NUCLEARE, ENERGIA.
– Reattori nucleari a fissione. Reattori delle generazioni I, II e III. Reattori della generazione III+ . Reattori della IV generazione. Analisi di sicurezza nucleare effettuate dopo l’incidente di Fukushima. Situazione mondiale: considerazioni generali sul nucleare a fissione. Criticità e prospettive della fissione nucleare. Fusione nucleare. Bibliografia. Webgrafia
Reattori nucleari a fissione. – Reattori delle generazioni I, II e III. – La storia del nucleare da fissione si articola su quattro grandi filiere secondo lo schema illustrato nella figura 1. I reattori della generazione I (anni Cinquanta e Sessanta) sono già posti in fase di smantellamento (decommissioning) o prossimi a cessare una vita operativa che allora era prevista in una trentina di anni. I reattori della generazione II (reattori ad acqua pressurizzata o bollente) sono fra i più numerosi e molti di loro hanno ricevuto dalle autorità di sicurezza, a valle di migliorie tecniche e ammodernamenti, un prolungamento di vita operativa (la centrale di Fukushima in Giappone, luogo del grave incidente del 2011, aveva reattori di questo tipo ad acqua bollente). La successiva generazione III (anni 1995-2010) è stata migliorata nella terza generazione avanzata (generazione III+) che descriveremo brevemente. Già si sperimentano e studiano i reattori futuri di una quarta generazione che diverranno operativi, con caratteristiche profondamente migliorate, soltanto negli anni Quaranta del 21° secolo.
Reattori della generazione III+. – Presentano livelli di sicurezza decisamente maggiorati e sono destinati a ricoprire il gap di potenza nucleare necessaria in attesa dell’utilizzo dei reattori nucleari di IV generazione. Al loro progetto è stato richiesto dalle autorità di sicurezza di vari Paesi di poter resistere, senza fusione del nocciolo, a condizioni esterne (terremoti, allagamenti, situazioni metereologiche estreme) molto più gravi di quelle che erano richieste per i reattori della III generazione, nonché ad atti di terrorismo gravissimi (alla scala di quello dell’11 settembre 2011 alle Twin Towers di New York), compresi attentati informatici al delicato e complesso sistema di controllo. È stato inoltre richiesto di affrontare l’incidente più grave concepibile, la fusione dell’intero nocciolo, assicurando la rimozione del calore residuo di decadimento radioattivo e una tenuta sostanziale di tutta la radioattività che si libererebbe entro un doppio involucro del contenitore esterno dei reattori, con una conseguente zona molto ridotta della superficie esterna da dover poi evacuare in breve tempo e quindi da decontaminare per un tempo più lungo.
In tali casi si avrebbe, con una probabilità remota, più piccola di 10-7/reattore•anno, un danno economico gravissimo per la società elettrica proprietaria, evitando però una grave contaminazione del territorio. La probabilità piccolissima rientra in una valutazione economica del rischio finanziario che le società elettriche proprietarie ritengano di poter affrontare, a fronte dei benefici economici. Reattori della IV generazione. – Si prevedono in esercizio commerciale per gli anni Quaranta del 21° secolo. A essi sono richiesti livelli di sicurezza almeno pari a quelli della generazione III+ e prestazioni superiori per quanto riguarda rendimenti e costi. Particolarmente interessanti sono i reattori ‘veloci’ a ciclo chiuso (ciclo uranio-plutonio refrigerati a sodio, piombo o elio) per il semplice fatto, già scientificamente dimostrato, che con essi la percentuale di energia estratta dall’uranio salirebbe fino al 70% (dallo 0,6% e 0,8% caratteristici rispettivamente dei reattori della II e III generazione e della generazione III+). Ciò significa moltiplicare per 100 l’energia immagazzinata nelle naturali risorse di uranio (che ai consumi attuali potrebbero durare per circa sessanta anni). Vi è un altro grande vantaggio: con questi reattori della IV generazione si può ridurre di 100 volte il quantitativo di attinidi minori (americio, curio e nettunio), che hanno vite radioattive lunghissime e con grande attività, perché tali elementi sono fissionati dai neutroni, a grande energia, caratteristici appunto dei reattori veloci. Questo significa ridurre di 100 volte gli spazi necessari nei depositi geologici profondi che oggi sono indispensabili per i combustibili irraggiati provenienti dai cicli aperti degli attuali reattori termici ad acqua della II e III generazione.
