CAPRA, Enrico
Nato a Vicenza alla fine del sec. XVI o all'inizio del XVII dal nobile Giambattista di Carlo e da Chiara Memmo, la sua vita risulta quasi totalmente assorbita da impegni militari, almeno a partire dal 1629, quando, imitato dal fratello Giulio, offre alla Repubblica veneta "di far una compagnia di 100 archibugieri a cavallo". Apprezzando le "qualità" del C. il Senato accetta, il 22 settembre, e lo invia a Mantova assediata. Per quanto in seguito sia più volte ribadito che il C. e il fratello "nell'occorrenze passate di Mantova servirono con molta lor lode", la fiacca e timorosa opposizione veneziana all'intervento imperiale sulla città non poté non riflettersi sul comportamento dello stesso C., di fatto, ma non per sua colpa, scarsamente utilizzato. Molto più favorevole - osserva con rammarico, ad esempio, Annibale Gonzaga - sarebbe stato lo scontro, del 4 febbr. 1630, cogli Imperiali, se le tr compagnie venete, tra cui quella del C., spedite a difesa di Mantova (che peraltro lasciarono, richiamate a Valeggio dall'Erizzo, il 7 febbraio) "fussero sortite" unendosi alla cavalleria mantovana capeggiata da I. A. Trussa (cfr. Quazza).
Se il C. non va confuso con quell'Enrico Capra che, sindaco dei "leggisti" dell'ateneo padovano, si congratulò, nel 1624, col nuovo doge, è invece da identificare con quel "conte Henrico Capra" che, l'8 genn. 1634 prese bestialmente a pugni e poi consegnò alla furia dei "sattelliti" al suo seguito un vecchio "speziale" settantenne, tale Stefano Bisagno, il quale incautamente aveva osato protestare per l'ineducazione d'un suo bravaccio. I rettori di Vicenza, affrettandosi a segnalare il fatto, nel quale il malcapitato per poco non aveva perso la vita, al Consiglio dei dieci, facevano presente che, essendo il C. "soggetto rispettato da gl'altri per la sua famiglia et per le proprie conditioni", era prevedibile "che li testimoni, timorosi d'esser offesi" non avrebbero voluto "deponer la verità". Al che il Consiglio dei dieci replicava, il 13 gennaio, che non doveva essere difficile ottenere "la notitia intiera del fatto, mentre è seguito di giorno e si sa da chi"; ai rettori pertanto il compito di ultimare, "con la corte pretoria", il "processo" sino "alla speditione de' colpevoli del modo che conoscerete richiedere la giustitia".
Il "caso" tuttavia non offuscò la reputazione del C. agli occhi del Senato, il quale accolse l'offerta da lui fatta, mentre militava al soldo dell'elettore di Baviera, nel settembre del 1645, di passare al servizio della Repubblica conducendo con sé un consistente contingente di soldati. E il 27 ott. 1645, incaricandolo di "far una levata di fanti 600 oltramontani", delibera di assumerlo per cinque anni di "fermo" e due di "rispetto", collo stipendio annuo di 700 ducati elevato a 1000, il 12 giugno 1649, in occasione della "ricondotta", Rientrato dunque in patria, il C. è destinato in Dalmazia, ove, giunto nel settembre del 1646, è per breve tempo "governator nella fortezza di S. Nicolò" a Sebenico. Quindi, come risulta da una lettera, del 16 luglio 1647, del provveditor generale in Dalmazia Leonardo Foscolo, adopera "la maggior diligenza... per riddur la città" di Spalato - di cui gli è stata affidata "la soprintendenza... de' Parmi" - in "stato di qualche fortificazione". Si distingue inoltre con "frequenti" e felici "sortite" contro i Turchi. Non altrettanto fortunato l'esito d'una operazione diversiva (occorreva alleggerire Sebenico dalla pressione di Mehemet Techëly) da lui guidata, nel settembre del 1647, sotto Clissa: abbandonato dai soldati, i quali, datisi, contro i suoi ordini, al saccheggio, erano scappati di fronte alla pronta reazione degli assediati, venne catturato. Ne seguì - informa il Foscolo - "la barbara schiavitù" di "mesi 16", alla quale il C. venne sottratto solo dopo la conquista, nel 1648, di Clissa; il Foscolo infatti subordinò la cessione degli ostaggi alla sua liberazione, che peraltro non fu immediata. Dopo una licenza che gli consentì di tornare a Vicenza, il C., alla fine d'agosto del 1650, è di nuovo in Dalmazia e - poiché, sono sue parole, "chi travaglia in guerra" non pretende "mercede maggiore dal principe dell'avanzamento di honore" - chiede, non senza insistenza, "la carica di sargente generale di battaglia" col diritto all'assistenza di "due capitani riformati et un aiutante", Richiesta sostenuta - in considerazione della sua "sviscerata applicatione" e