BUTTI, Enrico Annibale
Nato a Milano il 19 febbr. 1868, dopo gli studi classici intraprese quelli matematici che però interruppe per seguire, secondo la volontà del padre, giurisprudenza a Modena, dal 1887 al 1889. Dopo la laurea esercitò una sola volta la professione legale, dedicandosi invece alla letteratura e alla musica (scrisse di critica letteraria in Cronaca d'arte e Vita moderna, fucompositore e pianista), affrontando al tempo stesso quegli studi di filosofia che sostanziarono i suoi interessi avversi al positivismo. La morte del padre (che lo lasciò in non brillanti condizioni economiche) nel 1891 e quella della madre nel 1895 influenzarono profondamente la sua visione della vita: la morte sarà tema risolutivo nella problematica delle sue opere. Sempre nel 1895 il B. ebbe i primi attacchi di tisi, e la sua vita fu da allora punteggiata da soggiorni in sanatorio, in una continua lotta contro il male, fino alla morte, avvenuta a Milano il 26 novembre dell'anno 1912.
In un primo periodo, dal 1892 al 1897, scrisse romanzi psicologici in cui affrontava i temi, che avranno maggior sviluppo nelle opere teatrali, del conflitto tra sogno e realtà, tra nuovi ideali e tradizione. "Contemporaneo dei crepuscolari è nell'intimo crepuscolare" (Tilgher); fin dall'inizio la sua attenzione era rivolta a quell'indagine dello spirito e della psicologia che voleva porsi come portato del buon senso tra la tradizionale arte borghese e la nuova rivoluzione verista.
Nel romanzo L'automa (Milano 1892) delinea la figura di un pittore incapace di volere e di credere; in L'anima (ibid. 1893)traccia una specie di itinerario spirituale verso la felicità trascendente; in L'immorale (ibid. 1894, ma scritto nel 1889)pone a confronto, in termini incerti, la vita di un materialista e di un idealista; in L'incantesimo (ibid. 1897)espone la sua concezione politico-sociale. Nella sua arte il B. affronta quindi fin dall'inizio temi di carattere etico e religioso, in una superiore posizione conciliativa che rifiuta l'opposizione di arte e morale. In una raccolta di saggi (Né odii né amori, ibid. 1893)affermava: "intento morale nel romanzo e nel dramma adunque, sì; è bene forse invocarlo, per ridar l'anima a quel gran corpo ch'era rimasto troppo tempo immobile su la tavola anatomica del verismo. Ma restringere i confini dell'arte, no: è trasformare in moto retrogrado una reazione, intenta a condurre il romanzo e il dramma in una via più sana e più diretta verso il progresso".
In questa posizione è da vedere il celebrato ibsenismo del B., così come chiaramente si delineerà nella sua produzione drammatica. Il raffronto che L. Zuccoli (nella prefazione all'edizione del dramma Ilvortice, ibid. 1893) istituisce tra la tematica del primo romanzo L'automa e quella del dramma Il frutto onaro (poi pubblicato a Milano nel 1912) sottolinea la sostanziale unità tra questa prima attività di romanziere del B. e la sua opera drammaturgica: in entrambe protagonisti sono due uomini che non sanno volere e che non vedono al di là del benessere momentaneo. La tematica, nel B., si pone sempre come elemento primo di giudizio.
Il frutto amaro, scritto in collaborazione con C. Hanau, fu rappresentato per la prima volta a Milano, il 28luglio 1892, al teatro Commenda, dalla compagnia Beltramo-Della Guardia, protagonista A. Vitti. Il tema è semplice: Adolfo Cortini si abbandona a un amore che si rivela come semplice infatuazione e, riluttante e disperato, ne sopporta ogni conseguenza. Il dramma fu male accolto dal pubblico e frainteso dalla critica, e subito fin dal 1893 si fecero riferimenti troppo alti per il Butti. Lo Zuccoli nella citata prefazione ricorda i nomi che hanno aperto una nuova strada verso la "verità più schietta" del dramma psicologico: "Ibsen, Tolstoi, Strindberg, Sudermann, Hauptmann, Becque". Il nome di Ibsen tornerà sempre più frequente: ma già il Tonelli e il Tilgher, il D'Amico e il Sapegno parlano di un Ibsen capovolto (reazionario e conservatore invece che rivoluzionario) e fanno riferimenti più concreti alle opere di de Curel, di Paul Hervieu, di Paul Bourget. Più che un teatro di idee, è un teatro di contrasti tra opposte ideologie e degli effetti di tali contrasti nella psicologia dei personaggi.
