CARDILE, Enrico
Nacque a Messina il 19 marzo 1884 da Salvatore, impiegato, e da Santa Barbera. Ultimo di sette figli, fece studi tecnici, di ragioneria, sebbene la sua vocazione fosse diversa. Sognatore fin da ragazzo, attratto dalle meraviglie della natura, amò ben presto le lettere. Sposatosi giovanissimo, frequentò con altri coetani G. A. Cesareo che molto contribuì alla sua formazione e che egli considerò sempre come maestro. Ammiratore del Carducci, la cui opera giudicava "quanto di meglio ha prodotto la nostra poesia dopo Dante e dopo Foscolo", fu attratto anche dal Pascoli, che allora insegnava a Messina, e dal D'Annunzio. Egli s'impegnò nel tentativo di una poesia di indirizzo "simbolista" di cui pubblicò numerosi saggi nella rivista messinese d'avanguardia - Ars Nova, espressione di un gruppo di giovani letterati di cui il C. faceva parte, fra i quali dominava intellettualmente A. Toscano, anche egli poeta. Con Toscano, il C. fondò, nel 1900, un giornale letterario, Le Parvenze, che ebbe brevissima vita.
Il gruppo del C., nel quale non si coltivava soltanto la poesia con intenti innovatori, ma si discuteva di letteratura classica e orientale e di filosofia indiana, si chiamò "cenacolo simbolista" giovani attivi ed entusiasti la cui concezione dell'arte era fondata su principi non lontani da quelli dei filosofi francesi contemporanei, Bergson e Boutroux. In relazione a questo tirocinio, il C. venne in seguito considerato il fondatore della scuola simbolista italiana. L'interesse per i poeti francesi del secondo Ottocento, vale a dire per gli esponenti più autorevoli del simbolismo europeo, fu del resto molto vivo tra i componenti il cenacolo messinese. Ne è riprova l'attiva opera di divulgazione esercitata a favore dei simbolisti francesi e in particolare di Mallarmé. In tal senso questo "movimento simbolista messinese", o "movimento simbolista latino", come venne poi definito, può essere considerato precursore della poesia italiana che si sviluppò successivamente, avendo a premessa quelle medesime esperienze delle quali aveva scritto, per primo in Italia, V. Pica (1999).
Il C. affermò più tardi che in lui e nei suoi amici era "una sacrosanta avversione per l'afflosciamento positivista, materialista, socialista che ancora in quel tempo infestava la cattedra, la letteratura e la scienza" (Messina di l'altrieri, conferenza tenuta a Messina nel gennaio 1927) e parlò pure di avversione agli ispiratori dell'opinione pubblica e alla democrazia governativa.
Il terremoto di Messina del 28 dic. 1908 segnò la fine del cenacolo, molti componenti essendo rimasti vittime del cataclisma. Il C. vi perdette i genitori e le sorelle.
Sensibile qual era stato ai sentimenti politici del Pascoli con la fede nel bello e nella libertà a coronamento di un patriottismo di generiche radici ideologiche, il C. sentì in particolare il problema dell'irredentismo, documentato inizialmente da un articolo esortativo: Per i giovani italiani (in Aquila latina [Messina], 5 dicembre del 1902). Di questo idealismo non di rado polemico è facile seguire la linea ascendente nella sua opera poetica a partire da Parvula (Messina 1899) con soluzioni, più che altro, di facile psicologismo, e poi attraverso la produzione immediatamente successiva: l'ode A Roma (ibid. 1901), Le Apocalissi (ibid. 1904, con presentazione di T. Cannizzaro), Il Carme imperiale (ibid. 1904) e I Canti (ibid. 1907), dove si colgono evidenti progressi in fatto di linguaggio poetico.
