 220.000 V. Nel caso di trasformatori installati in centrali in caverna, il collegamento con le linee viene effettuato a mezzo di cavi, i quali devono far capo direttamente al cassone dei trasformatori; con le altissime tensioni questo dà luogo ad interessanti problemi costruttivi, per le tenute dell'olio e per il comportamento dei dielettrici. I trasformatori delle centrali sono generalmente raffreddati con circolazione dell'olio in refrigeranti ad acqua; invece per quelli delle sottostazioni si preferisce ricorrere agli aerotermi, sì da evitare le difficoltà dell'estrazione dell'acqua dal sottosuolo. Anche per i trasformatori un limite nelle dimensioni è dato dalle possibilità di trasporto: con la costruzione di nuclei a 5 colonne, anziché a tre, si può ottenere una sensibile riduzione nell'altezza.
In relazione allo sfruttamento di sorgenti idrauliche sempre più remote e in località di accesso non facile, è aumentato - anche in Italia - il numero delle centrali automatiche o comandate a distanza. L'esempio più cospicuo è quello dell'impianto di "Ocoe 3" nel Tennessee (Stati Uniti) con 30.000 kVA installati, comandato a mezzo di cavo sotterraneo a 51 coppie di fili da una centrale lontana circa 10 km.
Linee di trasmissione (XIII, p. 664).
La necessità di trasportare potenze sempre maggiori a distanze sempre più grandi - conseguente all'aumento del consumo ed alla utilizzazione di energie idrauliche sempre più lontane dai centri - ha fatto vieppiù aumentare la tensione delle linee di trasporto, che in Italia è arrivata a 220.000 V. All'estero si è giunti a 287.500 V. (nella linea già in esercizio fin dal 1936 fra Boulder Dam e Los Angeles, lunga 435 km .), mentre sono in costruzione - in Francia, in Germania, in Svizzera ed in Svezia - linee aeree a 380.000 ÷ 400.000 V, lunghe perfino 1000 km. e si studia l'impiego di tensioni ancora maggiori.
Oltre che a collegare i centri di produzione con quelli di consumo, queste grandi arterie serviranno da collegamenti internazionali, ad es. per integrare l'energia delle centrali idroelettriche delle montagne scandinave, alpine e del Massiccio centrale, con quella delle centrali costruite alle bocche delle miniere francesi, germaniche, cecoslovacche e polacche. Finora tali linee sono a corrente alternata trifase; per lunghezze di trasporto superiori a 600 km. si profila conveniente l'impiego della corrente continua, ma limitato alla sola trasmissione, mentre restano affidate alla corrente trifase la produzione e la utilizzazione; il passaggio da una forma di corrente all'alta avvenendo, ai due estremi della linea, a mezzo di mutatori a vapore di mercurio o simili. Questo richiede che siano risolti ancora alcuni problemi tecnici, relativi ai mutatori per alte tensioni e forti correnti, alla eliminazione delle armoniche di tensione, ecc. Si va anche estendendo l'impiego di cavi sotterranei ad altissima tensione (fino a 220 kV ed oltre), del tipo in olio fluido, od a gas sotto pressione.
Il funzionamento regolare delle grandi linee ha richiesto la soluzione di varî problemi elettrici e meccanici. Le perdite per effetto corona, dovute alle dispersioni cui gli effluvî danno luogo con le altissime tensioni, sono diventate il fattore essenziale pel proporzionamento generale delle linee, in quanto da esse dipendono il diametro dei conduttori e le loro distanze reciproche, con conseguenze decisive pel dimensionamento degli altri elementi. Così, i conduttori per le altissime tensioni (oltre 100.000 V) sono costituiti da corde di alluminio con anima di acciaio; oppure da corde di rame, ma tubolari, per aumentare il diametro; per le linee a 380 kV si preconizza l'uso di "conduttori multipli", ad es. 2 per fase, distanziati fra loro 30 o 45 cm. Con questo sistema si riducono le perdite per effetto corona e si aumenta la capacità di trasporto, la quale non può superare certi limiti - dipendenti dalla lunghezza della linea e dalla tensione di servizio - se non si vuole compromettere la stabilità della trasmissione. Si è già visto, parlando dei generatori, che una elevata potenza capacitiva ed un sistema di eccitazione rapido sono favorevoli a questo riguardo. Pure favorevole è l'aumento dell'inerzia delle masse rotanti e soprattutto l'impiego di interruttori a richiusura rapida; gli interruttori che si siano aperti in seguito ad un guasto vengono automaticamente richiusi dopo un "tempo di attesa" (generalmente frazioni di secondo) scelto in modo che da un lato l'arco in linea si spenga e l'ambiente si deionizzi (limite inferiore), dall'altro che le macchine non escano di parallelo (limite superiore).
