MONZA, Enrico da
MONZA, Enrico da. – Nacque a Milano alla fine del XII secolo, dall’omonima famiglia residente presso la chiesa di S. Tommaso in Porta Comacina.
È ricordato per la prima volta il 7 febbraio 1225 come membro del Consiglio di Credenza di Milano, scelto per giurare il cittadinatico davanti agli ambasciatori del Comune di Vercelli, che offrivano ai milanesi proposte di alleanza politica. Nel 1229 raggiunse Tortona, dove il Comune, mentre era in pieno svolgimento la lite politica con Genova, gli aveva offerto la carica di podestà, al posto del concittadino Pagano da Pietrasanta, che aveva avuto una condotta ambigua. Temendo un accordo di alleanza tra Genova e Milano, Tortona spinse Enrico a legarsi a Pavia e il 27 luglio egli compromise nelle mani del podestà pavese la possibilità di mediare le questioni che opponevano Tortona a Genova; i podestà delle tre città si ritrovarono il giorno seguente a Gavi per attribuire al collega di Pavia potere di pronunciare un arbitrato. Enrico cercò di evitare che Tortona passasse al campo imperiale, a cui era legata Pavia, ma la sua azione risultò vana e nel dicembre 1231 Federico II premiò l’adesione dei tortonesi all’Impero con un precetto che attribuiva loro il controllo stradale verso la Liguria.
Tre anni più tardi, il 5 agosto 1232, in qualità di credenziere milanese Enrico fu designato come ambasciatore di Milano presso il podestà di Novara, per riferire le condizioni di pace dettate dal podestà milanese Pietro Vento, al fine di concludere la guerra che da anni insanguinava le città di Novara e Vercelli. Con l’espletamento di questi incarichi, divenne esperto dei problemi politici relativi all’area occidentale del territorio lombardo. In questo modo è possibile spiegare la sua presenza a un incontro, tenutosi il 9 marzo 1233 nel nuovo palazzo del Comune di Milano, in cui si discusse una causa vertente tra il Comune di Vercelli e il cittadino milanese Ugo Prealone, in precedenza podestà dei vercellesi, il quale nelle operazioni belliche aveva perso alcuni cavalli e chiedeva che il danno gli fosse rimborsato.
Nel 1234 Enrico fu eletto comandante della Società dei Forti, un’associazione militare formata da giovani milanesi esperti nell’arte del combattere, che aveva come scopo la difesa del carroccio durante le battaglie. Un commentatore degli Annales Mediolanenses riferisce che Enrico era soprannominato Mettefogus, cioè uomo capace di attizzare l’ardore di combattimento, e che era di eccezionale robustezza fisica ed eccellente uomo d’armi. La sua esperienza militare servì nel 1237, quando Milano gli affidò il comando delle truppe inviate in aiuto dei bresciani, assediati da Federico II. A fine novembre, dopo aver liberato Brescia dall’assedio, Enrico spostò l’esercito da Manerbio, oltre l’Oglio, verso Cortenuova per inseguire l’imperatore che fingeva di ritirarsi a Cremona. Ma il sovrano il 27 novembre attaccò i lombardi mentre si trovavano in netto svantaggio. Si combatté per l’intera giornata attorno al carroccio, difeso a oltranza dalla Società dei Forti e dal suo capo, ma al calar della notte i milanesi preferirono abbandonare il carro di guerra.
La sconfitta dell’esercito milanese spinse numerose città padane ad abbandonare l’alleanza con Milano. Occorreva porre freno ai tradimenti e dare sicurezza ai tradizionali alleati, cioè Genova, Brescia, Piacenza e Bologna. A tal fine Enrico divenne per l’anno 1238 podestà di Piacenza. Organizzò subito nuove fortificazioni per la città, che dopo la sconfitta di Cortenuova era minacciata dalle truppe imperiali di stanza a Pavia e a Parma, riadattando i fossati esterni al muro di cinta e facendo incendiare e distruggere l’abitato di Borgonuovo in Valtidone per paura che Federico II lo utilizzasse come struttura offensiva contro Piacenza. Nella stessa primavera occupò il castello della Croce, da poco ceduto dal vescovo di Bobbio agli imperiali marchesi Malaspina. Infine attaccò le truppe del sovrano presso il castello lodigiano di Orio, che fu conquistato. In agosto, poiché Federico aveva ripreso ad assediare Brescia, Enrico inviò in aiuto della città un esercito di mille cavalieri (milites). Minor fortuna ebbe una spedizione con molti balestrieri nel territorio cremonese: i piacentini furono sorpresi dai milites del marchese Lancia, che si recavano all’assedio di Brescia, e furono sconfitti.
