CAYADO, Enrico
Nato a Lisbona nella seconda metà del sec. XV da Alvaro e da una Anna, rientra nel novero dei tanti umanisti della letteratura italiana tardoquattrocentesca per il suo breve ma fondamentale soggiorno in Italia, durante il quale pubblicò numerose egloghe, silvae, epigrammi e rime in latino.
Il padre, Alvaro, le cui origini non dovevano risalire ad antica nobiltà, guadagnò gloria e fama combattendo per terra e per mare, tanto che la sua famiglia poté diventare illustre e ricca di onori. Ebbe un secondo figlio di nome Ludovico, che, diventato arcidiacono, è citato nei versi del fratello che lo rimproverava bonariamente per il suo eccessivo desiderio di maggiori cariche ecclesiastiche. Alcuni altri versi del C. offrono sufficienti prove della esistenza di rapporti più che formali con alcuni esponenti della corte portoghese, anche se le dediche a Giorgio, figlio naturale del re Giovanni II (1481-1495) e al successore di questo Emanuele (1495-1521) o i versi a Giacomo de Sousa, legato del re, come quelli a vari altri cavalieri portoghesi sono, sul pianoformale, il segno di un costume letterario di stampo feudale caratterizzato da uno spirito encomiastico ed elogiativo proprio di tanti umanisti.
Prima di intraprendere il suo viaggio in Italia il C. aveva avuto come maestro di lettere classiche prima Gonçalo Rombo e poi il siciliano Cataldo Parisio, antagonista di Raffaele Regio e precettore del principe Giorgio, che egli sempre stimò e ammirò. È probabile, come si ricava dalla dedica di alcuni versi al suo maestro, che il Parisio affidasse al C. il compito di coadiuvarlo nell'educazione del giovane Giorgio. Comunque fu merito di questo umanista italiano l'aver saputo far nascere nel C. tanta passione per i classici e di aver guidato la formazione tecnica, culturale e intellettuale del futuro poeta.
Nella prima metà del 1494 il C. è a Firenze con il chiaro intento di perfezionare la propria educazione umanistica alla scuola del Poliziano (che morirà nel settembre di quello stesso anno). Probabilmente in questi ultimi mesi della vita del maestro i contatti fra i due devono essere stati, se ci sono stati, molto superficiali dal momento che nessuna testimonianza diretta ne è rimasta. Ciò non toglie tuttavia che per la morte del celebre poeta anche il C. compose, come molti altri, un epitaffio che è, insieme con l'epigramma Ad A[gnelum] Polit[ianum], la testimonianza della sua ammirazione per il maestro. Documento importante della sua presenza in Italia è quanto scrive Lelio Giraldi, il quale, avendolo conosciuto personalmente, ci tramanda un rapido ritratto del portoghese: grande di corpo e allegro nel parlare. Un ricordo del C. è rimasto anche nel Ciceronianus di Erasmo, il quale afferma di averne apprezzato l'armonia degli epigrammi nonché l'abile facilità di costruzione delle orazioni.
Alla fine di ottobre del 1494 ereditò l'insegnamento del Poliziano Marcello Virgilio Adriani al quale si affezionò particolarmente il C.; ne sono documenti la lettera che gli scrisse da Bologna (pubbl. dal Pellizzari) e un epigramma Ad Marcellum Virgilium (il XXV dell'ed. bolognese del 1501), prova tangibile di un rapporto fatto di familiarità e di rispetto.
Dal 23 gennaio del 1495 il C. si trovava a Bologna, dove si trasferì per imposizione del suo tutore Nonio e per ubbidienza allo stesso re Emanuele affinché potesse seguire gli studi di diritto. In molti suoi versi di questo periodo egli espresse con chiarezza la volontà di non abbandonare la poesia per lo studio del diritto, dimostrando di fatto che era in grado di far coesistere le due attività. Obbedì dunque a Nonio, "domus nostrae columna", e agli ordini del re frequentando le lezioni di diritto, anche con una certa rassegnazione. Quattro suoi epigrammi, che si possono leggere in fondo all'edizione di alcune opere del celebre giurista della scuola bolognese Andrea Barbazza (morto nel 1480), dimostrano una certa conoscenza del diritto. Tuttavia il C. seguì nello stesso tempo le lezioni di Filippo, Beroaldo il Vecchio cui dedicò un'egloga, e riuscì anche a farsi accogliere nella società colta di Bologna. Fu in relazione con il protonotaro apostolico Galeazzo Bentivoglio, con Mino de' Rossi, dictator della città, e con molte personalità più o meno famose dell'epoca, fra le quali ricordiamo Gian Francesco Aldrovandi, Bartolomeo Barbazza, l'Urceo, Filippo Beroaldo il Giovane, Costanzo Claretti de' Cancellieri. Frequentò inoltre le famiglie dei Pepoli e degli Albergati. A Bologna stampò due volte le sue egloghe conquistando tanta celebrità da vederne recitate due, sotto forma di brani teatrali, in casa dell'inglese Robert Langton, nella villa di Mino de' Rossi, e in quella detta dei Camaldoli di Galeazzo Bentivoglio.
