ENRICO (Rigo, Rico) d'Arezzo
Non si hanno notizie certe sulla data di nascita, né sulla sua formazione e sull'attività pittorica fino agli anni 1343-1344, quando E. ricopri un ruolo di non secondaria importanza nelle iniziative promosse da Clemente VI nel palazzo dei papi ad Avignone. Forse è identificabile con il "Rigonis pictoris de Aretio" (cfr. Pasqui, 1917-18), padre di Donato, anch'egli pittore aretino, e capostipite di una famiglia di pittori.
Tale identificazione non è tuttavia completamente convincente, come ebbe già a dubitare il Donati (1968), nonostante le precisazioni documentarie offerte dalle erudite ricerche del Del Vita (1913) e del Pasqui (1917-18), all'inizio del Novecento. Il Del Vita riconosceva nel "Rigo di Luca" ricordato da A. Albergotti nelle sue Notizie sugli uomini illustri aretini (sec. XIX) il pittore che insieme con Giovanni d'Arezzo dipinse nel sec. XIV in Avignone. Il Pasqui apportò ulteriori precisazioni alle generiche notizie del Del Vita e aggiunse, ai documenti già resi noti dall'Ehrle (1890) relativi all'attività avignonese di "Rigo", notizie tratte dagli archivi toscani, ricostruendo una sorta di albero genealogico relativo ad una famiglia di pittori aretini operosi nel corso di tutto il sec. XIV. E. sarebbe dunque figlio di Luca, padre del pittore Donato, autore insieme con Gregorio d'Arezzo di un trittico bifronte, conservato nella chiesa di S. Stefano a Bracciano, firmato e datato 1315. Sia E. sia Donato risultano già morti nel 1350. Donato ebbe a sua volta un figlio pittore, Luca, già morto nel 1378 e questi i figli Fiorano, Donato medico e Rico pittore, quest'ultimo certamente da identificare con il "Rigo di Luca" ricordato dall'Albergotti (sec. XIX) come operoso ad Avignone nel 1396.
I documenti prodotti dal Pasqui (1917-18) si riducono tuttavia a due citazioni che riguardano E. solo indirettamente. Il primo, rintracciato nell'Archivio di Stato di Firenze, è del 15 sett. 1324; in esso si dice che "Donatus pietor filius Rigonis pictoris" prende in prestito da Vanni batitore due fiorini d'oro. Mentre il documento dal quale ricaviamo un termine ante quem per la data di morte del pittore risale al 28 luglio 1350; vi si legge: "Constat, ut dicitur, publico instrumento manu ser Vannis olim domini Francisci notarii de Aretio, quod Donatus pictor olim Rigonis pictoris de Aretio, promisit et convenit Simoni olim Betti Alberti scudellarii aretino civi dare et solvere sex florenos de auro ex causis in ipso instrumento contentis"; detto Simone avendo ricevuto 16 fiorini "a Luca pictore filio olim dicti Donati" fa quietanza al debitore. Da ciò si desume che anche Donato, presunto figlio di E., nel 1350 risultava già morto.
Se il "Rigo" che partecipò all'impresa avignonese negli anni 1343-1344 è identificabile con il padre del pittore Donato d'Arezzo, all'epoca dei lavori nella residenza papale doveva essere ultrasessantenne. Questa soluzione, pur non da escludere, lascia tuttavia piuttosto insoddisfatti.
La presenza di E. ad Avignone si limita ad un arco di tempo assai breve, due anni circa, periodo in cui egli risulta tuttavia coinvolto ampiamente in tutte le iniziative intraprese per la decorazione pittorica del palazzo. Il maggior numero di documenti che lo riguardano sono stati resi noti dall'Ehrle (1890) e ampliati dall'André-Michel (1916). A quest'ultimo spetta infatti il merito di aver individuato il primo intervento di E. nella residenza papale il 23 die. 1343, quando fu pagato per la decorazione della scala a chiocciola del palazzo "per quam ascenditur de stufa ad capellam domini pape novam super gardamraubam" (André-Michel, 1916). La costruzione della torre detta appunto della Guardaroba fu una delle prime imprese promosse da Clemente VI appena salito al soglio pontificio.
Addossata a quella degli Angeli, dove il suo predecessore, Benedetto XII, aveva stabilito la camera da letto, doveva servire ad ingrandire gli appartamenti personali del nuovo pontefice, che volle anche stabilirvi la propria camera da letto abbandonando almeno parzialmente quella benedettina. Terminata la costruzione se ne iniziò subito la decorazione. Vi lavorò un nutrito gruppo di pittori francesi e italiani e tra essi spicca il nome di "Rigo" d'Arezzo.