Ancora prima del Frutto amaro, il B. aveva scritto, in collaborazione con G. Messori, Il signore dall'abito bianco, di cui si ignora la data della prima rappresentazione, che avvenne a Sassuolo (Levi); e scriverà poi (1892), tratto dal suo romanzo L'immorale,Paolo Ermoli, dramma che non fu rappresentato, in collaborazione con C. Hanau.
Alla fine del 1892 il B. scrisse il suo primo dramma di rilievo, Il vortice. Il 19 dicembre dello stesso anno fu rappresentato a Milano dalla compagnia di Cesare Rossi al teatro dei Filodrammatici. G. Pozza, il critico del Corriere della Sera, scrisse che la commedia aveva il difetto di essere stata concepita più da un romanziere che da un drammaturgo. E il B. modificò il testo, fondendo i primi due atti in uno solo e riducendo da quattro a tre gli atti del dramma. Pur tra incerti giudizi la critica gli riconobbe qualità d'arte e potenza drammatica, sottolineando concordemente il suo inserirsi nella "nuova corrente" del dramma psicologico.
Amalia ha sposato Augusto, ma il loro matrimonio è presto fallito perché Amalia scopre che il marito l'ha sposata per interesse. Questi è ora rovinato e rischia la prigione. Per salvarsi dalla rovina si adatterebbe a consentire che la moglie lo tradisca col suo maggior creditore, ma Amalia, onesta, lascia che la rovina travolga tutta la famiglia. La tematica è dunque quella tipica del realismo borghese, mentre il procedimento fa pensare alla tecnica di un romanziere ed è assai rapido e sbrigativo nel delineare situazioni e caratteri.Seguì, tra il 1893 e il 1900, un periodo di maturazione spirituale e di acquisizione tecnica, in cui scrisse Le seduzioni, in collaborazione con G. Anastasi, rappresentato a Genova al teatro Margherita dalla compagnia Reinach-Raspantini, protagonista Irma Gramatica, nel marzo del 1895; L'utopia, rappresentato a Torino al teatro Gerbino dalla compagnia V. Marini, protagonista Ermete Zacconi, il 12 genn. 1894 e pubblicato lo stesso anno a Milano; La furia domata (Milano 1895), scritto in collaborazione con G. Macchi, musiche di Spiro Samara; La fine di un ideale, rappresentato a Torino al teatro Alfieri dalla compagnia Di Lorenzo-Andò il 6 ott. 1898 ed edito a Milano nel 1900.
L'utopia, "dramma satirico", è nella tradizione del realismo borghese, ma in esso viene chiaramente affermata la derivazione ibseniana. "L'autore dell'Utopia - scrisse D. Oliva nella sua prefazione all'edizione milanese del 1894 - non nega di essersi ispirato all'Ibsen: anzi lo ammette e se ne fa un titolo di vanto". Ma il "concetto estetico" dell'Ibsen, scelto per "significare qualcuna fra le grandi contraddizioni dell'agitato spirito contemporaneo", resta esteriore, al livello della tematica affrontata (e per di più con soluzioni assai diverse). Andrea Serchi, medico condotto, è convinto assertore dell'abolizione del matrimonio e della necessità di sopprimere i bambini deboli. Propaganda coraggiosamente le sue idee sopportando beffe, insulti e danni. Poi, quasi senza preparazione, quando apprende che suo figlio è un mostriciattolo, rinuncia al suo apostolato e si adatta alla vita borghese.
