CALZOLARI, Enrico
Nacque a Parma il 22 febbraio del 1823 da Giuseppe e da Anna Capelletti. Ebbe il suo primo contatto con la musica negli anni della fanciullezza, allorché venne ammesso come chierico cantore nel coro della chiesa di S. Ludovico, che era la chiesa di corte di Parma. Ebbe così la possibilità di mettere in luce le sue attitudini musicali e, affinché potesse seguire un regolare corso di studio, fu affidato dalla famiglia alle cure del maestro Giorgio Burckardt, virtuoso di camera della duchessa Maria Luisa. Il suo naturale talento e la diligenza mostrata nell'apprendimento della tecnica vocale gli permisero di affrontare ben presto il giudizio del pubblico, tanto che nell'aprile 1837, a soli quattordici anni, si esibì in un concerto al teatro Ducale della sua città, riportando un grande successo. Qualche tempo dopo, a fianco del celebre basso Domenico Cosselli, suo concittadino, prese parte a una rappresentazione della Lucrezia Borgia di Donizetti e i consensi ottenuti furono così lusinghieri che la stessa duchessa Maria Luisa volle inviarlo a Milano, perché potesse perfezionarsi nello studio del canto con il maestro Giacomo Panizza. Giunto nel capoluogo lombardo, venne introdotto nei salotti aristocratici della città, ove poté stringere amichevoli rapporti con i personaggi più illustri del mondo della cultura e dell'arte, facilitando così il suo ingresso nel massimo teatro lirico milanese: la Scala. Qui l'11 marzo 1845 (impresario Bartolomeo Merelli) il C. fece il suo esordio nell'Ernani, riscuotendo un successo clamoroso, che gli procurò il favore del pubblico e lo fece entrare nel novero dei più celebri cantanti dell'epoca; ebbe così inizio una luminosa carriera che lo portò sulle scene dei maggiori teatri europei. Infatti il Merelli, con cui aveva firmato un contratto della durata di tre anni, in seguito al trionfo scaligero lo inviò a Vienna, ove il C. fu apprezzato in opere di Donizetti (La figliadel reggimento, Lucia diLammermoor, Anna Bolena, Don Pasquale, Elisir d'amore, Maria di Rohan), di Bellini (LaSonnambula), di Rossini (L'italiana in Algeri,Il barbiere di Siviglia,Cenerentola), di Mozart (Don Giovanni) e di Beethoven (Fidelio), dai ruoli assai diversi per carattere drammatico e vocale, che gli permisero di mettere in rilievo la sua versatilità. Tornato in Italia, si esibì sempre con successo a Brescia, Trieste e Alessandria; stabilitosi a Milano, ove visse fino al 1847, fu di nuovo al teatro alla Scala nelle stagioni 1845-46 e 1846-47, interpretando tra l'altro Riccardoe Zoraide di Rossini, Prova d'un'operaseria di F. Gnecco e varie opere del repertorio donizettiano; il 23 marzo 1847 creò il ruolo di Don Carlo nell'omonima opera di Pasquale Bona, che il compositore, suo amico e ammiratore, aveva scritto per lui. Risale a questo periodo l'amicizia con il tenore G. B. Rubini, che probabilmente gli fu prodigo di consigli e di cui seppe in parte raccogliere l'eredità artistica. Tornato nel 1847 a Vienna, riportò un successo trionfale interpretando, a fianco di Eugenia Tadolini (Kärntnerthortheater), La figlia di Figaro, un'opera nuova di Lauro Rossi. Scritturato a Madrid per la stagione 1847-48, passò poi al Queen's Theatre di Londra, quindi a Bruxelles, ove nella stagione successiva fu acclamato in ruoli rossiniani e donizettiani, e ampliando il suo normale repertorio rappresentò con successo anche La Favorita. Recatosi a Parigi, si esibì dal 1850 al 1852 al Théâtre Italien, facendosi ammirare nel Barbiere di Siviglia, nella Figliadel reggimento, in Elisir d'amore e nell'Otello rossiniano. Nel 1857 fu scritturato stabilmente dalla direzione del teatro Imperiale di Pietroburgo, ove apparve fino al 1875, mentre nel 1862 fu nominato solista dello zar e dal 1870 professore di canto nel locale conservatorio di musica; tornò periodicamente in Italia, ove tra l'altro nel 1864 partecipò ad un concerto al teatro Comunale di Bologna.