Dal punto di vista meccanico, le grandi linee moderne comportano grandi campate (350 ÷ 500 metri) e quindi pali molto robusti, pei quali è generalmente impiegato il tipo in ferro a traliccio; in casi favorevoli si impiega anche il cemento armato, centrifugato oppure vibrato sul posto. Nei pali ad una terna si tende a preferire la disposizione dei conduttori in un piano orizzontale, che porta a strutture più basse e quindi a minore pericolo di fulminazioni, in caso di temporali; l'impiego delle corde di guardia (corde metalliche non isolate in testa al palo) è molto diffuso, sia per difendere le linee dai fulmini, sia per garantire meglio la messa a terra dei pali, il che è di grande interesse, per la sicurezza delle persone. Come isolatori si usano quasi esclusivamente - per le alte tensioni - quelli a catena, del tipo a cappa e perno; le catene per lo più hanno anelli metallici ai due estremi per distribuire meglio il potenziale elettrico lungo la catena stessa, la quale può raggiungere lunghezze cospicue: per 220.000 V, con 15 elementi: 2,25 m.; per 380.000 V, con 22 elementi: 3,30 m. Degni di nota sono i grandi attraversamenti di fiumi e di bracci di mare, che richiedono pali di dimensioni eccezionali. Il primato nel mondo sarà raggiunto dall'attraversamento dello stretto di Messina, con una campata di 3,5 km. circa e con piloni alti 200 m.
Sottostazioni di trasformazione.
Le linee di trasporto, al loro arrivo presso i grandi centri di consumo, fanno capo alle sottostazioni, dove la corrente viene trasformata ad una tensione più bassa. Per le alte tensioni le sottostazioni sono preferibilmente all'aperto (v. fig. 10), il che permette una non indifferente economia in seguito alla soppressione quasi completa degli edifici, i quali perciò servono soltanto per allogarvi i quadri, le batterie di accumulatori, ecc. e per il locale di smontaggio. Spesso si ricorre a soluzioni miste: all'aperto per l'alta tensione, al chiuso per la media e la bassa.
Elementi caratteristici delle grandi sottostazioni, oltre ai trasformatori, sono i compensatori destinati a regolare la caduta di tensione in linea. Sono costituiti da condensatori o da reattori statici, che servono rispettivamente a compensare la induttanza, oppure la capacità della linea e si inseriscono a seconda che il carico trasmesso sia notevole (condensatori), oppure basso (reattori). Per grosse unità sono più diffusi i condensatori rotanti, consistenti in motori sincroni (raramente asincroni) che possono assorbire potenza capacitiva o induttiva, a seconda della loro eccitazione. I condensatori rotanti si costruiscono anche per l'aperto e con raffreddamento ad idrogeno, con il che se ne può aumentare sensibilmente il rendimento.
Reti di distribuzione (XIII, p. 668).
Dalle grandi sottostazioni primarie l'energia viene distribuita alle zone viciniori, mediante linee a media tensione (ad es. 20 ÷ 30 kV), che fanno capo a sottostazioni o cabine secondarie, le quali possono alimentare direttamente grossi utenti industriali. Per quelli più piccoli e per i privati, l'energia viene ancora una volta trasformata (a 3.000 ÷ 10.000 V) e quindi ulteriormente distribuita lungo arterie sempre più capillari, fino ai singoli gruppi di utenti, che sono alimentati alla bassa tensione richiesta dalle lampade e dai motori. Nelle città, queste reti di distribuzione a media e bassa tensione sono generalmente in cavi sotterranei e possono costituire delle vere maglie (networks), con varî punti di alimentazione, per assicurare la continuità del servizio. Vanno estendendosi nelle grandi città le cabine sotterranee con apparecchiature blindate, che permettono di utilizzare bene lo spazio limitato disponibile.
Negli ultimi anni anche in Italia si è intensificata la tendenza alla unificazione dei materiali per la distribuzione; inoltre è già stata unificata nel valore di 50 Hz la frequenza della corrente alternata (frequenza europea). Circa le tensioni, i valori proposti per la unificazione sono i seguenti: 125-220-380-1000-3000-6000-10.000 V; per tensioni superiori la questione è allo studio. Sono diffuse le tensioni di 160÷275 e 500 V.