Di li a pochi mesi E. era impegnato direttamente nella camera del pontefice, quella "magnam cameram attiguam magno tinello", nella camera cioè detta del Paramento, per la quale il 26apr. 1344 furono pagati a "Rigo" e a maestro Niccolò da Firenze "pro se et eorum sociis" ben 200 fiorini (Ehrle, 1890, p. 628). L'intervento del pittore aretino nella camera del pontefice si prolungò per buona parte del 1344. Riteniamo perciò che egli abbia avuto una parte non secondaria nell'esecuzione dell'intero complesso decorativo accanto ad altri artisti come Pietro da Viterbo ed al più noto fra tutti, Matteo Giovannetti.
Dalla documentazione esperita risulta che il 6 sett. 1344 furono pagati a "Rico" d'Arezzo e Pietro da Viterbo 26fiorini "pro pretio de dipingendo aliam partem garderaube domini nostri, videlicet celo de azurio cum stellis et parietes, sicut alia pars extitit". A singolare però che nella attuale decorazione della stanza non vi sia traccia di stelle. Il 28settembre dello stesso anno leggiamo ancora: "solvimus Riconi de Aressio pictori pro pingendo introitum camera domini nostri, cuius opus continet XVII cannas" (Ehrle, 1890, p. 629).
E. fu certamente uno dei maggiori collaboratori italiani di Matteo Giovannetti, impegnato nella decorazione della camera della Guardaroba fin dal 22 sett. 1343 (Castelnuovo, 1962, p. 44) con un ruolo di guida della équipe di artisti che vi lavorarono.
La camera cosiddetta della Guardaroba doveva risultare originariamente uno degli ambienti più affascinanti nella splendida residenza che i pontefici, a partire da Benedetto XII, edificarono ad Avignone. Utilizzato come studio e camera da letto del papa Clemente VI, reca una decorazione, ancora parzialmente conservata, che illustra una serie ininterrotta di soggetti profani legati al gusto vivace e alle inclinazioni terrene del pontefice e della sua corte. Vi sono raffigurati sullo sfondo di una lussureggiante natura i vari aspetti della caccia e della pesca e una ricca fauna che attestano la modernità dei pontefici avignonesi e degli artisti che li circondavano, testimonianza rilevante per la storia della rappresentazione della natura nella pittura occidentale. Tuttavia nel XIX secolo la camera della Guardaroba venne scialbata e la decorazione riapparve solo nel 1906. Malgrado la ricca documentazione archivistica abbia restituito i nomi dei molti artisti ampiamente impegnati nella decorazione del palazzo papale, è oggi difficile immaginare la molteplicità della cultura figurativa avignonese di quel tempo perché gran parte delle opere è andata distrutta o dispersa. Molti nomi di pittori emersi dai documenti restano privi di una fisionomia artistica: è il caso di E. e di Pietro da Viterbo. In mancanza di sicuri autografi di questi due artisti non vi è modo infatti di assegnare all'uno o all'altro dei due le diverse parti della decorazione della camera sebbene una certa distinzione di segno, piuttosto che di concezione, questa dovuta quasi sicuramente alla mente direttiva del Giovannetti, sia ancora leggibile. Una acuta e vigile attenzione naturalistica domina infatti alcune parti delle scene di caccia e di pesca, mentre in altre è evidente l'impiego di fitte ombreggiature, come nella figuretta di ragazzo arrampicato su di un albero di fico sulla parete occidentale della camera. Altrove il grafismo spiccato e una marcata bidimensionalità hanno fatto scorgere l'intervento di un aiuto francese, forse quel Robin de Romans o Pierre Resdol la cui attività è anch'essa documentata nella camera della Guardaroba (Castelnuovo, 1962, p. 45).
Fonti e Bibl.: F. Ehrle, Historia Bibliothecae Romanorum pontificum…, Roma 1890, pp. 627 ss.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 1, Milano 1911, p. 128; A. Del Vita, Documenti su antichi artisti aretini, in L'Arte, XIV (1913), p. 230; R. André-Michel, Les fresques de la garde robe du palais papal d'Avignon, in Gazette des beaux-arts, s. 4, XII (1916), p. 310 n. 1; U. Pasqui, Pittori aretini vissuti dalla metà del sec. XII al 1527, in Rivista d'arte, X (1917-1918), pp. 39 ss.; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 543; M. Laclotte, Lécole d'Avignon, Paris 1960, p. 36; B. Guillemain, La cour pontificale d'Avignon (1309-76): étude, Paris 1962, p. 714; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone, Torino 1962, ad Indicem; Id., Matteo Giovannetti e la cultura mediterranea, Milano 1966, ad Indicem; P. P. Donati, Per la pittura aretina del Trecento, in Paragone, XIX (1968), 215, p. 39 n. 18; L'art gothique siennois (catal.), Firenze 1983, p. 98; M. Laclotte-D. Thiébaut, L'ecole d'Avignon, Paris 1983 (recens. di F. Sricchia Santoro, in Prospettiva, 1986, 44, p. 80); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon…, XXVIII, p. 355 (s.v. Rigo d'Arezzo).