Come L'utopia aveva svolto il tema della vanità dell'ideale e della meschinità umana, così anche La fine di un ideale affronta un tema "ideologico", tra l'altro assai di moda e spesso presente nelle opere del B.: il confronto del matrimonio e del libero amore. Valeria, ora moglie di un ricco industriale, era stata unita in libero amore con un uomo che l'aveva abbandonata dopo averla resa madre. L'antico amante ritorna e il marito viene a conoscenza del passato, ma perdona Valeria e la difende. Questa, commossa, ripudia gli antichi ideali. Il Tonelli raffronta il dramma con l'ibseniana Donna del mare:"lafavola è press'a poco la stessa; ma differentissima l'orditura. Ché Ibsen vuole rappresentarci Ellida nei diversi stati d'animo che precedono e seguono la venuta dello Straniero", il B. invece "ci mostra Valeria sempre nello stato d'animo d'ammirazione verso il marito, di disprezzo e odio verso l'antico amante; né in lei si produce alcun cambiamento, se non d'idee". Da un lato una figura di donna, dall'altro un tema.
Il contenuto idealistico e l'universalità dei problemi diventano sempre più la caratteristica dell'opera del B. determinando anche all'estero un vasto interesse nei suoi confronti (L'utopia, tradotta in svedese, piacque molto a Stoccolma). Pur facendo scaturire il dramma dal conflitto delle idee, il B. aveva acquistato piena padronanza della tecnica drammaturgica: raffigura persone umane e situazioni saldamente fondate nella loro realtà psicologica.
Le opere della "maturità" iniziano con la vasta impresa di una trilogia, Gli atei: La corsa al piacere (Milano, teatro Manzoni, compagnia Di Lorenzo-Andò, 23 febbr. 1900 e pubblicata a Milano lo stesso anno); Lucifero (Milano, teatro Manzoni, compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, 11 dic. 1900, edita a Milano nel 1901); Una tempesta (Trieste, teatro Verdi, compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, 21 nov. 1901, pubblicato a Milano nel 1903). In esse il B. affronta, da tre punti di vista, la problematica della concezione atea e materialistica della vita nel momento in cui una qualche tragedia pone gli uomini dinanzi alla loro coscienza, dando come soluzione la vittoria della tradizione religiosa e sociale, con un "qualunquistico buon senso borghese".
Nella Corsa al Piacere Aldo Rigliardi ha vissuto in una facile morale epicurea, fondata sulla convinzione che la scienza abbia dimostrato l'inesistenza di Dio e dell'al di là; ma la morte della madre lo apre al dolore e al dubbio.
In Lucifero ilprof. Alberini, ex prete, ha educato il figlio all'ateismo; ma questi si innamora della figlia di un fervente cattolico e per sposarla fugge con lei. Presto la moglie si ammala mortalmente e il marito si rifugia nella fede. E il prof. Alberini, commosso, si chiede: "Chi sa?".
In Una tempesta Adolfo Sieci torna dall'America nutrito di rivoluzionarie idee sociali. Si scontra con suo zio Cesare, latifondista, e spinto da un suo compagno - direttore spirituale - accetta di uccidere lo zio per far scoppiare le rivendicazioni dei contadini alla dignità. Ma di fronte al cadavere dello zio, fuggito il compagno e inerti i contadini, comprende l'inanità della sua politica di violenza: "Tutto è come prima".
Nella trilogia, come nelle opere precedenti, il cambiamento avviene, non preparato, all'ultimo scontro, sempre per una causa esteriore e violenta, spesso dinanzi alla morte. Il B. si pone con pretesa di obiettività dinanzi alla sua tematica (nel Lucifero, ad esempio, avverte in nota che le idee dei sostenitori dell'ateismo "furono tolte - per maggiore imparzialità espositiva - alle opere di G. Trezza"): da ciò deriva che gli avversari parlino chiaramente e per esteso, anzi che siano personaggi buoni e virtuosi, mentre gli altri sono spesso aridi e sgradevoli. Ma le ultime scene chiariscono il pensiero dell'autore, francamente borghese e conservatore.
Alla trilogia seguirono le due opere del B. più celebri, per diverse ragioni: Il gigante e i pigmei, rappresentata a Milano al teatro Manzoni dalla compagnia Di Lorenzo-Andò il 23 genn. 1903 (edita a Milano lo stesso anno, con una difesa del B., pp. IX-XXVIII, e una "Polemica", pp. 127-146); Fiamme nell'ombra, rappresentata a Roma al teatro Costanzi dalla compagnia Talli-Gramatica-Calabresi il 18 ott. 1904 (edita in Riv. teatrale ital. [Napoli], VIII [1904]).