Bibl.: Oltre gli scritti pubblicati nelle riviste: L'elettrotecnica (Milano), specialmente il supplemento (Allora ed ora: 1914-1939) al n. del 25 febbraio 1939; L'Energia elettrica (Milano); L'Ingegnere (Milano); Revue Générale de l'Électricité (Parigi); Journal of the I. E. E. (Londra); Electrical Engineering (New York); Power (New York); Electrical World (New York); Bulletin Oerlikon (Zurigo); Revue Brown-Boveri (Baden); General Electric Review (Schenectady); confronta: Assoc. elettrotecnica italiana, Rendiconti della 47ª riunione annuale, Milano 1946. Per gli impianti aeroelettrici v.: R. Vezzani, Il problema italiano dell'utilizzazione del vento, in Annali dei Lavori Pubblici, fasc. III, 1942; H. Honnef, Die Ausnutzung des Windkraftfeldes, in Westdeutsche technische Blätter, dicembre 1934; H. Lanoy, Les aéromoteur modernes, Parigi 1946; Le congrés du vent (Carcassonne 1946), in La technique moderne, 1-15 marzo 1947; scritti varî in Rendiconti della XLVIII riunione annuale dell'A. E. I., Milano 1947.
La produzione dell'energia elettrica.
Il maggior ostacolo contro il quale ha urtato ogni tentativo di ripresa dell'economia europea subito dopo la seconda Guerra mondiale è stato costituito dalla deficienza di energia elettrica. Gli effetti di tale deficienza sono stati notevolmente aggravati dalla concomitante penuria di carbone e di combustibili liquidi, tanto che la situazione economica europea durante il biennio 1945-46 è apparsa dominata quasi ovunque dal problema delle fonti di energia. Le maggiori forniture di carbone e di prodotti petroliferi assicurate durante il 1947 hanno consentito a molti paesi, fra i quali l'Italia, di elevare il livello della produzione industriale e di intensificare l'attività dei servizî pubblici, ma la disponibilità di energia elettrica è sempre insufficiente.
Questa crisi europea dell'energia elettrica non ha origini recenti. Essa è maturata nello spazio dell'ultimo decennio, durante il quale, al progressivo aumento dei consumi, non ha fatto riscontro un corrispondente aumento nella produttività degli impianti. Difficoltà contingenti, quali la scarsezza di materiali e di mano d'opera hanno rallentato alla vigilia della guerra la costruzione di nuovi impianti generatori, per poi arrestarla del tutto all'inizio del conflitto. Nello stesso tempo i consumi, sia per il loro naturale incremento, sia per la più intensa attività economica aumentavano sensibilmente. Inoltre, durante il periodo bellico l'energia elettrica ha sostituito il carbone in molti usi industriali, segnando una nuova fase di espansione dei consumi che, pur essendosi verificata sotto la spinta di circostanze contingenti, ha assunto carattere permanente, poiché risponde anche a riconosciute esigenze tecniche delle industrie. Per fronteggiare i maggiori consumi è stata necessaria per lunghi anni una più intensa utilizzazione degli impianti, che ha inciso sull'efficienza del macchinario elettrico nel dopoguerra.
Il deficit europeo di energia è infine aumentato al termine della guerra per effetto delle distruzioni e dei danni sofferti dagli impianti e dalle reti di trasporto dei diversi paesi, nonché di annate idrologiche avverse. La penuria è divenuta così forte, specie durante la stagione invernale, da rendere inevitabile in molti casi l'adozione del razionamento dei consumi e dei turni di erogazione.
Varî piani nazionali per la costruzione di nuovi impianti elettrici, atti a ristabilire il necessario equilibrio fra produttività e consumi e a rendere possibile un sensibile aumento del livello produttivo industriale prebellico, sono stati formulati in Europa nel dopoguerra. In complesso, tali piani prevedono l'incremento della produttività europea, da circa 170 miliardi di kWh annui del 1947, a 236 miliardi nel 1951.
