Enrico Betti
Enrico Betti fu uno dei più importanti matematici italiani del 19° sec.; ottenne risultati rilevanti in vari campi di ricerca: l’algebra, con gli studi sulla risoluzione dell’equazione di quinto grado, la teoria di Galois e gli invarianti, la topologia, dove introdusse gli invarianti numerici che portano il suo nome, la teoria dell’elasticità e del potenziale. Contribuì a creare la scuola matematica pisana, tra le più importanti nell’Italia postunitaria, insegnando per oltre trent’anni in quella università; diresse lungamente la Scuola Normale Superiore ed ebbe incarichi di governo nel campo della pubblica istruzione. Preparò importanti manuali e diresse riviste scientifiche di notevole rilevanza, collocandosi con la sua molteplice attività tra i protagonisti della rinascita in dimensione europea della ricerca matematica italiana.
Nato a Pistoia il 21 ottobre 1823, Betti perse il padre molto presto; dopo gli studi superiori si iscrisse all’Università di Pisa, e per i propri meriti ottenne anche un posto come interno in uno dei collegi granducali. A Pisa fu allievo di Ottaviano Fabrizio Mossotti e di Carlo Matteucci, docenti rispettivamente di fisica matematica, meccanica celeste e geodesia, e di fisica sperimentale; nel 1846 conseguì la laurea in matematiche applicate sotto la direzione del professore di algebra dei finiti Giuseppe Doveri (1792-1857).
Nel 1849 divenne insegnante al liceo Forteguerri di Pistoia (lo stesso da lui a suo tempo frequentato). Proseguì le sue ricerche sotto la guida costante di Mossotti, e nel 1850 pubblicò la sua prima opera a stampa di argomento fisico-matematico (Sopra la determinazione analitica dell’efflusso dei liquidi per una piccolissima apertura, «Annali di scienze matematiche e fisiche», pp. 425-43); si volse poi alle ricerche algebriche, con cui ottenne una certa notorietà anche in campo europeo. In questo periodo, caratterizzato da profonda insoddisfazione professionale e timore di isolamento scientifico, ebbe inizio una proficua corrispondenza con molti tra i maggiori matematici italiani ed europei (Nagliati 2000b; Pepe, in Europa matematica e Risorgimento italiano, 2013, pp. 37-53), con alcuni dei quali stabilì anche rapporti personali diretti.
Insegnò al liceo di Firenze dal 1854 al 1857, quando, alla morte di Doveri, lo sostituì nell’insegnamento universitario a Pisa; due anni dopo fu chiamato alla cattedra di analisi geometrica superiore e, dopo la morte di Mossotti, lo sostituì al corso di fisica matematica (Bottazzini 1983; Nagliati 2000a).
Nel 1858 si recò, con i colleghi pavesi Francesco Brioschi (1824-1897) e Felice Casorati (1835-1890), nei principali centri di ricerca matematica d’Europa, che erano all’epoca Gottinga, Berlino e Parigi. Durante questo viaggio, che viene unanimemente ritenuto un simbolico ingresso della ricerca italiana nella comunità scientifica europea, conobbe tra gli altri il celebre matematico tedesco Bernhard Riemann (1826-1866), che in seguito avrebbe soggiornato a lungo a Pisa per motivi di salute, contribuendo al progresso della scuola che vi si stava sviluppando.
Dal 1865 fu direttore della Normale, dove ebbe tra i propri allievi Ulisse Dini (1845-1918) e Vito Volterra.
Svolse anche attività politica, dopo la diretta partecipazione agli eventi risorgimentali come caporale della Guardia universitaria (di cui l’ormai sessantenne Mossotti era comandante) nella battaglia di Curtatone e Montanara del maggio 1848. Eletto più volte deputato al Parlamento nel collegio di Pistoia, fu nominato senatore del Regno nel 1884, e tra il 1864 e il 1885 ricoprì vari incarichi presso il ministero della Pubblica istruzione.
Fu socio di numerose accademie e società scientifiche, come l’Accademia nazionale dei Lincei di Roma (1851), la Società italiana delle scienze, detta dei XL (1860), l’Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena (1860), la Società reale di Napoli (1863), l’Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano (1864), l’Accademia delle scienze di Torino (1864) e quelle di Berlino, Gottinga, Londra, Stoccolma, e fu decorato al merito civile di Savoia.
Morì nella sua villa di Soiana (presso Pisa) l’11 agosto 1892, dopo una lunga malattia che l’anno precedente l’aveva costretto a interrompere l’insegnamento. È sepolto nel Camposanto monumentale di Pisa.