Un reattore di ricerca in via di allestimento in Francia a cura del CEA (Commissariat à l’Énergie Atomique et aux énergies alternatives), intitolato allo scienziato francese Jules Horowitz, sarà uno strumento molto utile per esperimenti internazionali sui futuri reattori della IV generazione. Ha una potenza da 100 MWt e può ospitare una ventina di circuiti sperimentali attorno a un nocciolo refrigerato e moderato ad acqua, alto 600 mm, con elementi di combustibile costituiti da piastre circolari concentriche di U e di Mo (8%), a elevato arricchimento, circondato da un riflettore di berillio che alloggia i circuiti di prova. La fig. 2 illustra anche le celle calde disponibili per le analisi sui materiali irraggiati.
Un gruppo di studio dei maggiori Paesi nucleari ha individuato sei tipologie di reattori per la IV generazione. Con riferimento alle zone indicate nella figura 3 sui due assi, cartesiani temperature di funzionamento e danneggiamenti strutturali sono le seguenti: VHTR (Very HighTemperature Reactor), con un reattore a spettro neutronico termico e con un ciclo aperto del combustibile (oncethrough). Esso genera calore ad altissime temperature (fra 900 e 1000 °C), in particolare per produrre idrogeno dall’acqua, con processi termochimici ad alto rendimento; SCWR (Super Critical Water Reactor) è un reattore termico ad acqua leggera portata a pressioni e temperature superiori a quelle del punto termodinamico critico (22,11 MPa; 374 °C) puntando a 25 MPa e 550 °C; MSR (Molten Salt Reactor) è un reattore a sali fusi con combustibile disciolto in fluoruri, a spettro neutronico epitermico e anche veloce, con un ciclo chiuso che comporta un efficiente sfruttamento del plutonio e degli attinidi minori; SFR (Sodium-Cooled Fast Reactor) è un reattore veloce a sodio, a ciclo chiuso, con un efficiente bruciamento degli attinidi minori e una surgenerazione di fissile. Con esso si può realizzare un completo riciclo degli attinidi; GFR (Gas-Cooled Fast Reactor) è un reattore veloce raffreddato a He, a ciclo di combustibile chiuso, che consente una conveniente gestione degli attinidi insieme alla surgenerazione di fissile per conversione fertile-fissile; LFR (Lead-cooled Fast Reactor) è un reattore veloce a ciclo chiuso, raffreddato a piombo o con l’eutettico piombo-bismuto per abbassare la temperatura di fusione.
La temperatura di uscita può andare da 550 °C a 800 °C. La temperatura di ebollizione del piombo è di 1775 °C, fatto che assicura che nessuna sequenza incidentale prevedibile possa portare a una sovrapressione nell’involucro del reattore.
Analisi di sicurezza nucleare effettuate dopo l’incidente di Fukushima. – Le autorità di sicurezza nucleare di nove Stati dell’Unione Europea (Regno Unito, Italia, Germania, Svezia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Francia, Finlandia) si sono, fin dal 1998, riunite per creare un’associazione denominata WENRA (Western European Nuclear Regulators’ Association) con lo scopo di scambiarsi utili informazioni per accrescere le rispettive capacità di sorveglianza e di armonizzare a livello europeo i livelli di sicurezza delle varie attività nucleari sottoposte al loro controllo. Nel marzo 2003 WENRA si è accresciuta con i rappresentanti di altri sette Stati (Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia) producendo nel 2006 il rapporto: Harmonization of reactor safety in WENRA countries.
Il gravissimo incidente nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi del marzo 2011 ha indotto nell’Unione Europea, come nel resto del mondo, una revisione della sicurezza di tutti gli impianti nucleari in funzione.