A Piacenza Enrico realizzò anche una riforma monetaria, facendo coniare dei grossi d’argento, il cui valore era pari a sei denari e di cui esisteva anche un sottomultiplo, pari al valore di tre denari, detto mezzano. Per sostenere la riforma monetaria e per far fronte alle spese militari Enrico impose una tassa straordinaria di 1519 lire milanesi, da suddividersi sull’estimo dei cittadini e da pagare in quattro rate. L’imposta colpiva sia il capitale mobile, formato da introiti in moneta, in ragione di tre denari per lira milanese di estimo, sia i beni immobili, per i quali si chiedeva la corresponsione di tre quarteroni di cereali per ogni lira di estimo.
A fine dicembre 1238 Enrico abbandonò Piacenza, ove fu sostituito dal milanese Goffredo da Pirovano. Nel 1240 fu chiamato a reggere come podestà il Comune di Genova. Gli Annali della città riportano anche la composizione della sua familia podestarile, che era costituita da due milites, Lantelmo Medico e Amizone Canavesi, e da due giudici, il consanguineo Arnoldo da Monza, a cui erano affidati i processi penali, e il milanese Ubertino da Niguarda, esperto in diritto civile.
La podesteria di Enrico si collocava in un momento delicato della vita politica della città, che nel biennio 1237-1238 era passata dal campo imperiale a quello papale. Il tradimento era stato punito da Federico II nel 1238 con la revoca delle concessioni date dai sovrani al Comune, che ebbe però come conseguenza l’intensificazione dei rapporti con la Chiesa romana, ufficializzati l’11 ottobre 1239 in occasione della firma di un trattato con Venezia. Seguendo questa linea politica, Enrico sollecitò al papa uno scritto di garanzia politica e il 9 giugno 1240 Gregorio IX inviò ai genovesi una bolla solenne, con la quale assicurava i cittadini che, in caso di pace tra la Chiesa e l’Impero, il papa avrebbe richiesto che fossero restituiti alla città tutti i privilegi sospesi nel corso del 1238. Poi Enrico patrocinò un trattato di alleanza tra Genova, Piacenza e Milano, sottoscritto nella città ligure il 7 settembre e preceduto da una conferenza tra gli ambasciatori delle tre città per discuterne le condizioni. Il 27 agosto si convenne che Enrico e i genovesi non avrebbero fatto pace con Federico II, mentre avrebbero recato aiuto militare ai milanesi e ai piacentini. Inoltre Enrico si impegnava a non ospitare a Genova i ribelli delle due città e a inviare a spese dei genovesi per due mesi 150 balestrieri a Milano e altrettanti a Piacenza. Da parte loro i milanesi e i piacentini avrebbero inviato a loro spese per due mesi 200 milites a Genova al fine di ricuperare alla causa della Chiesa romana i centri costieri della Liguria. A incoraggiare la realizzazione dell’alleanza partecipò anche il legato papale in Italia settentrionale, Gregorio da Montelongo, che soggiornò a Genova dal luglio 1240 all’aprile 1241. In questa occasione il legato predicò una crociata contro gli imperiali, promettendo ai combattenti crocesegnati la remissione di tutti i peccati in caso di morte, come se si fossero recati in Terrasanta. Gli aiuti militari forniti dalle città alleate e la giustificazione ideologica, assicurata dal legato papale, permisero a Genova di recuperare l’intera Riviera di Ponente, con l’esclusione di Savona e di Albenga.