Così scriveva Volterra nel suo Betti, Brioschi, Casorati: tre analisti e tre modi di affrontare le questioni d’analisi (traduzione di un discorso tenuto in francese il 6 agosto 1900 a Parigi alla seduta inaugurale del secondo Congresso internazionale dei matematici, poi pubblicata in V. Volterra, Saggi scientifici, 1990, pp. 42-60):
Enrico Betti non ricercò mai le cariche pubbliche, e benché deputato e negli ultimi suoi anni senatore, non prese mai una parte attiva, come il collega Brioschi, alla vita politica. Durante i pochi mesi nei quali fu sotto-segretario di Stato per l’Istruzione pubblica rimpiangeva la vita universitaria, la calma di Pisa, le vacanze campestri passate in meditazioni solitarie o in colloqui coi suoi più fidi amici.
Egli non amava infatti profondamente che una cosa sola: la ricerca scientifica disinteressata e mirante ad un elevato fine filosofico; ricerca non intesa a procurare soddisfazioni all’amor proprio, incurante degli effetti che poteva produrre sugli altri, indipendente anche da ogni immediato fine didattico (pp. 45-46).
Furono necessari molti anni a Betti per raggiungere la posizione che gli consentisse di operare secondo questi desideri, e le varie vicissitudini che si succedettero dal 1849, quando per la prima volta gli si prospettò la possibilità di una collocazione universitaria, furono legate probabilmente anche al sospetto con cui il suo impegno risorgimentale era visto dalle istituzioni preunitarie (Nagliati 2000b e in Europa matematica…, 2013, pp. 423-56).
A partire dall’Unità d’Italia si sviluppò il suo contributo alla riorganizzazione degli studi superiori. Tra i primi incarichi va ricordata la partecipazione nel 1861 alla commissione per il codice scolastico unico applicabile in tutta Italia, composta da rappresentanti degli ex Stati preunitari, in cui Betti rappresentava la Toscana insieme al deputato Giambattista Giorgini. L’anno seguente Matteucci lo incaricò, con altri studiosi, delle ispezioni straordinarie nelle scuole secondarie. Nel 1865 fu chiamato come consigliere dal ministro Michele Coppino per un progetto volto alla revisione dei programmi, che portò a un decreto del 1867, ispirato principalmente dal matematico Luigi Cremona (1830-1903) e alle cui richieste corrispondeva l’edizione degli Elementi di Euclide che Betti e Brioschi curarono lo stesso anno.
Dopo questa lunga attività, Betti assunse responsabilità politiche dirette: dal 1867 al 1885 fu membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, membro della Giunta tra il giugno e il luglio 1885, quando divenne vicepresidente del Consiglio stesso, per poco meno di un anno; ricoprì l’incarico di segretario generale del ministero della Pubblica istruzione dal 1874 al 1876 (sostituito da Dini alla direzione della Normale). In questi anni fu anche tra gli autori di un progetto di riforma degli studi di architettura civile. Nel 1871 il ministro dell’Industria Stefano Castagnola chiese al Consiglio superiore per l’istruzione tecnica di studiare un nuovo piano di riforma, e due anni dopo Betti fu tra gli estensori di un progetto per il riordino degli studi di ingegneria a Pisa (che non trovò attuazione), secondo il modello dell’Istituto tecnico fondato da Brioschi a Milano nel 1862.
Betti e Brioschi (come anche Mossotti) sostenevano l’opportunità della creazione di pochi centri di eccellenza. Brioschi, seguendo il modello tedesco, era favorevole all’istituzione di politecnici autonomi dalle università, dotati sia di scuola preparatoria dove apprendere i necessari elementi di matematica, sia di scuole speciali di applicazione legate alle realtà produttive e sociali delle varie province del Regno (Borgato 2009 e in Europa matematica…, 2013, pp. 139-79).
Con la progressiva definizione del percorso scolastico che doveva formare i nuovi maestri e professori attraverso l’istituzione di scuole di magistero presso le facoltà universitarie, Betti modificò il carattere della Normale, trasformandola in un centro di eccellenza nella ricerca. Anche durante le fasi dell’attività politica in cui dovette lasciarne la direzione, il legame con la scuola non si attenuò; la sua partecipazione alla vita del Senato invece non fu mai molto attiva.