La fama della prima opera, una delle solite tragedie matrimoniali borghesi, è dovuta alla polemica che ne seguì. Parve infatti che il B. avesse "osato" alludere al Carducci, e le polemiche furono accentuate dal Calabresi che nel truccarsi sottolineò la rassomiglianza; a queste polemiche rispose il B. sui giornali (si vedano, tra tutte, le lettere a Renato Simoni e a Domenico Oliva in appendice a Il gigante e i pigmei, cit.) e nella prefazione del febbraio 1903 all'edizione della commedia, in cui dichiara di essersi servito dei connotati del Carducci per dare subito al suo personaggio - un grande poeta - una dimensione di grandezza che il pubblico fosse in grado di recepire immediatamente. Al di là della polemica, il B. si mostra pittore di ambienti della propria epoca coi limiti ideologici ed estetici del pubblico cui si rivolgeva.
Fiamne nell'ombra è, per unanime riconoscimento, la sua opera più forte e più salda, "fra tante opere fredde un dramma abbastanza umano" (Sapegno); "saggio magnifico della tendenza realistico-psicologica" (Sanesi).
Don Antonio Giustieri aspira alla carica di vescovo, già una volta non ottenuta a causa di uno scandalo provocato dalla sorella. Quando questa torna la perdona. Ma di nuovo non riesce a essere nominato vescovo e di nuovo scopre la sorella in peccato. Dopo la crisi don Antonio decide di rinunciare alle proprie ambizioni e di dedicarsi alla redenzione della sorella: "impareremo insieme ciò che non abbiamo mai saputo: a sacrificare noi stessi. Non v'èaltra redenzione, né altra verità". Una morale austera e patetica, fondata sul sacrificio: èla posizione finale dell'ideologia cristiana e borghese del Butti.
Le altre opere scritte fino al 1910 non sono di grande rilievo, ma nascono da una tecnica sapiente.
Il 23 nov. 1903 era stata rappresentata a Trieste, al teatro Verdi, dalla compagnia Di Lorenzo-Andò, Il cuculo, commedia giocosa (ed. Milano 1907); un'altra commedia giocosa, Intermezzo poetico, fu rappresentata a Torino al teatro Carignano, dalla compagnia Mariani-Zampieri l'11 ott. 1905 (in Nuova Antologia, 16 giugno e 1º luglio 1912; in vol. Roma 1912, e ristampa Milano 1912). Queste due commedie rappresentano un episodio singolare nell'opera del B.; ma non ebbero fortuna. La prima fu accolta sempre sfavorevolmente, la seconda - caduta a Trieste - fu applaudita in altre città; e ancora oggi la critica è incerta: si parla di opere minori (Fiocco), dei suoi più grandi successi (D'Ambra), di opere di altissimo livello (Ruberti), di scherzi comici di assai lieve importanza (Sanesi).
A queste opere seguirono: Tutto per nulla, rappresentato a Genova, al politeama Margherita, dalla compagnia Reiter-Carini, il 10 nov. 1905 (Milano 1906); Nel paese della fortuna, rappresentato a Torino, al teatro Alfieri dalla compagnia Andò-Paoli-Gandusio, l'8 ott. 1909 (in Nuova Antologia, 1º gennaio e 16 genn. 1910; edito Roma 1910, ristampa Milano 1911).
Tra il 1902 e il 1908 meditò e compose Ilcastello del sogno, pubblicato a Milano nel 1910 e rappresentato soltanto postumo il 16 dic. 1914 (a Torino, teatro Carignano, dalla compagnia A. De Sanctis). F. Pastonchi ne aveva dato lettura al teatro Lirico di Milano nel 1910.