Il commissario UE all’energia Oettinger aveva fissato il primo giugno 2011 come data di inizio per una serie di stress tests sui 143 reattori nucleari di potenza europei.
Tali verifiche in estrema sintesi sono consistite in un riesame, effettuato dagli operatori stessi delle centrali, controllati dalle rispettive autorità di sicurezza, delle caratteristiche di progetto dei loro impianti. Il loro lavoro è stato sottoposto a ulteriori valutazioni internazionali con ispezioni di controllori nucleari dei Paesi confinanti.
La logica della verifica degli stress tests è quella della cosiddetta difesa in profondità: eventi iniziatori, perdita di dispositivi di sicurezza, gestione di gravi incidenti. Si procede con un approccio deterministico, perché nelle catene incidentali i sistemi di sicurezza non hanno funzionato creando situazioni gravi, se si considerano gli incidenti peggiori, quali la perdita dell’energia elettrica esterna per la centrale (station black out, SBO), la perdita di refrigerante del reattore (loss of coolant accident, LOCA), la perdita del pompaggio del refrigerante (loss of flowrate accident, LOFA), la perdita del controllo del reattore e cioè l’impossibilità di spegnerlo inserendo le barre di controllo nel suo nocciolo (anticipated transients without scram, ATWS).
Gli eventi incidentali iniziatori sono il terremoto e l’allagamento, come pure condizioni metereologiche estreme, la perdita del pozzo termico (mare, fiume, lago) ove scaricare il calore residuo di decadimento radioattivo del reattore spento (ultimate heat sink, UHS) e, nei casi più gravi, la contemporaneità di questi eventi (SBO + UHS).
Gli stress tests devono verificare la capacità dell’impianto nucleare di fronteggiare tali eventi con mezzi alternativi supplementari e infine di accertare come il reattore possa garantire la tenuta del suo edificio esterno-contenitore affinché i radionuclidi che si dovessero liberare nel suo interno, in seguito all’incidente, non fuoriescano in maniera eccessiva contaminando l’ambiente esterno.
Altri eventi iniziatori gravi potrebbero essere incendi di complessi forestali che circondassero l’impianto o la caduta su di esso di aeroplani con carburante (del tipo 11 settembre 2001 a New York). Il gestore dell’impianto deve specificare i mezzi che ha a disposizione per mantenere le tre funzioni fondamentali della sicurezza (controllo della reattività, refrigerazione del nocciolo, confinamento della radioattività) e le necessarie funzioni di supporto, comprensive di mezzi mobili esterni e di aiuti reciproci nel caso di centrali con più reattori.
Il lavoro di accertamento condotto sinora sugli stress tests in Europa ha portato tutte le autorità di sicurezza nuclea re (European nuclear safety regulators’ group, ENSREG) a dichiarare che non è necessario fermare alcun impianto europeo. L’analisi condotta è stata molto utile per migliorare le condizioni di sicurezza degli impianti e per ricercare progressi futuri adottando revisioni periodiche di ogni impianto almeno ogni dieci anni, migliorando nel contempo la capacità di tenuta dei contenitori esterni.
In tali lavori è emerso che in quattro reattori di due Paesi gli operatori hanno meno di un’ora di tempo disponibile per ripristinare le funzioni di sicurezza in caso di SBO e/o di UHS. In dieci reattori non sono ancora state installate adeguate strumentazioni sismiche, mentre in quattro Paesi sono già in funzione ulteriori sistemi di sicurezza totalmente indipendenti da quelli originali e installati in zone fortificate contro eventi esterni. Tutti i Paesi partecipanti contano ora di migliorare la sicurezza dei loro impianti per prevenire o mitigare le conseguenze di eventi gravi.