Oltre all’organizzazione degli studi, un altro tema rilevante nella costruzione di una ‘scuola’ scientifica nazionale fu quello delle società scientifiche. Condividendo la convinzione che fosse necessaria un’accademia nazionale con sede a Roma, capitale del nuovo Stato, Betti si dichiarò favorevole alla proposta, formulata da Brioschi nel 1874, di fusione della Società italiana dei XL (presieduta dal 1868 proprio da Brioschi) con l’Accademia dei Lincei, proposta che però non si realizzò (Borgato, Paoloni, in Europa matematica…, 2013, rispettivamente pp. 139-79 e 377-91).
Betti si occupò dell’insegnamento anche dal punto di vista didattico, ritenendo necessario un innalzamento della qualità degli studi. Tra i suoi contributi in questo campo si colloca la traduzione nel 1859 del Traité élémentaire d’algèbre (1850) del francese Joseph-Louis-François Bertrand (1822-1900), primo volume di un ipotizzato corso completo, e la citata edizione del 1867, insieme a Brioschi, de Gli Elementi di Euclide con note aggiunte ed esercizi ad uso de’ ginnasi e de’ licei, presentati dai due curatori nell’introduzione come «inimitabile modello di logica e di chiarezza» per insegnare ai giovani la capacità di ragionare e dimostrare; l’opera si inserì in un ampio dibattito sull’opportunità di adottare i criteri di rigore euclidei (Borgato 1981).
Betti non pubblicò invece manuali per i suoi corsi, tranne, nel 1860-61, una monografia relativa al suo primo corso universitario di analisi geometrica superiore, La teorica delle funzioni ellittiche e le sue applicazioni («Annali di matematica pura ed applicata», 1860, pp. 65-159 e 298-310, e 1861, pp. 26-45, 57-70 e 297-336). Giovanni Novi (1827-1866), amico e collega di Betti al liceo di Firenze e a lui succeduto nel 1859 nell’insegnamento di algebra, pubblicò nel 1863 Analisi algebrica, primo volume (e unico uscito dei tre previsti) di un Trattato di algebra superiore da lui firmato ma basato sugli appunti dei corsi di Betti. Le vicende legate all’editoria scientifica si intrecciano qui con le difficoltà, molto avvertite dai matematici italiani dell’epoca, di rendere noti i lavori italiani all’estero e di far conoscere in Italia le più aggiornate correnti di ricerca europee (Borgato, in Europa matematica…, 2013).
A queste ragioni va ricondotta l’azione condotta da Betti con Brioschi, Barnaba Tortolini (1808-1874) e Angelo Genocchi (1817-1899), che portò nel 1858 alla nascita della prima rivista italiana dedicata esclusivamente alla matematica, gli «Annali di matematica pura ed applicata», in prosecuzione degli «Annali di scienze matematiche e fisiche» pubblicati dal 1850 a Roma da Tortolini, sull’esempio delle riviste specialistiche che erano nate nel corso del 19° sec. in vari Paesi europei. Nel 1863 Betti assunse, con il collega Riccardo Felici (1819-1902), la direzione de «Il Nuovo Cimento», rivista di fisica fondata a Pisa nel 1844 con il titolo «Il Cimento» da un gruppo di studiosi tra cui Matteucci, e ripresa poi nel 1855 con il nuovo titolo.
Nel 1871 Betti diede avvio agli «Annali della Scuola Normale – Sezione della classe di scienze fisiche e matematiche», pensati come luogo in cui gli studenti potessero pubblicare le tesi di laurea o abilitazione dichiarate degne di stampa, mentre i docenti conservavano la possibilità di pubblicare negli «Annali delle università toscane», editi dal 1846 come organo delle università di Pisa e Siena (v. G. Tomassini, Gli «Annali» della classe di scienze, «Annali di storia delle università italiane», 2011, pp. 213-20) e di cui Mossotti era uno dei direttori.
Un elemento importante nel processo di formazione della comunità scientifica italiana furono i periodici congressi o riunioni degli scienziati. Troppo giovane per partecipare alla prima serie, che si tenne tra il 1839 e il 1847 in varie città, Betti sottoscrisse con Mossotti e altri una lettera indirizzata alla Riunione straordinaria degli scienziati italiani di Firenze del 1861, con la richiesta di introdurre una tassa di iscrizione per la partecipazione alle riunioni stesse ma, presumibilmente insoddisfatto del livello scientifico degli invitati, non partecipò l’anno successivo al congresso di Siena.