In rapporto a questo territorio il Liber iurium riporta un accordo tra Genova e la comunità di Porto Maurizio, confermato l’8 marzo 1241 ma realizzato al tempo della podesteria di Enrico, per il quale la città, dopo aver accettato la sottomissione del centro minore, perdonava le offese ricevute, prometteva di difendere la località contro gli imperiali e di risarcire i danni in caso di guerra. Viceversa Porto Maurizio avrebbe potuto elaborare statuti autonomi, mentre Genova prometteva di non edificare fortezze o borghi, tranne che sull’altura sovrastante la località alleata. Enrico inoltre garantiva alla stessa gli antichi privilegi, come quello di tenere il mercato settimanale, di esigere la gabella del sale e di essere centro di amministrazione della giustizia. Tuttavia il podestà del luogo doveva essere nominato da Genova tra i cittadini genovesi. Infine Enrico richiese che il piccolo Comune fornisse marinai per armare mezza galea. L’accordo si concluse con una promessa di remissione di tutti i danni arrecati da Porto Maurizio ai luoghi di Cervo, Diano, Oneglia.
Il ritorno di Porto Maurizio all’obbedienza genovese determinò la reazione degli imperiali. Nel novembre 1240 il marchese Manfredo Lancia assediò il castello di Pietra Ligure, che il vescovo di Albenga aveva restituito a Genova, mentre Oberto Pelavicino, vicario imperiale in Lunigiana, penetrava con un esercito nel territorio genovese di Levante e ne occupava i centri fortificati. Enrico ne fu informato il 15 novembre e subito decise di inviare un esercito contro gli imperiali. A fine novembre la spedizione, guidata da lui stesso, costrinse il Pelavicino ad abbandonare il Levante, le cui fortezze sui confini della Lunigiana furono rafforzate. La difesa di Pietra Ligure fu organizzata invece da Lantelmo Medico, uno dei due milites del podestà, che combatté contro il marchese Giacomo del Carretto, signore di Finale Ligure, il quale aveva tradito i Genovesi. L’11 dicembre Enrico mosse con l’esercito verso Finale e il 16 dicembre decise di attaccare la città ribelle di Savona e di occupare il monte sovrastante l’abitato. Impadronitosi dell’altura, ordinò alla flotta di sbarcare sulla riva, ove si combatté a lungo senza alcun successo. Solo il 20 gennaio 1241 furono riprese le ostilità contro il marchese, ma Enrico preferì affidare le truppe a due capitani genovesi, i quali, unitisi ai Piacentini, devastarono le terre di Savona. Il 3 febbraio 1241 Enrico lasciò la podesteria e il comando dell’esercito al piacentino Guglielmo Surdo.
Ritornato a Milano, Enrico vi rimase per il biennio 1241-1242, durante il quale organizzò la resistenza contro Federico II. Il 17 giugno 1242 approvò l’accordo tra l’arcivescovo eletto, Leone da Perego, e il podestà di Milano Ludovico Grimaldi.
L’intesa tra i due poteri era finalizzata all’acquisizione di capitali utili a finanziare la guerra contro l’imperatore e prevedeva di concedere in pegno ai prestatori il tesoro della Chiesa di San Giovanni di Monza, per il quale Milano forniva la fideiussione. La decisione fu presa dal Consiglio Generale il 10 marzo 1242 e in quella seduta Enrico fu designato, insieme ad altri nove cittadini, per offrire garanzie di restituzione del tesoro all’arcivescovo.
Non sappiamo nulla sull’attività di Enrico tra il giugno 1242 e il marzo 1246, quando fu eletto podestà di Vercelli. La città, dopo aver abbandonato il partito imperiale nel 1243, era stata governata dal milanese Guglielmo da Soresina, il quale il 10 marzo 1246 abbandonò Vercelli e trascinò con sé a Milano alcuni ostaggi come garanzia per la liquidazione del suo stipendio, in quanto si era rifiutato di sottostare alle operazioni di sindacato.