Al ritiro dalle scene, si stabilì a Milano; pur amante del lusso e degli agi che le sue floride condizioni economiche gli consentivano, amministrò con grande saggezza il suo patrimonio e investì i suoi capitali in una fiorente industria e vasti possedimenti in Corbetta di Lombardia, che lasciò al nipote Icilio.
Il C. morì il 1º marzo 1888 a Milano.
Interprete intelligente ed efficace, il C. rivaleggiò con i più celebri cantanti della sua epoca; tuttavia se unanimi furono i giudizi nel riconoscere il suo talento artistico, non sempre altrettanto favorevole si manifestò il parere espresso dai critici sulla sua tecnica vocale.
In realtà il C. fu artista di grandi qualità espressive ed ebbe il dono di saper superare i limiti naturali della sua voce in virtù di ammirevole, equilibratissimo gusto interpretativo. Riferisce infatti il Ferrarini che Carlo D'Ormeville, direttore della Gazzetta dei teatri, oltre che poeta, librettista e regista teatrale, abile peraltro nel valorizzare, nella sua qualità di agente e impresario, i migliori artisti della scena lirica italiana, definì la sua voce "leggermente gutturale, ma dolcissima" di una eguaglianza perfetta fino al do acuto, mentre la "sua maestria di cantante" era paragonata a quella di G. L. Duprez e di E. Naudin, tanto che in Francia, sempre secondo le testimonianze del D'Ormeville, Théophile Gautier lo defini "il più tenero e il più melanconico dei cantanti deliziosi".
Spesso paragonato al Rubini, al quale fu legato da profonda amicizia, il C. fu considerato l'ultimo tenore che seppe raccogliere e adattare alla sua sensibilità le tendenze stilistiche di questo grande artista, di cui possedeva soprattutto "l'agilità, la morbidezza, le languide e leggiadre fioriture e in altissimo grado l'espressione pura e accorata" (Enc. d. Spett.); tuttavia il volume e la sonorità della sua voce, peraltro assai calda, furono piuttosto limitati.
Secondo il Fétis fu "l'ultimo tenore di buona scuola italiana" dotato di "un timbro puro e simpatico, unabella emissione di voce (sebbene rovinata dal repertorio verdiano), vocalizzo facile e trillo eccellente". Particolarmente versato per il repertorio leggero, che rimase sempre il più congeniale alle sue qualità vocali e interpretative, non esitò a cimentarsi in opere, come Il Trovatore, il Fidelio, Norma e Lucia di Lammermoor, interpretando ruoli che gli permisero di fare sfoggio di un'espressione più energica ed incisiva.
Fu in definitiva un continuatore della grande tradizione ornamentalistica italiana, rappresentata dalla scuola del Rubini, ma seppe allo stesso tempo creare un suo stile, fatto soprattutto di delicatezza e languore e fu uno di quei cantanti per i quali venne coniato il termine "tenore di grazia", che ai tempi del Rubini non esisteva.
Fonti e Bibl.: A. Mazzuccato, in Gazzetta musicale di Milano, 13 marzo 1845; Id., I Maestri signori Boniforti e Bona, ibid., 28 marzo 1847, p. 98; P. Bettoli, I nostri fasti musicali, Parma 1875, ad Indicem;M. Fetrini, Un celebre tenore parmigiano..., in Aurea Parma, XXV (1941), pp. 67-72; Id., Parma ottocentesca, Parma 1946, pp. 129 s., 155; F. Walker, The Man Verdi, London 1962, p. 44; C. Gatti, Il Teatro alla Scala nella storia e nell'arte (1778-1963) - Cronologia completa degli spettacoli e dei concerti, a cura di G. Tintori, II, Milano 1964, pp. 46 s., 49; Due secoli di vita musicale - Storia del Teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini..., II, Bologna 1966, p. 90; F. J. Fétis, Biogr. uniti. des musiciens, II, Paris 1873, p. 160; Encicl. dello Spett., II, coll. 1539 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 279; Encicl. della Musica Ricordi, I, Milano 1963, p. 370; La Musica, Dizionario, I, Torino 1968, p. 329.