L’attività scientifica di Betti può essere divisa in tre fasi, nell’arco dei circa quarant’anni in cui si svolse: la prima dedicata alle ricerche in campo algebrico, la seconda all’analisi e l’ultima alla fisica matematica.
La prima opera a stampa di Betti, la citata Sopra la determinazione analitica dell’efflusso dei liquidi… (1850), rimase a lungo isolata. Gli interessi di Betti si rivolsero poi alle equazioni algebriche, e in particolare ai risultati del francese Evariste Galois (1811-1832). Nell’ambito della ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti affinché un’equazione algebrica sia risolubile per radicali, Betti diede le formule risolutive per equazioni il cui grado è potenza di un numero primo (partendo, come gli altri matematici dell’epoca, da questo caso, considerato da Galois un’applicazione). Egli pubblicò la prima dimostrazione dei risultati di Galois (da questi enunciati nel 1832 nella nota lettera-testamento scritta la notte prima del duello in cui perse la vita) principalmente nella memoria Sulla risoluzione delle equazioni algebriche («Annali di scienze matematiche e fisiche», 1852, pp. 49-115). Per alcune imprecisioni matematiche, oltre alle difficoltà derivanti dal fatto che era stata scritta in italiano, lingua ormai poco nota nella comunità scientifica internazionale, la memoria di Betti fu mal recepita dall’ambiente matematico europeo, che comunque era a conoscenza del suo lavoro; lo stesso James Joseph Sylvester (1814-1897), matematico inglese e corrispondente di Betti, lo esortò a chiarire alcuni punti oscuri.
Già mentre si occupava della teoria di Galois, Betti andava maturando l’idea del problema della risoluzione analitica delle equazioni per mezzo di funzioni ellittiche, e cominciava a percepire i legami tra la teoria delle funzioni ellittiche e quella degli invarianti e dei covarianti, a cui all’epoca stavano contribuendo, tra gli altri, Sylvester e un altro inglese, Arthur Cayley (1821-1895).
L’argomento diventò per Betti sempre più importante, specialmente dopo l’incontro con Sylvester nel settembre 1854. L’influsso di questi e, per suo tramite, di Cayley, fu decisivo per gli indirizzi di ricerca di Betti negli anni immediatamente successivi. L’interesse verso l’utilizzo della teoria degli invarianti nella teoria delle equazioni portò Betti a considerare problemi diversi e non direttamente connessi alla determinazione di formule risolutive esplicite per l’equazione di quinto grado. Betti ottenne il definitivo riconoscimento internazionale con la pubblicazione di una delle sue memorie su questi temi (Sur les fonctions symétriques des racines des équations) su una delle più importanti riviste europee, la tedesca «Journal für die reine und angewandte Mathematik» (1857, 2, pp. 98-100).
Del problema della risoluzione di quinto grado per trascendenti ellittiche si stava occupando anche Brioschi; la determinazione esplicita delle formule risolutive dell’equazione generale di quinto grado fu ottenuta separatamente nel 1858 dal francese Charles Hermite (1822-1901) e dal tedesco Leopold Kronecker (1823-1891), nel caso di quest’ultimo con il contributo dello stesso Brioschi. Il metodo di riduzione preliminare sui coefficienti dell’equazione, utilizzato da Hermite, traeva origine dal medesimo principio seguito da Betti e si differenziava invece da quello scelto da Kronecker. Hermite conosceva i risultati di Betti, e in una nota della sua memoria ne diede conto (Nagliati 2000b).
Brioschi ottenne poi, nel 1889, la formula risolutiva per l’equazione di sesto grado.
Gli studi di Betti sulle funzioni ellittiche, campo principale delle sue ricerche fino al 1863, non rimasero comunque privi di conseguenze: egli pubblicò nel 1860-61 la citata Teorica delle funzioni ellittiche, sette anni dopo aver dichiarato la sua intenzione di scrivere un trattato sull’argomento, e non prima però di aver assimilato l’opera di Riemann, anche con la traduzione di una dissertazione di quest’ultimo, Grundlagen für eine allgemeine Theorie der Functionen einer veränderlichen complexen Grösse (1851), pubblicata da Betti con il titolo Fondamenti di una teorica generale delle funzioni di una variabile complessa («Annali di matematica pura ed applicata», 1859, pp. 288-304 e 337-56).