Le ragioni della rottura tra Soresina e il partito politico che in quel momento governava Vercelli erano probabilmente legate a una trattativa del podestà, sostenuto dalla Società di Sant’Eusebio, una fazione dello schieramento guelfo, con un gruppo nobiliare guidato dai Bicchieri e dai Bondoni, aderenti allo schieramento che sosteneva Federico II. Temendo un tradimento, la Società guelfa di Santo Stefano, che aveva interessi contrari a quella di Sant’Eusebio e a Soresina, attuò un colpo di stato e costrinse il podestà a fuggire.
Il 13 marzo 1246 il partito al governo offerse la carica podestarile a Enrico, che chiese l’aumento di un quarto rispetto al precedete salario e ottenne uno stipendio annuo di 1000 lire imperiali. Ottenuto quanto richiesto, Enrico entrò in città con la sua familia, formata da un miles e da due giudici, il consanguineo Pietro da Monza e Uberto da Niguarda, che lo aveva già servito a Genova.
Subito riconfermò il bando contro tutti gli aderenti all’imperatore e per approvare il provvedimento convocò anche i Duecento rappresentanti dei Paratici. Durante la riunione una parte della Società di Santo Stefano si scisse e dette origine alla Società della Comunità e i rettori delle due nuove istituzioni si fecero attribuire dalla Credenza il potere di riformare gli Statuti. Essi approvarono disposizioni di pagamento a quelli che vantavano crediti nei confronti del Comune e ai cittadini che avevano versato numerose quantità di oro e di argento, cedute al marchese di Monferrato per convincerlo ad abbandonare il partito imperiale. Infine fu dato mandato al podestà di impegnarsi affinché il Comune acquisisse la giurisdizione sugli uomini e sulle terre del vescovo in tutta la diocesi, o almeno sui beni episcopali e sugli uomini di Casale e dei territori ubicati oltre il Po. Due settimane più tardi Enrico iniziò una lunga trattativa con Milano per raggiungere un accordo di reciproca difesa, estensibile al contermine Comune di Novara. L’azione diplomatica ebbe successo e il 13 aprile i milanesi giurarono di non attaccare i castelli vercellesi e di convincere i Novaresi a fare altrettanto. La pressione di Milano su Novara obbligò quest’ultima città, nemica di Vercelli, ad accettare una alleanza con la città rivale.
Enrico abbandonò la carica podestarile il 1° aprile 1247, dopo essersi assicurato che a succedergli fosse chiamato il consanguineo Rumoldo da Monza, per assicurare una continuità politica al gruppo guelfo al potere e per garantirsi da una possibile scomunica per aver danneggiato l’abbazia novarese di S. Silano di Romagnano. Infine Rumoldo era obbligato a saldare i creditori del Comune per i debiti che Enrico aveva contratto a favore della causa della Chiesa durante il mandato.
Dopo la morte di Federico II, Enrico fu chiamato come podestà per l’anno 1252 a Bologna, dove si impegnò a stringere legami con Milano e con la Chiesa. Inviò infatti nella città lombarda, per fornirle aiuto contro Ezzelino da Romano, un esercito di cavalieri e di fanti. Nel mese di settembre ebbe uno scambio epistolare con il cardinale legato in Lombardia, Ottaviano degli Ubaldini, che chiedeva truppe per la difesa di Parma e Piacenza contro le residue forze imperiali. Enrico convinse i bolognesi a inviare a loro spese al cardinale un contingente di 500 uomini per un mese. Alla scadenza dei 30 giorni, il prelato chiese la proroga ma non sappiamo se Enrico lo abbia accontentato.
L’interesse manifestato per Parma convinse quei cittadini a eleggerlo podestà per l’anno 1253; ma Enrico rimase poco tempo nella città, giacché nei primi mesi del suo regime si creò una spaccatura all’interno dello schieramento guelfo. Giberto della Gente, divenuto responsabile della Societas Mercatorum con il compito di portare la pace tra le fazioni in lotta, iniziò a trattare con i fuoriusciti, con i Cremonesi e con Uberto Pelavicino. Poiché Enrico come podestà si opponeva, Giberto organizzò una manifestazione di piazza e il 20 maggio s’impadronì del potere e lo congedò, dopo avergli pagato l’intero salario. Dopo quest’ultima data Enrico non è più ricordato nelle fonti.