del suo "svisceratissimo zelo" - dal Foscolo e dal suo successore, Girolamo Foscarini, il quale ultimo fa presente, in una lettera del 14 apr. 1651, come, ancora il 27 gennaio, il C. abbia validamente "respinte" le truppe turche "in queste campagne penetrate". Finalmente il C., già gratificato d'una licenza di tre mesi pei suoi "affari domestici" nel 1652, è nominato, in considerazione delle "prove di molto coraggio" da lui fornite, "sargente maggiore di battaglia in Dalmatia". Di qui un indubbio accrescimento d'autorità e responsabilità; la sua opinione è sempre richiesta nelle "consulte" che si tenevano in genere a Zara, nella residenza del provveditore generale, per decidere la linea da seguire. In quella del 19 ag. 1653 il C. sconsiglia mosse preventive, mentre in una "consulta" successiva, del 1º febbr. 1654, meno prudentemente sostiene l'opportunità della conquista di Knin caldeggiata dal provveditor generale Lorenzo Dolfin, smanioso di mettersi in luce con un successo vistoso. "Non deve dubitarsi dell'impresa" - afferma in quella sede il C. - "che sarà importante e di sommo riflesso". Peccava d'ottimismo ché, quando il 12 marzo il provveditor generale alla cavalleria Giovan Battista Benzoni e il C. iniziano l'assedio, la piazza si rivela ben munita e salda, in grado di resistere a un nutrito e prolungato fuoco d'artiglieria; muovono, per di più, in suo soccorso cinquemila uomini. Notizia questa che riempie di terrore i "villici" e i "morlacchi" e induce il Benzoni e il C. a iniziare, il 19, il ripiegamento. Purtroppo, il 20, una imprudente "sortita" della cavalleria (discordi le testimonianze in proposito: alcuni attribuiscono l'ordine al Benzoni, altri al C., altri ancora asseriscono che il capitano dei "carabini" avrebbe strappata al C. quella "licenza" di "sortire" che gli aveva prima negata il Benzoni) provoca uno scontro di vaste proporzioni, con esito disastroso per le armi venete. I Turchi, isolata e battuta la cavalleria, hanno presto ragione della "militia" attestatasi su di una collina e si impadroniscono dell'artiglieria, tra cui la "colobrina" e un "cannone", per fortuna ormai "creppato"; si dirigono quindi verso un'altra "collina, ov'erano le genti pontificie, di barche armate et altre", le quali, precedute da "li morlachi e vilici" già scappati, a loro volta "si posero in disordine e fuga". E il Benzoni, il C. e gli altri ufficiali, "vedendo rotta la cavalleria", prendono "imediate il camino" verso Scardona. Così riferisce il Dolfin al Senato, insistendo sul fatto che il "pregiudicio" è derivato "non da superiorità di forze nemiche o dalla debolezza della militia", ma dal "diffeto de' comandanti che... hanno lasciato correr le cose al precipitio". Indubbia, a suo avviso, la "colpa" dei "comandanti principali", il Benzoni e il C.; versione tendenziosa, dettata dall'evidente intenzione del Dolfin - che per primo e con più sicumera aveva voluta la "mossa" su Knin - di scagionarsi. E come tale sarà in seguito respinta ché, nel "processo" affidato alla Quarantia criminal, verrà "conosciuta l'innocenza" del Benzoni; le espressioni inoltre a proposito del C. d'una delibera senatoria del 25 ott. 1656, laddove si parla del "molto merito" con cui ha militato in Dalmazia, fanno supporre che non sia stata nemmeno presa in considerazione l'ipotesi della sua colpevolezza. Se si considera tuttavia il "ristretto" dell'8 apr. 1654 "di tutta la militia pagata... marchiata in campagna sotto" Knin, da cui risulta che solo cinque uomini dei cinquanta alle dirette dipendenze del C. erano "rittornati dopo la facione", il suo comportamento non appare certo immune dal rilievo d'essersi, quanto meno, poco curato della salvezza dei suoi uomini e troppo preoccupato della propria. Né giovava al prestigio del C. l'accusa - subito trasmessa dal Dolfin al Senato - da parte del "ragionato" Alvise Sansonio di percepire indebitamente "la paga di capitanio d'oltramontani oltre la condotta", mentre, sempre secondo il Sansonio, aveva diritto solo alla seconda; e perciò il puntiglioso "ragionato" calcolava che avrebbe dovuto restituire circa 5.500 ducati. In realtà giustificato o meno che fosse l'addebito grazie al cronico ritardo dei pagamenti, il vero creditore era il C.; tantè vero che, quand era rientrato nel Veneto almeno da un anno, il Senato, il 25 ott. 1656, incaricava i "ragionati ducali" di fargli avere "la paga di colonnello d'alcuni mesi" che egli "avanza".