In seguito, anche per l’influenza di Riemann (soprattutto durante il soggiorno pisano), Betti si dedicò principalmente alla fisica matematica, esercitando un’enorme influenza sui suoi successivi sviluppi in Italia (Tazzioli 1997; Capecchi, Ruta, Tazzioli 2006; Dell’Aglio, in Europa matematica…, 2013, pp. 181-88). Nel 1866 riprese il problema idraulico, già oggetto del suo primo articolo, nella Memoria sopra la teoria della capillarità («Annali delle università toscane», pp. 5-24).
Diede nuovo impulso alla teoria dell’elasticità negli anni 1872-74, con una serie di memorie dal titolo generale Teoria dell’elasticità («Il Nuovo Cimento», s. II, 1872, 7-8, pp. 5-21, 69-97, 158-80 e 357-67, 1873, 9, pp. 34-43, e 1874, 10, pp. 58-84); in esse formulò un importante teorema di reciprocità che porta il suo nome e che gli consentì di elaborare metodi originali per l’integrazione delle equazioni per l’equilibrio nei corpi elastici.
Scrisse poi la Teorica delle forze newtoniane e sue applicazioni all’elettrostatica e al magnetismo (1879, trad. tedesca nel 1886), trattato sulla teoria del potenziale (argomento a cui aveva già dedicato alcuni articoli apparsi nel «Nuovo Cimento» nel 1863-64), in cui raccolse le teorie precedenti e aggiunse molti risultati originali, dando di questo tema una visione omogenea che avrebbe fatto lungamente testo.
Betti diede un contributo importante anche alla topologia con la memoria Sopra gli spazi di un numero qualunque di dimensioni («Annali di matematica pura ed applicata», 1871, pp. 140-58), rimasta a lungo ignorata, in cui tratta la connessione degli spazi euclidei e in cui giunge a determinare gli invarianti chiamati poi dal francese Henri Poincaré (1854-1912) numeri di Betti.
Opere matematiche, a cura dell’Accademia nazionale dei Lincei, 2 voll., Milano 1903-1913.
N. Virgopia, Betti Enrico, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 9° vol., Roma 1967, ad vocem.
M.T. Borgato, Alcune note storiche sugli ‘Elementi’ di Euclide nell’insegnamento della matematica in Italia, «Archimede», 1981, pp. 185-93.
U. Bottazzini, Enrico Betti e la formazione della scuola matematica pisana, in La storia delle matematiche in Italia, Atti del Convegno, Cagliari (29-30 settembre-1° ottobre 1982), a cura di O. Montaldo, L. Grugnetti, Cagliari 1983, pp. 229-76.
M.T. Borgato, On the history of mathematics in Italy before political ‘Unification’, «Archives internationales d’histoire des sciences», 1992, pp. 121-36.
R. Tazzioli, I contributi di Betti e Beltrami alla fisica matematica italiana, in Atti del XVII Congresso nazionale di storia della fisica e dell’astronomia, Milano-Como (22-25 maggio 1997), Milano 1997, pp. 283-90.
I. Nagliati, Aspetti della matematica, in Storia dell’Università di Pisa, 2° vol., 1737-1861, t. 3, Pisa 2000a, pp. 823-37.
I. Nagliati, Le prime ricerche di Enrico Betti nel carteggio con Mossotti, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», 2000b, pp. 3-85.
La matematica in Italia (1800-1950), a cura di E. Giusti, L. Pepe, Firenze 2001 (catalogo della mostra), in partic. pp. 29-45, 54-61.
D. Capecchi, G. Ruta, R. Tazzioli, Enrico Betti: teoria dell’elasticità. Il testo che ha definito gli standard della teoria matematica dell’elasticità, Benevento 2006.
M.T. Borgato, Continuity and discontinuity in Italian mathematics after the Unification: from Brioschi to Peano, «Organon», 2009, pp. 219-31.
Il carteggio Betti-Tardy (1850-1891), a cura di C. Cerroni, L. Martini, Milano 2009.
Europa matematica e Risorgimento italiano, Atti del Convegno, Pisa (19-23 settembre 2011), Bologna 2013 (in partic. L. Pepe, Matematici italiani e matematici britannici, pp. 37-57; M.T. Borgato, Ricerca matematica e impegno politico nella corrispondenza Brioschi-Betti, pp. 139-79; L. Dell’Aglio, Aspetti innovativi dei corsi di E. Betti: il caso dell’elettrodinamica, pp. 181-88; G. Paoloni, Matematici e istituzioni culturali nell’Italia liberale, pp. 377-91; I. Nagliati, Lettere di Mossotti a Enrico Betti, pp. 423-56).