ENFITEUSI (gr. ἐμϕύτευσυς)
Secondo l'art. 1556 cod. civ. italiano "l'enfiteusi è un contratto col quale si concede in perpetuo o a tempo un fondo con l'obbligo di migliorarlo e di pagare un'annua determinata prestazione in denaro o in derrate". Questa definizione indica le due obbligazioni fondamentali dell'enfiteuta e la caratteristica principale dell'istituto che mira specialmente a facilitare il dissodamento dei fondi incolti e in genere il miglioramento agrario.
Nata nel diritto romano, attraverso la possessio dell'ager publicus, e soprattutto la fusione della locatio degli agri vectigales (terreni incolti dello stato), ehe attribuiva al locatario un godimento in realtà perpetuo contro pagamento del vectigal, con 1ª locazione elleno-orientale di terre anche incolte a scopo di dissodamento, ebbe nel diritto giustinianeo carattere di diritto reale di godimento alienabile e trasmissibile agli eredi, con obbligo solo di non deteriorare il fondo e di pagare un annuo canone. Nel Medioevo si rafforzò lo scopo di miglioramento come carattere essenziale dell'istituto: esso fu strumento impareggiabile, nelle concessioni specialmente ecclesiastiche, della redenzione economica di molte regioni italiane: il principio del lavoro si afferma più energicamente col riconoscimento di un dominio ("utile") dell'enfiteuta (specie come proprietà dei miglioramenti), prevalente sempre più sul dominio "diretto" del concedente. Non ammessa nel cod. Napoleone, che nell'art. 530 proclamò la redimibilità di tutte le rendite fondiarie perpetue, fu di nuovo accolta nel cod. civile italiano nell'interesse delle terre incolte e abbandonate, sia pure dopo vivaci discussioni e quasi di straforo.
Così, mentre nel diritto romano l'enfiteusi si proponeva essenzialmente la normale coltura del fondo secondo le sue attuali condizioni (l'enfiteuta però poteva migliorarlo: era un suo diritto, non un suo obbligo) e perciò il mancato miglioramento non era causa di devoluzione, oggi, nel sistema del cod. civile, l'enfiteusi non è più semplice rapporto di godimento, come la locazione, ma di miglioramento congiunto col godimento. Cosicché ne deriva l'irreducibilità del canone (a differenza del fitto), e soprattutto la devoluzione del fondo enfiteutico (qualora l'enfiteuta non preferisca redimerlo) non solo se l'enfiteuta è in mora nel pagamento del canone da due anni consecutivi, ma anche "se deteriora il fondo o non adempie l'obbligazione di migliorarlo" (art. 1565). Si potrà discutere se l'enfiteusi sia proprio l'istrumento più idoneo, oggi, per raggiungere questo scopo; o se invece (come fu ritenuto per il cod. civile germanico che l'ha bandita) non sia più in armonia con le condizioni politiche ed economiche d'oggi. Ma è certo che l'enfiteusi appunto vorrebbe essere, nel sistema del codice, tra i mezzi giuridico-economici di miglioramento dei fondi, di trasformazione del latifondo, di transizione dalla coltura estensiva a quella ìntensiva. Solamente la legge belga 10 gennaio 1824 è rimasta all'enfiteusi romana: rapporto di godimento, e puro diritto dell'enfiteuta a migliorare il fondo.
Lo scopo essenziale del miglioramento del "fondo", come si esprime l'art. 1556, riconduce il pensiero in primissima linea ai fondi rustici. E certo a questi il legislatore ha soprattutto mirato. Ma in realtà quelle parole possono anche riferirsi ai fondi urbani, cioè agli edifici, dei quali pure è possibile il miglioramento, sia pure in assai minor misura, benché l'opinione più diffusa escluda in modo assoluto (ma non convincente) l'enfiteusi degli edifici (s'intende per le enfiteusi sorte sotto il codice civile). In realtà anche gli edifici si possono "migliorare" (ad es. trasformare una casa operaia in un palazzo ricostruendo sull'area), e perciò vi sono oggi ancora esempî (ma rari) di enfiteusi urbane.