In Italia, le industrie elettriche hanno predisposto fin dal 1946 un programma di nuove costruzioni, il quale mira soprattutto al maggiore sfruttamento delle risorse idriche alpine. La produttività attuale degli impianti italiani, in gran parte idroelettrici, dovrebbe raggiungere in base a tale programma circa 32 miliardi di kWh nel 1951. Nell'Italia settentrionale la capacità d'invaso dei serbatoi dovrebbe consentire di aumentare le riserve di energia dai 2,6 miliardi di kWh attuali, a circa 4 miliardi, mentre la produttività degli impianti crescerebbe di 8,5 miliardi di kWh. Nell'Italia centro-meridionale è previsto il raddoppiamento della grande centrale geotermica di Larderello e l'ultimazione di un importante gruppo di nuove centrali idroelettriche sul Vomano (Teramo). L'esecuzione di queste opere assicurerà alle diverse regioni italiane sufficiente disponibilità di energia in tutte le stagioni. Secondo le stime del 1946, il costo del programma italiano ascende a 450 miliardi di lire, di cui 100 occorrono per la rete di trasporto. Il problema finanziario connesso all'esecuzione delle opere programmate è di notevole entità e la sua felice soluzione, in relazione anche alla situazione economica italiana, è condizionata all'intervento di capitali stranieri.
In Francia, il piano Monnet comprende un programma di nuovi impianti elettrici, in base al quale la produttività attuale di circa 25 miliardi di kWh annui dovrà essere aumentata fino a raggiungere nel 1951 i 39 miliardi. Il contributo delle centrali idroelettriche alla produzione globale di energia passerà da 13 miliardi di kWh attuali (52%) a 24 miliardi (61,5%). La spesa preventivata nel 1946 per il programma francese ammonta a circa 300 miliardi di franchi e costituisce anch'essa un grosso problema finanziario in attesa di soluzione. Il governo francese ha proceduto nel dopoguerra alla nazionalizzazione dell'industria elettrica, convinto che tale provvedimento facilitasse il raggiungimento degli obiettivi stabiliti in questo settore, ma la gestione nazionalizzata ha già accumulato un forte passivo, sebbene abbia più volte aumentato le tariffe, e si è dimostrata finora incapace di assolvere i suoi compiti.
Anche la Svizzera intende costruire nuovi impianti idroelettrici, che dovranno servire soprattutto a eliminare l'attuale deficienza di energia invernale, fattasi acuta negli ultimi anni. Questo paese non ha problemi finanziarî da risolvere, bensì questioni di carattere formale, insite nella sua legislazione sugli impianti elettrici e nell'autonomia delle autorità cantonali. La Svizzera che, prima della guerra, era forte esportatrice di energia, ha dovuto ridurre le sue esportazioni di fronte all'incremento dei consumi interni. Austria e Iugoslavia si propongono lo sfruttamento più intenso delle risorse idrauliche del sistema alpino per aumentare la loro insufficiente produzione di energia, mentre la Polonia, nell'ambito del piano economico triennale in corso, conta di ottenere nel 1949 una produzione di 8 miliardi di kWh (contro 3,7 del 1938), specialmente mediante il potenziamento delle centrali termiche contigue alle miniere di carbone. Nell'Europa centrale, i paesi del Benelux e la Danimarca stanno anch'essi aumentando la potenza installata nelle centrali termiche.
In Gran Bretagna, dove l'elettrificazione delle industrie è in fase di sviluppo, secondo l'ultima relazione del Central Electricity Board, saranno installati entro il 1950 macchinarî per una potenza complessiva preventivata in 5.982.700 kW. Il programma inglese prevede, accanto allo sviluppo della produzione termica, anche la costruzione di centrali idroelettriche, specialmente in Scozia, dove esistono ingenti riserve idriche suscettibili di sfruttamento. L'esecuzione del vasto programma inglese è condizionato a una disponibilità di materie prime sensibilmente superiore a quella attuale.
In relazione alla necessità di accrescere nel più breve tempo possibile la disponibilità europea di energia elettrica, il piano Marshall per l'Europa (ERP) considera opportuna l'utilizzazione in comune, fra i paesi interessati, di possibili fonti di energia e a tal proposito gli esperti osservano che dal solo sfruttamento delle risorse idrauliche del sistema alpino l'Italia, la Francia, la Svizzera e l'Austria potrebbero trarre, secondo valutazioni approssimative, circa 114 miliardi di kWh, mentre la produttività attuale delle centrali che sfruttano tali risorse oscilla appena intorno a 35 miliardi di kWh. Il comitato di studio dell'ERP che si occupa del problema europeo dell'energia elettrica ha perciò raccomandato l'adozione di un programma internazionale supplementare di produzione termica, geotermica e idroelettrica, che, nello spazio di 5 anni, dovrebbe assicurare un ulteriore incremento della produttività di 6,6 miliardi di kWh annui, con una spesa di 215 milioni di dollari. Se questo programma sarà svolto integralmente, l'Europa potrà raggiungere l'autosufficienza nel campo dell'energia elettrica già entro il 1952.