I costi di tali miglioramenti sono stati stimati collocarsi nell’intervallo da 30 a 200 milioni di euro per reattore, per un totale europeo che va da 10 a 25 miliardi di euro per gli anni a venire. Le principali raccomandazioni elaborate richiedono di adottare per la resistenza ai sismi un’accelerazione minima di 0,1 g e di tenere conto del terremoto più grave che sarebbe fisicamente potuto accadere negli ultimi diecimila anni, con uno stesso periodo da esaminarsi per l’inondazione peggiore. Gli operatori dei reattori per ripristinare le condizioni di sicurezza dovranno avere disponibile, in caso di SBO e/o UHS, un tempo minimo di un’ora. Misure passive (senza bisogno di energia elettrica) contro le esplosioni interne (per es., di idrogeno), in caso di gravi malfunzionamenti dei sistemi ridondanti di controllo, sono già state in alcuni casi applicate, per es., con ricombinatori ossigeno/idrogeno passivi autocatalitici.
Situazione mondiale: considerazioni generali sul nucleare a fissione. – Un quadro generale dell’e. n. nel mondo, nel dopo Fukushima, è presentato nella sintesi del presidente onorario del World energy council (WEC), Alessandro Clerici (in Panoramica mondiale sugli sviluppi del nucleare. I programmi dei Paesi che puntano su questa energia, «Il giornale dell’ingegnere», 2014, p. 13). Il numero totale di reattori dichiarati funzionabili a giugno 2014 era pari a 372 per una potenza di 373 GW in 31 Paesi, mentre i reattori in costruzione erano 72 (ben 28 in Cina e 10 in Russia) per 68 GW e in 16 Paesi; nel 2013 l’energia pro-dotta è stata di 2360 TWh, pari a circa l’11% della produzione totale da tutte le fonti, con un calo di circa 250 TWh rispetto alla produzione anteriore all’evento di Fukushima; fondamentalmente a causa dello shutdown (cessazione di esercizio) praticamente di tutti i 48 reattori giapponesi, e in parte per la chiusura di otto reattori tedeschi.
L’utilizzo pacifico dell’e. n. per produrre energia elettrica è nato in Russia nel 1954 e ha iniziato una sua penetrazione nel mercato a seguito dei forti investimenti in ricerca e sviluppo specie negli Stati Uniti, con i reattori (a fissione e uranio arricchito) ad acqua bollente (BWR, Boiling Water Reactor di General electric, GE) e ad acqua pressurizzata (PWR, Pressurized-Water Reactor di Westinghouse), oltre a reattori in Inghilterra del tipo GR (Gas cooled graphite moderated Reactor) e poi AGR (Advanced Gas cooled graphite Reactor) e a reattori moderati ad acqua pesante (HWR, Heavy Water Reactor) che sono brevettati in Canada (Canadian deuterium-uranium, CANDU) e con uranio naturale come combustibile. I reattori GR e AGR sono usciti di scena con poche unità in servizio e la tecnologia PWR è divenuta la dominante (dei 72 reattori ora in costruzione ben 65 appartengono a questa categoria).
Un’estesa applicazione commerciale di reattori di IV generazione autofertilizzanti (ridottissimo consumo di uranio e quindi di produzione di scorie da smaltire) non è prevista prima di 20 anni e per la fusione non si può certo prevedere un orizzonte inferiore a diversi decenni.
Il forte sviluppo del nucleare è avvenuto fondamentalmente nel periodo 1972-89, con tassi di crescita elevati fino ai massimi di 33.000 MW di potenza installata all’anno nei 2 anni 1982 e 1983. L’incidente di Three Miles Island del 1979 non ha avuto effetti sull’ambiente, e nemmeno sullo sviluppo del nucleare, mentre Černobyl′ nel 1986 ha avuto un enorme impatto internazionale, sebbene un rapporto coordinato dalle Nazioni Unite (cui hanno contribuito varie agenzie e istituzioni, quali WHO, World Health Organization, UNSCEAR, United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation ecc.) abbia accertato che i morti siano stati 65, con possibili mortalità future fino a un massimo ipotetico di circa 2000 (IAEA 2006).