"Ricondotto" il 20 marzo 1657, il C. è dapprima destinato all'"ubidienza" del provveditor generale a Candia, che peraltro non raggiunge, preferendo il Senato, il 22 novembre, inviarlo "all'ubbidienza" del provveditor generale delle tre isole del Levante "con patenti di governator sopra tutte le militie e stipendiati". Dell'attività del C. in tale veste si ricordano in particolare la revisione accurata, nella primavera-estate del 1658, delle fortificazioni di Zante e due ponderate "scritture", del 26 e 31 maggio 1659 - ispirate al ragionevole criterio che "l'esporsi con sbarco in paesi di prepotenti al debole non complisse l'intraprese insuperabili" né attirasse "l'applauso... de' prudenti" - che valsero a trattenere il provveditore generale, Marcello da due avventati tentativi in Albania per impadronirsi di Butrinto e Valona. Sempre più cattive, purtroppo, le sue condizioni di salute: una "doppia terzana" accompagnata da "dolori acutissimi di capo" e da continui disturbi di fegato lo affligge per tutta l'estate del 1659; "è ridotto", scrive al Senato il rettore di Corfù Giacomo Canal, il 31 ott. 1659, "in stato compassionevole", Col permesso del Senato, il C. parte nel febbraio del 1660; ma in patria non si ristabilisce se il Senato, il 30 marzo 1661, gli proroga la licenza per malattia. Ed il C. doveva, probabilmente, morire di lì a poco; non si ha infatti notizia d'un suo ritorno alla carica.
Il C., che non s'era sposato, non ebbe eredi diretti. Il fratello Giulio, maritatosi con la nobile vicentina Camilla Cerato, ne aveva avuto due figli: Vincenzo e Giovan Battista. Triste la sorte della sorella Zenobia, ché il marito, Giulio Thiene di Alessandro, venne ucciso, il 3 ag. 1640, nelle carceri di Padova, ov'era prigioniero, dai fratelli Francesco e Ludovico Capra figli di Orazio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci di provveditori da terra e da mar, filze 463, lett. del 30 sett. 1646; 464, lett. del 16 luglio 1647 con allegata "supplica" del C.; 466, lett. del 1º apr. 1648; 468, lett. del 6 marzo e 19 maggio 1649; 469, lett. del 1º dic. 1649; 470, lett. del 5 e fine settembre (con allegata lett. del C.), 3 e 28 novembre (con allegata "supplicatione" del C.) 1650; 471, lett. del 14 apr. 1651 con "scrittura" del C.; 472, lett. del 14 sett. 1651, 18 apr. 1652; 474, lett. del 21 giugno e 23 ag. 1653; 475, lett. del 20 e 24 marzo, 26 apr. 1654; 476, lett. del 14 giugno e 28 luglio 1654; 691, lett. del 21 giugno 1647; 1167, lett. del 28 aprile, 16 e 25 maggio, 4 agosto, 4 settembre (con allegata "supplicatione" del C.) 1658; 1168, lett. del 26 maggio (con allegata "scrittura" del C.), 2 giugno (con altra "scrittura" del C.) 1659, 4-febbr. 1659 m.v.; 1169, lett. dell'11 giugno 1660; Ibid., Senato. Dispacci Dalmazia, filze 51, lett. del 20 febbr. 1647; 52, lett. del 7 e 14 giugno 1647; 54, lett. dell'8 luglio 1649; 55, lett. del 16 febbr. 1649 m.v.; Ibid., Senato. Dispacci Corfù, filza 29, lett. del 29 ag. 1658, 4 agosto (con allegata "instanza" del C.) e 31 ott. 1659; Ibid., Senato. Dispacci Zante, filza 22, lett. del 24 giugno 1658; Ibid., Senato. Mar, regg. 110, cc. 82r, 156v; 112, c. 300v; 113, c. 41r; 114, c. 140r; 117, c. 272v; 120, c. 253v; 121, cc. 45v-46r, 281r; 123, c. 220r; 127, c. 27v; Ibid., Senato. Terra, regg. 102, c. 323v; 131, cc. 387r-388v; 132, cc. 14v, 53r; 138, c. 206r; Ibid., Senato. Relazioni, busta 77, rel. del 16 febbr. 1660 di Marin Marcello; Ibid., Cons. dei Dieci. Parti comuni, reg. 83, c. 308r; Vicenza, Bibl. civica Bertoliana, G. da Schio, Memorabili (ms.), sub voce Capra, tav. XI; Ibid., Gonzati 26.8.8: B. Bressan, Genealogiadi famiglie vicentine,sub voce Capra, tav. V; Ibid., Gonzati 26.8.4: F. Tomasini, Genealogie vicentine, I, sub voce Capra; Ibid., Bibl. capitolare, ms. T. I. 3: G. A. Cappellari Vivaro, Emporio universale..., III, n. 450; A. Vernino, Della historiadelle guerre di Dalmatia... Venetia 1648, pp. 101-102, 149; Sertonaco Anticano [Antonio Santacroce], Frammenti istorici della guerra in Dalmazia, Venetia 1649, pp. 206, 279; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra Veneziani e Turchi..., I, Bologna 1674, pp. 135, 161, 239; A. Valiero, Istoria della guerra di Candia, I, Trieste 1559, pp. 101, 129, 279, 281; R. Quazza, La guerraper la successione di Mantova e del Monferrato…, II, Mantova 1926, pp. 40, 44 n.; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 71 (ove il C. figura, erroneamente, come Alessandro).