Nell'ambito del clima decadente, l'idealismo del C. accoglie spesso motivi insoliti nella poesia di tale corrente, con aperture, per esempio, verso i problemi del popolo e in genere la tematica civile; manifestazioni che incontrarono approvazioni entusiastiche, come da parte di L. Capuana e di G. P. Lucini che al C. dedicò il suo Carme di angoscia e di speranza (Milano 1909), oppure critiche severe e persino aspre. Ma tutto ciò rimase in gran parte entro confini regionali; altrove, il C. fu quasi ignorato dalla critica più autorevole.
Divenuto, intanto, impiegato dell'Ufficio distrettuale delle imposte, il C., dopo una permanenza in Lucania, venne trasferito a Palermo dove ben presto s'inserì nella vita culturale cittadina (cfr. del C. stesso Palermo di l'altrieri, in L'Ora, 22 genn. 1941). L'ambiente, per quanto provinciale, contava notevoli personalità di cultura quali G. Pitrè, G. E. Nuccio, G. A. Cesareo e F. Orestano, dal quale egli ebbe affettuosi incoraggiamenti. Il C. vi dette vita, insieme con F. Biondolillo, a una rivista d'avanguardia, Corbaccio, e fu, tra l'altro, in polemica con P. Mignosi ed E. Arculeo, promotori del periodico I nuovi romantici, che era la fedele espressione delle loro idee religioso-filosofiche. Il gruppo culturale cui partecipava il C. teneva a modello, facendosene all'occorrenza oppositore, i gruppi fiorentini del Leonardo, della Voce e di Lacerba, e il C. ebbe attestazioni di stima da parte di G. Prezzolini e G. Papini.
L'espansione del futurismo lo interessò dopo un primo tempo di diffidenza ed egli dette la sua adesione sollecitato più da ragioni generali che specifiche, vale a dire da una persuasa esigenza di rinnovamento culturale. Rimase, comunque, un "caso" non proprio ortodosso, né fu il solo, e il suo contributo più vistoso fu una violenta stroncatura del Manzoni (A. Manzoni, Milano 1910, per l'ediz. della rivista Poesia di Marinetti), che voleva significare l'inizio di una battagliera campagna contro i "tabù" letterari. Altrettanto polemico fu in quel tempo verso critici e studiosi quali B. Croce, A. D'Ancona, V. Morello, G. Ferrero, D. Oliva, G. A. Borgese, E. Cecchi, G. Bellonci. Nell'aprile del 1911 Marinetti, parlando a Palermo, lo citò tra i poeti futuristi locali accanto a F. De Maria ed A. Mazza.
Il C. si dissociò dall'azione marinettiana nel 1912 dopo la pubblicazione del "Manifesto tecnico della letteratura futurista", dichiarandosi pubblicamente estraneo alla compilazione dello stesso. Secondo lui (cfr. Io e il futurismo, in Determinazioni, Palermo 1915), il futurismo autentico era da vedersi nell'opera di G. P. Lucini che pure si era distaccato dal movimento di Marinetti. Rivendicò questa priorità nei confronti dei "lacerbiani" per cui ebbe una violenta polemica con Papini: questi con articoli su Lacerba e il C. su Vela latina (Napoli).
Il Lucini, prossimo alla morte, indicò il C. come suo erede spirituale e gli affidò l'opera Antimilitarismo, rimasta inedita perché sequestratagli in bozze.
Fedele ai propri sentimenti, il C. partecipò alla prima guerra mondiale col grado di capitano d'artiglieria e combatté sul fronte, dove venne ferito. Alla fine del conflitto tornò nella sua isola e riprese il proprio ufficio a Catania dove svolse anche, dal 1918 al 1921, attività giornalistica collaborando al Giornale dell'Isola, del quale fu pure redattore.