Conseguentemente vi è stato un notevole stallo nello sviluppo del nucleare e solo dopo 15-20 anni si è assistito a un affievolimento degli effetti emotivi. Una sorta di ‘primavera del nucleare’ si è manifestata in molti Paesi del mondo, spinta da alti costi del petrolio, necessità di ridurre le emissioni di CO2, sicurezza degli approvvigionamenti, sviluppo dei reattori di III generazione ‘praticamente sicuri’ e con prestazioni aumentate. Tuttavia un effetto negativo è stato introdotto dalla pessima ‘performance’, per i costi e i tempi di realizzazione, dei primi 2 reattori di generazione III+ da 1650 MW in Finlandia e Francia, non ancora ultimati.
I piani nucleari futuri (e alcuni futuribili) in atto al 2010 hanno ricevuto un forte scossone dall’incidente di Fukushima; tuttavia la situazione a livello globale non si presenta così fosca (i reattori dichiarati in servizio sono diminuiti di sette unità rispetto al 2010, mentre i reattori in costruzione sono aumentati di sette unità). In alcuni Paesi come Cina e Russia il nucleare prosegue con passi da gigante e nuovi mercati si sono aperti in Medio Oriente (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti); alcuni progetti di rapida gestazione finanziati/spinti dai fornitori di centrali supportati dai loro governi (Russia in testa, Francia, Giappone, Corea e in parte Canada e Stati Uniti) sono in atto, ma nel mondo occidentale (salvo rare eccezioni) il nucleare è agonizzante e occorrerà verificare il lieto fine degli approcci inglesi e finlandesi. Questo è dovuto, oltre alle chiare opposizioni di popolazioni e politici, alla crisi economica con conseguente caduta dei consumi, ai costi del nucleare e a prezzi estremamente bassi dei mercati della CO2 (circa 7€/t in Europa) e del gas negli Stati Uniti.
Dopo i gravosi costi sostenuti dal governo centrale giapponese a seguito dell’incidente di Fukushima, un grosso problema si pone per chi dovrà pagare i danni da gravi incidenti e quali saranno i limiti imposti a fornito ri/gestori di centrali.
In tutto il mondo sono in atto notevoli interventi sulle centrali nucleari in servizio per aumentarne la potenza, la flessibilità, estenderne di circa 20 anni la vita (circa quarantennale secondo le autorizzazioni iniziali) con notevoli vantaggi economici. Ciò considerando che, fatto 100 il costo di produzione di e. n., circa 80 sono gli ammortamenti, 9 i costi di O&M (Operation and Maintenance, esercizio e mantenimento) 5 i costi del combustibile, 2 quelli per il waste management (inclusi gli accantonamenti per il cimitero finale) e 2 gli accantonamenti per il decommissioning dopo oltre 60 anni.
Criticità e prospettive della fissione nucleare. – Tenendo conto delle varie spinte di ambientalisti e non quelle dei politici, per la maggior parte dei quali è importante non perdere voti giocando sull’emotività delle persone, si possono avanzare le seguenti considerazioni.
Come caso estremo e non realistico sostenuto da alcuni, e cioè la chiusura di tutti i 372 reattori esistenti, che hanno una producibilità di oltre 2600 TWh/anno, porterebbe un consumo addizionale di oltre 700 Mtep/anno di combustibili fossili (circa il 25% dei consumi attuali di gas) e addizionali emissioni di oltre 2 miliardi di t di CO2/per anno.