Fonti e Bibl.: Johannes de Mussis, Chronicon Placentinum ab anno CCXXII usque ad annum MCCCCII, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., 16, Milano 1730, col. 463; Annales Mediolanenses, ibidem, coll. 644-646; Chronica rectorum civitatis Mediolani, ibidem, col. 676; Liber iurium Reipubblicae Genuensis, I, in Historiae Patriae Monumenta, Torino 1854, coll. 887, 990-992, 996; Annales Placentini Gibellini auctore Mutio de Modoetia, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, Hannover 1863, pp. 479-481; Statuta Communis Vercellarum ab anno MCCXLII, in Historiae Patriae Monumenta, Leges Municipales, II/2, Torino 1876, coll. 1097, 1277 s., 1321-1352; E. Winkelmann, Acta Imperii inedita saeculi XIII et XIV, II, Innsbruck 1885, p. 692, n. 1092, p. 695; Registri dei cardinali Ugolino di Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, a cura di G. Levi, Roma 1890 (Fonti per la Storia d’Italia, 8), pp. 162, 166, 187,190, 193; Petri Cantinelli Chronicon (1228-1306), a cura di F. Torraca, in Rer. Ital. Script., XXVIII/2, Città di Castello 1902, pp. 7, 56; Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script., IX/9, Città di Castello 1902, p. 20; E. Gabotto, Il Chartarium Dertonense ed altri documenti del Comune di Tortona (934-1346), Pinerolo 1909 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 31), pp. 178-180; Corpus Chronicorum Bononiensium, II, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., XVIII/1, Città di Castello 1911, p. 131; Annali Genovesi di Caffaro e suoi continuatori dl 1225 al 1250, a cura di C. Imperiale, Roma 1923, pp. 97-102; R. Ordano, I Biscioni, II/1, Torino 1970, pp. 269 s., 273-276, 278-282; Georgii et Johannis Stellae Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., XVII/2, Bologna 1975, p. 62; Gli Atti del Comune di Milano nel secolo XIII (1217-1250), a cura di M.F. Baroni, Milano 1976, pp. 204, 395, 424, 568, 599, 695-697; A. Zaninoni, Il primo registro delle imbreviature di Rufino de Rizzardo (1237-1244), Milano 1983, pp. 121, 134, 137, 179, 187, 268, 449; I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I/6, a cura di M. Bibolini, Genova 2000 (Fonti per la Storia della Liguria, XIII), pp. 41 s.; L. Alberti, Historiae di Bologna, Bologna 1591, II D, L. I, f. 126v; L.A. Muratori, Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1750, Napoli 1773, VII, p. 221; G. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, V, Piacenza 1758, pp. 109-111; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione della città e della campagna di Milano ne’ secoli bassi, IV, Milano 1854-18572, pp. 363, 383 s., 400, 488 s.; P. Verri, Storia di Milano, I, Milano 1783, p. 247; C.V. Boselli, Delle storie piacentine libri XII, I, Piacenza 1793, p. 148; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, I, Genova 1834, pp. 364 s.; V. Poggi, Series rectorum Reipublicae Genuensis, Torino 1900, p. 74; G. Franceschini, La vita sociale e politica nel Duecento, in Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 231-245, 277; V. Vitale, Breviario della Storia di Genova, I, Genova 1955, p. 66; P. Castignoli, Il Comune podestarile, in Storia di Piacenza, II, Piacenza 1984, p. 271; G. Chiodi, Istituzioni e attività della seconda lega lombarda (1226-1235), in Studi di storia del diritto, I, Milano 1996, pp. 199- 201; Id., Istituzioni e attività della seconda lega lombarda (1226-1235), in Federico II e la civiltà comunale nell’Italia del Nord, a cura di C.D. Fonseca e R. Crotti, Atti del Convegno internazionale, Pavia 13-15 ottobre 1994, Roma 1999, p. 331; P. Grillo, Milano in età comunale (1183- 1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001, pp. 323, 682.