Inseritosi nella vita culturale catanese (fra gli esponenti più in vista erano allora i giovani G. Villaroel, F. Caioli, T. Manzella e A. Prestinenza e, a numi tutelari, G. Verga ed F. De Roberto), il C. fece in questo periodo numerose traduzioni a principiare da quella di Un coup de dés di Mallarmé (Il Poema, Napoli 1920) e altre dal latino, dall'inglese e ancora dal francese, nonché dall'armeno della poesia allora abbastanza nota di Hrand Nazariantz, che aveva conosciuto, tramite il Lucini, prima della guerra, e al quale si legò di affettuosa amicizia, facendosi paladino in Italia della causa del popolo armeno.
Ai primi del 1923 il ministro dei Lavori Pubblici G. Carnazza chiamò il C. a dirigere la propria segreteria particolare. Dopo un breve soggiorno a Roma, egli venne inviato in Sicilia quale amministratore straordinario del comune di Giarre; poi tornò al ministero finché il Carnazza non venne sostituito (luglio 1924). Intanto uscirono la raccolta di poesie Sintesi (Catania 1923) che riscosse notevoli consensi e Il trattato della Quinta Essenza ovvero de' Secretidi Natura di Raimondo Lullo (Todi 1924), che è uno studio sulla ricerca sperimentale del Lullo. Nel 1925 il C. venne chiamato a Messina come amministratore giudiziario di una azienda giornalistica e alla fine di quel medesimo anno ebbe la direzione del quotidiano locale Gazzetta di Messina e delle Calabrie, che da giornale democratico qual era diventò organo del partito fascista. Nel 1927 il giornale cessò le pubblicazioni e il C. ottenne un posto a Taormina, fuori dell'attività militante, e poté così dedicarsi a studi che da tempo lo stavano conquistando: la storia delle religioni e in particolare di quella ebraica, del magismo e della cabala. In questo medesimo periodo pubblicò un saggio su L'Umanesimo (Bologna 1929), che definì "fondamento spirituale del genio italico" e un trattato su problemi di estetica considerati in ambito sperimentale, Esegesi del mistero poetico (Lanciano 1931), assai discutibile ma non privo di originalità e che incontrò un certo successo.
Il C. vi si richiama a quel "mistero poetico" di cui S. Péladan era stato assertore a proposito dei poeti parnassiani e simbolisti (cfr. il suo art. Spiegazione di un libro, in Il Regime fascista [Cremona], 2 marzo 1932).
Nel '32, sempre per esigenze d'ufficio, tornò a Catania dove prese a collaborare al Popolo diSicilia. Nel frattempo pubblicò un volume di novelle, Amore,tuo piccolo errore (Catania 1934) e un saggio filosofico, La filosofia della tradizione e l'opera di Paul Vuillaud (ibid. 1934). Il suo eclettismo lo aveva orientato anche verso la linguistica e la glottologia, da cui l'interesse per il Vuillaud, studioso della lingua ebraica e in particolare della cabala.
Nel marzo del 1935 si trasferì a Siracusa e fu questa la sua ultima tappa con l'intervallo di una breve permanenza a Palermo nel 1940, dove collaborò al quotidiano locale L'Ora, lanciando strali contro gli ermetici e altri scrittori allora in vista, assecondando certamente, con tale atteggiamento, la politica culturale del regime imperante. Nel '41, in una poesia intitolata La Scienza, previde l'avvento della bomba atomica. Nel dopoguerra partecipò - mantenendo la sua posizione di esteta animato da un estremo idealismo - all'attività di un gruppo di giovani letterati siracusani impegnati in un generico ritorno alla "poesia". Deluso, anche sotto l'influsso degli eventi, di quelle correnti di pensiero che lo avevano attratto in precedenza, rivolse la sua attenzione più che mai alle antiche civiltà dell'Oriente e alle scienze esoteriche (cfr. il Rapporto sulle cose divine, Siracusa 1946), occupandosi fra l'altro dell'opera di R. Guénon (v. Un nuovo libro di Guénon, in La Gazzetta [Siracusa], 17 apr. 1946).
Morì a Siracusa il 13 marzo 1951.