Nel 1497 egli abbandonò Bologna per Ferrara. Il fatto era frequente e normale per questi studenti che passavano con facilità da uno Studio ad un altro e lo provano i fratelli Texeira, legati al C. da stretta amicizia, portoghesi come lui, presenti ugualmente in entrambe queste città. Nella nuova residenza il C. poté frequentare la corte estense e conoscere Pandolfo Collenuccio, Antonio Tebaldeo, Celio Calcagnini, Tito ed Ercole Strozzi, Pietro Antonio Acciaiuoli, oltre al Ripa e ad Alberto Tassino. Il C. interruppe questo suo soggiorno ferrarese per un viaggio a Rovigo, dove forse si trattenne dalla fine del 1499 alla fine dell'agosto 1500. Da Rovigo è datata (5 genn. 1500) la lettera di dedica di una sua composizione al nobile veneto Zaccaria Contarini, podestà e capitano della città, al quale prometteva anche un futuro poema "non rurestre sed urbicum", di cui però non si hanno tracce e che forse non scrisse mai. Di questo soggiorno non ci sono tramandate altre informazioni, ma si può supporre che durante questo tempo egli avesse appreso la notizia dei lavori di bonifica fatti eseguire nel Polesine da Ermolao Barbaro che viene lodato in un'egloga, anche se non fu conosciuto di persona.
Tornato a Ferrara, il C. si trovò a dover affrontare seri problemi economici perché evidentemente Nonio aveva diminuito di molto le sue elargizioni. Non riuscì così a terminare i suoi studi giuridici coinvolto più che mai negli otia letterari. Allora entrano nei suoi epigrammi i lamenti per la povertà dei poeti e le speranze di ottenere doni e ricompense ai suoi elogi poetici da parte dei potenti. Pietro Antonio Acciaiuoli, precettore di corte, deve aver fatto qualcosa per il C. se in un componimento viene definito "Maecenas meus".
L'analisi dell'opera latina del C. dimostra come lo stile dei suoi versi accolga tutta la lezione della migliore tradizione classica accanto agli inevitabili modelli offertigli dalla letteratura contemporanea (come si è detto, viva nei suoi versi è la presenza dell'alta lezione polizianea, accanto a quella del mediocre Battista Mantovano, autore di egloghe caro ad Erasmo). Ma è bene precisare che il suo latino non si limita all'uso della lingua aurea, ma si sa colorare e si qualifica culturalmente come abile esercizio retorico con la presenza spesso sapiente, ma talvolta eccessiva, di forme appartenenti alla bassa latinità, con l'abbondanza di costrutti esplicitamente irregolari.
L'ultima notizia certa che lo riguarda testimonia la presenza del C. a Padova nel 1505 dove egli si reca per recitare l'orazione in morte del giurista Francesco Fazio. Messe quindi da parte le notizie risalenti a fonti poco attendibili sul suo ritorno in Portogallo e sulla sua morte in una località vicino Lisbona o a Benfica, resta la importante tesi dello stesso Erasmo, che nei suoi Adagi afferma di aver conosciuto a Roma un intellettuale portoghese di nome "Hermicus" che morì di "vinaria angina" dopo che, stando a letto per una lieve febbre, ebbe bevuto abbondantemente del vino corso su consiglio dell'inglese Christopher Fisher.
Senza poter stabilire se l'epitaffio che Erasmo compose su richiesta degli amici romani per un bevitore di vino si riferisca al C. o meno, ci sono sufficienti elementi per affermare che egli terminò la sua vita a Roma e che perciò è un falso il testo di un oracolo che gli si è attribuito risalente al 1505 diffuso nella sua patria. Ora, se è vero che Erasmo non fu a Roma prima del 1509, si può affermare che il C. trascorse proprio in questa città gli anni compresi tra il 1505 e il 1509 e che da questo anno in poi è lecito collocare la data della sua morte.
Delle opere del C. si conoscono le seguenti edizioni: Henrici Cavadi Lusitani Aegloga pria, Bononiae 1496; Aeglogae et sylvae et epigrammata, ibid. 1501; Oratio habita publice Patauii..., Venetiis 1504; Oratio in laude iuris prudentiae, Patavii 1504; Oratio cum epistola ad Lodovicum Leonem, Venetiis 1507; Corpus illustriumLusitanorum, I,Lisboa 1745; una edizione moderna è quella fornita da W. P. Mustard, The eglogues, Baltimore-London 1931.
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