L'attuazione dello scopo di miglioramento è tale, per lo più, da richiedere notevoli capitali, e inoltre il reddito si presenta solo a lunga scadenza. Questa è la ragione per cui la legge concede all'enfiteuta una grande intensità di poteri, più che non al conduttore. L'enfiteusi è stata ammessa nel codice italiano con la preoccupazione (inspirata alla necessità di eliminare le antiche restrizioni feudali) di ampliare il più possibilmente i poteri dell'enfiteuta: nel che (ma a torto) fu visto un indice di probabilità per la teoria che fa dell'enfiteuta il proprietario del fondo. È da ritenere infatti che proprietario sia il concedente.
L'ampiezza di poteri concessa all'enfiteuta si rivela soprattutto in alcuni punti: 1. Il godimento concesso all'enfiteuta, che può anche essere perpetuo (art. 1561), in nulla si distacca da quello del proprietario, e in questo senso va più in là di quello dell'usufruttuario cui pure è concesso di godere la cosa "nel modo che ne godrebbe il proprietario" (art. 477). Perciò il concedente può richiedere ogni 29 anni la ricognizione del dominio (art. 1563), e l'enfiteuta ha a suo carico (art. 1558) "le imposte prediali e tutti gli altri pesi che gravano il fondo". 2. Quanto alla disponibilità del fondo, è vietata la semplice cessione del godimento o sub-enfiteusi, ma "l'enfiteuta può disporre tanto del fondo enfiteutico quanto delle sue accessioni" (art. 1562) cioè può disporre del proprio diritto. 3. La redimibilità del fondo, negata un tempo, oggi è sempre ammessa mediante una somma corrispondente alla capitalizzazione dell'annuo canone (art. 1564). 4. La miglior tutela del lavoro, in confronto alla locazione, si ricava soprattutto dall'elemento, che con l'affrancamento costituisce la particolar forza dell'enfiteusi: il compenso per le migliorazioni, che l'enfiteuta è obbligato a fare e che restano di sua proprietà (art. 1566) nel momento in cui l'enfiteusi cessa: restano sue nel senso di un diritto al loro valore. Questa grande ampiezza di poteri a danno del concedente ha rovinato l'enfiteusi, ed è stata aspramente criticata.
Le riforme successivamente attuate per legge ben poco giovarono; forse (specie quella per il Mezzogiorno) furono poco meditate; cosicché gravi dubbî sorsero subito sulla loro pratica efficacia. E la posteriore inchiesta sul Mezzogiorno assodò che la forte emigrazione di contadini in America aveva ormai avuto a favore dei contadini arricchiti un'influenza assai più forte, nel senso di migliorare i patti colturali, di quella della legge: la quale è rimasta presso che inapplicata. Va ricordato per ultimo come si sia stranamente proposto di rendere obbligatoria (col prog. di legge "sulla trasformazione del latifondo e colonizzazione interna" del 10 dicembre 1921) quell'enfiteusi che spontaneamente non vuol prosperare.
Bibl.: Alionelli, Trattato dell'enfiteusi, Potenza 1834; L. Borsari, Il contratto di enfiteusi, Ferrara 1852; C. De Cesare, Dell'enfiteusi, Napoli 1854; K. L. Arndts, Über die Natur des emphyteutischen Rechts, Gesammelte civilistische Schriften, I, Stoccarda 1873, p. 247 segg.; id., Vom Besitze der Enphyteuse, ibid., p. 277 segg.; V. Simoncelli, Esame critico dell'enfiteusi secondo il codice civile italiano, in Archivio giuridico, 1888; id., La riforma dell'enfiteusi, Roma 1904; id., Della enfiteusi, Napoli 1910, 2ª ed. 1922; De Pirro, Dell'enfiteusi, 2ª ed., Milano 1907.