Oltre quanto già citato, si segnalano, nel settore poetico: Ode al re (Messina 1907) e Ferrea corona (Teramo 1915), e in quello della critica: L'istrumentazione verbale (Napoli 1916). Da H. Nazariantz ha tradotto: I sogni crocefissi (Napoli 1916), Lo specchio (Bari 1920), Vahakn (ibid. 1920), Il grande canto della cosmica tragedia (ibid. 1946); da P. Adam, Basile et Sophia (Catania 1921) e da G. Linze, Il poema (in Graal, II [1947]). Ha lasciato inedite traduzioni di testi sull'occultismo: Preziosità cabalistiche (1925-36); traduzioni di una scelta del Sēpher hazühar (1928); La Bibbia cabalistica (1930); Gesù Cristo e il Nuovo Testamento di J. Heibling (1944); La vita del Santo Issa di N. Notovitch (1946) ed una raccolta di poesie: Il deserto e le stelle (1949).
Fonti e Bibl.: G. P. Lucini, Ragion poetica e progr. del verso libero, Milano 1908; Id., Convers. manzoniane, in Crit. ed arte (Catania), 10 apr. 1911; Id., Lett. a S. Munzone, in La Ragione (Roma), 11 maggio 1911; G. Bellonci, in Il Giorn. d'Italia, 2 febbr. 1911; F. T. Marinetti, Lettera al C., in Tripoli ital., febbraio 1912; P. Mignosi, Romanticismi nuovi, in L'Ora (Palermo), 20 giugno 1913; G. Prezzolini, Un anno di "Lacerba", in La Voce, 28 genn. 1914; P. Falchi, Lettera a C., in La Forca (Firenze), 1914; G. Papini, Marinettismo, in Lacerba, 21 febbr. 1915; G. De Robertis, in La Voce, 30 apr. 1915; G. Gori, in Vela latina (Napoli), 30 maggio 1915; G. A. Cesareo, in Giorn. di Sicilia (Palermo), 30 nov. 1921; F. Caioli, E.C., in Riv. d'oggi (Palermo), ottobre 1922; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei. Diz. bio-bibliografico, Napoli 1922, pp. 84, 430; F. Surico, E.C., in Le Lettere (Roma), 22 ott. 1923; V. Piccoli, in Il Secolo (Milano), 19 genn. 1924; P. Mignosi, II mago e il santo, in La Cavalcata (Modena), marzo 1924; G. Casati, Dizionario degli scrittori d'Italia (Dalle origini fino ai viventi), II, Milano, 1926, p. 64; P. Mignosi, La poesia italiana di questo secolo, Palermo 1929; T. Baldacci, Poeti siciliani: E. C., in Il Giorn. d'Italia, 15 febbr. 1929; G. Cavicchioli, in Corriere padano (Ferrara), 8 marzo 1930; P. Gorgolini, Italica, I, Torino 1930, p. 347; F. Caioli, in Il Giorn. d'Italia, 24 ott. 1930; G. Leonardi, Mistero poetico e umanesimo, in Il Popolo di Romagna, 21 nov. 1931; O. Macri-A. Gatto, Testimonianze su C., in Letteratura, IV (1938), pp. 75 s.; N. Lazzara, Incontro con C., in Domani (Catania), 13 dic. 1948; E. Falqui, Nuvole sul Parnaso, in Il Tempo (Roma), 11 luglio 1950; F. De Maria, G. Lipparini ed E. C., in Corriere di Sicilia (Catania), 20 marzo 1951; A. Carratore, Ricordo di C., in Sicilia (Catania), 23 marzo 1951; R. Frattarolo, Anonimie pseudonimi, Caltanissetta-Roma 1955, p. 71 (Cinicus); L. Reale, E.C., tesi di laurea, istit. univer. di magistero di Catania, anno accademico 1966-67 (ricca di notizie, ma eccessivamente apologetica).