È un poema tragico in 4 canti, in endecasillabi sciolti. Fu un insuccesso, ma la critica letteraria si entusiasmò per quest'opera in cui il B. lasciava la prosa per il verso e, prima di Benelli, ricercava le forme del poema tragico. In esso intendeva rappresentare, in termini romantico-simbolici, "mediante un allegorismo non molto felice" (Tonelli), il dissidio fra realtà e sogno e il prevalere della prima (perché èlotta e amore) sul secondo (che èegoismo e inerzia). Non ècerto il suo capolavoro, "come egli credette e sperò" (D'Ambra), ma è il suo testamento poetico e ideologico, la sua opera più impegnata esistenzialmente.
Nell'ideazione e in alcuni particolari materiali e formali il B. si ispirò a The fall of the House of Usher di E. A. Poe (come notava R. Simoni, già nel 1914, riprendendo una polemica cui già il B. aveva risposto, e argomentò poi nel 1937 H. L. Norman, ripreso da L. Spitzer in Giornale storico della letteratura italiana, [1937], CIX p. 352, dove tale rapporto è detto certissimo per le "somiglianze nella situazione, nei personaggi, negli episodi principali"). Ma lo svolgimento del dramma è talmente diverso che lo si può considerare quasi del tutto indipendente dal racconto di Poe (Sanesi). La finzione non regge alla scena; i personaggi oscillano incerti fra le opposte caratteristiche di esseri veri e di concetti allegorici; e anche l'azione sta di mezzo tra un fatto reale della vita e una fantasticheria immaginaria.
Dopo questo tentativo, la sua attività continuò alacre. Il 22 marzo 1910 fu rappresentato a Milano, al teatro Manzoni, dalla compagnia Talli-Melato-Giovannini, Il crepuscolo degli amanti, scritto in collaborazione con T. Antongini. Seguirono: Le acque, scritto in collaborazione con G. Antonelli e rappresentato a Roncegno, nel teatro all'aperto di villa Gerlasch, il 16 ag. 1910 (ed. fuori commercio, Roma 1911); Le rivali, rappresentato a Milano al teatro Manzoni, dalla compagnia Di Lorenzo-Falconi, il 15 dic. 1910 (in Nuova Antologia, 16 dic. 1911);Sempre così, rappresentato a Genova al politeama Margherita dalla compagnia Di Lorenzo-Falconi il 14 febbr. 1911 (Milano 1911); Il sole invisibile, rappresentato a Milano al teatro Manzoni dalla compagnia Ruggeri il 22 dic. 1911. Le vie della salute venne rappresentato qualche mese dopo la morte dell'autore al teatro Paganini di Genova, dalla compagnia Palmarini-Grassi, il 20 febbr. 1913 (Roma 1919).
Le vie della salute è un dramma che oscilla fra la comicità e la satira: si svolge in un sanatorio e ironizza sui professori universitari e sui medici in particolare. L'ironia ha un tono peculiare se si pensa che il B. lo scrisse poco prima di morire, consunto dalla tisi.
A queste opere va aggiunta una riduzione del Pelléas et Mélisande di Maeterlinck e un soggetto cinematografico, Sardanapalo re dell'Assiria, realizzato nel 1910, che aveva vinto il primo premio al concorso cinematografico di Milano.