Dopo Fukushima vanno contestualmente ponderati tre rischi: rischio di incidente nucleare, rischio di ‘collasso’ ambientale per emissioni di CO2 (da fonti fossili che sono ancora oltre l’80 % delle energie primarie consumate) e rischio di progressivo sottosviluppo dei Paesi ‘poveri’. Un possibile forte rinascimento del nucleare può avvenire però solamente con una drastica riduzione di costi e tempi di realizzazione delle centrali, con soluzioni condivise per i ‘cimiteri finali delle scorie’ con regole chiare e condivise per la sicurezza, ma soprattutto con trasparenza delle informazioni e coinvolgimento di opinione pubblica e popolazioni. Il vero perdente, nel lungo periodo, potrebbe forse non essere il nucleare, ma il consumatore finale e l’ambiente. Assegnando per lo più la palma di grande vincitore al gas (per ora principalmente negli Stati Uniti, v. gas naturale), si è tralasciato che il carbone ha aumentato la sua quota (ora 40%) nella produzione mondiale di elettricità (esemplare il caso della Germania con produzione attuale di elettricità per quasi il 50% da carbone). Si pone inoltre la questione delle rinnovabili non programmabili che hanno usufruito di incentivi più che generosi specie in Europa. Tali incentivi sono tuttavia in fase di ripensamento e ridimensionamento in Paesi come Germania e Italia che hanno visto praticamente in questi ultimi due anni ridursi rispettivamente a 1/4 e a 1/7 la potenza installata annualmente del fotovoltaico e dove i costi dell’elettricità pongono seri problemi di competitività verso Stati Uniti e Cina.
Fusione nucleare. – Negli ultimi anni, a livello mondiale, i programmi di ricerca sulla fusione si sono concentrati su una grande iniziativa di nome ITER (originariamente acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, poi superato dall’analogia con il termine latino) cui partecipano Unione Europea, Stati Uniti d’America, Russia, Cina e Giappone che sta realizzando una grande macchina nel centro francese di Cadarache (afferente al Commissariat à l’energie atomique, CEA) con un impegno finanziario che era inizialmente previsto dell’ordine di dieci miliardi di euro. ITER dovrebbe generare 500 MWt per otto minuti, consumando mezzo grammo di combustibile (deuterio + trizio). Tale macchina dovrebbe chiarire la fisica delle reazioni di fusione in scala significativa ed è propedeutica alla costruzione di un reattore prototipo, denominato DEMO, per cui nel contempo dovrebbero essere eseguiti altri esperimenti, in particolare per l’ottenimento di materiali strutturali in grado di resistere a flussi neutronici da 14 MeV (anche i migliori acciai oggi disponibili diventano porosi per la formazione di bolle come quelle previste per DEMO, nonché per la gestione del trizio; un reattore a fusione da 1000 MWe necessita, come combustibile, di oltre 50 kg di trizio all’anno).
Il grande complesso della macchina ITER (fig. 4) ha una massa totale di 360.000 tonnellate. Gli obiettivi chiave di tale macchina riguardano il plasma deuterio-trizio riscaldato dalle particelle alfa e, come fine ultimo, una produzione stazionaria di potenza con dimostrazione della sicurezza e dell’accettabilità ambientale della fusione. Le strutture civili sono in un avanzato stadio di costruzione per tutti gli edifici e i componenti più critici sono in corso di fabbricazione. La fase di installazione di sistemi meccanici, elettrici e di strumentazione e controllo è in via di attuazione con un sistema di distribuzione di potenza sul sito ITER. Queste tecnologie ITER sono di grande importanza per l’aerospazio, la fissione nucleare e la ricerca medica e diagnostica. Le tecnologie impiegate riguardano materiali ad alta temperatura, robotica e sistemi di telemanipolazione, gestione del trizio, stabilità di griglie elettriche sotto carichi pulsati, tecnologie criogeniche per l’aerospazio, progetto di magneti per alti campi magnetici.
Nell’ambito della fusione è doveroso segnalare il progetto Ignitor (con un rapporto Q fra energia generata nel plasma ed energia iniettata in esso dall’esterno di valore infinito) ideato dal professor Bruno Coppi del MIT (Massachussetts Institute of Technology), che si propone, con una piccola macchina ad altissimo campo magnetico di realizzare le condizioni operative del plasma e di chiarire, in un futuro ravvicinato, la fisica delle reazioni di fusione in scala significativa.
Bibliografia: M. Cumo, Impianti nucleari, Roma 2008, 20122. Si veda inoltre: IAEA (International Atomic Energy Agency), Chernobyl’s legacy: health, environmental and socio-economic impacts and recommendations to the governments of Belarus, the Russian Federation and Ukraine, Wien 2006: https://www.iaea. org/files/Chernobyl.pdf (2 agosto 2015).