CHIARADIA, Enrico
Nato a Caneva (Pordenone) il 9 novembre 1851 da Simone e Antonia Cordenonsi, venne orientato dal padre verso le discipline tecniche. Studiò a Monaco, a Vienna e a Milano, laureandosi in ingegneria all'università di Padova. Ma la sua vocazione era la statuaria, particolarmente in auge a Roma, dove fioriva, sulla spinta delle commissioni degli organi politici e burocratici, una plastica celebrativa e ufficiale. Trasferitosi nella capitale, frequentò la bottega di Giulio Monteverde. I temi obbligati dell'unità nazionale portavano inevitabilmente alla retorica e all'accademia; ma il C. cercò ristoro nella tradizione classica e nella stagione barocca di Roma, contemperando questi suggerimenti col realismo assorbito nella terra d'origine e nel mondo germanico.
Il vigoroso Caino presentato alla I Esposizione di Torino nel 1880 suscitò qualche dubbio, unito però a un senso di curiosità e di apprezzamento per la carica fantastica e l'abilità tecnica. Nel 1883 partecipò a Udine al concorso per il monumento a Garibaldi con un bozzetto molto ambizioso che raffigurava l'incontro di Teano coi due protagonisti a cavallo; probabilmente anche ragioni di spesa consigliarono di preferire l'opera di Guglielmo Michieli, con la sola figura dell'eroe in piedi. Nello stesso anno esibì all'Esposizione di Roma una statua muliebre con un bambino intitolata Peccavi, in cui la condiscendenza romantica era soverchiata dalla foga del dettato, che tradiva l'indole dello scultore autentico.
Tra il 1881 e il 1884 fu impegnato nella decorazione dello scalone del palazzo Franchetti di Venezia, progettato da Camillo Boito sul Canal Grande, e vi eseguì, con modellazione impetuosa, i medaglioni allegorici con l'Arte, l'Industria, l'Agricoltura e il Commercio. In seguito preparò un bozzetto per un equestre a Vittorio Emanuele, esposto a Venezia e ammirato per la grandiosità classica dell'ispirazione, e realizzò un incisivo busto di Garibaldi, fuso in bronzo per la città di Conegliano.
Intanto nel 1885 era stato bandito il concorso per la statua equestre di Vittorio Emanuele II da collocare al centro del Vittoriano, oggi Altare della Patria, progettato da Giuseppe Sacconi a ridosso del Campidoglio per celebrare l'Unità d'Italia. La gara andò a vuoto quattro volte. Al quinto esperimento (si era ormai nel 1889), la commissione reale assegnò l'incarico al C. con undici voti su sedici, imponendo qualche leggera modifica al bozzetto (per la vicenda, cfr. E. Retrosi, Alcune riflessioni sul concorso per la statua equestre di Vittorio Emanuele, in Arte e storia, VII [1888], pp. 49 s.; VIII [1889], p. 83).
La realizzazione dell'opera fu lunga, e travagliata per le pretese del Sacconi che la statua equestre si adeguasse al timbro classicistico-decorativo del suo monumento, come reclamava la cultura borghese del tempo (fra l'altro, lo stesso Sacconi voleva il re con la feluca e la tunica), e per le indecisioni della commissione. Alla morte del C., il modello venne affidato per alcune modifiche a Emilio Gallori, finché nel 1905 la commissione, ritornando sulle sue decisioni, convenne sull'opportunità di passare alla fusione l'originale del C., limitando l'intervento, del Gallori - come egli stesso ammise - alla sola revisione delle cere. Naturalmente la gestione faticosa e contrastata e la prematura scomparsa del C., che non poté dare il tocco calibratore all'opera (il gigantesco bronzo misura dodici metri), lasciarono traccia sulla sua unità e coerenza. Del resto, come il quadro storico era ormai superato da una ricerca di linguaggio, così la scultura non poteva più identificarsi col monumento. Osserva il Lavagnino: "Come mettere d'accordo l'imperversante realismo plastico, cui era ancora legato il C., con un'opera il cui valore avrebbe dovuto risiedere essenzialmente nella potenza di un ritmo che isolasse la pura forma plastica dal farraginoso ambiente in cui doveva campeggiare?".
Tra gli altri suoi brani scultorei si ricordano: una Figura di donna, presentata all'Esposizione di Torino nel 1887, particolarmente apprezzata per l'eleganza dei contorni; il monumento a Cavour eretto a Padova nel 1888, di gusto semplice ma espressivo (criticato per la scarsa somiglianza); la Madonna del Rosario collocata nel 1892 nella chiesa arcipretale di Caneva, alta quasi due metri, resa con un atteggiamento mistico e patetico; e un busto di Umberto I esistente nella Casa di riposo di Pordenone.
Il C. morì a Caneva il 3 ag. 1901.
Sempre tormentato da una profonda ansia di ricerca, che cozzava coi pregiudizi della società del tempo, ma non sempre sorretto da una vigile coscienza critica, il C. si qualifica scultore nato soprattutto quando segue la congeniale disponibilità veristica, anche se in chiave classicheggiante, eludendo la facile oratoria romantica.
Fonti e Bibl.: A. Picco, Scritti vari 1851-1896, Udine s.d., pp. 23 s., 228; La Patria del Friuli (Udine), 22 febbr. 1888; 13 ott. 1892; 5 ag. 1901; 2 e 5 giugno 1911; 9 ott. 1911; L'Illustrazione italiana, 12 maggio 1889, pp. 285-286; 26 maggio 1889, p. 326; 11 ag. 1901, p. 96; 1ºsett. 1901, p. 152; 30 marzo 1902, pp. 248-252; A. De Gubernatis, Diz. degli artisti ital. viventi..., Firenze 1906, p. 120; Nuova Antologia, 1º apr.1907, pp. 555-557; F. Sapori, Scultura italiana moderna, Roma 1949, p. 32; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, pp. 671-672; G. Marchesini, Annali per la storia di Sacile, Treviso1957, p. 280; A. Forniz, Il travaglio dell'arte nella temperie ottocentesca, in Pordenone, Torino1969, p. 276; Id., Arte poco nota dell'Ottocento nel Friuli Occidentale, San Vito al Tagliamento1971, pp. 15 s., 108; F. Geraci, Èdi un friulano il re a cavallo dell'Altare della Patria, in Il Friuli, giugno 1976, p. 18; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 484.