Del B. restano, incompiuti o inediti, novelle, romanzi, poesie; e inoltre le commedie La cognata,Il Padre eterno,Nella casa dei morti (che avrebbe dovuto essere l'epilogo della trilogia Gli atei), e i drammi Le due vite,L'eterno dolore,Machiavelli (in collaborazione con D. Niccodemi) e Il pozzo della verità (in collaborazione con G. Antona Traversi).A distanza di tempo l'opera del B. rivela un interesse prevalentemente documentario, da inserire nella generale condizione della letteratura italiana della crisi del positivismo. Il suo tentativo di un teatro idealistico e psicologico è compiuto sì sotto l'insegna di Ibsen, ma si è ormai concordi nel ritenere il suo ibsenismo un puro riferimento di comodo. È un Ibsen a rovescio: polemizza contro la ragione, la scienza, gli ideali democratici, in nome di un "vago e dolciastro spiritualismo" (Sapegno). I suoi personaggi vivono le loro idee e la loro vita "finché interviene una forza sospensiva della loro azione e spalanca l'abisso" (D'Amico): tale forza è di solito la morte e il cambiamento è subitaneo; sono tutti degli sconfitti e il ritmo di sviluppo è in fondo sempre lo stesso. Ma la tecnica e l'onestà del mestiere sono notevoli e l'azione scenica non è mai statica: solo che il B. crea esattamente il prodotto che il pubblico provinciale e borghese dell'Italia settentrionale dei primi del '900 gli chiedeva, e nei modi più consoni a tale pubblico. In una lettera a C. Antona Traversi il B. ha enunciato la sua poetica teatrale: "da un lato ridare al teatro il suo carattere letterario, che aveva perduto a traverso tante vicende e tanta decadenza di scrittori e di pubblico; dall'altro scegliere argomenti significativi, specifici, atti a suscitare idee e discussioni d'idee. E noto che io chiamo letterario ciò che è poetico; né mi pare che sia opera d'arte l'opera in cui non vi sia poesia e pensiero" (cfr. C. Antona Traversi, p. 169); ma al di là delle sue dichiarazioni, l'opera del B. trova il suo limite nell'essere semplice riflesso di una società superficiale, borghesemente placida e inquieta. Il Diario attesta la sua onesta inquietudine, ma al tempo stesso ne conferma la scarsa incisività.
Bibl.: Tra le opere generali si veda B. Villanova d'Ardenghi, Ilteatro neoidealistico, Palermo 1908, pp. 11-58 e G. Bellonci, Ilteatro del Novecento (in Storia del teatro italiano, a cura di S. D'Amico, Milano 1936, pp. 318 s.). Di rilievo, tra le "voci" d'enciclopedia, quelle di L. D'Ambra(Encicl. Ital.) e di A. Fiocco(Enc. dello Spett.). Si vedainoltre L. Zuccoli, prefazione a Il vortice, Milano 1893; D.Oliva, prefazione a L'utopia, Milano 1894; U. Ojetti, Alla scoperta dei letterati,Milano 1895, pp. 103-120; E. Flori, Il teatro di E. A. B., Milano1902; A. Lalia Paternostro, Studi drammatici (Autori e Attori), Napoli 1903, pp. 127-144; M.Muret, La littérature italienne d'aujourd'hui, Paris1906, pp. 127-144; L. Zuccoli, E. A. B., in Corriere della Sera, 27 nov. 1912; U. Ojetti, prefazione a Intermezzo poetico, Milano 1921; C. Levi, E. A. B., conbibliografia delle opere e della critica, in Rivista teatrale italiana, XVI (1912), pp. 321-337; G. Cucchetti, E.A. B. tra l'arte e la vita, Milano 1914; G. A. Borgese, E. A. B., in La vita e il libro, s. 1, Torino 1910, pp. 125-127; C. Mansueti, Nel teatro e nel pensiero di E. A. B., Milano 1915; M. Bernardi Romani, Studiocritico dell'opera di E. A. B., Roma 1920; A. Tilgher, La scena e la vita, Roma 1925, pp. 121-125; G. Ruberti, Storia del teatro contemporaneo, II, Bologna 1928, pp. 641-649; L. Tonelli, L'evoluzione del teatro contemporaneo in Italia, Milano 1936, pp. 193-200; A. Gandolfo, E. A. B., Palermo 1929; C. Fusero, Tristezza di E. A. B., in Meridiano di Roma, 19dic. 1937; H. L. Norman, A possible source of E. A. B.'s Castello del Sogno, in Modern language notes, 4 apr. 1937; S. D'Amico, Il teatro italiano del '900, Milano 1937, pp. 20 23, 320; B. Croce, E.A. B., in La Critica, XXXVII (1939), pp. 105-10; C. Antona-Traversi, La verità sul teatro italiano dell'Ottocento, Udine 1940, pp. 161-172; I. Sanesi, La commedia, Milano 1954, pp. 444-450, 734 s.; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, I, 1911-1923, Torino 1951, pp. 118-121; J. Guerrero-Zamora, Historia del teatro contemporaneo, IV, Barcelona 1967, pp. 221-223; P. Ferrari, E. A. B. nel teatro del secondo Ottocento, Padova 1971.